di Omar Kamal Othman Khalifa
Il presente articolo analizza il passaggio dell’Egitto da una politica orientata alle questioni domestiche ad una caratterizzata dal ritorno al centro della scena diplomatica regionale. Vengono quindi passati in rassegna i principali passi di questa politica, passando dalla questione energetica del Mediterraneo ai vari rapporti con importanti Paesi quali Israele, Libia, Turchia, Iraq e Giordania, accennando anche al rapporto sempre più difficoltoso con gli Emirati.
I motivi di un ritorno
Dalla deposizione di Hosni Mubarak, che vide la sua dittatura sgretolarsi sull’onda dell’entusiasmo di una primavera araba che dalla Tunisia si propagò sino all’Egitto nel 2011, il Paese dei Faraoni decise di inaugurare un periodo di politica rivolta maggiormente alla delicate questioni interne, ritirandosi di fatto dalla scena diplomatica regionale ed internazionale.
La caduta della Fratellanza Musulmana nel 2013 è stato un periodo di profonda turbolenza politica e sociale, e i primi anni dell’era Al-Sisi si caratterizzarono per una situazione economica piuttosto precaria, all’insegna dell’alta inflazione, di una disoccupazione giovanile e femminile dilagante, di un tasso del debito pubblico sul Pil in costante ascesa, di un tasso di povertà drammaticamente alto, e di settori chiave come educazione, sanità e protezione sociale che non venivano finanziati sufficientemente, lasciando la popolazione in una situazione di povertà e malessere. La stagione di riforme macroeconomiche inaugurata nel 2016, in collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale, non ha di certo risolto tutte queste problematiche, ma è servita perlomeno a dare al Paese delle prospettive economiche positive. Grazie allo sganciamento della lira egiziana dal tasso fisso, al consolidamento fiscale, al contenimento del salario pubblico e al netto taglio dei sussidi energetici – basti pensare che nel 2013 questi rappresentavano il 22% della spesa governativa annuale – l’Egitto ha potuto beneficiare dell’inflazione in continua discesa, dell’apprezzamento della lira egiziana sul dollaro, e della costante crescita del Pil, che dal 2018 si è attestata ad oltre il 5%, fatta eccezione per lo scorso anno e quello corrente, i quali hanno registrato una crescita 3.6% del 2020 e il 3.3% del 2021, che è rallentata a causa della pandemia, mantenendo comunque sempre un trend positivo.
Sebbene con ancora molte ombre, prima fra tutte gli standard di vita di una popolazione che ancora lotta per assicurarsi una vita dignitosa, l’Egitto ha comunque beneficiato di questo suo momentum macroeconomico positivo per cambiare la direzione della sua politica da qualche anno a questa parte e il Governo del Cairo ha rimesso in primo piano la politica estera, rivolgendosi soprattutto ai rapporti regionali con i propri vicini. Passando dalla cooperazione energetica per lo sfruttamento delle risorse del Mediterraneo, ad una politica di distensione con molti dei Paesi limitrofi, negli ultimi anni l’Egitto è riuscito a spostare l’asset geopolitico regionale verso di sé.
-La questione energetica nel Mediterraneo
Tra il 2009 e il 2018, all’incrocio tra le acque territoriali cipriote, israeliane ed egiziane sono stati scoperti svariati giacimenti gasiferi, che hanno dato il via ad una disputa regionale sul controllo delle Zee del Mediterraneo (zone economiche esclusive, ossia l’area marittima che uno Stato può considerare propria e usare in modo esclusivo per fini economici), nonché ad una corsa alle esplorazioni. Questi avvenimenti hanno visto principalmente contrapposti Egitto, Israele, Cipro e Grecia da una parte, e Turchia dall’altra. Ankara, visto il suo ruolo esclusivo di partner energetico con l’Europa, grazie ai gasdotti provenienti dall’est, ha sempre goduto di una posizione molto forte nel campo energetico; questi Paesi vedono dunque la Turchia come un competitor geopolitico da limitare ed emarginare, tenuto conto anche della politica estera assertiva che Erdogan va applicando da anni, col fine di estendere il controllo geopolitico turco dal Caucaso fino al Mar Rosso.
L’Egitto, a seguito di questi ritrovamenti gasiferi nel Mediterraneo, primo fra tutti l’importante scoperta del giacimento di Zohr nel 2015, si è posto come chiaro obiettivo quello di diventare un fulcro energetico regionale e di diventare un esportatore di energia, sia verso i Paesi limitrofi che verso l’Europa. In quest’ambito, il traguardo più importante di tutti è la formazione dell’East Mediterranean Gas Forum (EMGF), formatosi nel 2019 dietro la forte spinta di Egitto e Israele e divenuto poi organizzazione internazionale. L’EMGF vede tra i suoi membri Egitto, Israele, Cipro, Grecia, Autorità Palestinese, Giordania e Italia, con la Turchia come grande esclusa. L’organizzazione infatti ha l’obiettivo di riunire i paesi rivieraschi del Mediterraneo Orientale e di favorire una cooperazione intraregionale per lo sfruttamento dei giacimenti di gas, che verrebbe poi esportato nei Paesi limitrofi tramite gli impianti di liquefazione del gas presenti sulle coste egiziane e la costruzione di cavi sottomarini che collegherebbero il Mediterraneo Orientale con l’Europa.
Questo forum ha chiaramente una funzione antiturca. Ankara infatti vede quest’organizzazione con preoccupazione per tre motivi: anzitutto, con questo accordo tra tutti gli altri Paesi rivieraschi, si vedrebbe esclusa dai giochi geopolitici per lo sfruttamento dell’area, il che comporterebbe l’impossibilità ad accedere ad alcun tipo di negoziazione per quanto riguarda le Zee, che sono attualmente rette soprattutto da accordi bilaterali tra i vari Stati dell’area. Nonostante stia tentando in vari modi di proporre una rilettura degli accordi, come l’accordo sulle zee del 2019 stipulato con la Libia o le varie ‘incursioni’ turche nelle zee greche e cipriote, questi suoi tentativi di rivendicazione hanno trovato scarso sbocco visto l’ostruzionismo politico regionale.
In secondo luogo, la Turchia è un grande importatore di energia, ogni anno importa il 75% del suo fabbisogno energetico da Russia, Iran e Iraq, fattore logorante dal punto di vista economico; l’impossibilità di accedere alle risorse gasifere del Mediterraneo diventa quindi ancora più grave.
Infine, la creazione dell’EMGF potrebbe mettere in futuro a rischio il ruolo esclusivo della Turchia come fornitore di gas per il mercato europeo.
Visti questi fattori, è presto detto il motivo delle agitazioni di Ankara.
Al di là di questo accordo di massima importanza, la fitta rete di accordi e negoziati energetici dell’Egitto non finisce qui. Il Cairo, vista la relativa bassa domanda di gas del mercato europeo, ha deciso da tempo di investire anche sul settore green come fattore di propulsione delle sue esportazioni. A tal proposito, non si può fare riferimento alla centrale di Benban, una delle più grandi centrali solari al mondo con oltre trenta chilometri quadrati di area. Questa grande produzione solare ha consentito all’Egitto di disporre di un gran quantitativo di energia elettrica “verde” da poter esportare. Nel mese di ottobre, Il Cairo, Atene e Nicosia hanno stipulato un importante accordo che connetterà le loro reti elettriche, così da collegare l’Egitto con il mercato europeo nel prossimo futuro. L’accordo arriva dopo la firma del progetto tecnico che prevede la costruzione di un cavo sottomarino di oltre 1400 chilometri, consentendo un flusso di oltre 2 gigawatts. Sarà il primo collegamento di questo tipo tra Europa e Nord Africa.
-I rapporti con i vicini regionali
La politica estera egiziana ha fatto perno anche su una politica di consenso legata ad un’intensa attività diplomatica, ricerca della stabilità e sicurezza trans-regionali, e lotta al terrorismo.
I rapporti tra Egitto e Israele sono più che consolidati. I due Paesi sono infatti legati da vari accordi energetici, di sicurezza e di cooperazione. L’accordo decennale di fornitura di gas stipulato nel 2018, che fornirà all’Egitto 64 miliardi di metri cubi di gas, è l’accordo energetico più importante tra i due Paesi. Sul piano della sicurezza, entrambi hanno un nemico in comune, Hamas. Da parte egiziana, Hamas sarebbe reo di favorire le attività di milizie e varie organizzazioni terroristiche nel Sinai, rendendo la penisola una delle regioni più instabili dell’Egitto. I rapporti si sono riallacciati anche sul fronte del turismo, con Egyptair, la compagnia di bandiera egiziana, che ha ricominciato a operare i voli tra i due Paesi da inizio ottobre. Il Paese dei Faraoni ha infine asserito il suo ruolo di primo piano con Israele a maggio scorso, in occasione del cessate il fuoco avvenuto tra Hamas e Tel Aviv. Questa tregua si è avuta in gran parte grazie all’intensa attività diplomatica dell’Egitto, che ha saputo porsi come interlocutore di entrambe le parti, lavorando per un accordo che li potesse mettere al tavolo dei negoziati. Tale successo è valso un ampio plauso internazionale e prestigio regionale ad Al-Sisi, che con questa mossa è riuscito a riavvicinarsi di molto agli Stati Uniti di Biden, affermandosi nel ruolo di mediatore regionale, capace di disinnescare potenziali conflitti regionali. Per sincerarsi del rispetto degli accordi, l’Egitto ha inviato due delegazioni in Israele e Palestina, promettendo persino un ingente aiuto economico nella ricostruzione di Gaza, bombardata pesantemente negli undici giorni di conflitto.
Per quanto riguarda la questione libica, nell’ultimo anno la strategia egiziana ha cambiato decisamente posizione, passando da una soluzione militare a supporto di Haftar, ad una soluzione di dialogo, supportando il processo politico e forgiando relazioni diplomatiche tra le parti. L’Egitto si è infatti smarcato dall’appoggio al generale Haftar e ha cominciato a favorire marcatamente il Governo di Unità libico, costituitosi a febbraio e supportato anche dalla Turchia. Del resto, Haftar era soprattutto l’uomo forte degli Emirati e dell’Arabia Saudita, che vedevano in lui il contrappeso all’influenza turca e alla Fratellanza Musulmana nella zona. L’Egitto si limitava ad appoggiarlo più per subordinazione politica ai due Paesi del Golfo che per convinzione propria, ma gli assetti geopolitici sembrano cambiati e chiaro è l’intento egiziano di proporre una politica estera più indipendente. Il Cairo ha ormai escluso ogni possibile conquista armata di Tripoli da parte di Haftar. A dimostrazione della volontà egiziana al dialogo, a metà febbraio una delegazione egiziana si è recata in visita a Tripoli (sotto controllo turco) per discutere la riapertura del servizio consolare. Erano passati sei anni dall’ultima visita. Chiaramente, la priorità per l’Egitto è quello di stabilizzare il Paese, che rappresenta un importante fattore di sicurezza interna per Il Cairo.
Il fattore libico è doppiamente importante perché potrebbe determinare anche futuri sviluppi nei rapporti tra Egitto e Turchia. Questi due Paesi, sono competitor geopolitici per eccellenza, soprattutto dalla salita al potere di Al-Sisi il quale ha destituito e messo al bando la Fratellanza Musulmana, fazione politica molto vicina alla Turchia. Nonostante le mosse egiziane si siano ispirate soprattutto a ridurre e marginalizzare il ruolo turco nell’area, una ripresa dei rapporti diplomatici e una successiva normalizzazione tra queste due forze non è da escludere, sebbene sia ancora molto difficile. Difatti sia la composizione del GNU e sia la fine dell’embargo qatariota da parte dei paesi del Golfo potrebbe portare ad un cambiamento degli equilibri geopolitici. Per quanto riguarda la prima questione, il GNU potrebbe essere la chiave di volta per mettere d’accordo le politiche egiziane e turche nel conflitto libico. Ciononostante, l’Egitto ha posto dei chiari paletti a riguardo; per una completa riappacificazione, pretende il ritiro dei mercenari siriani e dei consiglieri militari turchi dalla Tripolitania. La questione è ancora in bilico. Non è ancora dato sapere se la Turchia cederà la sua posizione nella regione al GNU; quel che è certo è che l’Egitto non potrà permettersi alcuna pacificazione della Libia con un governo a guida Fratellanza Musulmana.
La seconda questione è parimenti importante, poiché la normalizzazione del Qatar con il mondo arabo potrebbe facilitare la ripresa dei rapporti proprio con la Turchia, dal momento che l’alleanza turco-qatariota è molto stretta. Gli sforzi per un percorso di dialogo e cooperazione turco-egiziani si sono visti da entrambe le parti: l’Egitto ha avviato, nel marzo scorso, attività di esplorazione di giacimenti gasiferi nel Mediterraneo rispettando implicitamente la delimitazione delle zee così come è stata stabilita nell’accordo tra Turchia e Libia del 2019, e la Turchia da canto suo ha censurato emittenti televisive nazionali che riportavano da anni pesanti critiche verso Al-Sisi e il suo regime. Le delegazioni turche ed egiziane hanno anche tenuto un incontro a maggio scorso per portare avanti la normalizzazione delle loro relazioni, però rimangono ancora molti punti critici da risolvere. Quel che sembra certo, è che una riappacificazione tra i due porterebbe benefici a entrambi: alla Turchia servirebbe a uscire da questa sorta di isolamento politico regionale, e poter far parte della partita riguardante i giacimenti di gas del Mediterraneo; all’Egitto porterebbe un nuovo partner politico di spessore, utile ora più che mai vista la normalizzazione dei rapporti che Israele sta avendo con sempre più Paesi arabi, primi fra tutti gli Emirati, i quali vedendo Israele come una nuova e fruttuosa opportunità commerciale, potrebbero bypassare il canale di Suez e utilizzare Israele come ponte per portare il petrolio del Golfo in Europa, mettendo così in secondo piano l’Egitto quale partner commerciale e ricevente di infrastrutture chiave a collegamento del Golfo con il Mediterraneo.
Alla luce di questi fatti, per rafforzare ulteriormente la sua posizione, l’Egitto ha stretto accordi di partenariato economico e cooperazione politica e di sicurezza con Iraq e Giordania nel giugno scorso, che prevedono anche la costruzione di un oleodotto che dall’Iraq arriverà in Giordania ed Egitto.
-Cosa aspettarsi dall’Egitto nel prossimo futuro?
L’annuncio dell’Egitto come prossimo Paese ospitante del Cop27 dell’anno prossimo è la chiara dimostrazione che Il Cairo sta procedendo sulla giusta strada per riaffermare il suo prestigio sul piano internazionale.
L’Egitto ha una forte volontà di tornare ad esprimere una politica estera che sia propria e indipendente. Questo desiderio si tradurrà presumibilmente in un attenuamento della subordinazione della sua politica estera da quella dei suoi alleati economico-politici Arabia Saudita ed Emirati, soprattutto alla luce delle vicende del GERD e della Libia, che hanno fatto capire al Cairo che gli scopi geopolitici dei due Paesi del Golfo possono spesso non tenere conto delle sue esigenze e metterlo persino a rischio. Perciò alleati sì, ma con le dovute distanze.
Per quanto riguarda l’area mediterranea, l’intensificarsi degli accordi e le ottime relazioni instaurate con la maggior parte dei vicini regionali faranno in modo che l’Egitto si ritaglierà sempre più uno spazio prominente, e questo favorirà il suo sviluppo dell’export, un obiettivo che sta molto a cuore al Governo egiziano. Gli accordi sul piano energetico dovrebbero essere un fattore trainante per la sua economia ancora per molti versi deficitaria.
Omar Kamal Othman Khalifa (Roma 1992)
è laureato in Cooperazione e Sviluppo internazionale presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza.
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