di Redazione CESeM
Introdotto dal responsabile relazioni esterne del CeSEM – Stefano Vernole – si è tenuto a Modena un importante incontro organizzato dal Centro Studi Eurasia Mediterraneo e dedicato al XX Congresso del Partito Comunista Cinese in programma in questi giorni.
Si è trattato del primo incontro del CeSEM organizzato sulla Cina in presenza dopo le difficoltà dovute al Covid-19 ma segue un percorso ormai decennale di iniziative di approfondimento svoltesi in diverse città italiane e coronate da una ricca bibliografia.
I tre relatori – Zou Jiangjun Consigliere dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia, l’Ambasciatore Alberto Bradanini e il responsabile dipartimento del CeSEM Marco Costa – hanno dibattuto su tutte le principali questioni alla base del convegno.
Il “Sogno cinese” del grande rinascimento della nazione (alla base del concetto di ringiovanimento nazionale) continuerà con la politica intrapresa dal PCC fin dai tempi di Deng: riforme e apertura al mondo che hanno consentito di soddisfare le crescenti esigenze materiali e culturali del miliardo e mezzo di abitanti del Paese di Mezzo.
Nell’ultimo anno con dati disponibili, il 2021, la Cina ha contribuito a circa il 18% del PIL globale, dopo aver trascinato la crescita mondiale per diverso tempo anche del 30%.
Negli ultimi 10 anni non si è pensato alla stabilità soltanto attraverso le nuove riforme come il Codice Civile e la Legge sugli investimenti esteri, ma si è spinto fortemente sulla lotta alla corruzione: sono stati infatti aperti 4.388.000 casi di indagine e sono stati puniti 4.709.000 membri del partito, una prova di autodisciplina che ha conferito maggiore consenso al PCC.
Se la cooperazione con l’Africa rappresenta senza dubbio il più significativo esempio di lotta al neo-colonialismo occidentale, tuttavia la Cina ha bisogno di pace per soddisfare la domanda interna e sviluppare i propri interessi commerciali.
L’idea del mondo multipolare (alla base anche del progetto della Belt and Road Initiative) non deve quindi essere intesa solo come il contenimento dell’egemonia unipolare statunitense ma come la creazione di un sistema internazionale in cui anche le piccole nazioni possono sopravvivere. Concetti che sono recepiti dalla politica dei BRICS (ormai BRICS PLUS) volta alla creazione di un nuovo sistema monetario basato sull’oro e non più sul dollaro, in cooperazione con altre istituzioni multilaterali come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai o attraverso la stipula di enormi trattati commerciali come il RCEP.
L’Europa e in particolare l’Italia – disseminate di basi militari statunitensi – dovrebbero perciò adottare non solo una prospettiva euroatlantica ma anche euroasiatica in vista dell’inevitabile sorpasso economico della RPC sugli USA nel 2030.
Se quindi la Cina è una macchina, indubbiamente il Partito Comunista Cinese ne è il suo motore, con gerarchia e disciplina quali valori imprescindibili.
Senza dimenticare che da Mao a Xi passando per Deng, il marxismo – seppur riformato e adattato alle tradizioni culturali del Paese – è rimasto alla base del sistema ideologico cinese, come testimoniato dalla continuità tra il socialismo armonioso e il socialismo con caratteristiche cinesi.
Con una grande differenza però rispetto al totalitarismo occidentale: mentre il “modello americano” viene propagandato con il soft power ed imposto con le sanzioni e la forza delle armi – quando necessario – a tutto il mondo, il sistema cinese non è esportabile né la sua leadership intende estenderlo ad altre nazioni.
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