di Giacomo Leccese
Con il presidential statement del 15 settembre, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha esortato Egitto, Etiopia e Sudan a riprendere i colloqui, mediati dall’Unione Africana (UA), riguardo il riempimento e il funzionamento della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), la diga etiope in costruzione sul Nilo Azzurro, che da dieci anni ormai alimenta una controversia tra i tre paesi africani sullo sfruttamento delle acque del Nilo.
Le ragioni dietro la controversia
Etiopia
Il progetto di costruzione della GERD, dal costo di circa 4,6 miliardi di dollari e che al termine dei lavori sarà il più grande sistema idroelettrico africano, è stato lanciato nel 2011 e risponde a diverse esigenze di politica interna ed estera dell’Etiopia.
La volontà principale è quella di sfruttare maggiormente le acque del Nilo: infatti, queste derivano per l’86% dalle alture etiopi, ma nel 2014 l’Etiopia aveva sviluppato meno del 3% della sua potenziale forza idrica e circa l’80% della popolazione non aveva accesso all’elettricità.i
La GERD risponde proprio a questa necessità perché produrrà circa 6000 megawatt di elettricità e questo da un lato permetterà di soddisfare il fabbisogno etiope, con il National Electrification Program che punta al 100% di elettrificazione entro il 2025, e dall’altro consentirà di esportare energia all’estero, con entrate annuali previste per circa 2 miliardi di dollari.ii
Questa produzione di energia a basso costo, inoltre, è strettamente legata alle strategie di sviluppo economico del paese e, secondo i piani iniziali, avrebbe dovuto sostenere il processo d’industrializzazione interno, così da trasformare l’Etiopia in una realtà a medio reddito entro il 2025.iii
Lo stesso ex Primo Ministro Meles Zenawi, al tempo della cerimonia di inizio dei lavori, dichiarò che la diga avrebbe giocato un ruolo decisivo nello sradicamento della povertà nel paese.iv
La costruzione della diga, infine, veste un’importanza cruciale anche in politica estera: infatti, l’Etiopia ha sempre visto gli svantaggiosi trattati sulla gestione delle acque del Nilo, siglati con le potenze coloniali e con l’Egitto, come l’espressione di una subordinazione del Paese agli attori esterni e, dunque, la costruzione della GERD costituisce per il popolo etiope una sorta di riscatto nazionale.
Inoltre, il progetto idroelettrico alimenta le ambizioni etiopi di acquisire sempre più influenza regionale e porsi come potenza egemone del Corno d’Africa. Non è un caso, infatti, che il progetto sia stato lanciato proprio nel 2011, quando la principale protagonista dell’idro-politica regionale, l’Egitto, era indebolita dai risvolti interni successivi alle Primavere Arabe.v
Egitto
Proprio l’Egitto è stato l’attore maggiormente coinvolto dalla decisione etiope di costruire la diga sul Nilo Azzurro.
Questo non è dovuto soltanto a un discorso di influenza regionale, ma più che altro alle caratteristiche geografiche egiziane.
L’Egitto è dipendente al 98% dalle acque provenienti dall’esterovi e, dunque, essendo a valle rispetto all’Etiopia, verrebbe fortemente impattato dalla costruzione della GERD. Il fiume, infatti, riveste e ha sempre rivestito un’importanza cruciale nella vita economica e sociale egiziana tanto che lo storico greco Erodoto, nel V secolo a.C., definì l’Egitto un “dono del Nilo”, che inonda e rende fertili le sue terre e senza il quale il paese sarebbe solo una distesa di sabbia, rocce e vento.vii
Questa centralità è visibile tutt’oggi se si guarda la cartina dell’Egitto, dove la maggior parte delle principali città del Paese sono distribuite lungo il fiume. Subito dopo il lancio del progetto etiope, l’Egitto ha, dunque, chiesto la costituzione di un comitato per valutare l’impatto negativo della diga sugli stati a valle, e il Ministero dell’Irrigazione ha dichiarato che il Paese avrebbe perso, a causa della GERD, tra il 20 e il 30% della sua quota sulle acque del Nilo.
Storicamente Egitto ed Etiopia non hanno mai realmente collaborato riguardo la gestione delle acque del Nilo come dimostrano i due trattati, siglati dal Cairo con Regno Unito e Sudan nel 1929 e nel 1959, imposti unilateralmente ad Addis Abeba, ma anche il veto egiziano alla Nile Biasin Initiative (NBI), che invece era stata firmata da sei Stati a monte del fiume, tra cui l’Etiopia. Questa mancanza di collaborazione è di fatto continuata anche nella presente situazione, che dal 2011 non ha ancora visto una soluzione, tanto che più volte un intervento militare egiziano è sembrato una possibilità concreta: nel 2013, durante una riunione con l’allora presidente Morsi, alcuni leader politici egiziani hanno suggerito di distruggere militarmente la diga o di supportare i ribelli etiopiviii e, a marzo 2021, il presidente Al Sisi ha definito la quota egiziana per l’acqua del Nilo una “linea rossa”, forse alludendo alla possibilità dell’uso della forza.
Un’eventualità del genere fornisce probabilmente la motivazione dei recenti accordi egiziani militari e di sicurezza con quattro Paesi africani (Burundi, Kenya, Sudan e Uganda), indicativi della volontà di “circondare” l’Etiopia nello scacchiere delle alleanze regionali.ix
Sudan
L’altro attore maggiormente colpito dalla costruzione della GERD è il Sudan, altro Stato a valle del fiume, fortemente dipendente (96%) dalle acque provenienti al di fuori dei confini nazionali.
Dopo un iniziale supporto alla costruzione della diga etiope, la posizione sudanese è cambiata in seguito agli stravolgimenti interni e l’attuale posizione è stata sintetizzata a febbraio dal Ministro dell’Acqua sudanese Yasser Abbas, che ha dichiarato che il riempimento della diga del Rinascimento costituirebbe una chiara minaccia alla sicurezza nazionale del Paese. Il ministro ha aggiunto che questo riempimento minaccerebbe anche la vita di metà della popolazione del Sudan Centrale e tutti i progetti agricoli, che pagherebbero la mancanza di irrigazione.
Anche il funzionamento di due importanti impianti idroelettrici sudanesi verrebbe fortemente influenzata: perché “sarà impossibile far funzionare la diga di Roseires senza un accordo vincolante e uno scambio quotidiano di informazioni sulla quantità di acqua che scorre dalla diga rinascimentale” e “anche la diga di Merowe perderà il 30% dell’energia elettrica generata”.
La relazione tra Etiopia e Sudan, infine, è particolarmente tesa anche per un conflitto in corso per la definizione dei confini nazionali nella regione di Al-Fashaqa, dove i contadini etiopi coltivano terra fertile reputata dal Sudan come parte del proprio territorio, e questo non aiuta le trattative per raggiungere un compromesso.x
Il ruolo degli attori esterni e i tentativi di mediazione
Nonostante nel 2015 i leader dei tre paesi coinvolti abbiano firmato una dichiarazione di principi per risolvere la controversia, questa, dopo dieci anni, è ancora irrisolta e ultimamente il focus principale ha riguardato il riempimento della diga. La tempistica, infatti, secondo Egitto e Sudan, sarebbe dovuta essere concordata con gli stati a valle in modo da non causare eccessivi danni alla popolazione, invece, l’Etiopia ha portato unilateralmente a termine l’operazione il 19 luglio 2021, in modo da non perdere l’unica occasione annuale con le piogge stagionali.
In questi dieci anni, intanto, la controversia si è allargata sempre più sul contesto internazionale coinvolgendo diversi attori esterni.
USA e Cina
Secondo alcuni analisti soltanto Pechino e Washington avrebbero il potere e le risorse necessarie per convincere Etiopia, Egitto e Sudan ad un compromesso, ma entrambi sono particolarmente prudenti perché hanno importanti asset strategici ed economici nei Paesi coinvolti.xi
Per un periodo, da novembre 2019 a metà 2020, gli USA hanno cercato di fungere da facilitatori per il compromesso, anche con l’aiuto della World Bank, ma le negoziazioni di Washington sono fallite poiché l’Etiopia lamentava la parzialità dell’amministrazione Trump verso l’Egitto.
L’attuale amministrazione Biden, invece, sembra voler adottare un approccio più neutrale, come dimostra la ripresa degli aiuti economici all’Etiopia bloccati da Trump dopo il mancato accordo, ma il teatro su cui si sta spostando la controversia sembra essere sempre più quello multilaterale, come vedremo in seguito.xii
Per quanto riguarda la Cina, questa è restia a intervenire nella controversia per diverse ragioni. Innanzitutto la portata degli investimenti in ciascuno dei tre paesi della controversia: le imprese cinesi sono fortemente coinvolte nel finanziamento della GERD e in generale la Cina è la più grande fonte di investimenti diretti esteri per l’Etiopia (circa il 60% di tutti i nuovi progetti finanziati dall’estero nel paese nel 2019 proveniva dal gigante asiatico); in Sudan la China Harbour Engineering sta finanziando il porto di Haidob sul Mar Rosso, con altri investimenti cinesi in vari settori; e in Egitto le imprese cinesi finanziano circa l’85% della costruzione della nuova capitale amministrativa al di fuori del Cairo, per un totale di investimento nel Paese che ha raggiunto i 7 miliardi di dollari nel 2019.
L’altra ragione principale, come sottolineato da Giuseppe Gagliano, è che “la Cina non ha mai siglato un accordo definitivo di condivisione dell’acqua con nessun paese a valle. Infatti, sebbene molti dei fiumi più importanti dell’Asia, come il Mekong, l’Indo, il Gange e l’Irrawaddy sorgano in Tibet, la Cina è uno dei soli tre paesi al mondo – insieme a Turchia e Burundi – che non hanno mai firmato una convenzione delle Nazioni Unite del 1997 sulla condivisione dell’acqua del fiume”.xiii
La promozione di un accordo sulla cooperazione per la gestione delle acque del fiume, come quello necessario tra Etiopia, Egitto e Sudan, dunque, sarebbe in contrasto con la linea che la Cina ha sempre portato avanti sulla questione.
UE e Italia
Nonostante la dichiarazione dell’ottobre 2020, con cui l’Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Joseph Borrell, dava pieno supporto al tentativo di mediazione dell’Unione Africana e sottolineava la necessità di non incrementare le tensionixiv, il ruolo dell’Unione Europea nella controversia non è mai stato molto attivo.
Al contrario alcuni stati membri sono più interessati alla disputa, in particolare l’Italia. Quest’ultima è direttamente coinvolta perché l’impresa che sta costruendo la GERD, la Webuild (ex Salini-Impregilo), è italiana, ma nonostante questo cerca di mantenere una posizione neutrale sulla vicenda, anche perché ha forti interessi sia in Egitto che in Etiopia.
L’Egitto, secondo la Relazione governativa annuale 2020 sull’export di armamenti, è stata, infatti, la prima destinazione in assoluto dell’esportazione di armi italiane (circa 872 milioni di euro), ed è il teatro di operazione di storiche imprese come Pirelli e Italcementi. Inoltre, le recenti scoperte da parte di ENI dei giacimenti di gas di Zohr (il più grande giacimento nel Mar Mediterraneo) e Nooros, hanno reso il Paese importante anche dal punto di vista energetico, in particolare per il “cane a tre teste”, per cui nel 2019 l’Egitto è stato il maggior produttore di gas con 551 miliardi di piedi cubi. L’Etiopia, allo stesso tempo, è altrettanto strategica, tanto che l’Italia è il primo partner commerciale europeo per il Paese africano.
L’ex colonia ospita una vasta rete di imprese italiane, tra cui un importante stabilimento di Calzedonia su cui sono stati investiti 12 milioni di euro, ed è molto attrattiva in termini di investimenti per i vari progetti infrastrutturali previsti dal governo etiope (ad esempio l’Italia finanzierà uno studio per realizzare una ferrovia che collegherà la città portuale di Massaua, in Eritrea, ad Addis Abeba).xv
A questi asset nei due Paesi, si aggiunge anche un altro aspetto che rende la vicenda della GERD particolarmente importante dal punto di vista italiano: infatti, l’aumento del numero dei migranti che una crisi idrica nella regione potrebbe comportare è un elemento da tenere in considerazione, soprattutto tendendo conto della collocazione geografica italiana, che la rende particolarmente esposta al fenomeno migratorio. Secondo l’ex generale egiziano Sayed Ghoneim, “l’Italia ha l’opportunità di svolgere un ruolo nel preservare i propri interessi”xvi, come dimostrato dalla visita etiope del 14 giugno a Roma e dalle consultazioni politiche tra Egitto e Italia tenutesi al Cairo poche settimane fa, ma anche in questo caso, come per USA e Cina, gli interessi nei Paesi coinvolti rendono l’atteggiamento italiano più prudente.
Attori mediorientali
Il Corno d’Africa, poi, rappresenta un’area particolarmente strategica anche per le monarchie del Golfo e per la Turchia, che, dunque, risultano attori molto interessati ai possibili risvolti del dossier GERD. Nel caso dell’Arabia Saudita, questa ha dichiarato, a seguito dell’inizio dei lavori di riempimento della diga da parte dell’Etiopia, il suo sostegno ad Egitto e Sudan nel “preservare i loro legittimi diritti sulle proprie risorse idriche”.
Nonostante non metta a rischio la solida relazione con l’Etiopia, la decisione saudita si spiega, come sottolineato da Samuel Ramani, con una doppia motivazione: da un lato si inscrive nel principio della solidarietà araba durante le crisi regionali, dall’altro è un modo per riacquisire il ruolo di leader nella sicurezza regionale, dimostrando di non delegare più questo ruolo agli EAU.xvii
Gli Emirati, infatti, sono stati negli ultimi anni molto attivi diplomaticamente nel Corno d’Africa, giocando un ruolo importante nella pace tra Etiopia ed Eritrea del 2018 e cercando di promuovere un accordo tra Etiopia e Sudan riguardo le dispute territoriali descritte in precedenza.
Al contrario dei sauditi, però, hanno sempre tenuto una posizione neutrale nella disputa legata alla GERD, anche se interessati a promuovere una risoluzione pacifica della questione per non mettere a rischio i propri interessi nei tre Paesi coinvolti.
Infatti, oltre ad aver aiutato in termini di liquidità sia l’Egitto (con un miliardo di dollari di sostegno subito dopo il colpo di Stato del 2013) sia l’Etiopia (con un miliardo di dollari di aiuti dopo l’elezione del Primo Ministro Abiy e altri due miliardi in investimenti), gli Emirati hanno enormi interessi nel settore agricolo nelle terre bagnate dal Nilo.
Gli EAU, infatti, importano circa l’80% del loro cibo, investendo nei terreni più fertili lungo le sponde del fiume in Egitto, Etiopia e soprattutto Sudan, dove le aziende agricole emiratine sono distribuite in un’area di circa 2800 km2. Una diminuzione dei livelli di acqua in questi territori, dunque, causerebbe gravi perdite per il Paese, che, soprattutto per questo, è estremamente coinvolto nella questione della diga.xviii
Infine, un altro attore che potrebbe in futuro svolgere un ruolo importante nella vicenda è la Turchia, che sta utilizzando l’Etiopia come porta principale per espandere la propria influenza nel Corno.
La relazione tra i due Paesi si sta facendo ultimamente sempre più stretta e questo avvicinamento potrebbe portare la Turchia a prendere le parti etiopi nella vicenda, soprattutto considerando la grande rivalità con l’Egitto.
Lo scambio commerciale tra Turchia ed Etiopia ha visto un aumento di 200 milioni di dollari negli ultimi due anni e gli IDE turchi nel Paese africano hanno raggiunto i 2,5 miliardi di dollari (una cifra seconda solo a quella cinese). Inoltre, recentemente i due Stati hanno siglato un accordo militare e ci sono state notizie riguardo la fornitura da parte della Turchia di alcuni droni al governo etiope da usare contro i ribelli del Tigray e, addirittura, di radar e sistemi missilistici per proteggere la diga (quest’ultima informazione però è stata negata dall’ambasciata turca).
Una chiara convergenza della Turchia verso le posizioni di Addis Abeba nella disputa sulla GERD, però, rischierebbe di mettere in pericolo la forte relazione economica con il Sudan e il lento disgelo tra Ankara e il Cairo, per questo l’atteggiamento turco nella vicenda è stato molto meno aggressivo rispetto a quello adottato in altri scenari, come in Libia e in Siria.xix
Organizzazioni regionali e internazionali
Dal 2020 un ruolo chiave nei tentativi di risolvere la controversia è stato giocato dall’Unione Africana. Però, i cicli di incontri trilaterali organizzati sotto la presidenza del Presidente sudafricano Cyril Ramaphosa non hanno raggiunto risultati e la stessa sorte hanno avuto quelli tenutisi a Kinshasa, tra il 3 e il 5 aprile 2021, sotto la presidenza del Presidente della RDC Felix Tshisekedi. In quest’ultima occasione l’Etiopia aveva accettato sette delle nove proposte della RDC, trovandosi, però, di fronte al rifiuto sudanese ed egiziano. Le difficoltà nell’arrivare ad un compromesso risiedono proprio nel tipo di accordo che le due “fazioni” vogliono raggiungere: da una parte Egitto e Sudan spingono per un accordo vincolante sulla gestione delle acque del Nilo, dall’altra, invece, l’Etiopia accetta soltanto la definizione di linee guida, a carattere non vincolante.
Le differenze riguardo la natura dell’intesa da raggiungere si riflettono anche nelle diverse strategie adottate: Sudan e soprattutto Egitto hanno sempre provato ad allargare il tavolo delle trattative coinvolgendo anche USA, UE e Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che finora erano stati soltanto osservatori nelle trattative portate avanti dall’Unione Africana; l’Etiopia, invece, accetta soltanto di continuare le trattative trilaterali in seno all’UA, promuovendo “una soluzione africana per problemi africani”.
I risvolti degli ultimi mesi ricalcano proprio queste due distinte volontà: Sudan ed Egitto, a giugno 2021, hanno convocato una riunione della Lega Araba, che si è conclusa con la richiesta al Consiglio di Sicurezza di intervenire nella disputa, inoltre, stanno cercando di capitalizzare l’attuale presenza della Tunisia nel Consiglio di Sicurezza, con quest’ultima che ha più volte preparato delle bozze di risoluzione.
L’Etiopia, dal canto suo, ha criticato questa volontà di Egitto e Sudan di internazionalizzare e politicizzare la disputa, tra l’altro rendendola una questione araba, e ha invitato gli altri membri del Consiglio di Sicurezza a non accettare le proposte tunisine.
Il recente presidential statement del Consiglio, a cui accennato nelle prime righe di quest’analisi, indica proprio il rifiuto delle proposte tunisine e la volontà di evitare una risoluzione, dal carattere vincolante, sulla disputa. Infatti, diversi membri dell’organismo si erano posti con cautela nei confronti della questione, poiché temevano che potesse creare un precedente per consentire ad altri Paesi di chiedere aiuto al Consiglio in merito alle controversie sull’acqua, da qui anche la specifica all’interno dell’ultima dichiarazione, con cui si sottolinea che questa “non stabilisce alcun principio o precedente in nessun’altra controversia sull’acqua transfrontaliera”.
Conclusioni
La disputa relativa alla costruzione e al funzionamento della Grand Ethiopian Renaissance Dam, è ancora irrisolta a distanza di dieci anni, perché i tre Paesi coinvolti non sono mai riusciti a trovare un compromesso nonostante i numerosi tentativi.
La questione della diga sul Nilo Azzurro, però, non riguarda e coinvolge soltanto Etiopia, Egitto e Sudan ma si sta allargando sempre di più su un contesto internazionale, visti gli interessi di molti attori esterni. In questo momento le divergenze ancora molto ampie, tra Etiopia da una parte ed Egitto e Sudan dall’altra, sulla gestione delle acque del fiume non fanno pensare ad un accordo possibile nel prossimo futuro, visto che ci sono opinioni contrastanti anche sugli attori da coinvolgere nella mediazione.
Nonostante lo spettro di un intervento militare egiziano aleggi sempre sulla questione, probabilmente la soluzione potrebbe essere, come sottolineato da più autori, un accordo a breve termine, come nel caso della spartizione delle acque del Gange nel 1975 tra India e Bangladesh, che iniziarono con un’intesa di un anno, poi estesa a tre, a cinque e infine a trent’anni.
NOTE AL TESTO
i Eskew R., Higdon J., Sheehan B. (2014), “Egypt, the Nile River, and the GERD”, Water and Conflict in the Middle East, https://waterandconflict.web.unc.edu/the-nile-river-and-gerd/
ii N.A. (2019), “Ethiopia Energy Outlook”, IEA, https://www.iea.org/articles/ethiopia-energy-outlook
iii Puddu L. (2017), La variabile Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) nel dibattito politico interno e di politica estera dell’Etiopia, Ministero della Difesa, Osservatorio Strategico, Anno XIX n. VI
iv Hassen Tsega A. (2017), The Geopolitics of Water Negotiations Succeeding the Gerd Project in The Nile River Basin: The Case of Ethiopia, Egypt, and Sudan, Insamer
v Puddu L. (2017), La variabile Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) nel dibattito politico interno e di politica estera dell’Etiopia, Ministero della Difesa, Osservatorio Strategico, Anno XIX n. VI
vi Dati da Acquastat, FAO
vii Gallia, A. (2009), La Descrizione Geografica Del Nilo In Età Moderna Sulle Orme Di Erodoto, Africa: Rivista Trimestrale di Studi e Documentazione dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, n. 64(1/2), pp. 206–222
viii N.A. (2016), “Ethiopia summons Egypt’s ambassador over Nile dam attack proposals”, The Washington Post, https://archive.ph/20130615181638/http://www.washingtonpost.com/world/africa/ethiopia-summons-egypts-ambassador-over-nile-dam-attack-proposals/2013/06/06/e03075f4-cec2-11e2-8573-3baeea6a2647_story.html#selection-3109.0-3109.66
ix Scipione A. (2021), “L’Egitto accerchia l’Etiopia nella “guerra della diga””, InsideOver, https://it.insideover.com/guerra/legitto-accerchia-letiopia-nella-guerra-della-diga.html
x N.A. (2021), “Sudan warns filling of Ethiopian Nile dam ‘threatens national security’”, The New Arab, Sudan warns filling of Ethiopian Nile dam ‘threatens national security’ (alaraby.co.uk)
xi Khorrami N. (2021), “The GERD dispute could set a blueprint for China-US collaboration”, LSE, https://blogs.lse.ac.uk/africaatlse/2021/05/18/gerd-dam-ethiopia-sudan-dispute-could-set-a-blueprint-china-us-collaboration/
xii Fabricius P. (2021), “Could new mediators resolve the GERD dispute?”, Institute for Security Studies, https://issafrica.org/iss-today/could-new-mediators-resolve-the-gerd-dispute
xiii Gagliano G. (2021), “Qual è il ruolo della Cina nella diga Gerd tra Etiopia, Egitto e Sudan”, Startmag, https://www.startmag.it/energia/qual-e-il-ruolo-della-cina-nella-diga-gerd-tra-etiopia-egitto-e-sudan/
xiv Qui la dichiarazione completa: https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/87476/gerd-statement-high-representative-josep-borrell-latest-developments_en
xv Leccese G. (A.A. 2019/2020), Presenza e interesse nazionale dell’Italia in Africa. Tesi di Laurea in Relazioni internazionali, Luiss Guido Carli, relatore Raffaele Marchetti, pp. 65.
xvi N.A. (2021), “Egitto: agricoltori in allarme per l’impatto della diga etiope Gerd sul Nilo”, Nova News, https://www.nova.news/egitto-agricoltori-in-allarme-per-limpatto-della-diga-etiope-gerd-sul-nilo/
xvii Ramani S. (2021), “Saudi-Ethiopian relations strained by Nile dam dispute”, Al-Monitor, https://www.al-monitor.com/originals/2021/07/saudi-ethiopian-relations-strained-nile-dam-dispute
xviii Hultberg L. (2021), “Can the UAE Solve the GERD Dilemma?”, Gulf International Forum, https://gulfif.org/can-the-uae-solve-the-gerd-dilemma/
xix Tommasin D. (2021), “Etiopia, l‘avanzata impetuosa della Turchia come accesso per l’Africa”, Focus on Africa, https://www.focusonafrica.info/etiopia-lavanzata-della-turchia-come-accesso-per-lafrica/
Il CeSE-M sui social