TAIWAN

La seguente pagina raccoglie le analisi scritte dai ricercatori del Centro Studi Eurasia e Mediterraneo per il focus relativo a Taiwan.

L’argomento Taiwan si configura ai giorni nostri come particolarmente caldo, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti geopolitici, geostrategici e le relative implicazioni economiche. Ma prima ancora di configurarsi come questione internazionale – anzitutto a causa delle ripetute provocazioni e strumentalizzazioni operate da parte statunitense – quest’isola costituisce principalmente un nodo irrisolto nella storia recente dell’unica Cina, una sorta di vulnus protrattosi per oltre sette decenni all’indomani della vittoria delle forze comuniste di Mao Zedong nella guerra civile cinese della prima metà del secolo scorso. In sostanza un residuo remoto ed insoluto – certo piccolo in termini territoriali ma non trascurabile in termini patriottici – rispetto alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, avvenuta nell’ottobre del 1949.

Al fine di capire maggiormente il “caso Taiwan” sempre più dibattuto in questo periodo, risulta essenziale e doveroso compiere un lungo passo indietro nei secoli, e ripercorrere brevemente le principali tappe che quest’isola ha compiuto all’interno della storia dell’unica e grande Cina.

I primi contatti dei cinesi con le popolazioni aborigene taiwanesi può ascriversi al 3° secolo d.C., allorquando gli emissari della dinastia Wu Orientale (o Sun Wu) durante la cosiddetta epoca dei Tre Regni, visitarono quest’isola che denominarono come Yizhou. Allora infatti la Cina viveva una vera e propria tripartizione del proprio territorio: il periodo dei Tre Regni si protrasse dal 220 al 280 d.C. e si assistette ad una divisione della Cina tra gli stati dinastici di Cao Wei, Shu Han e Wu Orientale. Va inoltre segnalato che il regno di breve durata Yan insediato nella penisola di Liaodong è solitamente considerato un “Quarto regno”…

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la netta sconfitta del Giappone, sia per la Cina continentale che per l’isola di Taiwan lo scenario sarebbe cambiato completamente, con la ripresa della Seconda Guerra Civile cinese (conosciuta anche come Guerra di Liberazione). Gli sviluppi bellici di questo intervallo di tempo (1945 resa giapponese – 1949 vittoria definitiva delle formazioni comuniste e proclamazione della Repubblica Popolare Cinese) sarebbero infatti stati decisivi per le sorti di Taiwan, relegando l’isola in una fase di cristallizzazione che dura fino ai giorni nostri.

Dopo il ’45, secondo quanto prevedevano i termini della resa incondizionata giapponese dettata dagli Alleati, le truppe nipponiche avrebbero dovuto arrendersi alle truppe del Kuomintang (KMT) ma non al PCC, che era presente in alcune delle aree occupate. In Manciuria, invece, dove il KMT non aveva forze armate attive, i giapponesi si arresero all’Unione Sovietica. Per quanto Chiang Kai-shek ammonisse i giapponesi di arrendersi solo alle truppe nazionaliste, in realtà i comunisti misero direttamente i giapponesi in condizione di arrendersi, suscitando peraltro la preoccupazione statunitense da parte del Wedemeyer, che intuì la posizione di superiorità che stavano acquisendo gli uomini di Mao. Il primo negoziato di pace del dopoguerra, a cui parteciparono sia Chiang Kai-shek che Mao Zedong, si tenne a Chongqing dal 28 agosto al 10 ottobre 1945. Chiang partecipò alla conferenza con un vantaggio teorico, in quanto aveva recentemente firmato un trattato amichevole con l’Unione Sovietica, mentre i comunisti stavano ancora costringendo i giapponesi ad arrendersi in diverse aree. A conclusione del vertice, entrambe le parti sottolinearono astrattamente l’importanza di una ricostruzione pacifica, ma senza dare seguito ad azioni concrete. Infatti, le ostilità tra le due parti continuarono anche mentre erano in corso negoziati di pace, fino al raggiungimento dell’accordo nel gennaio 1946. Tuttavia, l’evoluzione nel nord della Cina avrebbe parzialmente cambiato le cose. Infatti, proprio agli sgoccioli del conflitto mondiale in Asia, i sovietici lanciarono una poderosa operazione offensiva in Manciuria contro l’esercito giapponese del Kwantung e lungo il confine tra Cina e Mongolia.

Questa operazione annientò l’esercito del Kwantung in sole tre settimane e lasciò l’Unione Sovietica ad occupare tutta la Manciuria; inoltre, fece prigionieri circa 700 mila soldati giapponesi di stanza nella regione. Ben presto Chiang Kai-shek si rese conto di essere sprovvisto delle risorse per impedire l’acquisizione da parte del PCC della Manciuria dopo la prevista partenza sovietica: tentò vanamente un accordo con i sovietici per ritardare il loro ritiro fino a quando non avesse trasferito nella regione una quantità sufficiente dei suoi uomini meglio addestrati e del materiale moderno. 

Nel 1949 il Kuomintang, guidato dallo sconfitto Chang Khai-shek, evacuò le proprie forze dalla Cina continentale e le trasferì sull’isola di Taiwan (Taipei), dove impose la legge marziale (rimasta in vigore fino al 1991) per reprimere la rivolta comunista. Il Presidente USA Dwight Eisenhower firmò nel 1954 un patto di mutua difesa che incluse Taiwan nell’area dell’ombrello nucleare statunitense, trasformando l’Isola in un enorme base militare nordamericana. Alcuni reparti del Kuomintang vennero invece dislocati in quell’angolo della Birmania (oggi Myanmar) al confine con Cina, Laos e Thailandia che costituisce il triangolo d’oro, l’area dove si trovano le più vaste piantagioni di oppio al mondo. Gli uomini di Chang Kai-shek assunsero il controllo delle piantagioni di oppio e quindi del relativo traffico di eroina, trovando il mercato statunitense pronto ad assorbirla.

Dopo la diplomazia kissingeriana del ping pong (1972) e l’incontro tra Nixon e Mao, l’1 gennaio 1979 il Governo USA stabilì formalmente relazioni diplomatiche con Pechino e annullò unilateralmente il patto di difesa reciproca con Taiwan. Tuttavia, statunitensi e giapponesi hanno mantenuto un centro di comando operazionale congiunto nella base USA di Yokota, propedeutico a gestire le questioni militari riguardanti la penisola di Taiwan e la penisola coreana. Il frutto più importante del reciproco riconoscimento tra Washington e Pechino fu l’ammissione della Repubblica Popolare Cinese nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con potere di veto, seggio che fino a quel momento era stato occupato proprio da Taiwan.

Nel frattempo, più di un milione di cittadini taiwanesi ha iniziato a lavorare nella Cina continentale, dove hanno trasferito la maggior parte delle loro imprese e svolgono un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’industria elettronica mondiale.

Nel 1979, sotto l’Amministrazione Carter, vennero ufficialmente instaurate delle relazioni diplomatiche tra Repubblica Popolare Cinese e Stati Uniti. L’atto si poneva come il compimento di un percorso iniziato nel 1972 con la celebre visita di Richard Nixon a Pechino. La mossa seguente, da parte di Washington, fu la cessazione del riconoscimento di Taiwan.

Il comunicato congiunto Cina-USA sull’instaurazione delle relazioni diplomatiche, pubblicato nel dicembre 1978, afferma: “Il Governo degli Stati Uniti d’America riconosce la posizione cinese secondo cui la Cina è una sola e Taiwan fa parte della Cina”. Afferma inoltre: “Gli Stati Uniti d’America riconoscono il Governo della Repubblica Popolare Cinese come l’unico Governo legale della Cina. In questo contesto, il popolo degli Stati Uniti manterrà relazioni culturali, commerciali e altre relazioni non ufficiali con il popolo di Taiwan”.

Tuttavia, allo stesso tempo, gli Stati Uniti si impegnarono tramite il TRA – Taiwan Relations Act a difendere la sovranità territoriale dell’isola attraverso la vendita di armamenti e la fornitura di sistemi di difesa (consentendo agli USA di mantenere delle posizioni strategiche nella regione). Di fatto, attraverso scorciatoie semantiche, gli Stati Uniti stanno recentemente sostenendo che con gli accordi del 1979 non hanno mai riconosciuto il principio della “Cina unica” richiesto da Pechino. Gli USA avrebbero cioè semplicemente preso atto della posizione cinese, ma non avrebbero mai dichiarato che la RPC è l’unica Cina. Cosa che secondo il PCC, al contrario, sarebbe implicita nell’accordo. A ciò si aggiunga che esiste una sorta di tacita intesa sull’esistenza di una “Cina Unica” tra PCC e Kuomintang risalente ai primi anni ’90 e nota come 1992 Consensus

Il 16 ottobre 2022, nella relazione tenuta al XX Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese dal titolo Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi e unirsi per costruire un Paese socialista moderno sotto tutti gli aspetti, Xi Jinping non poteva non riservare qualche passaggio del suo intervento alla “questione Taiwan”; tema, questo, tornato con sempre maggiore insistenza e frequenza nel discorso politico internazionale a partire dalla sconsiderata e inopportuna decisione della speaker della Camera dei Rappresentanti statunitensi, la democratica Nancy Pelosi, di visitare l’isola lo scorso mese di agosto: decisione che a Pechino hanno giudicato come un’inopportuna quanto non necessaria ingerenza negli affari interni di un Paese sovrano quale è la Cina. Non è un caso, quindi, se in apertura della sua relazione ai delegati del Partito Comunista, il Presidente abbia sostenuto che “in risposta alle attività separatiste volte alla “indipendenza di Taiwan” e alle grossolane provocazioni di ingerenze esterne negli affari di Taiwan, abbiamo risolutamente combattuto contro il separatismo e contrastato le interferenze, dimostrando la nostra determinazione e capacità di salvaguardare la sovranità e l’integrità territoriale della Cina e di opporci alla “indipendenza di Taiwan”. Abbiamo rafforzato la nostra iniziativa strategica per la completa riunificazione della Cina e consolidato l’impegno per il principio di “una sola Cina” all’interno della Comunità Internazionale. Di fronte a cambiamenti drastici nel panorama internazionale, in particolare ai tentativi esterni di ricattare, contenere, bloccare ed esercitare la massima pressione sulla Cina, abbiamo messo al primo posto i nostri interessi nazionali, ci siamo concentrati sulle preoccupazioni politiche interne e abbiamo mantenuto una ferma determinazione strategica. Abbiamo mostrato uno spirito combattivo e una ferma determinazione a non cedere mai al potere coercitivo. Durante questi sforzi, abbiamo salvaguardato la dignità e gli interessi fondamentali della Cina, e ci siamo mantenuti ben posizionati per perseguire lo sviluppo e garantire la sicurezza”.

Lo scorso 28 marzo, il Vicesegretario alla Difesa degli Stati Uniti, Kathleen Hicks, ha dichiarato alla stampa: “Anche se ci confrontiamo con le malvagie azioni della Russia, la strategia di difesa illustra la prossima linea di azione del Dipartimento, tesa a mantenere e anzi a potenziare la deterrenza nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, nostro principale concorrente strategico e sfidante”1. L’aggressività di Washington nei confronti di Pechino è stata poco dopo confermata dal Segretario di Stato Antony Blinken, che ha definito quello russo-ucraino un “conflitto locale, limitato e provvisorio”, mentre gli Stati Uniti continueranno a concentrarsi “sulla sfida più gande lanciata a lungo termine all’ordine internazionale, e rappresentata dalla Repubblica Popolare”. Tutto ciò non può passare inosservato dalla parte cinese che osserva con preoccupazione come, in virtù della guerra in Ucraina, la NATO intenda ampliare il proprio raggio di azione e di influenza anche oltre lo spazio transatlantico, fino a costituire una minaccia alla sua sovranità nella regione dell’Indo-Pacifico. Se finora sulla crisi ucraina Pechino ha mantenuto una posizione di difficile equilibrio geopolitico tra Mosca e Washington, nonché la strada di una mediazione pacifica, nel caso gli Stati Uniti e i loro alleati dovessero sostenere con le armi un’eventuale dichiarazione d’indipendenza giuridica di Taiwan, la Cina non potrebbe sottrarsi al confronto.

Una NATO asiatica per circondare e soffocare la Cina Coerentemente con i suoi colleghi, anche il segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, ha dichiarato che la guerra in Ucraina non riduce certo l’importanza della sfida cinese sempre incalzante2. Non a caso, Washington ha costretto nei mesi scorsi gli Stati affacciati sul Mar Cinese Meridionale a partecipare ad esercitazioni belliche multilaterali in funzione anti-Pechino, quando la maggior parte degli attori dell’area vorrebbe solo stabilizzarsi sullo sviluppo economico interno a cui la Cina contribuisce in buona misura grazie ai legami intrecciati nell’ASEAN e attraverso il RCEP. Il passaggio decisivo che si è registrato tra le ultime due amministrazioni a stelle e strisce riguarda la natura del tentativo egemonico globale portato avanti dagli Stati Uniti.

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