di Ivelina Dimitrova
Il Kazakistan, l’ex Repubblica Sovietica, nono Paese per estensione territoriale a livello mondiale – grande quasi quanto l’intera Europa ma con una popolazione di soli 19 milioni di abitanti, che si espande in Asia centrale in prossimità di tre delle più grandi potenze mondiali di oggi (la Federazione Russa, la Cina e l’India), ha attraversato all’inizio di quest’anno, turbolenze politiche segnate da violenza e insicurezza, eventi senza precedenti negli ultimi 30 anni della sua era post-sovietica.
Una breve descrizione dei recenti accadimenti è utile al fine di analizzare quanto avvenuto e, soprattutto, individuare le ragioni che stanno alla base dell’insorgenza.
Tutto ha avuto inizio lo scorso 2 gennaio, quando la popolazione, esasperata dall’aumento dei prezzi del petrolio e del gas, è scesa in strada, prima nelle città di Aktau e Zhanaozen, situate nella regione occidentale del paese ricca di petrolio (la Junior zhuz zona); in seguito le proteste si sono estese alla vecchia capitale Almaty.
Il malcontento inizialmente ha avuto motivazioni economiche connesse con la disapprovazione popolare per l’aumento del prezzo del carburante, ma si è rapidamente trasformato in politico, a causa dello scontento accumulatosi negli anni contro la corruzione e il nepotismo; ciò in quanto, nonostante il Paese sia molto ricco di risorse naturali, inclusi petrolio e gas, la gente comune non beneficia della ricchezza derivante dallo sfruttamento di queste risorse naturali.
La gestione di queste risorse e i connessi grandi investimenti esteri, attratti soprattutto negli ultimi quindici anni, sono sotto il controllo della classe politica dirigente che, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’indebolimento delle posizioni economiche e politiche di Mosca, ha operato e mantenuto una posizione di bilanciamento nei rapporti con la Russia e con le potenze occidentali.
Il dissenso ha portato in piazza la gente comune, scontenta per l’ingiustizia, ma poi si è trasformato in violenza con similitudini con le rivoluzioni colorate e la primavera araba. Si sono probabilmente sfruttati la rabbia e il malcontento della popolazione che spontaneamente avvia una protesta e poi inizia le violenze quando tra i manifestanti si inseriscono provocatori spesso militari o ex militari ben preparati e armati, che non hanno nulla a che fare con i manifestanti.
Nel caso del Kazakistan, il locale Ministero dell’Interno ha riferito che alcuni dei partecipanti violenti non erano cittadini kazaki. Questi agitatori, molti dei quali erano addirittura armati, si sono scontrati con la polizia e di conseguenza si sono avuto numerosi decessi.
Le informazioni governative parlano di agenti di polizia decapitati nelle strade di Almaty: un famoso musicista e regista chiamato “il padre dell’hip hop kazako” Saken Bitayev è stato ucciso da colpi di arma da fuoco durante le violente proteste mentre alcuni saccheggiatori cercavano di bloccare la sua autovettura; banche e negozi sono stati depredati; tra le vittime ci sarebbero stati, tra gli altri, anche bambini.
Il 5 gennaio è stato riferito che i manifestanti avessero preso il controllo dell’aeroporto di Almaty e tutti i voli sono stati temporaneamente cancellati. Gli insorgenti hanno appiccato il fuoco a una residenza del presidente Tokayev e al municipio di Almaty. Secondo alcune fonti non confermate, l’aeroporto e gli edifici governativi sono stati occupati dai rivoltosi, mentre la polizia, controllata da fedeli dell’ex presidente Nazarbayev, ha ricevuto l’ordine di non reagire.
Tuttavia, lo stesso giorno, Kassym-Jomart Tokayev, presidente del Paese dal 2019, ha sciolto il governo ritenuto controllato dal clan dell’ex presidente che aveva mantenuto il ruolo di capo del consiglio di sicurezza Nursultan Nazarbayev, ha dichiarato lo stato di emergenza ad Almaty e nella provincia occidentale di Mangistau, il collegamento internet è stato in gran parte interrotto e sono iniziati gli arresti di massa.
Il controllo statale sul prezzo dei prodotti petroliferi e del gas è stato imposto su ordine del presidente per cercare di riprendere il controllo della piazza. Ancora maggiore attenzione rispetto alla destituzione del governo del premier Askar Mamin ha destato il licenziamento e poi l’arresto, con l’accusa di tradimento, di Karim Massimov, primo ministro di lungo corso del Paese, appartenente al clan Nazarbayev e potente capo del Comitato di Sicurezza Nazionale: il servizio di intelligence.
La sua sostituzione, secondo numerosi analisti, segna una svolta per il Paese e mostra un radicale spostamento di potere tra i clan dominanti ed in tale nuovo scenario Tokayev ha preso il posto dell’onnipotente ex presidente Nursultan Nazarbayev alla presidenza del consiglio di sicurezza.
Nazarbayev il quale si era dimesso dalla presidenza dell’ex Repubblica sovietica nel 2019 dopo 29 anni al potere, ma mantenendo il diritto di presiedere a vita il consiglio di sicurezza del Kazakistan e che si era attribuito il titolo di Elbasy “padre della nazione”. Tuttavia, durante le proteste, i manifestanti hanno puntato e hanno indirizzato il proprio malcontento soprattutto verso Nazarbayev e il suo clan piuttosto che verso Tokayev, in quanto era evidente che fino al 5 gennaio Nazarbayev i membri del suo cosiddetto “clan” avevano continuato a detenere il potere. La gente cantava “vecchio, vai” riferendosi all’ex presidente di 81 anni. Nella città di Taldykorgan, vicino ad Almaty, un camion guidato dai manifestanti ha abbattuto la statua dell’Elbasy, un atto abbastanza simbolico e senza precedenti che indica che molta rabbia silenziosa si era accumulata negli ultimi 30 anni nei confronti di Nazarbayev e dei suoi sodali.
Subito dopo aver sciolto il governo e destituito Nazarbayev dalle cariche di potere che ancora deteneva, Tokayev ha chiesto assistenza all’organizzazione di sicurezza CSTO (Collective Security Treaty Organization) a guida russa di cui sono membri la stessa Federazione Russa, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, per essere aiutato a riportare la pace nel Paese. Il dispiegamento delle truppe della CSTO, insieme allo stato di emergenza dichiarato da Tokayev e al suo ordine “di sparare per uccidere senza preavviso, in quanto i terroristi usavano armi contro i “civili”, hanno portato a risultati immediati: fino a 8000 persone sono state arrestate nelle concitate giornate di protesta che Tokayev ha descritto come “atto di aggressione terroristica contro il Paese appoggiato da soggetti esteri”, sebbene fino ad ora non siano state fornite ulteriori prove a sostegno di queste affermazioni. Il 10 gennaio u.s. si è svolta una riunione straordinaria della CSTO – “mini-NATO” a guida russa – e in tale contesto il presidente del Kazakistan ha promesso di presentare al mondo “ulteriori prove dell’aggressione terroristica contro il Kazakistan”. È importante evidenziare che Tokayev ha descritto le richieste dei manifestanti pacifici come giuste e “ascoltate dallo Stato” ma che sono state “strumentalizzate da gruppi terroristici, estremisti e criminali”. Dichiarazioni senza precedenti, l’attuale presidente ha affermato che “il governo di Nazarbayev aveva permesso il formarsi di una classe agiata che vive al di sopra anche degli standard internazionali”.
Nel corso del s$ummit il presidente russo Putin, famoso per essere sempre molto attento e ponderato nella scelta delle sue parole, ha definito gli eventi “un attacco al Paese ideato dall’esterno” e ha aggiunto che “gli eventi in Kazakistan non sono i primi e non saranno gli ultimi tentativi di interferire negli affari interni dei nostri Stati da parte di attori stranieri”.
In seguito alle retate e al cambiamento di figure politiche chiave, la situazione si è calmata e le truppe della coalizione guidata dalla Russia dal 13 gennaio in poi hanno iniziato a ritirarsi dal Paese, dopo aver svolto un ruolo chiave nel ristabilire la pace e la stabilità nel Paese.
La presenza del contingente a guida russa – secondo fonti ufficiali non più di 2.000 uomini, hanno tuttavia costituto un forte e determinante deterrente per gli insorgenti che, probabilmente più numerosi e ben armati, si preparavano ad attaccare il palazzo presidenziale ed effettuare un colpo di stato.
E’ d’uopo evidenziare come, a parere della scrivente, la suesposta breve descrizione della sequenza degli eventi che si sono verificati in Kazakistan è importante per poter meglio inquadrare l’ulteriore analisi che esporremo qui di seguito afferente quanto sia realmente accaduto in quel Paese e quello che è probabile che accadrà in futuro. Le lotte di potere avvenute a gennaio e che hanno sfruttato il malcontento popolare continueranno anche in futuro, sebbene ciò potrebbe manifestarsi con modalità meno cruente e più discrete.
Innanzi tutto, non possiamo omettere di evidenziare come una escalation di violenze come quella verificatasi in Kazakistan, proteste senza precedenti nei trent’anni dall’indipendenza, non sarebbe potuta accadere senza una concomitante spaccatura e uno scontro all’interno dell’élite kazaka al potere.
Di conseguenza, gli eventi sono stati innescati da un conflitto interno e locale per il potere, utilizzato con cura e ideato all’estero. In realtà, va detto che i conflitti interni ai diversi clan kazaki sono stati utilizzati da diversi attori esterni al Paese negli ultimi tre decenni ma in maniera più morbida e pacifica. Il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Turchia, i gruppi islamici fondamentalisti, la Cina e, non ultima, la Federazione Russa hanno nel tempo cercato di influenzare la classe dominante del Kazakistan al fine di favorire i propri interessi economici e geopolitici. Questo modus agendi è stata possibile anche grazie all’equilibrismo politico con il quale Nursultan Nazarbayev ha sempre guidato il Paese.
Egli, che iniziò la sua carriera come funzionario di alto livello dell’Unione Sovietica, membro del Partito Comunista dal 1962 e primo ministro della RSS del Kazakistan dal 1984 nonché presidente kazako dal crollo dell’URSS al 2019, ha aperto il Paese agli investimenti occidentali stringendo con l’Occidente strettissimi legami economici, pur mantenendo buone relazioni anche con Mosca – l’ago della bilancia della sua politica economica pendeva a vantaggio del blocco occidentale pur non incrinando i rapporti con la Russia.
In tale contesto, non possiamo sottacere che l’attuale situazione di instabilità, seppur non con la deriva violenta che l’ha contraddistinta si era già manifestata nel corso del 2020.
Nel marzo 2019, dopo tre decenni al potere, sorprendentemente Nursultan Nazarbayev si è dimesso dalla carica di presidente ma ha continuato a ricoprire posizioni chiave e di potere. Venne insignito del titolo di “Elbasy” o padre della Nazione, continuò a presiedere il Comitato per la sicurezza nazionale, il più importante organo di coordinamento delle attività di tutti i servizi di sicurezza, e i membri della sua famiglia hanno proseguito nel detenere cariche politiche e posizioni economiche chiave nel Paese. Inoltre, la capitale Astana, la seconda città del Paese dopo l’antica capitale Almaty, ha visto cambiare il suo nome in Nur-Sultan in onore di Nazarbayev, in seguito a un voto in Senato senza precedenti.
Dopo le dimissioni del primo presidente nella storia del Kazakistan indipendente, Kassym Jomart Tokayev, allora presidente del Senato (in questo ruolo dal 2013 al 2019) ha assunto, il 20 marzo del 2019, la carica di presidente ad interim, come previsto dalla Costituzione del Paese, e candidato ufficiale alla successione così come verificatosi nelle elezioni anticipate del 9 giugno laddove venne eletto In seguito, è stato ufficialmente eletto con il 71% dei voti popolari come candidato del partito Nur Otan, elezione approvata da Nazarbayev che gli ha permesso di diventare il secondo presidente del Kazakistan.
Un dato interessante è che dopo che Tokayev ha assunto la carica presidenziale il 20 marzo 2019, Dariga Nazarbayeva, la figlia maggiore dell’Elbasy e la più attiva politicamente della famiglia, ha assunto la carica di presidente del Senato, posizione seconda in linea di potere solo a quella del presidente. Molti analisti hanno visto questa nomina come un percorso prestabilito verso la carica presidenziale in cui la figura di Tokayev era solo un intermezzo prima del ritorno ufficiale del potere nelle mani della famiglia di Nazarbayev. Tuttavia, il 2 maggio 2020, Dariga è stata destituita dalla carica di presidente del Senato anche a causa di alcuni procedimenti giudiziari nei suoi confronti e del figlio residente nel Regno Unito; tale scelta è apparsa agli osservatori attenti come uno scontro tra i clan dominanti nel Paese, laddove la destituzione della figlia del Padre della Nazione rappresentasse un modo per Tokayev di affermare le sue posizioni di leader. Di conseguenza, i presupposti per quello che è successo nei primi giorni del 2022 erano già evidenti nel corso del 2020; Tokayev, infatti, dall’assunzione della carica di presidente aveva cercato di rinnovare la classe dominante del Paese senza tuttavia esservi completamente riuscito, vista la resistenza a perdere le proprie posizioni di potere da parte della macchina politica ed economica costruita intorno a Nazarbayev nel corso di tre decenni – come gli accadimenti del gennaio di quest’anno evidenziano chiaramente.
In questo scontro d’élite è importante sottolineare che sia Nazarbayev che Tokayev sono rappresentanti di Zhuz Senior1 del Kazakistan seppur appartenenti a tribù diverse e Nazarbayev è più in alto nella gerarchia del suo clan rispetto a Tokayev. I Zhuz (o Juz) sono divisi in Senior Zhuz o Grandi Zhuz – in rosso sulla mappa sottostante (presenti nella parte meridionale e sud-orientale del Paese più la regione cinese dello Xinjiang2 e parte dell’Uzbekistan), Zhuz di Mezzo – in colore arancione nella mappa (che abitano nel Kazakistan centrale e orientale e sono composti da sei tribù) e Giovani Zhuz di colore verde nella mappa (presenti nel Kazakistan occidentale vicino al Mar Caspio ricco di petrolio e gas e una piccola parte nella Russia meridionale precisamente la regione di Orenburg). Le tribù sono ulteriormente suddivise in clan ed è importante notare che le identità tribali e di clan influenzano ancora oggi la vita politica del Kazakistan poiché molti kazaki danno ancora molta importanza alla loro appartenenza tribale e al clan sebbene questa divisione non sia facilmente visibile agli estranei. L’appartenenza tribale e clanica è sopravvissuta anche al periodo comunista quando il Kazakistan faceva parte dell’Unione Sovietica, quindi è profondamente radicata nella psicologia e nella cultura dei nativi kazaki.
La recente escalation di violenza in Kazakistan iniziata proprio nella zona occidentale del Paese (i territori dei Giovani Zhuz) può essere vista anche nel contesto delle lotte interne tra gli Zhuz, poiché le risorse di petrolio e gas che maggiormente contribuiscono alla ricchezza del Paese sono concentrate proprio nel territorio dei Giovani Zhuz, ma i beneficiari di questa ricchezza sono principalmente i clan dei Vecchi Zhuz che provengono dal sud del Paese densamente popolato. Per questo molti vedono come ingiusta la distribuzione della ricchezza – proclamata anche dallo stesso presidente Tokayev che probabilmente ha stretto una sorta di alleanza con i Giovani Zhuz.
I lavoratori del settore petrolifero e del gas vivono e lavorano in condizioni molto dure e sono mal pagati mentre tutti i profitti dell’industria petrolifera e del gas vanno principalmente nelle mani del clan Shapyrashty (Şapıraştı) dei Vecchi Zhuz a cui la famiglia Nazarbayev appartiene. Anche Tokayev proviene dai Vecchi Zhuz ma è membro della tribù di Jalayir ed è sempre stato visto come “il parente povero”, come spiega il famoso storico russo Andrey Zubov3.
È rilevante sottolineare che gli uomini più potenti sia economicamente che politicamente appartengono al clan Shapyrashty e la struttura governativa e le cariche pubbliche sono sempre state distribuite e gestite solo nell’interesse di questo clan e non degli altri Zhuz e tribù del Paese. In realtà, anche in passato gli altri Zhuz si erano rivoltati ma senza successo in quanto questo accadeva ai tempi in cui Nazarbayev era più giovane e deteneva saldamente il potere.
Nell’anno 2011 ci sono state rivolte da parte dei lavoratori del petrolio e del gas nell’ovest del Paese, precisamente nelle città di Zhanaozen e Aktau ma sono state sanguinosamente represse, senza nemmeno che dati ufficiali comunicassero i numeri dei morti.
Di contro, questa volta il presidente non era più Nazarbayev, ma il lontano parente Tokayev, che ovviamente per anni ha aspettato il suo momento servendo Nazarbayev in attesa di sostituirlo.
In tale scenario, emerge un altro aspetto importante che non è passato indifferente agli altri gruppi tribali del Paese: la crescente islamizzazione fondamentalista di membri del clan dell’ex presidente.
Parenti influenti di Nazarbayev e altre figure di spicco del clan Shapyrashy si sono islamizzati e hanno iniziato a radicalizzare anche la popolazione del sud del Paese. Un chiaro esempio di tali figure è Samat Abish, nipote di Nazarbayev e vice capo del Comitato per la sicurezza nazionale (KNB), noto per essere un devoto seguace dei Fratelli musulmani. Si dice che nella retata successiva alla recenti rivolte sia stato arrestato insieme a Karim Massimov, il capo della KNB e accusato di tradimento. Secondo fonti non confermate, parenti di Nazarbayev radicalizzati, vedendo che il loro clan iniziava a perdere potere, hanno mobilitato combattenti radicali che si sono mescolati alla gente comune e hanno dato inizio alle rivolte sanguinarie. La decapitazione degli agenti di polizia avvenuta in Kazakistan sembrano avere modalità comuni a quelle con le quali hanno agito in passato i Fratelli Musulmani e l’ISIS. Per questo, sia Tokayev che Putin hanno definito le proteste “atti di aggressione”, compiuti da “terroristi appoggiati dall’estero”. In seguito ai fatti di sangue del gennaio scorso personaggi di spicco come Massimov, Samat Abish, il genero miliardario di Nazarbayev – Timur Kulibayev sono stati destituiti dalle posizioni che ricoprivano in passato.
È possibile che questi circoli di potere allo scopo di diffondere il caos e nel tentativo di tornare al potere cerchino di radicalizzare gli analfabeti e i poveri dalla loro roccaforte: ovvero al Sud, dove secondo gli analisti i gruppi radicali musulmani hanno creato una rete. Di contro, è evidente come queste azioni non saranno supportate dalle popolazioni del nord e dall’occidente ricco di petrolio e gas del Paese che colgono come questa radicalizzazione è ancora una volta realizzata nell’interesse del clan Shapyrashty.
In ragione di quanto suesposto, Tokayev ha tenuto a precisare che vi é una netta differenza tra le proteste dei lavoratori del petrolio e del gas dell’occidente, che rivendicano giustizia sociale e migliori condizioni di lavoro ed economiche, e gli uomini armati e addestrati che ad Almaty hanno decapitato gli agenti di polizia. La radicalizzazione del Kazakistan, che è in prossimità dell’Afghanistan (dove di recente i talebani sono ritornati al potere) e del Pakistan, non è nell’interesse né degli altri Zhuz (che sarebbero per l’ennesima volta soggiogati), né nell’interesse della vicina Cina e della Federazione Russa.
Inoltre, va detto che già in passato molti problemi e scandali hanno coinvolto la “famiglia regnante” di Nazarbayev, ma questo è accaduto in tempi in cui l’Elbasy era ancora effettivamente al potere e anche la situazione internazionale era diversa. Nel 2007 si verificò un grande conflitto nel clan dominante laddove il marito di Dariga Nazarbayeva, Rakhat Aliyev, che occupava importanti incarichi governativi, tra cui primo presidente del Comitato per la sicurezza nazionale e viceministro degli Esteri, è caduto in disgrazia dopo aver litigato duramente con il suocero e alcuni cerchi di potere intorno a lui. I conflitti iniziarono all’inizio del 2000 ma nel 2007 Aliyev fu destituito da tutti gli incarichi ufficiali, esiliato come ambasciatore in Austria e, come sostengono alcune fonti nel Paese, Dariga Nazarbayeva fu costretta a divorziare da lui, ciò in quanto sulla sua testa pendevano numerose accuse con procedimenti penali sia in Kazakistan che in Austria. Egli dopo un breve esilio a Malta è finito in unaprigione austriaca dove nel 2015 si sarebbe suicidato. Non è noto al pubblico quale fosse il motivo di questo allontanamento, ma è stato riferito che fosse dovuto a lotte di potere tra le famiglie regnanti del clan Nazarbayev e si dice che ci fosse anche rivalità con Timur Kulibaev, marito della seconda figlia di Nazarbayev, Dinara.
Quest’ultimo nel corso degli anni, fino ai disordini e al rovesciamento del potere di Nazarbayev, è stato uno degli uomini più ricchi del Paese, ma il 17 gennaio scorso si è dimesso da presidente della Camera nazionale degli imprenditori del Kazakistan. Molti altri esempi possono essere forniti delle lotte di potere interne e delle tensioni all’interno della famiglia dominante nel Paese come la morte del nipote prediletto di Nazarbayev – Aisultan, figlio di Dariga e Rakhat Aliyev, che dopo l’allontanamento del padre, iniziò a criticare aspramente sulle piattaforme sociali e alcuni circoli di potere attorno a suo nonno accusandoli di corruzione. Nonostante si fosse laureato in un’accademia militare nel Regno Unito e fosse considerato una grande speranza per il futuro del Paese, è diventato tossicodipendente e il 16 agosto 2020 è stato trovato privo di sensi in un parco londinese presumibilmente per arresto cardiaco.
Tutti i fatti di cui sopra provano che il clan della famiglia Nazarbayev, che ha governato il Paese e dominato tutte le sue ricchezze per quasi tre decenni, ha sempre sperimentato lotte intestine per il potere. Tutto era sotto loro controllo fino a quando Nazarbayev ha mantenuto la carica di presidente della Repubblica, ma dal 2019 il Paese ha due centri di potere: Nazarbayev e il suo clan che hanno continuato a esercitare il potere finanziario e politico, e Tokayev, considerato erroneamente facile da controllare in attesa che Dariga Nazarbayeva assumesse la presidenza del Paese.
Tuttavia, quando Nazarbayev si è dimesso dalla presidenza a causa dell’età avanzata e dello stato di salute precario, il suo clan – senza nemmeno rendersene conto, ha perso il suo punto di riferimento ed ha iniziato a oscillare, tra diversi poteri esterni che insieme al malcontento all’interno del Paese, ha determinato l’attuale perdita di potere e il “colpo di stato” che è stato effettuato da Tokayev. Nazarbayev non era più la guida esclusiva e indiscutibile nella sua cerchia familiare e il controllo è andato perso: i suoi nipoti si sono troppo radicalizzati ma i circoli economici sono sempre molto legati al Regno Unito e agli Stati Uniti poiché gran parte delle loro ricchezze si trova nel Regno Unito e nei territori offshore. Questa situazione all’interno della famiglia regnante è stata perfettamente sfruttata da Tokayev per rafforzare la sua posizione e diventare effettivamente il presidente, il leader del Paese, tanto che il 18 gennaio 2022, mentre tutti si chiedevano dove fosse finito, Nazarbayev è apparso in TV parlando in russo e ha spiegato alla gente che ormai è un pensionato e il presidente è Kassym-Jomart Tokayev. Ha anche espresso la speranza che le persone colpevoli degli omicidi e delle recenti violenze venissero individuate e pagassero per le loro malefatte.
Questa è una evidente prova che Nazarbayev, a questo punto, non vuole entrare in conflitto con il nuovo potere nel Paese e che probabilmente è stato raggiunto un accordo tra il vecchio e il nuovo presidente. Almeno per ora.
Tuttavia, prima di entrare nel dettaglio di quali siano gli interessi delle potenze straniere verso il Kazakistan, ci focalizzeremo sul perché questo Paese assume una posizione di rilevante interesse nello scenario globale, dando per appurato che le strategie e gli interessi geopolitici vanno sempre di pari passo con quelli economici. Il Kazakistan è il nono Stato più esteso del mondo ma ha una popolazione di soli 18,5 milioni di abitanti. Il Paese è estremamente ricco di risorse nazionali, solo a mero titolo di esempio lì si trovano il 12% delle riserve mondiali di uranio, più della Federazione Russa. Questa preziosa risorsa, da molti considerata fondamentale per il passaggio all’energia verde, in quanto minerale utilizzato per la produzione di energia nucleare, è controllata dalla società statale Kazatomprom. Secondo dati dell’anno 2019, il Kazakistan produce il 43% dell’uranio mondiale, con un aumento di quasi il 20% solo nell’ultimo decennio. Il Paese ha in programma di sviluppare la produzione e l’esportazione di prodotti di uranio a valore aggiunto e non solo di esportare il minerale grezzo. Con queste preziose risorse naturali il Kazakistan è il principale esportatore per le vicine potenze economiche come Cina, India, Giappone. Inoltre, il Kazakistan fornisce il 20% dell’uranio necessario all’Europa, il che lo rende un partner strategico nel settore energetico. La Federazione Russa ha sottoscritto una serie di accordi con Kazatomprom per la costruzione di centrali nucleari, in particolare di reattori di piccola e media dimensione. La maggior parte delle riserve di uranio kazako sono concentrate nel sud, sebbene il prezioso minerale sia presente anche nel nord e in misura minore sulle sponde del Mar Caspio.
Il Kazakistan è anche un Paese molto ricco di giacimenti di petrolio con riserve accertate di greggio di circa 30 miliardi di barili secondo i dati del 2016, dati che lo rendono il 12° Stato al mondo per riserve accertate. E’ anche il più grande produttore di petrolio dell’Asia centrale con una produzione giornaliera di 1,6 milioni di barili. Membro dell’OPEC, detiene le più consistenti riserve di greggio accertate nella regione del Caspio. La sua produzione è principalmente destinata al mercato cinese ed europeo. Il Paese sta inoltre ampliando il numero delle proprie raffinerie costruendone una quarta con lo scopo di incrementare la produzione ed esportazione di prodotti semi-lavorati e raffinati.
I più grandi giacimenti di petrolio kazaki si trovano nella regione del Mar Caspio, come emerge dalla mappa sottostante. Si stima che il 62% della massa continentale del Kazakistan si trovi in un’area contenente petrolio e gas naturale e che ci siano 172 giacimenti petroliferi nel Paese, di cui 82 sono attualmente in corso di esplorazione.
Tuttavia, come si rileva dalla citata mappa, le riserve petrolifere già esplorate si trovano principalmente sul Mar Caspio, nella parte occidentale del Paese. Oltre il 50% in valore delle esportazioni del Kazakistan nel 2020 consisteva in petrolio e gas, ferro, rame e altri minerali.
I maggiori partner commerciali kazaki in termini di mercati di esportazione sono nell’ordine la Cina (19,2% del totale delle esportazioni del Paese), l’Italia (14,2%), la Russia (10,4%) e le esportazioni sono in gran parte costituite dai suddetti prodotti combustibili e minerali.
Il Paese è anche molto ricco di giacimenti di carbone, piazzandosi tra le prime 10 potenze al mondo per riserve carbonifere sebbene sia un produttore di medie dimensioni in quanto molti dei filoni non sono ancora stati sfruttati, tuttavia nel 2019 sono state prodotte 115 milioni di tonnellate di carbone, la maggior parte delle quali esportate in Russia. Il Kazakistan dispone anche di ricche scorte di un’ampia varietà di altre risorse naturali tra cui il minerale di ferro, lo zinco, il piombo, il rame, la bauxite, l’oro, il titanio, l’argento, lo zolfo e altre. Con tutta questa ricchezza naturale, il Kazakistan è un partner privilegiato per Cina e UE sempre affamati di risorse naturali.
E nonostante l’esportazione di materie prime contribuisca tutt’oggi considerevolmente alle sue entrate, il Paese ha cercato di ristrutturare la propria economia incentivando e sviluppando in loco l’industria di trasformazione al fine di esportare non solo materie prime ma anche prodotti lavorati e semi lavorati che si caratterizzano per aver un maggior valore aggiunto oltre che per creare maggiori opportunità di lavoro per le popolazioni locali.
Quanto sopra, ci permette di affermare come il Kazakistan sia di gran lunga il Paese più ricco di risorse naturali dell’Asia centrale, importante partner commerciale sia per la Russia, per la Cina, ma anche per i Paesi dell’UE. Gli investimenti per lo sfruttamento delle sue risorse naturali e soprattutto di petrolio e gas rappresentano oltre il 60% di quelli esteri nel Paese.
Evidenziato tutto questo, possiamo concludere, senza timore di essere smentiti, che il Kazakistan è un Paese estremamente importante nello scenario globale in termini energetici e di risorse naturali. Di conseguenza, tutte le grandi potenze – gli USA, la Federazione Russa, la Cina, la Gran Bretagna, l’UE hanno i loro interessi in Kazakistan, molto spesso non coincidenti, e ognuna di queste potenze ha assunto un atteggiamento diverso nei confronti dei recenti eventi verificatisi in territorio kazako.
Gli Stati Uniti d’America sono presenti in Kazakistan fin dalla proclamazione dell’indipendenza nel 1990 attraverso le loro società di esplorazione di petrolio e gas: Chevron ed ExxonMobile infatti da subito intrapresero una significativa campagna di esplorazioni petrolifere nel Paese. Anche gli investimenti statunitensi in Kazakistan dal 1990 sono stati considerevoli, da qui deriva anche la sfera d‘influenza americana in loco: secondo dati della Banca nazionale del Kazakistan 38,7 miliardi di dollari USA sono stati investiti nel paese negli ultimi tre decenni. Di contro, gli investimenti diretti della Russia – il principale partner dell’Unione economica eurasiatica, nello stesso lasso temporale, sono stati di soli 5,3 miliardi di dollari ovvero 7 volte inferiori a quelli degli Stati Uniti. L’interesse economico degli USA nel Paese, soprattutto in termini di risorse energetiche e minerarie costituisce il primo pilastro delle relazioni tra i due Paesi, il secondo pilastro invece ha natura politica e soprattutto geopolitica. Secondo alcuni analisti, Il Kazakistan e l’influenza statunitense al suo interno farebbero parte della cosiddetta strategia “dell’Anaconda”, un piano attuato per la prima volta dal generale Winfield Scott durante la Guerra Civile Americana e da allora attuato in ambito sia strategico che militare dagli USA in diverse occasioni. In funzione antirussa, il piano consisterebbe nell’accerchiare la Russia con basi e presenze militari nei Paesi con essa confinanti oltre che influenzarne la politica interna ed estera. L’allargamento della NATO nell’Europa orientale, inclusi i Paesi baltici, la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Romania, la Bulgaria e, più recentemente, anche i Balcani occidentali (Albania, Macedonia, Montenegro) ha consentito di creare uno scudo militare attorno alla Russia ai suoi confini occidentali.
Secondo questa strategia l’azione di accerchiamento nei confronti della Russia sarebbe stata estesa anche ai suoi confini meridionali seppur, ad oggi, in quell’area geografica non vi sono state adesione alla NATO – tuttavia alcune delle ex Repubbliche Sovietiche (Ucraina, Georgia, Armenia) si sono politicamente avvicinate all’Occidente, anche a seguito di rivoluzioni colorate. A conferma di quanto suesposto, le dichiarazioni dell’ex Segretario di Stato durante la presidenza di G. Bush, Condoleezza Rice, la quale ha affermato che l’influenza russa non doveva oltrepassare i suoi confini nazionali.
Opinione che ella ha ribadito anche di recente rifiutando il concetto di “sfere di influenza”, concetto che in linea di principio potrebbe anche essere applicabile a Nazioni piccole ma non di certo alle grandi potenze che hanno assoluta necessità di stabilire aree di influenza, non soltanto per finalità geopolitiche ma anche e soprattutto economiche e connesse alla disponibilità di risorse naturali4.
Nel periodo in cui gli Stati Uniti avevano raggiunto l’apice della loro potenza dopo la vittoria della Guerra Fredda, la strategia dell’Anaconda stava avendo successo non solo nei paesi dell’Europa dell’Est entrati nella NATO ma anche nelle ex Repubbliche Sovietiche in Asia centrale incluso il Kazakistan; Paese che ospitava la più grande comunità di etnia russa fuori dalla Russia.
Nella “multinazionale” URSS i russi etnici erano sparsi in tutte le Repubbliche socialiste e con il disfacimento dell’Unione Sovietica si trovarono tutto ad un tratto ad essere stranieri nei Paesi dove erano nati e cresciuti. L’esempio emblematico al riguardo è proprio il Kazakistan, dove nel 1989 vivevano più di 6 milioni di russi etnici e nel 1999 questo numero si era ridotto a circa 4,5 milioni di persone che ancora costituivano il 30% della popolazione kazaka. In un solo anno più di 300.000 russi etnici hanno abbandonato il Paese facendo ritorno in Russia, si trattava principalmente di persone che non erano nate lì ma vi si erano trasferite per motivi di lavoro.
Questa migrazione di contro era molto più complessa per i russi etnici che vivevano da sempre in Kazakistan in prevalenza nel nord del Paese: essi in generale meno istruiti di quelli nati in Russia e con poche relazioni di parentela in quel Paese avevano maggiori difficoltà a trasferirsi nella Federazione russa.
La drastica riduzione della popolazione kazaka di origine russa è stata anche determinata da una scelta politica dell’allora leader kazako Nazarbayev, il quale aveva imposto come lingua ufficiale del Paese esclusivamente il kazako a danno della lingua russa. Questo ha reso difficile la vita ai russi etnici in quanto, mentre in epoca sovietica la lingua de facto dello Stato era il russo e tutti (kazaki e russi etnici) lo parlavano correttamente, così non era per il kazako non molto diffuso nella locale comunità russa.
La sua strategia politica, soprattutto nei difficili anni 90, fu sviluppata in funzione antirussa anche a causa della debolezza di Mosca lacerata da guerre separatiste e conflitti di potere.
L’ascesa al potere di Putin e la contestuale stabilizzazione interna alla Russia hanno determinato un cambio di strategia nella politica di Nazarbayev nei confronti di Mosca. Egli, durante la sua presidenza, ha sempre cercato di barcamenarsi tra le grandi potenze cercando di non inimicarsi nessuno. Il Kazakistan è sempre stato in equilibrio tra le grandi potenze, ma non è mai stato direttamente ostile a Mosca. A riprova di tale affermazione, nel 2014 il Paese, insieme a Bielorussia e Russia, è stato tra i primi firmatari del Trattato sull’Unione economica eurasiatica.
Adesso ci incentreremo sugli interessi russi in Kazakistan: la Federazione Russa in Kazakistan ha sempre svolto un ruolo chiave influenzando tutti gli eventi ivi accorsi. In realtà, gli USA – a parte il puro interesse economico e la citata strategia dell’Anaconda che si propone di circondare la Russia di basi militari e paesi ostili, non hanno mai dato grande rilievo al Kazakistan. Molto più attiva in Kazakistan la Gran Bretagna ma di questo ci occuperemo in seguito.
La forte influenza esercita da Mosca su Nur-Sultan è da ricollegarsi anche al fatto che la più grande ex Repubblica Sovietica ospita la più numerosa comunità di russi etnici, presenti fuori dal territorio russo, che continuano a parlare in russo – attualmente insieme al kazako lingua ufficiale nel Paese dopo l’aggressiva politica linguistica degli anni ’90 a favore della diffusione del kazako; etnia russa che ancor oggi costituisce oltre il 20% della popolazione del Paese.
Quando la situazione in Kazakistan è degenerata nei primi giorni del 2022, pochissimi, se non nessuno, sono stati gli analisti che hanno indicato che la Russia non può permettere a nessun costo di perdere Baikonur, il cosmodromo, fino ad oggi il più grande del mondo, dal quale vengono lanciati i voli spaziali. Baikonur ha lo status di città federale della Russia essendo stata affittata da Mosca fino al 2050 al costo di 115 milioni di dollari l’anno. E nonostante la Russia abbia costruito un nuovo cosmodromo a Vostochny nel suo estremo oriente per ridurre la sua dipendenza da quello di Baikonur, il rinnovo dell’accordo per l’utilizzo dello stesso rimane una priorità per Mosca. Se gli estremisti islamici (coinvolti nella recente rivolta) fossero riusciti a prendere il controllo del Paese, molti dei programmi e delle missioni spaziali russe sarebbero stati esposti ad alto rischio e questo Mosca non se lo può permettere, anche tenuto conto degli ingenti investimenti in programmi e tecnologie spaziali che ha sviluppato negli ultimi anni anche superiori a quelli statunitensi.
È d’uopo evidenziare in tale scenario come la Federazione Russa come qualsiasi altra Potenza ad ogni costo impedirebbe che la sua presenza militare strategica e le sue tecnologie siano messe a rischio o che cadano nelle mani di potenze straniere. Questo è stato il motivo principale per cui Mosca ha annesso la Crimea (dove è presente una base marittima militare strategica) anche a costo di sanzioni da tutto il mondo. Questo è anche uno dei motivi principali per cui la colorata rivoluzione di Minsk non ha avuto successo e la Russia ha dato un sostegno continuo senza il quale c’era una significativa possibilità che Lukashenko venisse detronizzato: la Russia ha basi missilistiche strategiche in Bielorussia e non può permettersi di perderle. Tale è anche Baikonur: i programmi spaziali russi ivi sviluppati danno a Mosca una primazia in ambito spaziale, cui non ha nessuna intenzione di rinunciare.
Certo, l’interesse russo per il Kazakistan non finisce qui e non a caso Nur-Sultan è entrata nell’Unione Economica Eurasiatica nel 2014, in vigore dal 1° gennaio 2015. Questa Unione ha in progetto di creare una moneta unica come l’Euro ma ha già permesso di creare un libero mercato tra gli i Paesi aderenti con politiche comuni in ambito macroeconomico, energetico, di trasporti, agricolo, doganale tra gli altri. Per non parlare degli interessi commerciali tra i due Paesi, la Russia, come suddetto, è un importante mercato per alcune delle materie prime estratte dal Kazakistan come il carbone, allo stesso tempo Mosca sta partecipando alla costruzione di nuove centrali e impianti nucleari kazake. In questo elaborato, ovviamente per necessità di sintesi, non potremo dettagliatamente elencare ed analizzare tutti i vincoli che legano Mosca con Nur-Sultan, ma non possiamo omettere di evidenziarne un ultimo di interesse vitale per la Russia: il rischio di una crescita dell’islamismo fondamentalista ai suoi confini meridionali.
La crescita della radicalizzazione nel confinante Kazakistan non può essere permessa dal Cremlino con il rischio che essa attraversi la frontiera e risvegli e alimenti le mai del tutto domate aspirazioni dei movimenti separatisti islamisti presenti in molte Repubbliche della Federazione (basti pensare alle sanguinose guerre cecene).
Il Kazakistan è un Paese prevalentemente musulmano, ma il suo Islam non è mai stato radicale, ciò è sicuramente dovuto al fatto che la sua società è basata su profonde tradizioni tribali e di clan (il che paradossalmente è anche il caso dell’Afghanistan dove l’appartenenza etnica e tribale è sempre stata prioritaria) e queste tradizioni tribali si scontrano con l’Islam radicale che promuove interessi totalmente diversi e mina l’autorità dei leader tribali.
Ciononostante, negli ultimi anni alcune persone facenti parte della cerchia ristretta di Nazarbayev (soprattutto i suoi nipoti – i fratelli Abish che hanno avuto grande influenza nel Paese) hanno aderito all’Islam radicale e hanno favorito la sua diffusione nelle popolazioni meno istruite e povere del sud kazako. Una radicalizzazione del Kazakistan non può essere tollerata dal Cremlino in quanto potrebbe costituire una base per formare terroristi da utilizzare poi in tentativi di destabilizzazione della sicurezza interna della Federazione.
In questa chiave di lettura potrebbero in parte intendersi le motivazioni alla base dell’intervenuto russo nel conflitto siriano, laddove a fianco degli interessi economici e geopolitici andrebbe dato rilievo anche alla volontà di impedire la diffusione di un islamismo radicale in prossimità delle regioni del Caucaso.
Altra potenza mondiale, che non può permettersi una radicalizzazione dell’Islam kazako è la Cina. Come accennato in precedenza, Pechino convive con continue tensioni con i musulmani nella regione dello Xinjiang (dove vive anche una numerosa comunità kazaka), la diffusione del radicalismo nel confinante Kazakistan avrebbe effetti negativi per gli interessi cinesi nel Xinjiang. Inoltre, la Cina ha grandi interessi economici in Kazakistan sia nel settore energetico che con riguardo all’acquisizione di materi prime; Pechino è il primo importatore di prodotti kazaki, seguito dalla Federazione Russa, dai Paesi Bassi, dall’Italia, ecc., e sebbene negli ultimi anni tale primazia si sia un po’ ridotta, la Cina rimane il principale destino per le esportazione kazake con oltre il 13% del totale (prodotti energetici e minerali, prodotti agricoli quali il grano, olio per alimenti, ecc.). Di contro Pechino è anche uno dei principali Paesi esportatori verso il Kazakistan – il primo è la Federazione Russa con oltre il 30% delle importazioni totali, mentre la Cina rappresenta il 23% delle importazioni per un valore di 9,8 miliardi di dollari secondo i dati del 2019; vale la pena ricordare che in occasione delle restrizioni connesse alla pandemia da covid-19 sono emerse delle criticità nei rapporti bilaterali in quanto la Cina ha ridotto le importazioni di prodotti alimentari provenienti da Astana (Nur-Sultan).5
Il Kazakistan, che vorrebbe diversificare la sua economia fortemente dipendente dall’energia, vede nella Cina un potenziale partner per raggiungere questo obiettivo ma da gennaio a settembre 2021 l’export di cibo in Cina è diminuito del 78% e quello di farina del 91%. La frustrazione delle imprese locali deriva dal fatto che dal momento che il Kazakistan è incluso nella “Belt and Road Initiative (BRI)” con binari e autostrade che attraversano il Kazakistan collegando la Cina con altri Paesi e l’Europa, ma mentre nel citato periodo le esportazioni di cibo kazako verso la Cina sono diminuite drasticamente, i container cinesi che attraversando il Kazakistan hanno raggiunto differenti mercati di consumo finale sono aumentati di un terzo. “Le merci in transito passano e le nostre aspettano al confine” affermano gli uomini d’affari kazaki e nonostante la questione sia stata portata all’attenzione del presidente Tokayev non ha trovato ancora completa soluzione.
Come ha dichiarato a “Eurasianet”6 Yevgeny Karabanov dell’Unione dei produttori di cereali del Kazakistan, “la Cina non considera il Kazakistan un prezioso partner commerciale. Per loro siamo solo un corridoio di transito”. Questa affermazione soltanto il tempo potrà dimostrare se sia fondata, tuttavia stanno sorgendo molti interrogativi nei diversi Paesi attraversati dal BRI se essi saranno soltanto luoghi di transito ovvero trarranno da tale iniziativa effettivi vantaggi per la loro economia.
Ciò che è evidente è che il Kazakistan, a parte che per le relazioni commerciali bilaterali, è estremamente importante per la Cina per l’iniziativa BRI, non a caso il presidente Xi Jinping ha annunciato per la prima volta la creazione della “Cintura economica della Via della seta” all’Università di Nazarbayev in Kazakistan nel settembre 2013, affermando che le tre priorità comuni della BRI in Kazakistan sono “le infrastrutture di trasporto, il commercio e le industrie manifatturiere“. La Cina infatti partecipa a una serie di progetti congiunti nell’ambito di questa iniziativa nei settori dell’energia, dell’estrazione mineraria e della chimica. In tale ambito, un importante progetto è costituto dalla raffineria di petrolio del PetroKazakistan a Shymkent, realizzato congiuntamente dal CNCP cinese e il KazMunaiGas poiché il Paese, sebbene detenga enormi riserve di petrolio, esporta petrolio greggio e importa quello raffinato. Il Kazakistan cerca di utilizzare i fondi cinesi per migliorare le proprie infrastrutture, diversificare la propria economia, esportare più beni dal settore economico secondario e non solo materie prime a basso valore aggiunto e, pertanto, diminuire anche la propria dipendenza dalla Russia.
D’altra parte, la Cina punta a diventare meno dipendente dalle rotte marittime e ad aumentare la sua connessione con le altre regioni dell’Eurasia, con destinazione finale il grande mercato dell’UE. I progetti energetici e logistici sono connessi con quelli infrastrutturali in quanto lo scopo della Cina è costruire l’infrastruttura in considerazione dei campi di esplorazione, raffinerie, terminal, per rendere, in seguito, più semplice il trasporto di merci e risorse naturali. Il Kazakistan è la porta dell’Asia centrale e il punto di collegamento tra Cina, Russia ed Europa.
Nella mappa di seguito è riportato come si sviluppa la BRI incentrandosi sul Kazakistan7:
Questa mappa ci consente di evidenziare l’importanza delle relazioni bilaterali tra Astana e Pechino pur tuttavia vi sono anche delle forti criticità all’interno delle relazioni sino-kazake, prima fra tutte la presenza di una numerosa comunità di kazaki di religione musulmana nella provincia cinese dello Xinjiang che nel 2018 è stata rinchiusa in campi di rieducazione ed alcuni dei cui membri sono riusciti a fuggire in Kazakistan. Ulteriore elemento di disaccordo è il ruolo sbilanciato nelle relazioni bilaterali laddove Nur-Sultan è preoccupata che la Cina faccia la parte del leone utilizzando il Kazakistan principalmente come corridoio di trasporto per i propri prodotti destinati al mercato europeo. Alcuni analisti sostengono, inoltre, che la crescente influenza cinese nel Paese potrebbe inevitabilmente portare a delle forti frizioni tra Pechino e Mosca. I leader kazaki da parte loro hanno sempre utilizzato le relazioni economiche e infrastrutturali con la Cina per guadagnare peso nelle loro relazioni con altri partner, ad esempio con la Russia. E nonostante la proclamata politica cinese di non ingerenza geopolitica all’estero, con riguardo ai recenti accadimenti kazaki, la Cina ne ha condannato l’ingerenza straniera e il ministro degli Esteri Wong Yi ha descritto le proteste antigovernative come “terrorismo” offrendo il proprio sostegno. È certo che, pur non interferendo direttamente, in quanto “la Cina preferisce costruire basi economiche mentre gli Stati Uniti basi militari”, è certo che la Cina non permetterà un governo ostile o un Islam radicale in un Paese dal quale passano molti dei suoi progetti energetici e infrastrutturali e dal quale provengono ingenti quantità di risorse naturali delle quali la sua industria è affamata. Allo stesso tempo la dipendenza economica del Kazakistan da Pechino non è sufficiente ad eliminare i problemi tra questi due Paesi: i diritti dell’etnia kazaka in Cina, l’eccessiva influenza economica cinese in Kazakistan e la posizione ad esso assegnata nelle relazioni sino-kazake. Se il beneficio economico per Astana si riducesse nell’ambito dell’iniziativa BRI, così come si è verificato durante le restrizioni alle sue esportazioni di alimenti verso Pechino in epoca pandemica, di certo aumenterà la tensione tra i due Paesi causando proteste interne kazake contro l’eccessiva presenza cinese nel Paese.
Infine, dobbiamo analizzare gli interessi della Gran Bretagna e della Turchia in Kazakistan, li studieremo congiuntamente in quanto in loco la loro strategia potrebbe coincidere: il piano del “Grande Turano”.
Va qui menzionato che la presenza della Gran Bretagna nell’intera regione è datata nei secoli e Londra ha molta più familiarità di Washington con le specificità della regione e ancora ritiene, basandosi sull’eredità storica, che dovrebbe svolgere un suo ruolo importante negli attuali accadimenti. Dovremmo solo menzionare qui che il “Great Game” come definizione che arriva a definire il confronto politico e diplomatico tra la Gran Bretagna e l’Impero russo in Asia centrale durante il XIX secolo. Questo confronto è passato attraverso la prima guerra anglo-afgana, la seconda guerra anglo-afgana e l’accordo anglo-russo del 1907. Paesi come l’Afghanistan e il Pakistan, che includono una pluralità di tribù ed etnie nonchè tribù tra loro totalmente diverse, sono stati fondati in quel contesto e molte delle attuali dispute sono il risultato di quel “gioco” e di quegli accordi fatti a tavolino dalle grandi potenze dell’epoca a scapito dei popoli che abitavano e abitano quei territori.
Sebbene ufficialmente non più presente nella regione, la Gran Bretagna non ha perso affatto il suo interesse per le questioni locali, magari “sfruttando” la locale strategia della Turchia. Tony Blair, l’ex influente primo ministro britannico era un consigliere di Nazarbayev, parte della cui famiglia ha vissuto, studiato e possiede proprietà e fondi nel Regno Unito. Inoltre, la legge inglese è diventata un gold standard in Kazakistan, laddove la su normativa civile in materia di contenzioso e arbitrato è stata implementata sulla base di quella britannica, inoltre nel 2010 è stata istituita un’associazione di diritto britannico-kazako.
La strategia del “Grande Turano” consiste sinteticamente nel creare un’unità delle “nazioni turche” basata sulla loro vicinanza linguistica, culturale e religiosa sviluppata dalla Turchia che rivendica un ruolo di leader del mondo turco. I più importanti gruppi etnici di lingua turca includono turchi, azeri, kazaki, uzbeki, turkmeni, kirghisi, uiguri e comprendono anche importanti minoranze residenti in Cina e soprattutto nella Federazione Russa. Oggi le Nazioni sono unite in un’organizzazione denominata Organizzazione degli Stati Turchi (ex Consiglio Turco). L’organizzazione è stata proposta per la prima volta nel 2006 esattamente dal presidente Nazarbayev per promuovere la cooperazione tra gli stati di lingua turca ed è stata ufficialmente fondata nel 2009. La popolazione totale di questi Paesi supera i 160 milioni di persone e il loro prodotto interno lordo è superiore a un trilione di dollari. Nel 2012 l’organizzazione ha adottato la sua bandiera e nel 2019 anche l’Uzbekistan ne è diventato membro, infine nel 2021 il Turkmenistan ha ottenuto lo status di membro osservatore. Un aspetto interessante è che dal 2018 anche l’Ungheria (..) è un Paese osservatore e che già potrebbe richiedere la piena adesione all’organizzazione.
Le ragioni ufficiali indicate da Orban alla base di questa decisione durante la riunione del 2018 dell’Organizzazione degli stati turchi sono che: “gli ungheresi si considerano discendenti tardivi di Attila, di origine unno-turca, e l’ungherese è un parente delle lingue turche”8.
Tuttavia, l’ungherese appartiene alla famiglia delle lingue uraliche insieme al finlandese, all’estone, al sami e ad altre. Le vere motivazioni alla base dell’adesione di Budapest a questa organizzazione andrebbero semmai ricercate nella prospettiva di grandi vantaggi economici che il leader ungherese attribuirebbe ad un accesso privilegiato verso il mercato delle Nazioni turche. In tale direzione, l’Ungheria si serve della sua adesione all’UE per offrire borse di studio agli studenti di questi Paesi, scambi culturali, ecc.
Di seguito, la mappa degli Stati membri di questa organizzazione con in azzurro i Paesi osservatori. Un dettaglio interessante è che anche l’Ucraina ha richiesto di aderire all’organizzazione poiché la penisola di Crimea – annessa dalla Federazione Russa (…), ha una popolazione di circa 250.000 tartari che parlano una lingua turca.
Importante evidenziare come le comunità che parlano una lingua turca eccedano il “territorio” dell’organizzazione in parola, vedasi la mappa di seguito:
Come sottolineato, in Russia sono presenti numerosi gruppi etnici di lingua turca come i tartari ma anche i tofalari, gli altaiani, i tartari siberiani, ecc. Una notevole presenza di etnie turche risiede anche in Cina come emerge dalla suddetta mappa.
L’organizzazione degli Stati turchi ha già istituito un fondo di investimento di 500 milioni di dollari per rafforzare le relazioni economiche tra gli Stati membri. Ha anche un motto: “Insieme siamo più forti” e ha una serie di organismi e organizzazioni affiliate come l’Assemblea parlamentare dei Paesi di lingua turca (TURKPA), l’Organizzazione internazionale della cultura turca (TURKSOY), l’Accademia turca internazionale, la Turkic Business School, il Turkic Cultural Heritage Fund e altri.
L’organizzazione mantiene stretti rapporti anche con quella per la cooperazione islamica – l’ultimo incontro tra rispettivi Segretari generali tenutosi il 17 gennaio 2022 a Jeddah. È interessante notare che, come scopi e compiti principali di questa organizzazione, insieme alla cooperazione culturale, all’interazione nei campi della scienza, della cultura, dello sport e del turismo, sono lo sviluppo di posizioni comuni su questioni di politica estera e la promozione dello scambio di informazione e potenziamento della cooperazione legale.
Tutte queste informazioni riguardanti l’OTC sono importanti da segnalare in quanto costituiscono la base organizzativa del turanesimo. Sebbene si possano trovare poche informazioni su questo argomento, la creazione di OTC con il concetto di unire le Nazioni turche ha esattamente questa idea, denominata in modo diverso, ed inizia a essere messa in pratica. D’altronde, ciò emerge dall’analisi dei fatti: la Turchia è stato il primo Stato in assoluto a riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche dell’Asia centrale dopo la dissoluzione dell’URSS. Inoltre, Ankara ha dato sostegno unanime all’Azerbaigian, incluso quello militare, nel recente conflitto tra Baku e l’Armenia.
Non vi sono prove ufficiali al chè dietro questa strategia turca si nasconda qualche potenza occidentale, anche se sui media russi alcuni analisti lo affermano. Di certo la Gran Bretagna ha interessi storici nella regione, molto più che gli USA, e sicuramente un’unità turca potrebbe giovarle come contraltare all’influenza regionale di Cina e Russia che sicuramente non le sono favorevoli. Interessante anche ricordare che Richard Moore, attuale direttore dell’MI6 inglese, era ambasciatore in Turchia, per non nominare Pakistan, Iran, ecc. e conosce molto bene la regione, così come conosceva l’area anche il suo predecessore Sir Alexander Younger, anch’egli ex ambasciatore in Afghanistan e in Medio Oriente, il che’ dimostra l’importanza che Londra attribuisce a questa parte del mondo.
La famiglia Nazarbayev, come suddetto, è sempre stata molto legata al Regno Unito. In Inghilterra si è investigato sull’origine della ricchezza della figlia maggiore di Nazarbayev, Dariga, con la richiesta di giustificare l’origine del denaro utilizza per l’acquisto di proprietà del valore di 80 milioni di sterline, ma l’Alta Corte del Regno Unito non ha trovato prove sufficienti per dichiarare che il patrimonio attenzionato dalle Autorità fosse il tentativo di riciclare denaro di provenienza illecita.
In conclusione tutti questi dettagli, analizzati nel loro complesso, evidenziano come il Kazakistan ricchissimo di risorse naturali, deve far fronte a problemi interni di difficile soluzione e contraddizioni che, secondo il famoso storico russo Andrey Fursov, non finiranno con l’attenuarsi della rivolta scoppiata all’inizio di gennaio. Soltanto la rapidissima reazione della CSTO, che in 12 ore si è radunata ed ha deciso di inviare truppe in Kazakistan, lo ha probabilmente salvato da prolungate tensioni, violenze e verosimilmente da una guerra civile poiché era evidente che molti vertici dei servizi di sicurezza erano fedeli a Nazarbayev, capi che si sono rifiutati di seguire gli ordini di Tokayev e avrebbero collaborato con i manifestanti armati. Solo la rapida reazione della CSTO ha demotivato i rivoltosi ed ha permesso al presidente di far arrestate o di sostituire i capi dei servizi vicini a Nazarbayev.
Fursov afferma che le contraddizioni emergono a tutti i livelli nella società kazaka, tensioni presenti anche all’interno dello stesso clan Nazarbayev, e sono diventate molto evidenti quando lui si è formalmente ritirato dalla politica; differenze anche tra le regioni del Paese, tra gli stessi Zhu, tra i ricchi e le classi meni abbienti della società kazaka e anche tra queste ultime. Lo storico afferma anche che questo è il risultato del fatto che negli ultimi 30 anni non è stato creato nulla di sostanziale per il popolo e la società kazaka, archiviata l’eredità sovietica nulla o quasi è stato fatto per costruire una vera coscienza kazaka.
L’analista bulgaro Boyan Chukov afferma che l’ingresso delle truppe della CSTO in Kazakistan è stato un chiaro segnale della fine delle rivoluzioni colorate nei Paesi confinanti con la Russia.9
Tutto quanto suesposto evidenzia che il potenzialmente ricchissimo Kazakistan è stato attraversato dai recenti tumulti violenti sia a causa di eventi esogeni che endogeni.
Il Paese è pieno di contrasti irrisolti tra i diversi clan e tra le classi sociali. Una conseguenza certa che emerge dai recenti eventi è il fatto che Nazarbayev e la sua famiglia sono stati rimossi dal trono che avevano occupato negli ultimi tre decenni. Gli avvenimenti hanno dimostrato come Nazarbayev (e il suo clan) nonostante fosse stato dichiarato Elbasy “Padre della Nazione” e fossero stati costruiti in suo tributo monumenti era odiato da gran parte della popolazione kazaka, risentimento che prima non era stato manifestato a causa del timore della reazione dei suoi sodali. Tuttavia, la perdita di potere del clan Nazarbayev, che verosimilmente manterrà comunque una certa influenza sul Paese, aprirà un vuoto che dovrà essere riempito e, come ha di recente dichiarato il presidente Tokayev, si dovrà necessariamente procedere con una distribuzione più equa della ricchezza nazionale. L’attuale presidente ha il difficile compito di raggiungere questo obiettivo, prendendo in considerazione le specificità tribali, etniche e i Zhus e bilanciandole tra di loro.
Di certo anche attori esterni hanno giocato un ruolo importante nella recente rivolta kazaka, in tale direzioni sia il presidente Tokayev che Russia e Cina hanno dichiarato che il Paese è stato attaccato da terroristi stranieri e che i disordini e le violenze sono stati organizzati dall’estero. L’equilibrismo politico di Nazarbayev posto in essere al fine di mantenere il proprio potere ha messo il Paese in una difficile posizione.
Il Kazakistan, integrato nell’Unione Eurasiatica e nella CSTO con la presenza di interessi e obiettivi strategici russi (solo per citare il cosmodromo Baikonur), allo stesso tempo strettamente integrato nell’iniziativa BRI e nelle relazioni commerciali con la Cina, ma che ha anche stretti rapporti con la Gran Bretagna ed è parte del Organizzazione degli Stati turchi, cerca di trovare un equilibrio tra poteri che diventano sempre più contrapposti e ostili tra di loro. Ogni soggetto esterno ha la sua rappresentanza di interessi all’interno dell’élite politica ed economica kazaka e ciò potrebbe creare ulteriore divisione all’interno del Paese.
Una cosa è certa: il Kazakistan si è al momento salvato dalla guerra civile e dall’instabilità interna, ma le circostanze geopolitiche sono cambiate così tanto che il Paese non sarà più in grado di trovare un equilibrio tra tutti i diversi attori che si contendono le sue ricchezze e non solo. Il futuro posizionamento di Astana nello scacchiere geopolitico regionale dipenderà probabilmente dalla nuova strategia nei rapporti politici ed economici internazionali che si svilupperà dopo la conclusione di questa fase pandemica e non potrà non tener conto del recupero di interesse degli Stati Uniti nella regione. Le contraddizioni, le divisioni, i contrasti interni, le divergenze di interessi tra le diverse potenze, che durante il “regno” di Nazarbayev hanno prosperato nel Paese, potrebbero, in assenza di una definita scelta geopolitica di Astana, porre anche a rischio l’integrità del Kazakistan.
1 Zhuz tradotti anche come “orde” sono divisioni territoriali e tribali nella pianura di Kipchak dove oggi si trova principalmente lo stato del Kazakistan. Questa divisione risale ai tempi dell’Orda d’Oro e la suddivisione in Zhuz fino ad oggi rappresenta la principale divisione tribale nei gruppi etnici del Paese.
2 Si ritiene che 1,6 milioni di kazaki etnici vivano nella regione a maggioranza musulmana dello Xinjiang in Cina. Inoltre, kazaki e i kirghisi sono imparentati linguisticamente e culturalmente con gli uiguri. La Cina conquistò per la prima volta parti della regione nel 18° secolo e nel 19° secolo la dinastia Qing la incorporò completamente con la conquista del Turkistan orientale.
3 Al Jazeera, 11.01.2021 : https://www.aljazeera.com/news/2022/1/11/a-game-of-thrones-in-kazakhstan-reflects-a-centuries-old-clan-r
4 Available at: https://www.heraldnet.com/opinion/comment-west-is-right-to-deny-russia-a-sphere-of-influence/
5 https://oec.world/en/profile/country/kaz
6 Articolo e informazione su : https://eurasianet.org/kazakh-food-exports-to-china-plummet
7 fonte: Linn and Zucker 2019, p. 2 and the report “The Belt and Road Initiative in Kazakhstan: Does the Geopolitics of China´s outward investments put the brakes on decarbonisation”, Daria Ivleva, Berlin January 2021, available at https://www.mistra-geopolitics.se/wp-content/uploads/2018/06/Mistra-Geopolitics-adelphi_Report_BRI-China-Decarbonisation-in-Kazakhstan_final.pdf
8 TRT World available at: https://cms.trtworld.com/magazine/are-hungarians-a-turkic-nation-54049
9 Pogled.info, 20th January 2022, available at: https://www.youtube.com/watch?v=tHQibxrLDVg&t=142s
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