di Fabio Massimo Parenti
Dibattito italiano, infruttuoso e controproducente
Nei dibattiti di queste ultime settimane si evince chiaramente, al di là di poche eccezioni, l’incapacità di approfondire le origini del conflitto tra Russia e Ucraina. Il paradosso è che i professionisti della comunicazione, – ovvero coloro i quali danno forma all’opinione pubblica – impauriti dagli scenari peggiori che potrebbero dipanarsi in Europa, si focalizzano invano sulle soluzioni per uscire dall’attuale impasse, anziché cercare di analizzarne le cause, o meglio i processi storico-geografici. Tuttavia, come si fa a parlare di possibili soluzioni (negoziali nella migliore delle ipotesi) se non si comprendono le origini di questa guerra, che ci parlerebbero di innumerevoli corresponsabilità? La banalizzazione e riduzione delle “cause” a ciò che abbiamo visto nella congiuntura degli ultimi giorni sembrerebbe il risultato di chi si è svegliato dal letargo politico, economico ed intellettuale, tipico dell’auto-referenzialismo occidentale, e che non si è accorto che il mondo sia già cambiato. Se le nostre guerre “umanitarie” e “democratiche”, illegali e in violazione del diritto internazionale – ebbene sì, abbiamo costantemente violentato la sovranità territoriale di numerosi popoli – erano appoggiate e partecipate come un’ineluttabilità storica, sempre decisa dagli Usa e i suoi più stretti alleati (parliamo di centinaia di migliaia di morti civili – chiamati “effetti collaterali” – uso di armi chimiche e interi paesi dilaniati), oggi la “reazione” russa è “mostrificata”. Con non poche false flags, al punto da spacciare la strage di civili a Donesk del 14 marzo, ad opera delle forze ucraine, come una strage per mano russa. Copioni già visti in altri teatri di guerra, in cui numeri e notizie venivano veicolati dalla gran cassa mediatica 24h senza riscontri, verifiche ed utilizzando a piacere video e foto di archivio di altri contesti bellici del passato.
Tornando alla questione delle origini della guerra in corso, un’analisi critica ed articolata metterebbe a nudo le evidenti corresponsabilità storiche, che, al contrario, non possono emergere nella reductio a tifoserie e nel manicheismo maccartista della semplificazione binaria buoni/cattivi. Non solo il presidente Putin non è un pazzo, ma neanche soffre di condizioni di salute peggiori di Biden. Basterebbe ricordare che consiglieri, politici, diplomatici e studiosi di altissimo livello, proprio negli Usa 8ma anche in Europa), hanno costantemente messo in guardia dall’espansione del sistema US-Nato (evidentemente non concordi al loro interno). Un’espansione tutt’altro che pacifica (si pensi per restare all’Europa a ciò che è stato fatto nei Balcani occidentali), fatta di basi militari, esercitazioni congiunte e sistemi missilistici puntati verso Mosca. Dovrebbe ormai essere noto che se l’Ucraina non è entrata nella NATO, quest’ultima è però già entrata in Ucraina da diversi anni, come le vicende storiche degli ultimi 15 anni dimostrano in maniera incontrovertibile. Peraltro, mentre l’espansionismo NATO viene ricordato sui nostri media, esso non è riflettuto a sufficienza. E’ innegabile che come accaduto nel 1962, anche oggi gli Usa non accetterebbero mai alleanze militari di un blocco militare concorrente alle proprie porte. Se avessimo dunque una situazione ribaltata, che coinvolgesse Canada o Messico in alleanze ostili agli Usa, questi ultimi si comporterebbero esattamente come la Russia (o peggio), diventando loro stessi, se usassimo gli stessi standard interpretativi, i “pazzi” ed i “mostri”. In altre parole, avremmo un Putin a Washington. A ruoli invertiti, tuttavia, è facile ipotizzare che Washington sarebbe ampiamente giustificata dagli amici “democratici”. Insomma, probabilmente lo dipingeremmo diversamente, dato che il nostro dilaniare interi paesi negli ultimi 30 anni è stato edulcorato dal termine “umanitario” o “responsabilità di proteggere” o “lotta al terrorismo”. La realtà è che al di là dei giudizi morali e di parte sui diversi sistemi politici, la colpa di chi ha conosciuto le nostre bombe è stata quella di non appartenere a paesi totalmente sottomessi al cosiddetto “Washington Consensus”. L’indipendenza dagli Usa per i propri interessi nazionali è stata pagata col sangue innocente di numerose popolazioni del mondo.
Mentre quasi tutti sostengono, come il nostro parlamento, la giustezza etico-morale di inviare armi all’Ucraina, le nostre cancellerie europee non sono in grado di far emergere una prospettiva negoziale plausibile. Cosa che richiederebbe analisi serie delle processualità storico-geografiche, da cui emergerebbe la totale incoerenza tra una lettura manichea congiunturale e ciò che avveniva in Ucraina ed in tutto l’arco di instabilità eurasiatica nel post-guerra fredda. Mi riferisco al fatto che se la giustificazione addotta a sostegno della sedicente resistenza ucraina fosse plausibile, non si capisce perché ciò non venisse applicato alle regioni dell’est e sud est dell’Ucraina quando una resistenza locale si difendeva dagli attacchi dei battaglioni del governo di Kiev, provocando decine di migliaia di morti tra i civili. E non è solo Azov, ma anche altre formazioni neonaziste (Aidar, Centuria, ecc.), totalmente integrate alle forze armate e ree di crimini atroci contro la popolazione civile russa. Doppi standard, tifoserie e manicheismo non faranno altro che peggiorare la situazione…
Cogliere le tendenze strutturali
“E’ impossibile per un uomo imparare ciò che pensa di sapere già”, ammoniva Epitteto più di duemila anni fa. Adottando una prospettiva critica delle relazioni internazionali, che nel mio caso si rifà al materialismo storico, è urgente sottolineare le tendenze spazio-temporali dei rapporti di forza che hanno segnato il mutamento della geografia del potere degli ultimi decenni. E che a loro volta sono il risultato di processi che vanno ancora più indietro nel tempo.
Innanzitutto vi sono due snodi esplicativi. Il primo riguarda l’impotenza e l’immobilismo dell’UE, mai divenuta entità politica indipendente dalle strategie di dominio degli Usa. Il secondo riguarda proprio la potenza e l’attivismo statunitense, attraverso la NATO (ricordiamo 5 fasi di espansione dopo la fine della guerra fredda e i numerosi interventi militari a danno delle popolazioni di Balcani, Medio oriente, Africa e Asia meridionale).
Ad uno sguardo miope, ridotto all’osservazione puntuale e congiunturale, la Russia ha invaso l’Ucraina, tuttavia ampliando la prospettiva ad un’analisi delle tendenze macro-scalari e temporali, la Russia interviene per difendersi da minacce reali. Più in particolare, noi “occidentali” a stelle e strisce non abbiamo fatto solo errori, rimediabili, non abbiamo solo operato delle semplici provocazioni, a cui la Russia ha reagito in modo spropositato. L’accerchiamento da parte del sistema US-Nato è una realtà già consolidata e non si è dimostrata amichevole o funzionale ad altri scopi se non minacciare la Russia, l’Iran e la Cina. Per fare un esempio volante: in Europa e nel Pacifico ciò è avvenuto con l’implementazione di sistemi missilistici, in Europa ed in Asia ciò è avvenuto con le guerre in Serbia, Afghanistan, Iraq (due), Somalia, Libia e Siria, con accerchiamento dell’Iran, altro obiettivo strategico statunitense fin dagli anni Novanta. Ma anche con “rivoluzioni colorate” in Serbia, Georgia, Ucraina, Repubbliche Centro-asiatiche, financo con la presenza di rappresentati di Azov ed altri gruppi di estrema destra nelle proteste di HK nel 2019. Questi sono esempi eclatanti di quanto fondate siano le preoccupazioni russe. Non dimentichiamoci peraltro che Serbia, Siria ed Iran sono storici alleati russi.
Abbiamo iniziato un anno fa con Biden che affermava: “l’America è tornata, pronta a guidare il mondo”. Alla luce del suo approccio manicheo da nuova guerra fredda, un anno fa scrivevo di “maccartismo disastroso” (democrazie liberali occidentali Vs il resto del mondo) non per sensazionalismo, ma per autentica preoccupazione. Se guardiamo alle vicende italiane, enorme è stata l’interferenza negli affari interni da parte degli Usa. Già nel 2019, in Italia, ci criticavano tutti, gli atlantisti, per aver progettato un MoU sulla BRI. Se solo avessimo ipotizzato una qualche forma di cooperazione nel campo della sicurezza, è legittimo ipotizzare che avremmo subito un tentativo di colpo di stato o comunque un processo violento di destabilizzazione interna.
Obiettivi strategici Usa e minacce a Europa, Russia e Cina
E’ importante rispolverare la memoria ricordandoci quali siano gli obiettivi strategici statunitensi di lungo termine per capire che essi divergono da quelli europei. Per sintetizzare alcuni aspetti, facciamo parlare Robert D. Kaplan. Diciassette anni fa, nel 2005 usciva un suo articolo su L’Atlantico che recitava quanto segue: “La vitalità della stessa NATO… potrebbe essere rianimata dalla Guerra Fredda nel Pacifico, e in effetti il riemergere della NATO come strumento di guerra indispensabile… dovrebbe essere l’obiettivo incrollabile dell’America. La NATO spetta a noi guidarla, a differenza della sempre più potente UE, la cui forza di difesa, se diventasse realtà, emergerebbe inevitabilmente come una potenza regionale in competizione, che potrebbe allinearsi con la Cina per bilanciarsi contro di noi. Consentitemi di essere ancora più chiaro su qualcosa su cui i politici e gli esperti spesso non vogliono essere chiari. La NATO e una forza di difesa europea autonoma non possono prosperare entrambe. Solo una può, e dovremmo volere che sia la prima, in modo che l’Europa sia una risorsa militare per noi, non una responsabilità, mentre affrontiamo la Cina…”. Credo non sia necessario commentare. Il senso è molto chiaro e non considera assolutamente “l’autodeterminazione” politica ed economica dell’Europa al di fuori di tale visione.
Andiamo avanti e facciamo parlare sempre i diretti interessati. Preoccupata in parte per la partnership energetica e le minacce al ruolo del dollaro come principale valuta di riserva, la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti ha identificato sin dal 2017 Cina, Russia, Corea del Nord e Iran come le principali minacce all’influenza, agli interessi e al potere degli Stati Uniti e ai suoi valori (Casa Bianca, 2017). In realtà, come detto, queste preoccupazioni erano antecedenti. Ancora, nel gennaio 2018, il Segretario alla Difesa James Mattis ha spiegato che “la competizione per il potere, non il terrorismo, è l’obiettivo principale della sicurezza nazionale statunitense”. A tal fine è stata concepita la “lotta al terrorismo”. Al giorno d’oggi, dovrebbe essere evidente che la guerra al terrorismo è stata una finzione drammatica e che il blocco occidentale ha contribuito fortemente ad alimentare molti gruppi di estremisti, direttamente o indirettamente con i suoi alleati regionali. Si potrebbe dire che abbiamo perso la guerra globale al terrorismo perché non l’abbiamo mai realmente combattuta. I signori della guerra islamici e i movimenti estremisti sono più forti che mai. Come esempi, tra gli altri, si vedano l’Afghanistan, che dopo 20 anni è stato riportato al punto di partenza, o il sostegno agli estremisti uiguri dello Xinjiang.
Il CeSE-M sui social