RACCONTARE BENE IL GRANDE RINASCIMENTO DELLA NAZIONE CINESE

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di Andrea Turi

Wang Wen è professore e decano esecutivo del Chongyang Institute for Financial Studies presso la Renmin University of China e nel settembre del 2020 ha consegnato alla testata Global Times un articolo dal titolo West needs to change its China narrative; pezzo che riportiamo di seguito poiché ben svolge il compito di introdurre l’argomento oggetto di questo scritto, vale a dire l’opinione occidentale – in generale – e in particolare italiana sulla Repubblica Popolare Cinese e il Partito Comunista Cinese.

Scrive Wang Wen: “Una volta pensavo di non poter più correre o fare alpinismo. La mia distorsione alla caviglia ha continuato a ripetersi dopo aver corso diverse maratone e scalato più vette negli ultimi tre anni. Ho pagato un prezzo molto alto per il mio modo radicale di fare esercizio. Dato che ho recuperato dopo diversi mesi di trattamento ed esercizio, smetto di mettermi in mostra o di andare agli estremi, ma piuttosto perseguo solo uno stile di vita sano. Sembra che in Cina molte persone di mezza età come me stiano aumentando la loro partecipazione allo sport. Partecipano alle maratone. Nel 2015, c’erano solo 134 maratone in Cina. Nel 2019, il numero è balzato a 1.828, con oltre 7 milioni di corridori. Circa la metà dei partecipanti alle maratone ha un’età compresa tra i 35 e i 50 anni. Questa fascia di età è la spina dorsale della società. I loro crescenti interessi per lo sport riflettono la crescente tendenza dei cinesi a perseguire stili di vita più sani dopo aver potuto godere della prosperità materiale.

[…] La Cina sta avanzando traendo lezioni dal passato. L’aspettativa di vita media dei cinesi si è attestata a 77 anni (vicino ai 78,7 degli Stati Uniti) nel 2018, un forte aumento rispetto ai 36 quando la Repubblica Popolare Cinese è stata fondata nel 1949. Da questa prospettiva, alcuni media occidentali e le critiche dei politici nei confronti della Cina per la situazione dei diritti umani è terribilmente parziale. Vale a dire, uno dei recenti cambiamenti significativi della Cina è stato trascurato dai media occidentali che sono desiderosi di politicizzare qualsiasi cosa.

La ricerca di una vita di alta qualità da parte dei cinesi comuni non solo li rende più sani e facilita la loro vita, ma inietta anche dinamismo all’economia e stimola il ringiovanimento nazionale. […] Il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato all’apertura del XIX Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC) nell’ottobre 2017 che il socialismo con caratteristiche cinesi è entrato in una nuova era e ha detto che la principale contraddizione che deve affrontare la società cinese si è evoluta “tra uno sviluppo squilibrato e inadeguato e le esigenze sempre crescenti delle persone per una vita migliore”.

In questa nuova era, affrontare ripetutamente le contraddizioni migliorerà sicuramente il tenore di vita, promuoverà la stabilità sociale e la prosperità e porterà a un progresso nazionale costante. Sfortunatamente, i politici statunitensi spesso vedono lo sviluppo della Cina attraverso lenti ideologiche deformanti; spesso descrivono i diritti umani in Cina come estremamente negativi o il Partito Comunista Cinese come l’antitesi del popolo cinese. Da qui sostanzialmente deriva l’incomprensione strategica della Cina da parte dei politici statunitensi. In effetti, anche un leggero miglioramento nella vita di 1,4 miliardi di persone solleverebbe l’economia cinese su larga scala, il che può anche stimolare lo sviluppo dell’economia mondiale. Nel 2020, quando il mondo è stato colpito dalla pandemia COVID-19, la Cina è stata l’unica grande economia con una crescita positiva e si prevede che contribuirà notevolmente all’economia mondiale. La crescita della Cina è stata rafforzata dalla ricerca di una vita migliore da parte di ogni comune cittadino cinese.

Questo processo, ovviamente, non è facile. Ci saranno battute d’arresto, come quando facevo sport e mi facevo male. Per ogni amico straniero, è facile percepire il fascino della Cina dal modello logico di “sviluppo – contraddizione – correzione – riconversione; si può quindi vedere che la narrazione obsoleta sulla Cina da parte dei media e dei politici occidentali potrebbe aver bisogno di un cambiamento rivoluzionario1”.

Un altro articolo, stavolta a firma Jeffrey D. Sachs e pubblicato sulla testata online Consortium News, indica quali sono le prerogative della narrazione e rappresentazione mediatica della Cina da diffondere a reti – praticamente – unificate sui media occidentali2: “Il mondo – scrive Sachs – è sull’orlo della catastrofe nucleare in gran parte a causa del fallimento dei leader politici occidentali nell’essere schietti sulle cause dell’escalation dei conflitti globali.

L’implacabile narrazione occidentale secondo cui l’Occidente è nobile mentre la Russia e la Cina sono malvagie è semplicistica e straordinariamente pericolosa. È un tentativo di manipolare l’opinione pubblica, non di avere a che fare con una diplomazia molto reale e pressante. La narrativa essenziale dell’Occidente è incorporata nella strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. L’idea centrale degli Stati Uniti è che Cina e Russia sono nemici implacabili che stanno “tentando di erodere la sicurezza e la prosperità americana”. Questi Paesi sono, secondo gli Stati Uniti, “determinati a rendere le economie meno libere e meno eque, a far crescere le loro forze armate e a controllare le informazioni e i dati per reprimere le loro società ed espandere la loro influenza”.

L’ironia è che dal 1980 gli Stati Uniti sono stati in almeno 15 guerre d’oltremare di propria scelta (Afghanistan, Iraq, Libia, Panama, Serbia, Siria e Yemen solo per citarne alcuni), mentre la Cina non è stata in nessuna, e la Russia solo in una (Siria) oltre l’ex Unione Sovietica. Gli Stati Uniti hanno basi militari in 85 Paesi, la Cina in tre e la Russia in uno (Siria) oltre l’ex Unione Sovietica.

Il presidente Joe Biden ha promosso questa narrazione, dichiarando che la più grande sfida del nostro tempo è la competizione con le autocrazie, che “cercano di far avanzare il proprio potere, esportare ed espandere la propria influenza in tutto il mondo e giustificare le loro politiche e pratiche repressive come un modo più efficiente per affrontare le sfide di oggi”.

La paura esagerata nei confronti della Cina e della Russia viene venduta al pubblico occidentale attraverso la manipolazione dei fatti. Una generazione prima George W. Bush Jr. vendeva al pubblico l’idea che la più grande minaccia dell’America fosse il fondamentalismo islamico, senza menzionare che era stata la CIA, con l’Arabia Saudita e altri Paesi, che aveva creato, finanziato e schierato i jihadisti in Afghanistan, Siria e altrove per combattere le guerre americane.

Oppure si consideri l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica nel 1980, che è stata dipinta dai media occidentali come un atto di perfidia non provocata. Anni dopo, abbiamo appreso che l’invasione sovietica era in realtà preceduta da un’operazione della CIA progettata per provocare l’invasione sovietica! La stessa disinformazione si è verificata nei confronti della Siria.

La stampa occidentale è piena di recriminazioni contro l’assistenza militare del presidente russo Vladimir Putin a Bashar al-Assad in Siria a partire dal 2015, senza menzionare che gli Stati Uniti hanno sostenuto il rovesciamento di al-Assad a partire dal 2011, con la CIA che ha finanziato una grande operazione (Timber Sycamore) per rovesciare Assad anni prima dell’arrivo della Russia.

O più recentemente, quando la presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi è volata incautamente a Taiwan nonostante gli avvertimenti della Cina, nessun ministro degli Esteri del G7 ha criticato la provocazione di Pelosi, eppure i ministri del G7 insieme hanno criticato duramente la “reazione eccessiva” della Cina al viaggio di Pelosi.

[…] Al centro di tutto questo c’è il tentativo degli Stati Uniti di rimanere la potenza egemonica del mondo, aumentando le alleanze militari in tutto il mondo per contenere o sconfiggere Cina e Russia. È un’idea pericolosa, delirante e antiquata. Gli Stati Uniti hanno solo il 4,2% della popolazione mondiale e ora solo il 16% del PIL mondiale (misurato a prezzi internazionali). In effetti, il PIL combinato del G7 è ora inferiore a quello dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), mentre la popolazione del G7 è solo il 6% del mondo rispetto al 41% dei BRICS.

C’è solo un Paese la cui fantasia auto-dichiarata è quella di essere la potenza dominante del mondo: gli Stati Uniti. È tempo che gli Stati Uniti riconoscano le vere fonti di sicurezza: la coesione sociale interna e la cooperazione responsabile con il resto del mondo, piuttosto che l’illusione dell’egemonia. Con una politica estera così rivista, gli Stati Uniti e i loro alleati eviterebbero la guerra con la Cina e la Russia e consentirebbero al mondo di affrontare la sua miriade di crisi ambientali, energetiche, alimentari e sociali3”.

I due articoli sopra riportati dovrebbero aver chiarito al lettore alcuni concetti fondamentali che stanno alla base della costruzione della percezione della Repubblica Popolare Cinese nell’immaginario collettivo quotidiano. Inoltre, come scrive con giusta scelta di parole Roberto Pecorale, “in questo nuovo clima da guerra fredda creatosi tra Stati Uniti e Cina, particolarmente acuito con l’inizio della pandemia prima, e con il conflitto russo-ucraino oggi, parlare del Paese asiatico è diventato sempre più complesso, perché ogni aspetto che lo riguarda diventa polarizzante e divisivo. Questo fenomeno, a cui assistiamo da tempo, pare sia ormai diventato l’unico modo di discutere di Cina in pubblico, con schieramenti che vedono opposte una parte demonizzatrice degli aspetti dispotici e autoritari, e un’altra parte che tende per contro a una visione apologetica, considerando la Cina l’unica potenza in grado di porsi come valida alternativa al distruttivo e inefficiente modello capitalista occidentale. Queste polarizzazioni, oltre a impedire di comprendere in profondità ciò che accade in Cina, con le sue contraddizioni interne e le mille sfaccettature, costituiscono il combustibile perfetto per alimentare vecchi pregiudizi e paure, ben radicati in Europa e negli Stati Uniti, nei confronti del cosiddetto “pericolo giallo” e verso la potenza asiatica percepita come in continua ascesa. I social network stessi hanno dimostrato nel tempo di essere più adatti ad amplificare opinioni becere ed estremiste, invece di fornire un campo di gioco imparziale in cui discutere in modo civile4”.

Al fine di comprendere il complesso meccanismo comunicativo che innesca il processo cerebrale che porta la formazione di un’opinione – personale o collettiva che sia – su un argomento, evento e un Paese come, nel nostro caso, la Repubblica Popolare Cinese, chi legge permetta una digressione nel campo della comunicazione e dei meccanismi psicologici che ne regolano il funzionamento.

Introduciamo, quindi, i concetti di priming, framing e agenda setting; questo passaggio si rende necessario poiché la percezione e il pregiudizio su un determinato argomento di conoscenza è sempre più influenzato dall’azione dei media e del racconto dei fatti da essi presentati. La combinazione di tre effetti – la scelta delle notizie salienti dei media, il modo in cui le notizie vengono contestualizzate per favorire certe interpretazioni piuttosto che altre e la frequenza di ripetizione di una notizia – ne produce uno determinante nel modificare gli atteggiamenti personali. D’altronde stiamo vivendo in un’epoca caratterizzata da una forte mediatizzazione che ha contribuito alla genesi di quella democrazia media-centrica in cui, oggi, l’individuo vive, forma le proprie convinzioni e opinioni, consuma e muore.In questo contesto, i media non possono che rivestire un ruolo cruciale anche nel plasmare il dibattito politico fissandone i criteri con cui vengono presentati i fatti politici e influenzata la loro interpretazione, concorrendo a stabilire le priorità e la frequenza dei temi da trattare nel discorso politico.

Il concetto di priming proviene dalla psicologia cognitiva e richiama una situazione cognitiva tale per cui uno stimolo verbale, uditivo, visivo che sia al quale si è stati esposti in passato, influenza la percezione e l’interpretazione inconscia delle successive esposizioni allo stesso stimolo.

David Eagleman, neuroscienziato, ha scritto che “se si è visto in foto il viso di qualcuno, lo si giudicherà più attraente la seconda volta che lo si guarda, e questo è vero anche quando non ci si ricorda affatto di averlo già contemplato. Questo ‘effetto esposizione’ illustra un fatto preoccupante: la memoria implicita influenza la nostra interpretazione del mondo, determinando che cosa ci piace, che cosa non ci piace e così via. Non vi stupirà apprendere che è in gran parte questo effetto a ispirare la creazione di un marchio, la costruzione di un personaggio o le linee guida della campagna di un leader politico: quando si è ripetutamente esposti a un prodotto o a un volto, si finisce per preferirli”. In questa luce, sembra, dunque, che il priming abbia l’effetto di creare, dopo il primo stimolo, un certo numero di neuroni silenti che, qualora lo stimolo si ripresentasse una seconda volta, sarebbero capaci di attivare il ricordo con un minor dispendio di energia cerebrale.

Il priming viene accanitamente sfruttato dai media per “forzare” nella mente dei destinatari del messaggio determinate notizie e precisi concetti da proporre5:nel mondo dei mass media lo stimolo può provenire da una notizia mentre l’effetto priming è la percezione immediata della notizia e il richiamo, dalla memoria di lungo termine, di quella notizia e delle sensazioni ad essa associate precedentemente. Il priming si avvale, così, di scorciatoie mentali euristiche nella valutazione della notizia, in particolare si avvale dell’euristica del riconoscimento, la più utilizzata dai comunicatori e dagli attori politici e commerciali. Il complesso processo mentale può essere spiegato con alcuni semplici passaggi: ogni notizia viene memorizzata all’interno dello schema mentale che il destinatario del messaggio ha costruito nel tempo operando una connessione tra le informazioni ricevute. Quando un nuovo stimolo si presenta, il target cui è destinato il messaggio mediatico richiama alla mente il suo intero schema interpretativo. Tutta la comunicazione politica è costruita attorno a questo meccanismo inconscio della mente degli elettori, che i comunicatori politici conoscono bene e cercano di sfruttare. Essendo un processo radicato nell’evoluzione cerebrale di ogni essere umano, l’effetto (e le conseguenze) del priming non possono essere evitate6.

Il priming, quindi, più del framing che dell’agenda setting è elemento fondante dell’interpretazione delle notizie che riceviamo ogni giorno e, di conseguenza, delle nostre immagini mentali e, infine, della nostra interpretazione del mondo che ci circonda poiché si basa su unsistema mnemonico inconscio che consente a uno stimolo (verbale, uditivo, visivo) al quale si è stati esposti una prima volta, di essere riconosciuto le volte successive rapidamente e senza averne consapevolezza. È chiaro, adesso, che questa proprietà di origine evolutiva propria dell’essere umano provoca notevoli effetti sull’interpretazione e la valutazione dell’informazione. Una ricerca del politologo della Stanford University, Shanto Yiengar, ha mostrato che i pregiudizi delle persone possono essere modificati e aggiornati dalle notizie diffuse dai media7: quanto maggiore è l’enfasi e la frequenza con cui una notizia viene divulgata, tanto maggiore è anche il richiamo alla memoria dello schema mentale del lettore (e di tutti i concetti che il lettore ha associato nel tempo a quel tema). Sfruttando il priming, i comunicatori influenzano le decisioni di voto degli elettori e di acquisto dei consumatori.Le nostre opinioni e i nostri giudizi dipendono, dunque, dalla nostra visione della realtà che spesso viene – se non propriamente manipolata – indirizzata attraverso canali ed agenti esterni i quali, controllando i media e l’informazione che viene propinata, influenzano il giudizio di lettori e spettatori che, non sporadicamente, arrivano a sostenere interessi contrari ai loro e a quelli del proprio Paese ma favorevoli agli interessi di chi controlla e utilizza sapientemente le potenzialità del messaggio; negli ultimi anni i media occidentali hanno rivelato al mondo di essere niente altro che strumenti di propaganda per gli interessi e gli obiettivi di coloro che li possiedono8.

Riassumendo: il priming sfrutta il meccanismo automatico dell’attivazione delle rappresentazioni mentali, orienta l’attenzione e va a influenzare le decisioni, i comportamenti e le interpretazioni di noi esseri umani. Il framing, invece, afferisce alla modalità in cui le notizie vengono contestualizzate per favorire certe interpretazioni piuttosto che altre; il modo in cui, per usare la definizione di Luca Forgione, un mezzo di informazione costruisce la chiave interpretativa di una issue, una tematica,articolando i significati del tema secondo un determinato punto di vista9. Il framing, dunque, si può definire come il processo che porta gli individui a interpretare i problemi, gli eventi o la realtà in maniera diversa a seconda di come viene presentata loro l’informazione. In base al frame o allo spin, al “taglio” dato ad un determinato contenuto, può cambiare la percezione dell’informazione da parte di chi questo contenuto lo riceve; Erving Goffman ha presentato la nozione di framing intendendo con essa un modo per interpretare la realtà. Infatti in “Frame analysis: An Essay on the Organization of Experience” l’autore spiega che quando un individuo riconosce un determinato evento tende a utilizzare “uno o più framework oppure schemi di interpretazione”, i quali fanno sì che un “elemento che altrimenti potrebbe essere ritenuto insignificante per l’evento in questione venga invece percepito come qualcosa di significativo”. Secondo la teoria di Goffman, i cosiddetti frame vengono utilizzati dagli individui per interpretare e organizzare gli eventi, l’esperienza e il mondo intorno a loro, poiché questi schemi di interpretazione sono condizionati dalla società e dalla cultura delle persone. Si potrebbe, allora, sostenere che i frame consentono di contestualizzare gli eventi, facilitando l’interpretazione ma anche l’attribuzione di un senso o di un significato alla realtà. L’effetto framing può avere in questo senso un forte impatto sulla comunicazione e sulle modalità in cui l’informazione viene elaborata dal destinatario10.

Stando almeno alla sua prima formulazione, il meccanismo dell’agenda setting riguarda il trasferimento di rilevanza, ossia quello relativo all’ordine d’importanza dei temi dall’agenda dei media a quella del pubblico, inserendosi nel filone delle teorie degli effetti di comunicazione di massa basate sul costruzionismo sociale della realtà da parte dei media. In questa prima formulazione è decisiva la distinzione tra what to think (che cosa pensare) e what to think about (riguardo a cosa pensare), nel senso che i media dettano al pubblico l’ordine di importanza dei temi su cui riflettere, appunto la lista delle questioni più importanti da affrontare, ma non avrebbero alcuna azione sulla dimensione valutativa e sulla possibilità di modificare l’atteggiamento del pubblico. Partendo da alcune critiche mosse nei confronti di ciò che è considerata un’artificiosa distinzione tra influenza sugli atteggiamenti e sulle conoscenze, diversi contributi che si inseriscono nell’alveo dell’influenza forte dell’agenda dei media hanno superato la barriera del what to think about, facendo rientrare una certa accezione di framing nella stessa teoria dell’agenda setting11.”

Se, per come abbiamo cercato di mostrare, i mezzi del comunicare e gli strumenti tecnologici in generale influenzano la forma mentis, la cultura e, in generale, il volto di ogni civiltà, allora “essi avranno un ruolo rilevante nella formazione dell’immaginario collettivo che di tali elementi è espressione e sintesi compiuta. Tale immaginario, a sua volta, è il frutto dell’interazione tra l’ambiente (naturale e/o artificiale) e la dimensione psicofisica dell’essere umano che comprende anche la sua esperienza percettiva primaria. In questo senso l’immaginario collettivo si forma in base a una complessa interazione tra elementi oggettivi esterni (l’ambiente) e la diade mente/corpo.

Quest’ultima è costituita tanto da una dimensione istintiva e strutturale legata alla sessualità, agli istinti primari, alla fisiologia corporea, all’organizzazione sistemica dei centri nervosi, quanto dalle rappresentazioni simboliche di ordine mentale. In questo contesto gioca un ruolo fondamentale il concetto di brainframe, introdotto di recente da de Kerckhove: “un brainframe è qualcosa di diverso da un atteggiamento o da una mentalità, pur essendo tutto questo e molto di più. Pur strutturando e filtrando la nostra visione del mondo, esso non è esattamente un paio di occhiali di tipo particolare – dato che il brainframe non è mai localizzato nella struttura superficiale della coscienza, ma nella sua struttura profonda. Ora, è evidente che il brainframe – inteso come forma mentis, quanto come struttura profonda della coscienza, comprendente il livello materiale di organizzazione reticolare del cervello e delle sue determinazioni nervose – interagisce, plasma e viene, allo stesso tempo, influenzato dai mezzi tecnologici utilizzati12”.

Questi tre aspetti alla base della comunicazione – altresì politica e relativa all’ambito delle relazioni internazionali – agisce anche nell’influenzare il giudizio su un determinato evento o Paese, Cina compresa. Come scrive Gian Luca Atzori sulla testata China Files,i media hanno un’enorme responsabilità anche nella “costruzione del nemico”13. Così il giovane sinologo a riguardo: “il G7 dello scorso giugno ha nuovamente affermato lo schema geopolitico che segnerà il nostro tempo: Biden persegue nella lotta di Trump alla Cina, identificata come il nemico principale dell’Alleanza Atlantica e dello sviluppo liberal-democratico, trascinandosi dietro le principali potenze, tra cui un’Italia che fa dietrofront e rinuncia a importanti intese internazionali. In primis, il Memorandum of Understanding (MoU) con Pechino sulla Nuova Via della Seta, un accordo dal valore più ideologico che pragmatico, dato che non ha fatto altro che ribadire accordi commerciali e di collaborazione già intrapresi. Oggi, tuttavia, il MoU sembra quasi essere descritto come un pericoloso artifizio, un patto col diavolo che va recesso. Una grande inversione di tendenza, soprattutto se si pensa a come, a pochi mesi dall’esplosione della pandemia, ci fossero sondaggi che mostrassero l’opinione pubblica italiana sempre più attratta dalla Cina. Questo accadeva ad aprile 2020, eppure, sei mesi dopo i dati si erano già ribaltati. In meno di un anno si è passati dal celebrare la storia e il futuro delle relazioni sino-italiane, dall’elevarsi come punto di approdo dell’Antica e della Nuova via della Seta, a esserne tra i principali oppositori14.”

Da tempo la Repubblica Popolare Cinese ha messo in campo tutta una serie di politiche e accorgimenti volti ad esercitare un suo “soft power culturale” nel mondo, capace sia di controbilanciare il ritratto a sfumature negative dipintole dall’Occidente a guida statunitense che di proporsi al mondo in un modo più aperto al fine di farsi meglio conoscere; un’aspirazione, questa, che ha assunto una dimensione particolarmente rilevante soprattutto con la leadership di Xi Jinping, il quale sin dall’inizio del suo mandato ha ripetuto a più riprese la necessità di raccontare bene le storie della Cina, diffondere bene la voce della Cina, aumentare il potere discorsivo della Cina a livello internazionale, al fine di propagare, nel mondo, “conoscenze più autentiche, tridimensionali e complete della Cina”15.

Sul piano pratico ciò si è tradotto, come sappiamo, in enormi investimenti – avviati in parallelo con lo sviluppo dell’iniziativa economico-strategica della Belt and Road – volti a finanziare gli scambi culturali con la Cina, favorire l’espansione dei media cinesi all’estero, incrementare l’impatto internazionale della diplomazia nazionale con l’obiettivo di rendere maggiormente udibili all’estero le prospettive culturali e le istanze politiche “cinesi” sostenute dal governo16. Tale necessità si fonda su quanto teorizzato da Fung Yi in un articolo pubblicato online da China Daily in cui l’autore sostiene che “la capacità di un Paese di trasmettere i suoi messaggi a livello internazionale determina la sua influenza, mentre la sua narrativa determina la sua capacità di cogliere l’iniziativa nelle sue interazioni globali. Nella teoria della comunicazione internazionale, la “narrativa” è uno strumento di comunicazione che trasmette valori specifici e consente una comunicazione significativa tra l’oratore e l’ascoltatore. La capacità narrativa internazionale di un Paese non deriva solo dalla sua capacità di farsi sentire, ma soprattutto dall’efficacia e dall’influenza della sua narrazione.

In teoria, la narrativa di un Paese contiene elementi sfaccettati. Il primo è il contenuto e la qualità. Per essere efficace, la narrazione deve essere supportata da contenuti di alta qualità.

Il secondo è la capacità di stabilire l’agenda nell’arena internazionale. Nelle relazioni internazionali pratiche, i Paesi con una forte capacità di definizione dell’agenda internazionale e narrativa sono di solito più in grado di modellare e guidare l’opinione pubblica e cogliere l’iniziativa del discorso internazionale.

Il terzo sono i fatti e le pratiche da cui è costruita la narrazione. Il discorso di successo deve essere basato su fatti abbondanti e pratiche efficaci. Concetti e dichiarazioni vuote non sono sufficienti per persuadere e convincere le persone ed è difficile per un Paese migliorare veramente la sua narrativa se manca di sostanza.

Il quarto è l’accoglienza e il feedback. Solo conquistando il riconoscimento del pubblico straniero e imparando dal suo feedback si può migliorare e rafforzare l’influenza della narrazione.

Mentre la Cina si avvicina al centro della scena mondiale, sempre più Paesi e persone in tutto il mondo vogliono capire la Cina, guardare alla Cina obiettivamente ed esplorare le ragioni alla base dei suoi grandi risultati. La voce della Cina è cresciuta con l’espansione della sua influenza.

Tuttavia, in generale, il dominio occidentale nella narrativa internazionale sui Paesi dell’Est non è cambiato radicalmente, e la voce e l’influenza della Cina nel discorso internazionale devono ancora essere migliorate. Allo stesso tempo, non abbiamo sfruttato appieno le capacità narrative che abbiamo già acquisito. Va notato che le opinioni pubbliche internazionali sono diverse e sfaccettate e il pubblico di diversa estrazione di solito riceve informazioni da canali diversi. Il canale di comunicazione ufficiale e diplomatico da solo non è sufficiente per tutte le occasioni, il che significa che più giocatori devono partecipare alla promozione della narrativa internazionale di un Paese17.

Da qui, l’urgenza di promuovere e facilitare una comunicazione consapevole, di garantire alle generazioni future l’acquisizione delle conoscenze e delle competenze necessarie a promuovere una cultura pacifica, non violenta, votata alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali. Quello che, invece, i media occidentali e, quindi, anche italiani hanno adottato è una narrazione che lungi dal proporre approfondimenti e notizie utili alla comprensione del complesso universo cinese ha rispolverato una retorica da pericolo giallo18, una serie di stereotipi che hanno suffragato la cultura del pregiudizio e generato nell’immaginario collettivo sentimenti di rabbia, paura, ostilità nei confronti della Cina; stereotipi dall’antico retaggio alimentati ancora oggi attraverso notizie e dati su Pechino veicolati attraverso l’utilizzo di toni esacerbati, iperboli e mostruose o gigantesche similitudini. In un’intervista, Daniele Brigadoi Cologna, sinologo, sociologo delle migrazioni e professore associato di lingua e cultura cinese all’Università degli Studi dell’Insubria ha spiegato che “i luoghi comuni sui cinesi in Italia si conformano in buona misura ad uno stereotipo anti-cinese che ha una lunga storia alle spalle. Ovvero quello di una minoranza competente e capace che da un lato rassicura per il suo essere operosa e gran lavoratrice, e viene raffigurata come minoranza modello quando fa comodo alla società ospitante, ma al contempo per la sua capacità di inserirsi rapidamente all’interno del tessuto economico viene raffigurata come concorrente sleale. E diventa capro espiatorio di situazioni economicamente difficili. Ogni volta che c’è un disagio a livello degli imprenditori, di concorrenza del mercato o di posti di lavoro, ecco che emerge l’ idea della minoranza potenzialmente minacciosa. Esistono poi una serie di stereotipi esotici e anche razzisti che hanno radici antiche. Ci sono stereotipi legati all’idea che la minoranza cinese sia faticosa da integrare culturalmente, che sia refrattaria all’integrazione, e che la differenza somatica tradisca una non congruenza culturale. Sono stereotipi di derivazione anglosassone, come per esempio il mito del perpetual stranger, che emergono per la prima volta nelle Chinatown inglesi e americane nell’800 e poi si sono fatti strada tramite la letteratura mainstream occidentale: romanzi, fumetti e libri che hanno influenzato le generazioni successive di media popolari e di lettura pulp. La specificità della diaspora cinese in Europa in questa stereotipizzazione è emersa solo negli ultimi anni, in virtù soprattutto, nel caso italiano, di una minoranza sino-italiana che comincia ad acquisire una sua fisionomia e identità riconoscibili e che comincia a veicolare idee diverse. Questo ha creato un cortocircuito perché a quel punto l’italiano medio non riesce più a inquadrare la minoranza cinese nello stereotipo del perpetual stranger che non si integra, nel momento in cui la minoranza fa parte della partecipazione sociale e politica del Paese. Fa fatica a inquadrare questi cinesi quando parlano perfettamente italiano, fanno parte delle camere di commercio, o si candidano ai consigli comunali. Ciò nonostante, quella traccia antica di derivazione anglosassone non è mai andata via del tutto. E ogni volta che si ha la possibilità di farla riemergere in chiave antagonista o politicamente spendibile ed emotiva la vediamo riaffiorare. È un discorso che emerge e riemerge come un mostro di Lochness a seconda delle esigenze. Ci sono testate che in questo senso sono un caso di studio esemplare, come Il Giornale, Libero, tutto ciò che è vicino alla Lega, ma anche riviste di profilo politicamente meno connotato come La Nazione, che utilizzano questa narrazione a seconda delle necessità politiche del momento19.

Di come questo meccanismo agisca sull’opinione pubblica su un argomento è ben sintetizzato dalle parole di Gian Luca Atzori che, nel rispondere a chi scrive20, ha sottolineato il fatto che negli ultimi anni l’opinione pubblica degli italiani sulla Cina è variata notevolmente21, passando dal descrivere Pechino come un alleato più affidabile di Washington (sia nelle istituzioni con il Memorandum of Understanding sulla Nuova via della Seta e l’opposizione a Trump, e sia a livello popolare con gli aiuti per il Covid e una narrazione mediatica capace di attrarre il consenso degli italiani.) Tuttavia, in seguito al crescere della Pandemia e alle narrazioni pubbliche che biasimavano i cinesi per aver creato il virus, la tendenza si è invertita rapidamente. Ciò ha portato a una grave ondata di sinofobia in tutto il mondo che ha avuto il suo apice nella strage di Atlanta. Dall’indagine dell’anno scorso è emerso infatti che 8 asiatico-italiani su 10 siano stati vittima di sinofobia almeno una volta nella vita. […] La conoscenza della Cina (e della questione taiwanese) dei partecipanti è minima, ed è preda di una percezione distorta dovuta prevalentemente alla narrazione mediatica. L’atteggiamento è positivo sul piano economico, sia per progetti come la Nuova Via della Seta e sia nel riconoscere la crescita, qualità e innovazione del Made in China.

Tuttavia, c’è poca conoscenza delle questioni energetiche e di fenomeni nuovi come la gig economy. La percezione è invece molto critica sul piano dei diritti civili, sociali e umani. Tre quarti hanno dichiarato di aver visto atti di sinofobia e, in generale, in seguito alla pandemia, la visione della Cina è in peggioramento.


Per quanto riguarda Xi Jinping, Nonostante la Cina lo chiami “Presidente” e ci sia un processo di elezione interno al Partito Comunista ogni 5 anni (il prossimo sarà a fine ottobre), la metà dei rispondenti pensa sia più corretto definirlo “Dittatore” mentre il 12% lo ritrae persino come “Imperatore”22.

La ricerca pubblicata da China Files ha indagato anche le percezioni sulla Cina su diverse aree tematiche quali democrazia, nazionalismo, diritti, economia, energia e migrazioni. Tre quarti dei rispondenti considerano la Cina poco o per niente democratica mentre si divide sulla questione dello Xinjiang: c’è chi pensa che sia in corso un vero e proprio genocidio (49%) e chi è convinto che le persone vengano sfruttate ma non si possa parlare di genocidio (49%), fattore che mostra la complessità nell’affrontare il tema a livello globale, in particolare quando fa emergere reciproche accuse. La Cina ha fatto notare più volte le stragi e i lager nel Mediterraneo o la situazione nelle carceri e la brutalità poliziesca negli Usa. Questo ultimo aspetto sembra confermare il fatto che i media italiani sono passati dall’essere i principali promotori del modello cinese al fornire ai destinatari della comunicazione una contro-narrazione sulle contraddizioni interne al Paese e sulla minaccia che Pechino rappresenterebbe per l’intero globo; il punto sempre più chiaro a chiunque [è] che i doppi standard abbiano mostrato i propri limiti e le proprie conseguenze, mentre le persone fanno fatica a capire perché i loro dati sarebbero più al sicuro a Washington anziché a Pechino; come mai i virus nati in occidente o medio-oriente non siano nostra responsabilità (v. H1N1, Mers), mentre quelli nati in oriente siano colpa degli asiatici; perché la Nato e l’Italia possano bombardare gli islamici e spalleggiare i lager libici ma la Cina non possa farli prigionieri in casa propria; o come mai in Israele ci sia un semplice “conflitto”, in Libia una “missione di pace”, mentre nello Xinjiang ci sia in corso un “genocidio”23.

I risultati dell’indagine qui citata sono importanti poiché la maggioranza degli intervistati è rappresentata dagli studenti e giovani, una porzione di popolazione solitamente poco o niente sondata24; lo stesso Atzori dice che tra i più giovani c’è fascino per la grandezza culturale del Paese, ma la prima parola che emerge nell’opinione dei giovani intervistati è Dittatura. Questo problema nasce dalla conoscenza della Cina. Sul piano economico, invece, la visione della Cina mostra tratti positivi. L’Italia fu il primo Paese dell’Europa occidentale a firmare un Memorandum con Pechino sulla Belt & Road Initiative (Bri), anche detta Nuova Via della Seta, un mega-progetto infrastrutturale volto a connettere il continente euro-asiatico attraverso rotte artiche, terrestri e marittime. Su questo tema il 50% ha un’opinione neutra, oltre il 35% la vede positivamente e solo un 13% considera l’entrata italiana nel Bri come un fattore negativo. Lo stesso si può dire per il Made in China, il quale non viene più associato ad una bassa qualità per un basso costo, ma viene visto dal 60% dei rispondenti come sempre più volto alla qualità e all’innovazione. Si può evincere che, anche chi non ha una conoscenza minima della Cina come mostrato in precedenza, è in grado di riconoscere l’evoluzione tecnologica di Pechino. Sull’energia i rispondenti mostrano, invece, una percezione distorta. Ad esempio, la Cina è il principale investitore in rinnovabili al mondo, ma, tuttavia, per i rispondenti il primo Paese per investimenti nel settore è l’Unione europea.

Per Lucia Gentili25, fondatrice della piattaforma China Communication, i giovani italiani si avvicinano alla Cina principalmente per queste motivazioni: attraverso il soft power di stampo giapponese, attraverso la fruizione di anime e manga, iniziano con il volere studiare il giapponese e, poi, magari scelgono anche cinese all’università come seconda lingua pensando che l’apprendimento di queste due lingue risulti più semplice essendo simili; si avvicinano, poi, attratti anche dalla cultura classica e tradizionale della Cina, spesso derivante dalla curiosità di approfondire prime scoperte effettuate sempre tramite l’avvicinamento all’universo giapponese oppure perché la scoprono tramite la pratica delle arti marziali. C’è da dire che negli ultimi anni un avvicinamento alla Cina si è avuto anche grazie al contributo non secondario dei social e all’attività di diversi influencer cinesi di seconde generazioni in Italia e di diversi sino-italiani; altri, invece, si avvicinano alla Cina per motivi di opportunità lavorative o per ambizioni future, scelgono di andarvi a studiare poiché vedono il Paese asiatico come un’opportunità per ottenere poi, in Italia, un posto di lavoro come lo desiderano, non tanto faticoso e impegnativo, ma soprattutto ben retribuito e, grazie a questa esperienza all’estero possono, una volta rientrati o pensano di avere maggiori opportunità e un riscontro economico migliore. Una seconda sfumatura di questo aspetto è legata alla credenza che grazie alla conoscenza della lingua cinese sia più facile trovare lavoro dopo la laurea. La maggior parte di loro, ma soltanto in un secondo momento, si avvicina e si interessa agli aspetti politici interni e di relazioni internazionali, ma solo dopo qualche anno di studio universitario. Per gli italiani in generale, penso agli over 35, c’è chi vede la Cina in termini opportunistici, di business, c’è chi, invece, la vede come un “pericolo” sia economico – produzione a basso costo – sia in termini ideologici e politici di conquista – il pensiero dei cinesi che intendono mettere a rischio il mondo per poi conquistarlo; niente di nuovo, insomma, sono i risultati delle ideologie occidentali con le quali siamo cresciuti e con i quali conviviamo. In questo caso, l’approccio è duplice in base ai casi: si cerca di conoscere la Cina in modo più approfondito o per trarne un beneficio oppure per capire come difendersi se la loro idea complottista di una Cina cattiva alla conquista del mondo si avvererà”.

Le opinioni dei giovani si allineano a quelle delle fasce più adulte della popolazione, conseguenza – probabile ma non certa – del fatto che i canali con cui si informano siano gli stessi oppure che i messaggi veicolati siano omogenei e uniformanti: “dall’analisi dei dati da noi raccolti emerge una visione molto simile” – afferma Gian Luca Atzori. “Le visioni sulla Cina si basano su una scarsa conoscenza e una percezione distorta prevalentemente stereotipata dai media, di conseguenza non c’è molta distanza, soprattutto per quanto riguarda migrazioni, cultura culinaria, diritti umani. Lo stesso vale sul piano geografico. Per esempio, non conta quanti immigrati vivano nelle nostre comunità per credere che i cinesi siano più del normale e ci stiano invadendo. Infatti, a Prato dove gli immigrati sono oltre il 25% della popolazione i rispondenti credono che siano più del 30%, non diversamente da altri paesi come Pavia, dove c’è la stessa percezione anche se il numero di immigrati è dell’11%. Succede lo stesso in paesi della Sardegna dove gli stranieri sono inferiori al 5%. L’unica differenza tra vecchie e nuove generazioni che azzarderei è che i giovani siano più predisposti alla scoperta culturale e hanno fiducia nella crescita economica, anche se preferiscono Tokyo a Pechino.

Il problema è che la visione della Cina non ce la devono dare né Xi né Biden. Per conoscere la Cina serve prima di tutto distinguere la propaganda dai fatti e le percezioni dai dati. Purtroppo, è pieno di persone che parlano e scrivono di questo Paese senza conoscerlo, senza averlo approfondito, senza avere inviati che lo vivono, o peggio, sposando la propaganda di una o dell’altra parte”.

Nell’opinione di Lucia Gentili, invece, non si tratterebbe di una questione anagrafica quanto, piuttosto, di interesse personale nei confronti della Cina. “Sia fra i giovani che gli adulti c’è chi vede Pechino la soluzione a tutti i mali del mondo e chi, invece, una minaccia. La vera differenza sta nell’essere abituati a considerare la Cina come un Paese presente all’interno degli equilibri internazionali. Per i giovani è più normale considerare la Cina nei giochi ed equilibri di potere internazionali, mentre per una popolazione adulta questo è un bias più difficile da superare, perché il mondo in cui sono cresciuti era meno globale e totale come lo intendiamo oggi, meno connesso e la Cina era in una propria fase di “sviluppo nei confronti del mondo” differente. Per riuscire a spiegare la diversità di “percezione di internazionalità” della Repubblica Popolare Cinese posso fare questo esempio: io e altri coetanei ci vediamo cittadini del mondo o per lo meno europei e ci chiediamo perché continuiamo a voler fare a “gara a chi vive nell’ecosistema più bello” quando, in realtà, viviamo tutti palesemente nello stesso microscopico granello di polvere dell’Universo. Mentre i conoscenti più grandi pensano il mondo in modo più chiuso e tendono ad avere la percezione che se qualche cosa accade in un’altra parte del mondo non incida su di noi perché è un evento che si è verificato in un diverso continente e una diversa Nazione. Ovviamente non è un ragionamento da considerare valido in assoluto”.

Basta sfogliare qualche giornale, navigarne distrattamente le edizioni online o vagabondare sui vari social network per capire che anche il contesto italiano preferisca sposare la propaganda di una parte presentando pedissequamente le dinamiche mediatiche imposte dalla narrazione occidentale e si può notare come, quando si parla di Cina il tono sia spesso aggressivo e come sovente vengano ripresi degli stereotipi molto distanti dalla realtà e presentati come assoluta verità. A tal proposito, la stessa Lucia Gentili ha un’opinione molto precisa in merito alla questione: “i media di genere italiani influenzano l’opinione del loro pubblico? Assolutamente sì, e lo fanno creando un grande caos; premesso che ho una grande sfiducia nella narrazione mediatica italiana su qualunque argomento, per me lo stato attuale dei media italiani è come quella di un tossico che farebbe qualunque cosa e direbbe qualunque cosa pur di avere una nuova dose, nel caso dei media è della sopravvivenza e dell’attenzione del pubblico. Detto ciò, ritengo che il livello sia molto basso, visto che molti non riescono nemmeno a pronunciare correttamente il nome del capo di governo cinese. In questo ambiente generale ci sono alcuni nomi e professionisti che si distinguono e che ogni tanto riescono a portare spessore all’interno della divulgazione italiana: Simone Pieranni, Lorenzo Lamperti o Giulia Pompili, Giada Messetti”.

Proprio quest’ultima, giornalista e collaboratrice – tra le altre testate – di Diario, Corriere della Sera e Repubblica, ha risposto ad una delle domande dello studente Matteo Armiento affermando che “si è vero, i giornali italiani tendono a rilanciare dei luoghi comuni, le motivazioni sono da ricercare nella non conoscenza, da parte degli autori di questi articoli, della cultura e della Storia cinese; […] La Cina è un Paese che storicamente incute molto timore, questa paura deriva principalmente dalla scarsa conoscenza che il mondo occidentale ha della sua cultura e della sua Storia. La pandemia dovuta al Covid19 è stato uno spartiacque nell’atteggiamento globale nei confronti della Cina. Dalla sua comparsa è cominciato un processo che ha inasprito le opinioni nei suoi confronti. In particolare gli Stati Uniti, che già temevano l’avanzata cinese, si sono resi conto della grande potenza mondiale che è ormai diventata. Inoltre la nuova dimensione del gigante asiatico mette per la prima volta in discussione il ruolo di leader globale dell’Occidente26.”

Ha, quindi, ragione Xi Jinping quando afferma che si avverte la necessità di raccontare bene la Cina al fine di stimolare una migliore comprensione di questa potenza emergente? Non ha dubbi Lucia Gentili nel rispondere che sì Xi Jinping ha assolutamente ragione quando sostiene che esiste la stringente necessità di raccontare bene il Paese, ma ritengo che Xi Jinping sia fra quelli che non sono capaci a raccontare la Cina e a relazionarsi con il resto del mondo quando si deve comunicare. Non devono essere gli altri a raccontare bene la Cina, è la Cina stessa che ha un pessimo storybranding e anche il suo soft power presenta ancora molte debolezze; la Cina per prima come Nazione deve migliorare la sua comunicazione. Questo vale anche per la sua comunicazione pubblica interna eseguita dalla P.A., di sensibilizzazione su tematiche non solo politiche ma anche sociali e civili. Molti studenti arrivano alla scoperta della Cina solo dopo essere passati dalla passione per il Giappone, alcuni anche dopo essere passati da quella per la Corea.

Si comprende meglio, adesso, che Pechino senta come necessità fondamentale, stringente e non più derogabile l’esigenza di ri-narrare la Cina secondo una prospettiva più propriamente autoctona, al fine di migliorare la comprensione della soggettività culturale cinese all’estero in ambiti che si possono, così, suddividere: “la rinascita della nazione cinese; la “via cinese” (ovvero le specificità politiche, economiche e sociali del “modello cinese”); l’eccellenza della cultura tradizionale cinese; la convergenza fra le civiltà; l’amicizia fra i popoli; le interazioni fra gli Stati; la visione dello sviluppo pacifico. Tutti elementi, come si può vedere, appartenenti all’ideologia ufficiale elaborata e sanzionata dal partito, che si traducono, in senso ampio, nello sforzo di far conoscere e legittimare, mettendoli in una luce positiva, il sistema politico cinese, il modello di sviluppo da questo portato avanti, le ambizioni di ascesa politica, economica e culturale cinese – ovvero il “sogno cinese” che in realtà non sarebbe solo cinese data la sua aspirazione a portare benefici a “tutto ciò che sta sotto il cielo”, sottolineando la necessità di costruire per l’umanità tutta una “comunità di destino” universalmente vantaggiosa; da cui l’enfasi agli scambi, le mutue convergenze e i sentimenti di amicizia fra i popoli, e la bontà dei cosiddetti “valori cinesi” (Zhongguo jiazhiguan), in parte intesi come “l’eccellenza della tradizione cinese” in parte sintetizzati come i “valori fondanti del socialismo”, incentrati sulle virtù dell’armonia, dell’amore per la pace e della responsabilità. Visioni, è importante sottolinearlo, che tendono a essere costruite in modo implicito o esplicito come delle contro-narrazioni di quelli che vengono invece definiti i “valori occidentali” (in particolare, istituzioni democratiche e principi liberali), in opposizione ai quali il “modello” e i “valori” intrinsecamente cinesi tracciano delle alternative virtuose e ottimiste per il futuro mondiale27”.

Il 19 agosto 2013, in un discorso alla National Propaganda and Ideology Work Conference, Xi Jinping ha spiegato il suo approccio alla propaganda e alla messaggistica internazionale. Anche se ha chiesto una maggiore “innovazione” della comunicazione esterna della Cina sotto la nozione di “raccontare bene la storia della Cina”, ha sottolineato la nozione di “propaganda esterna” (外宣) : “Dobbiamo condurre meticolosamente e correttamente la propaganda esterna, innovando i metodi di propaganda esterna, lavorando duramente per creare nuovi concetti, nuove categorie e nuove espressioni che integrino il cinese e lo straniero, raccontando bene la storia della Cina, comunicando bene la voce della Cina28”.

Un articolo dal titolo L’idea di Xi Jinping di raccontare la storia cinese al mondo29, a firma Ouyang Hui pubblicato sulle pagine teoriche del Quotidiano del Popolo, inquadra l’orizzonte del pensiero del Presidente Xi Jinping in materia; prima di tutto, raccontare il sogno di ringiovanimento della Nazione cinese attraverso i fatti concreti e le conquiste del popolo cinese: “la realizzazione del grande ringiovanimento della nazione cinese è la storia più grande e meravigliosa della Cina contemporanea. Per raccontare bene la storia della Cina al mondo, dobbiamo prima raccontare la storia del grande ringiovanimento della nazione cinese. Tutte le storie sulla Cina di Xi Jinping nei forum diplomatici hanno sempre ruotato attorno a un “centro”, il grande ringiovanimento della nazione cinese. Raccontare al mondo la storia del grande ringiovanimento della nazione cinese è raccontare la storia del sogno cinese in questo momento. Attualmente, più di 1,3 miliardi di cinesi stanno perseguendo e realizzando i loro sogni con il proprio duro lavoro, ispirato al sogno cinese. Come i cinesi pensano e fanno, dove si sta sviluppando la Cina e quali sono le sue prospettive future si riflettono nelle storie dei cinesi che inseguono i loro sogni e li realizzano. Il 29 novembre 2012, Xi Jinping ha proposto per la prima volta il concetto di sogno cinese quando ha visitato la mostra Road to Rejuvenation al Museo Nazionale. Ad ogni visita all’estero, si sforza di raccontare la storia del sogno cinese al mondo esterno, di spiegare che il sogno cinese è la ricerca incessante di una vita felice e bella, di spiegare la bella visione del grande ringiovanimento della nazione cinese, oltre a spiegare la valenza mondiale del sogno cinese. Al fine di ottenere la comprensione e il sostegno di altri Paesi del mondo, durante le sue visite all’estero, Xi Jinping ha spesso collegato il sogno cinese con i bei sogni di tutti i Paesi del mondo, prestando particolare attenzione al significato mondiale del sogno cinese, sottolineando che il sogno cinese che vogliamo realizzare non solo avvantaggia i cinesi, ma avvantaggia anche le persone di tutti i Paesi, indicando che il sogno cinese è un sogno di pace, sviluppo, cooperazione e risultati vantaggiosi per tutti, ed è collegato ai bellissimi sogni delle persone di tutto il mondo. Durante una visita del 2013 negli Stati Uniti, Xi Jinping ha detto esplicitamente ai leader statunitensi che il sogno cinese è collegato ai bellissimi sogni delle persone di tutto il mondo, incluso il sogno americano.

Poi, la necessità di raccontare non solo il sogno cinese ma anche la storia del percorso di sviluppo con caratteristiche cinesi intrapreso dal popolo cinese insieme alla leadership politica: “Non esiste un percorso di sviluppo fisso e un modello di sviluppo da scegliere nel mondo, ed è la scelta giusta basarsi sulle proprie condizioni nazionali e intraprendere un percorso di sviluppo che si adatti alle condizioni reali del nostro Paese. La tradizione culturale unica, il destino storico unico e le condizioni nazionali di base uniche sono destinate a far sì che la Cina intraprenda inevitabilmente un percorso di sviluppo adatto alle proprie caratteristiche. Per raccontare bene la storia della Cina al mondo, dobbiamo raccontare bene la storia della via cinese. […] La via cinese è una scelta storica. Il 1° aprile 2014, in un discorso all’Istituto europeo di Bruges, Xi Jinping ha parlato della civiltà di lunga data della Cina e dell’inevitabilità di praticare il socialismo con caratteristiche cinesi, sottolineando che i cinesi stanno lottando per trovare un percorso adatto alle condizioni nazionali della Cina. La monarchia costituzionale, la restaurazione del sistema imperiale, il sistema parlamentare, il sistema multipartitico e il sistema presidenziale sono stati tutti pensati e provati, ma i risultati non hanno funzionato. Alla fine, la Cina ha scelto la strada socialista”.

Raccontare bene la storia della cultura cinese e far conoscere “l’eccellente cultura tradizionale cinese è il nostro più profondo soft power culturale, ed è anche il terreno fertile culturale in cui è radicato il socialismo con caratteristiche cinesi. L’eccellente cultura tradizionale cinese fornisce un nucleo spirituale per le storie cinesi. Per raccontare bene la storia cinese al mondo, dobbiamo raccontare una storia ampia e profonda della cultura cinese”; raccontare la storia della fusione delle civiltà e come la civiltà ne esca arricchita dagli scambi e dall’apprendimento reciproco “(Xi Jinping ha sottolineato all’incontro annuale del 2015 del Boao Forum for Asia che non c’è distinzione tra diverse civiltà e solo differenze. È necessario promuovere gli scambi e i dialoghi tra diverse civiltà e diversi modelli di sviluppo, imparare dai reciproci punti di forza nella competizione e nel confronto, e svilupparsi insieme negli scambi e nell’apprendimento reciproco, per fare in modo che gli scambi e l’apprendimento reciproco tra le civiltà possano diventare un ponte per rafforzare l’amicizia tra i popoli di tutti i Paesi, una forza trainante per promuovere il progresso della società umana e un legame per salvaguardare la pace nel mondo”) è importante tanto quanto raccontare una buona storia a misura d’uomo, poiché “solo raccontando la storia a misura d’uomo al mondo possiamo gettare le basi per i legami interpersonali. Quando Xi Jinping visita l’estero, racconta spesso storie di amicizia tra i due popoli, alcune anche specifiche per gli individui, che è favorevole a ridurre la distanza emotiva e spirituale con i Paesi visitati, che è un ottimo modo di comunicazione”.

L’autore dell’articolo si chiede allora: Cosa succede se la Cina si sviluppa? Questo è il fulcro dell’attenzione del mondo sulla Cina. Pertanto, per raccontare bene la storia della Cina al mondo dobbiamo raccontare la storia dello sviluppo pacifico, spiegare bene l’origine storica, i geni culturali e la serie di proposte della Cina sulla pace e lo sviluppo che la Cina sta prendendo, la strada dello sviluppo pacifico e rispondere alla tendenza della Cina di cui il mondo è preoccupato. Dal punto di vista della storia, della cultura e della realtà, Xi Jinping ha parlato del concetto corretto di rettitudine e interessi, della comunità del destino umano, del nuovo tipo di relazioni tra i principali Paesi, del nuovo concetto di sicurezza in Asia e del concetto di diplomazia della sincerità e della tolleranza dei Paesi vicini, ha parlato della bontà dello sviluppo pacifico della Cina al mondo, ha parlato del contributo della Cina alla civiltà umana e al suo progresso e ha mostrato l’immagine della Cina come un grande Paese responsabile”.

Ultimo passo: raccontare bene la storia della globalizzazione, una tendenza storica che, come più volte sottolineato dallo stesso Xi Jinping, non cambierà nel futuro di breve periodo: “allo stato attuale, lo slancio della ripresa economica mondiale è ancora fragile, il commercio e gli investimenti globali sono lenti, i prezzi delle materie prime continuano a fluttuare e le contraddizioni profondamente radicate che hanno innescato la crisi finanziaria internazionale sono lungi dall’essere risolte. In alcuni Paesi, la tendenza politica si è intensificata, il protezionismo è aumentato e la tendenza del pensiero antiglobalista è notevolmente cresciuta. Di fronte al fatto che i Paesi sviluppati non sono più disposti a menzionare la globalizzazione economica e persino a menzionare il concetto di anti-globalizzazione, Xi Jinping ha ripetutamente raccontato la storia della globalizzazione al mondo e si è concentrato sulla promozione del regolare sviluppo della globalizzazione economica”.

La conclusione cui arriva l’autore dell’articolo è che è sempre più necessario fare sia un buon lavoro nella gestione degli affari della Cina, ma anche saperli narrare alimentando un circolo virtuoso capace di promuovere al meglio gli affari di Pechino.

Nel 2020, in un articolo pubblicato sempre sulle pagine online del Quotidiano del Popolo titolato Rafforzare l’impostazione degli argomenti e raccontare bene la storia della Cina, Xu Shanna scriveva che il segretario generale Xi Jinping ha sottolineato fermamente: “è necessario rafforzare continuamente l’influenza della cultura cinese, cogliere la tendenza generale, distinguere tra gli oggetti, attuare accuratamente le politiche, prendere l’iniziativa di pubblicizzare l’ideologia socialista con caratteristiche cinesi nella nuova era, prendere l’iniziativa di raccontare la storia del governo del PCC del Paese, la storia della lotta dei cinesi per realizzare i loro sogni e la storia dell’adesione della Cina allo sviluppo pacifico e alla cooperazione win-win, in modo che il mondo possa capire meglio la Cina. Dobbiamo attuare a fondo lo spirito dell’importante discorso del segretario generale Xi Jinping, rafforzare la selezione di argomenti e impostazioni degli argomenti, raccontare bene le storie cinesi, diffondere le voci cinesi e migliorare continuamente il soft power della cultura nazionale e l’influenza della cultura cinese”.

Il primo obiettivo da realizzare pienamente, dunque, risulta essere quello di raccontare bene la storia del Partito Comunista Cinese, visto che esso rappresentail nucleo della storia della Cina moderna e contemporanea:“dovremmo impostare argomenti sul perché il PCC può scientificamente dimostrare pienamente la saggezza politica, la missione e i sentimenti dei membri del PCC e fornire lezioni da cui i partiti politici dei Paesi in via di sviluppo possono imparare. […] La leadership del Partito Comunista Cinese è la caratteristica più essenziale del socialismo con caratteristiche cinesi e il più grande vantaggio del sistema socialista con caratteristiche cinesi. Sia la storia che la pratica hanno dimostrato che è stato il PCC che ha guidato e unito le persone di tutte le nazionalità in tutto il Paese per realizzare una causa rivoluzionaria e creare un grande miracolo di sviluppo. Sulla base di questo, possiamo impostare argomenti come la responsabilità e il ruolo dei partiti politici, chiarendo la storia dell’unità del PCC e della leadership delle persone di tutti i gruppi etnici in tutto il Paese per portare a termine grandi cause storiche, spiegando perché la storia e il popolo hanno scelto il PCC e dimostrare i vantaggi politici di sostenere la leadership del partito.

[…] Il PCC ha sempre praticato lo scopo fondamentale di servire il popolo con tutto il cuore e ha preso l’adempimento, la protezione e lo sviluppo degli interessi fondamentali delle più ampie masse del popolo come punto di partenza e punto finale di tutto il lavoro. Per spiegare chiaramente la grandezza del PCC, è necessario raccontare bene la storia del PCC che aderisce alla supremazia del popolo e serve il popolo con tutto il cuore, e mostrare la posizione di valore fondamentale del partito”.

Il secondo punto, invece, consiste nel raccontare la storia della lotta dei cinesi per la realizzazione dei loro sogni:in ultima analisi, “il sogno cinese è il sogno del popolo e la storia più grande e meravigliosa della Cina contemporanea. Per mostrare una Cina vera, tridimensionale e completa, è necessario raccontare una storia vivida di 1,4 miliardi di cinesi che costruiscono, inseguono e realizzano sogni.

[…] Il sogno cinese del grande ringiovanimento della Nazione è il più grande sogno della Nazione cinese nei tempi moderni, condensando le aspirazioni a lungo amate di generazioni di cinesi. Dobbiamo parlare in modo completo, accurato e vivido del sogno cinese, e possiamo impostare argomenti intorno al Sogno cinese e il Sogno del ringiovanimento, spiegare chiaramente lo ieri, l’oggi e il domani della nazione cinese, spiegare chiaramente le varie sofferenze sofferte dalla nazione cinese nei tempi moderni e spiegare chiaramente il profondo desiderio e la lotta incessante per realizzare il ringiovanimento nazionale, e mostrare il grande significato di realizzare il grande ringiovanimento per la nazione cinese. Parlare bene del sogno cinese è il sogno della prosperità e della forza nazionale, del ringiovanimento nazionale e della felicità delle persone, mostrando la connotazione essenziale del sogno cinese.

Per parlare in modo completo e accurato del sogno cinese, dobbiamo spiegare chiaramente la connotazione essenziale del sogno cinese, cioè la prosperità e la forza del Paese, il ringiovanimento della nazione e la felicità del popolo. Possiamo impostare un argomento intorno al sogno cinese di prosperità e forza e chiarire che la prosperità e la forza del Paese è quella di migliorare continuamente la forza nazionale globale della Cina e costruire un potere moderno socialista prospero, forte, democratico, civilizzato, armonioso e bello; possiamo impostare un argomento intorno al Sogno cinese e Sogno di rivitalizzazione per chiarire che il ringiovanimento nazionale è quello di rendere la nazione cinese ancora una volta in posizione di leadership nel mondo e di stare in piedi tra le nazioni del mondo; possiamo impostare un argomento intorno al sogno cinese e il sogno del popolo per chiarire che il sogno del popolo è quello di proteggere pienamente i diritti del popolo, di condividere tutti i frutti dello sviluppo e di godere dell’opportunità di brillare, che è il punto di partenza fondamentale e il punto d’appoggio della prosperità del Paese e del ringiovanimento nazionale.

Il parlare bene del sogno cinese è collegato ai sogni delle persone di tutti i Paesi del mondo e mostra la moralità e la mente della nazione cinese e del mondo.

Il sogno cinese non è solo il sogno della nazione cinese di prosperità e forza nazionale, ringiovanimento nazionale e felicità delle persone, ma anche il sogno di pace, sviluppo, cooperazione e risultati vantaggiosi per tutti, che è strettamente correlato ai bellissimi sogni di tutti i Paesi del mondo”.

Nell’articolo in questione, il terzo punto da sviluppare per raccontare in modo corretto al mondo intero globalizzato il grande sogno del rinascimento della Nazione cinese è raccontare la storia dell’eccellente cultura tradizionale cinese: “è necessario divulgare i geni culturali più basilari della nazione cinese in un modo che alla gente piaccia ascoltarli sempre di più e avere un’ampia partecipazione, portare avanti lo spirito culturale che trascende il tempo e lo spazio, trascende il Paese, che è pieno di fascino eterno e ha un valore contemporaneo e diffonde le conquiste dell’innovazione culturale cinese contemporanea che eredita un’eccellente cultura tradizionale e porta avanti lo spirito dei tempi, basato sul Paese e di fronte al mondo. Dovremmo fare un buon lavoro nell’identità spirituale dell’eccellente cultura tradizionale cinese e mostrare la vera Cina. La cultura nazionale è l’identità fondamentale che distingue una nazione dalle altre nazioni. Essendo il più profondo soft power culturale della nazione cinese, l’eccellente cultura tradizionale cinese è una solida base per noi per ottenere un solido punto d’appoggio nel tumulto della cultura mondiale. Allo stato attuale, dovremmo prestare attenzione alla pianificazione generale e all’integrazione delle risorse energetiche, concentrarci sulla costruzione di contenuti concentrati, estrarre e mostrare l’identità spirituale di un’eccellente cultura tradizionale e spiegare chiaramente perché la Cina è la Cina e perché è il vero posto della Cina”.

Fondamentale, poi, per Pechino è riuscire nel “raccontare la storia dell’adesione della Cina allo sviluppo pacifico e alla cooperazione vantaggiosa per tutti, Pace e sviluppo, come il più profondo gene interiore e ricerca spirituale della nazione cinese che mostra i “sentimenti del mondo” della nazione cinese nel perseguire la condivisione della pace del mondo. È necessario dire bene che la nazione cinese è stata una nazione amante della pace fin dai tempi antichi e mostrare il carattere raffinato della nazione cinese. La nazione cinese è una nazione amante della pace, e fin dai tempi antichi ha sostenuto i concetti di pace di “valorizzare la pace”, “armonia tra tutte le nazioni” e “fratellanza in tutti i mari”, e ha effettuato scambi amichevoli con altri Paesi e nazioni. Seguire incrollabilmente il sentiero dello sviluppo pacifico è l’eredità e la promozione della raffinata tradizione della Cina contemporanea di sostenere la pace per migliaia di anni. Dovremmo impostare argomenti per la cosiddetta “teoria della minaccia cinese” e la “trappola di Tucidide” promossa in Occidente, e rompere la logica della “forza nazionale che deve essere egemonica” parlando bene della bella tradizione e della pratica storica della nazione cinese che sostiene la pace, e mostrare una Cina pacifica. Parlare bene della Cina è sempre stato un promotore e un contributo alla pace e allo sviluppo del mondo, e dimostrare che la Cina contemporanea è un grande Paese, raccontando la storia della Cina che tiene alta la bandiera della cooperazione win-win, essendo sempre un costruttore di pace mondiale, partecipando attivamente alla cooperazione internazionale, aumentando la fiducia reciproca e approfondendo il buon vicinato e l’amicizia, eliminando le voci e le calunnie di alcuni politici e media occidentali anti-cinesi e mostrando la responsabilità e la responsabilità della grande potenza della Cina contemporanea”.

Ed è proprio in questa rincorsa alla semplificazione che pregiudizi e stereotipi trovano terreno fertile e le calunnie e i giudizi distorti trovano di che prosperare e, così facendo – sostiene Roberto Pecorale – “perdiamo di vista che le persone, le situazioni e i contesti sono complessi sfumati di differenze, e che semplificando finiamo per ricorrere a generalizzazioni da cui possono prendere vita forme di chiusura, discriminazione e razzismo. Nel suo celebre Discorso sulla Costituzione, Piero Calamandrei asseriva che «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare». Lo stesso discorso riguarda anche i pregiudizi e le discriminazioni: ne comprendiamo, infatti, l’errore e tutta la loro pericolosità solo nel momento in cui ci sentiamo direttamente coinvolti in descrizioni che non ci rappresentano e ci feriscono. Qualche tempo fa ho letto un interessante parallelismo tra le innate tendenze dell’uomo al pregiudizio e alla polvere: siamo in grado di tenerla lontano soltanto accettando che si presenterà nuovamente, e che ogni volta dovremo avere cura di rimuoverla. Può essere un’operazione faticosa, ciononostante non compierla significa ritrovarsi la casa, e noi stessi, pieni di sporcizia. Allo stesso modo, la lotta contro pregiudizi e stereotipi dovrebbe essere una pratica quotidiana30”. In questa prospettiva, non si dovrebbe dimenticare che negli ultimi 70 anni dalla fondazione della Nuova Cina, il popolo cinese ha creato i miracoli di un rapido sviluppo economico e di una stabilità sociale a lungo termine. Persone perspicaci in tutto il mondo hanno espresso ammirazione per ciò che è stato raggiunto, ma ci sono ancora alcune ampie fasce della popolazione mondiale che hanno poca conoscenza e persino incomprensioni e pregiudizi sullo sviluppo della Cina. Dal lancio della riforma e dell’apertura nel 1978, la Cina ha abbracciato il mondo, imparando dal mondo, integrandosi nel mondo e dando contributi al mondo, nella speranza di raggiungere una cooperazione vantaggiosa per tutti i Paesi e promuovere lo sviluppo comune con il resto del mondo. Questo processo è ancora in corso e dobbiamo trasmettere meglio le opinioni della Cina e far sentire la voce della Cina in modo che più persone possano capire la Cina.

Dal XVIII Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese alla fine del 2012, il presidente Xi Jinping ha attribuito grande importanza alla comunicazione internazionale del Paese e ha ripetutamente sottolineato nei suoi discorsi che dovremmo raccontare meglio le storie della Cina e rafforzare la voce della Cina nell’arena internazionale: “per fare questo – sostiene Fu Ying – dovremmo cogliere le profonde connotazioni delle storie della Cina e padroneggiare modi efficaci per raccontare le storie della Cina per aumentare attivamente la voce della Cina, migliorare il riconoscimento della comunità internazionale dello sviluppo della Cina e presentare al mondo un quadro autentico, multidimensionale e completo della Cina.

Pur salvaguardando fermamente la sovranità, la sicurezza e gli interessi di sviluppo della Cina, abbiamo attivamente articolato le nostre posizioni e proposte su varie questioni. Non solo il governo cinese ha assunto una posizione chiara e ferma in occasioni diplomatiche, ma anche la comunità imprenditoriale cinese e il mondo accademico sono venuti alla ribalta e hanno svolto un ruolo importante nel contribuire a promuovere la diplomazia dei principali Paesi cinesi attraverso le loro pratiche che hanno chiarito alcune vaghe percezioni della diplomazia cinese detenute dal mondo esterno. Questi risultati e l’esperienza accumulata ci danno la fiducia che possiamo trasmettere meglio ciò che la Cina rappresenta al mondo con sforzi attivi per far sentire la voce della Cina.

Richiede sforzi dedicati e sistematici per migliorare le capacità di comunicazione internazionale di un Paese. La percezione della Cina da parte del mondo può essere modellata dalla narrativa e dai comportamenti cinesi. Dovremmo cogliere con precisione la tendenza dei tempi, rafforzare costantemente la nostra capacità di costruire la nostra narrativa ed esplorare le tendenze che non sono solo in linea con le condizioni nazionali della Cina, ma riflettono anche quelle del mondo, in modo da rendere la comunicazione internazionale della Cina più mirata e tempestiva, migliorare il suo fascino e rafforzare l’influenza internazionale del discorso cinese.

[…] Nelle nuove circostanze, dobbiamo essere più sensibili e cogliere appieno le opportunità offerte dai tempi che cambiano e prendere l’iniziativa di far sentire la nostra voce. Ciò non solo aumenterà l’influenza della nostra narrativa, ma contribuirà anche a plasmare l’opinione pubblica internazionale per riflettere meglio il mondo di oggi in modo più equilibrato.

La Cina è disposta a condurre scambi amichevoli e ad impegnarsi in un dialogo con altri Paesi su un piano di parità. Un Paese che può esercitare con successo il suo potere narrativo internazionale è uno che è bravo a proiettare la propria voce usando sia il proprio microfono che i microfoni degli altri. In altre parole, per ottenere l’iniziativa nella comunicazione internazionale, dobbiamo partecipare attivamente alle discussioni e condividere le nostre idee. Dobbiamo conquistare la comprensione, il rispetto e il riconoscimento del pubblico internazionale attraverso analisi penetranti, idee accattivanti e argomenti persuasivi. Sulla base dei valori profondi e duraturi della cultura cinese, dovremmo aderire allo spirito di umiltà, inclusività e apprendimento dagli altri, e impiegare uno stile narrativo semplice e concreto per trasmettere ciò che sta accadendo in Cina e formulare giudizi oggettivi su ciò che sta accadendo al di fuori della Cina. Dovremmo formare uno stile narrativo con caratteristiche cinesi che dia alla Cina una voce distintiva che possa essere ascoltata e compresa nel discorso internazionale.

Il mondo sta attraversando cambiamenti che non si vedevano da un secolo. Anche se siamo entrati nel 21° secolo, le menti di alcune persone sono ancora definite dal passato. Sono abituati ad osservare cose nuove con una vecchia prospettiva. C’è sempre una lotta tra le voci che difendono il multilateralismo e l’unilateralismo nell’arena internazionale.

Abbiamo bisogno di una narrazione forte e positiva che faccia sapere al mondo che lo sviluppo della Cina non solo avvantaggia il popolo cinese nella sua ricerca di una vita migliore, ma avvantaggia anche il mondo aiutandolo a costruire un ambiente più giusto e ricco. Per far sentire meglio la nostra voce nell’arena internazionale, dobbiamo concentrarci sulla comunicazione con le persone in altri Paesi e ottenere più comprensione e fiducia da loro, che ci richiedono di utilizzare idee e metodi innovativi in modo da poter raccontare meglio la storia cinese.

La comunità internazionale sta ora prestando molta attenzione alla Cina, non solo ai suoi risultati di sviluppo, ma anche a come una Cina in via di sviluppo influenzerà il mondo. Mentre la Cina si avvicina al centro della scena mondiale, ci sono alcune persone nel mondo che, per pregiudizio ideologico o arroganza, cercano di distorcere e screditare la Cina. Cercano di applicare la logica di sviluppo di alcuni Paesi occidentali alla Cina. Ma la civiltà umana ha una lunga storia e non è una legge ferrea della storia che un Paese cercherà inevitabilmente l’egemonia dopo essere diventato potente.

Coloro che guardano il mondo con una visione obsoleta, ristretta e unilaterale della storia non possono vedere la tendenza dei tempi e la necessità per il mondo di muoversi verso una comunità con un futuro condiviso per l’umanità. Per cambiare il punto di vista degli altri e convincerli che ci può essere un futuro condiviso, non possiamo fare affidamento semplicemente su spiegazioni e argomenti, dobbiamo mostrare al mondo un quadro più reale, multidimensionale e completo della Cina, spiegare in modo più convincente le intenzioni e gli obiettivi della Cina e focalizzare l’attenzione sulle interazioni della Cina con altri Paesi e su come attraverso tali interazioni i Paesi stanno lavorando congiuntamente per scopi comuni.

Dovremmo cercare attivamente di interpretare le questioni internazionali e le tendenze mondiali con teorie e prospettive cinesi, chiarire lo spirito cinese e mostrare il modo cinese di fare le cose per ottenere maggiore comprensione e sostegno dal mondo.

Per raccontare bene la storia della Cina, dobbiamo non solo parlare del sistema cinese, ma anche raccontare le gioie e i dolori della gente comune. Nel fare ciò, dovremmo utilizzare metodi innovativi di comunicazione e concetti narrativi, in modo da poter garantire che ciò che vogliamo raccontare possa essere ascoltato da un pubblico straniero e migliorare l’affinità della nostra comunicazione. Possiamo partire dalla vita quotidiana dei cinesi, in modo che gli stranieri possano comprendere meglio la vera miriade di forme di vita cinesi, e in questo modo ottenere un migliore apprezzamento del percorso cinese, della teoria cinese, del sistema cinese e della cultura cinese. Nella nuova era, abbiamo bisogno di studiare seriamente e sviluppare una profonda comprensione del pensiero di Xi Jinping sulla diplomazia e introdurre una Cina reale, multidimensionale e completa nel mondo. Quello che dobbiamo fare è creare la nostra narrativa, promuovere meglio la comunicazione internazionale e lavorare sodo per raggiungere l’obiettivo di migliorare la nostra voce e il soft power nazionale in modo da presentare al mondo un’immagine genuina della Cina. Non dobbiamo preoccuparci della reputazione internazionale di una Cina che continua a riformare, innovare e ad aprirsi al mondo esterno, e di una Cina che si impegna a garantire una vita felice a tutto il popolo cinese dopo aver dato un grande contributo alla pace e allo sviluppo del mondo31”.

NOTE AL TESTO

L’ avverbio bene ricorre spesso nel testo affiancato al verbo raccontare; l’utilizzo che l’autore ne fa non porta con sé nessun tipo di riferimento al manicheo bene-male; tale avverbio si deve, allora, intendere nel suo significato di nel modo opportuno, nel modo giusto, nel modo corretto.

1 L’articolo di Wang Wen è qui riportato nella traduzione della testata L’Antidiplomatico, consultabile al seguente indirizzo La Cina ha migliorato la vita di 1,4 miliardi di cinesi. L’Occidente ha bisogno di cambiare la sua narrazione obsoleta – WORLD AFFAIRS – L’Antidiplomatico (lantidiplomatico.it).

2 L’articolo in questione si occupa anche di Russia, ponendo le due potenze sullo stesso piano per quel che riguarda la strategia narrativa occidentale.

3 L’articolo si chiude con il seguente paragrafo: “soprattutto, in questo momento di estremo pericolo, i leader europei dovrebbero perseguire la vera fonte della sicurezza europea: non l’egemonia statunitense, ma accordi di sicurezza europei che rispettino i legittimi interessi di sicurezza di tutte le nazioni europee, certamente compresa l’Ucraina, ma anche la Russia, che continua a resistere agli allargamenti della NATO nel Mar Nero. L’Europa dovrebbe riflettere sul fatto che il mancato allargamento della NATO e l’attuazione degli accordi di Minsk II avrebbero evitato questa terribile guerra in Ucraina. In questa fase, la diplomazia, non l’escalation militare, è la vera strada per la sicurezza europea e globale”.

4 Roberto Pecorale, La narrazione e le narrazioni sulla Cina in China Files, vol. 2, num. 4, p. 3.

5 Effetto Priming nella valutazione dell’informazione – Pensiero Critico.

6 Testo liberamente citato da Effetto priming nella comunicazione politica e commerciale -Sovranità Popolare – Rivista (sovranitapopolare.org).

7 Effetto Priming nella valutazione dell’informazione – Pensiero Critico.

8 https://viteconsapevoli.com/2016/12/05/i-media-sono-strumenti-di-propaganda/

9 Luca Forgione, Sul concetto di frame in comunicazione politica in Comunicazione Politica, n. 2/2012, p. 249.

10 Framing: definizione e ambiti di applicazione – Inside Marketing.

11 Ibidem, p. 255.

12 Paolo Bellini, Mitopie tecnopolitiche. Stato-nazione, impero e globalizzazione, Mimesis Edizioni, Milano, 2011, pp. 26-27.

13 Gian Luca Atzori, La sinofobia che rafforza la Cina e il Partito Comunista Cinese pubblicato nel numero di China-Files dedicato al tema della Sinofobia, vol. 1, num. 6, p. 13.

14 Ibidem

15 Sull’argomento torneremo più avanti.

16 Marco Fumian: Zhongguo gushi. La narrazione della Cina – Sinosfere.

17 Shape global narratives for telling China’s stories – Chinadaily.com.cn.

18 Per approfondire rimandiamo alla pagina di Wikipedia sul Pericolo giallo.

19 Chi ha paura dei cinesi? | China Files (china-files.com).

20 In questa parte del saggio sono riportati stralci di una intervista a Gian Luca Atzori.

21Questa tendenza è confermata dallo studio European Public Opinion on China in the age of Covid19. Differences and common ground across the continent mettendo in evidenza il fatto che l’opinione negativa si sviluppa in quelle aree in cui il lavoro dei media è particolarmente incisivo nel presentare la Cina sotto una cattiva luce. Per il caso italiano, non è, forse, casuale quello che emerge da un altro studio, Italian Public Opinion on China in the age of Covid-19. Longing for economic engagement amid general distrust nel quale si dice che la Cina è diventato uno dei Paesi maggiormente percepito in accezione negativa insieme a Vietnam, Israele, Corea del Nord; quelli che sono visti, invece, con maggior favore sono Stati Uniti, Regno Unito e Giappone.

22 I dati cui fa menzione Atzori sono estrapolati da una ricerca promossa dalla sua testata, China Files, e condotta insieme con alcuni istituti scolastici superiori nell’ambito dei percorsi PCTO: è emerso, ad esempio, che la maggioranza degli intervistati (52.3%) non conosca quanti abitanti vivano nella Terra di Mezzo mentre trova conferma la tendenza a credere che i cinesi siano più della realtà (il 34% si è detto convinto che siano tra i 1.5 e 2 miliardi). Strettamente legato alla stringente attualità è il dato che vuole che soltanto il 47% è a conoscenza del fatto che Taiwan sia riconosciuto soltanto da 13 Paesi, mentre una larga fetta di intervista ritiene che a riconoscere la provincia ribelle della Repubblica Popolare Cinese come Stato sovrano siano 45 o 73; cosicché solo il 47% del campione è consapevole del fatto che l’Italia non riconosca ufficialmente la Repubblica di Cina: la gran parte dei rispondenti è convinta, invece, del contrario e anzi non conosce la posizione del proprio Paese rispetto ad uno dei temi geopolitici più sensibili dei nostri tempi. Gian Luca Atzori, Come gli italiani vedono la Cina in China Files, vol. 2, num. 4, pp. 9-13.

23 Gian Luca Atzori, La sinofobia che rafforza la Cina e il Partito Comunista Cinese pubblicato nel numero di China-Files dedicato al tema della Sinofobia, vol. 1, num. 6, p. 13.

24 A livello europeo, dice Atzori, in generale il processo di polarizzazione tra europei e cinesi è in corso. Anche le opinioni pubbliche di Francia e Germania erano più vicine a Pechino prima del 2020. Pandemia e guerra hanno radicalmente cambiato i presupposti della relazione. L’ondata di sinofobia per esempio, ha accresciuto la distanza dei giovani cinesi dai valori occidentali ed europei. Viceversa, vedere come è stata affrontata la pandemia in Cina e considerarla vicina alla Russia in questa guerra sta portando sempre più persone e giovani a polarizzare la propria opinione. La veridicità del pensiero del sinologo e le conseguenze tangibili della crescente ondata di sinofobia che tendono ad accrescere la distanza dei giovani cinesi dai valori occidentali ed europei sono suffragati dai risultati di un sondaggio condotto dalla testata cinese Global Times consultabile al seguente indirizzo web:

https://www.globaltimes.cn/page/202104/1221496.shtml.

25 In questa parte dello scritto sono riportati stralci di una intervista informale fatta a Lucia Gentili.

26Matteo Armiento, Alla narrazione sulla Cina serve un contesto in China Files, vol. 1, num. 6, pag. 22.

27 Marco Fumian: Zhongguo gushi. La narrazione della Cina – Sinosfere.

28 Raccontare bene la storia della Cina – China Media Project.

29 L’idea di Xi Jinping di raccontare bene la storia cinese al mondo – teoria – People’s Network.

30 Roberto Pecorale, Per una scuola contro i muri in China Files, vol. 1, num. 6, 2021, p. 2.

31 Shape global narratives for telling China’s stories – Chinadaily.com.cn.

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