a cura di Giulio Chinappi
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Le elezioni locali sull’isola di Taiwan hanno rappresentato una dura sconfitta per il governo filo-occidentale di Tsai Ing-wen, costringendola a rassegnare le dimissioni.
Il 26 novembre si sono tenute le elezioni locali sull’isola di Taiwan, ritenute particolarmente importanti dagli osservatori internazionali a causa delle tensioni tra il governo filo-occidentale di Tsai Ing-wen e la Repubblica Popolare Cinese, fomentate come al solito dalle ingerenze di Washington.
Gli elettori dell’isola hanno dimostrato di non gradire le politiche dell’attuale governo, completamente asservite ai dettami provenienti dagli Stati Uniti e orientate a creare una spaccatura sempre più profonda nei confronti della terraferma. Il Partito Progressista Democratico (Mínzhǔ Jìnbù Dǎng) di Tsai Ing-wen ha dunque subito una pesante sconfitta per mano del Kuomintang, il Partito Nazionalista Cinese. Di particolare valore simbolico la vittoria del Kuomintang nella capitale Taipei, che ora sarà governata da Chiang Wan-an, pronipote dello storico leader nazionalista cinese, Chiang Kai-shek.
Nel complesso, il Kuomintang ha sconfitto il PPD per tredici contee a cinque, con il partito di governo che si trova ad amministrare solamente un quarto della popolazione dell’isola. Per il resto, in due contee sono stati eletti candidati indipendenti, mentre nella contea di Hsinchu si è imposto il Partito Popolare di Taiwan, fondato nel 2019. Secondo gli osservatori, il PPD ha subito la sconfitta più pesante negli ultimi trentasei anni, e questo risultato rappresenta una pesante bocciatura per il governo di Tsai Ing-wen: “L’opinione pubblica dell’isola ha affermato che il disperato tentativo del DPP di giocare la carta della ‘protezione di Taiwan dalla terraferma’ è fallito”, si legge in un editoriale della testata cinese Global Times.
La sconfitta del partito di governo può essere considerata come un segnale dell’insoddisfazione generale nei confronti delle politiche applicate dal PPD negli ultimi anni, tra cui la caotica risposta al COVID-19 e l’incapacità di frenare l’aumento dei prezzi, ma soprattutto come una conseguenza delle politiche provocatorie messe in atto nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, come accaduto in occasione della visita di Nancy Pelosi, terza carica degli Stati Uniti d’America, sull’isola. Indipendentemente dalle proprie posizioni politiche, gli elettori taiwanesi devono aver percepito questo atteggiamento come foriero di tensioni se non di un vero e proprio conflitto lungo lo Stretto di Taiwan, preferendo invece una soluzione pacifica alla questione.
La pesante sconfitta ha portato Tsai Ing-wen a rassegnare le dimissioni dalla presidenza del partito nella serata di sabato, riconoscendo, dunque, la sconfitta del partito come un fallimento delle proprie politiche. “La visita di Nancy Pelosi a Taiwan ha improvvisamente intensificato la situazione nello Stretto di Taiwan e le autorità del PPD hanno intensificato le loro attività di collusione affidandosi agli Stati Uniti per cercare ‘l’indipendenza’, spingendo gradualmente Taiwan sull’orlo di una feroce guerra”, accusa il Global Times. “Il PPD ha sempre utilizzato o creato deliberatamente un’atmosfera di tensione attraverso lo Stretto per il proprio interesse politico”, ma questa volta la tattica del pericolo proveniente dalla terraferma non ha portato i propri frutti.
Salito al potere per la prima volta nel 2000, allora sotto la leadership di Chen Shui-bian, il PPD ha governato l’isola di Taiwan fino al 2008, e poi nuovamente a partire dal 2016 con l’elezione di Tsai Ing-wen. Il partito filo-occidentale ha a lungo beneficiato della propria retorica anti-cinese, illudendo la popolazione circa il raggiungimento della cosiddetta “indipendenza di Taiwan”. Tuttavia, gli elettori hanno dimostrato di aver capito che la strada perseguita dall’attuale governo, sostenuto come al solito dagli Stati Uniti, porta rischi e pericoli che i taiwanesi non vogliono assolutamente affrontare.
“Tali risultati hanno dimostrato che l’opinione pubblica dominante sull’isola è favorevole alla pace”, hanno affermato sabato le autorità cinesi continentali sugli affari di Taiwan, promettendo di “continuare a lavorare con il popolo di Taiwan per promuovere lo sviluppo pacifico delle relazioni tra le due sponde dello Stretto” e di opporsi fermamente alla “indipendenza di Taiwan” e alle interferenze esterne.
“Tsai e le autorità del PPD hanno in molti casi sacrificato gli interessi della gente comune e delle aziende locali per compiacere forze esterne e accumulare capitale politico”, scrive, in un altro articolo, Zhang Han. Resta da capire quali saranno le conseguenze di questo risultato sulle politiche del governo dell’isola, in attesa delle elezioni del 2024, che potrebbero segnare un ritorno al potere del Kuomintang ai danni del PPD.
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