di Andrea Turi
Dopo aver analizzato il contenuto della Legge di sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong e passato in rassegna le interferenze estere – politiche e da parte delle Organizzazioni Non Governative(“Le ingerenze straniere nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong” e “Un anno di proteste nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong. La catena dei finanziamenti esteri e gli scopi”) – negli affari interni della Cina e gli scopi di tali azioni, adesso è giunto il momento di portare la nostra analisi sul “campo di battaglia”. In questo articolo ci occuperemmo dei personaggi che sono coinvolti nelle proteste contro Pechino.
Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro. Chissà se Andre Vltchek ha pensato a questo aforisma di Milan Kundera nello scrivere la lettera aperta indirizzata ai giovani di Hong Kong1: ora che la vostra città è in fiamme da più di sei mesi, le vostre famiglie divise e non si vede fine alla violenza, ho deciso di scrivere questo breve saggio, sotto forma di lettera aperta, ai giovani di Hong Kong.
Prima di tutto, voglio chiedere: perché? Perché tutto questo fumo e fuoco, ira e violenza? Le vostre vite, prima delle cosiddette “proteste” o “rivolte”, erano davvero così tristi?
Hai vissuto in una delle città più ricche della terra. Anche secondo le valutazioni occidentali, Hong Kong ha uno dei più alti “indici di libertà”, superiore a quello della maggior parte dei Paesi occidentali.
L’acqua che esce dai tuoi rubinetti è pulita, Internet è estremamente veloce, i trasporti pubblici sono economici e uno dei migliori al mondo. Puoi goderti un’entusiasmante vita culturale, nonché grandi spazi pubblici costruiti lungo le tue imponenti coste; naturalmente, Hong Kong non è un posto perfetto, poiché non ci sono posti perfetti su questo pianeta.
Il tuo alloggio è tra i più costosi al mondo. Le opportunità di lavoro per i laureati non sono davvero eccellenti. Alcune città della Cina continentale sono ora luoghi più eccitanti in cui vivere, creare e sognare della “cara vecchia” Hong Kong. Tuttavia, è una città affascinante e solida, con una propria cultura, mentalità e una storia complessa. E per molti versi è una bellissima città; bella e unica.
Allora perché? Quello che è successo? Perché all’improvviso tanta rabbia e tanta frustrazione? Dovremmo parlarne? Per favore, vediamo.
Ho lavorato in circa 160 Paesi e territori, in tutti i continenti. Ho scritto e filmato molte guerre e conflitti. Ho raccontato rivoluzioni e ribellioni, ma anche terribili rivolte innescate dai Paesi occidentali. Probabilmente avrete sentito parlare delle cosiddette “rivoluzioni colorate”, o della “primavera araba”.
Ho assistito in prima persona al destino dei Paesi che sono stati occupati e poi completamente distrutti dagli Stati Uniti e dalla NATO: Afghanistan e Siria, Iraq e Colombia, solo per citarne alcuni. Ho visto milioni di vite in rovina in nazioni in cui l’Occidente ha rovesciato i Governi di sinistra e poi ha iniettato il fascismo: luoghi come l’Indonesia (1965) e il Cile (1973). Ora non è rimasto più niente dell’Indonesia; la natura è completamente rovinata e la grande maggioranza vive nella miseria. In Cile, la gente si è alzata in piedi, e con orgoglio lotta e muore per il socialismo che è stato loro rubato dai governi e dalle corporazioni occidentali.
Ho vissuto e lavorato in tutto il continente africano, la parte più devastata del mondo, colonizzata e terrorizzata prima dall’Europa e poi dagli Stati Uniti, per molti secoli.
A Hong Kong, ti vedo sventolare le bandiere degli Stati Uniti. Vuoi che quel Paese “ti salvi dalla Cina” (dalla tua stessa nazione, in sostanza). Ho letto una traduzione del tuo curriculum scolastico. Sorvola sulla Cina e glorifica l’Occidente. Vi è mai stato detto che in nome di quella bandiera, composta da stelle e strisce, decine di milioni di persone in tutto il mondo sono state assassinate, le democrazie violentate e la libertà di espressione orrendamente oppressa? O stai solo leggendo quello che ti viene offerto da Reuters e altre agenzie di stampa occidentali?
Quando sventoli le bandiere del Regno Unito, ricordando nostalgicamente i tuoi padroni britannici e il loro dominio su Hong Kong, pensi anche ad alcuni dei crimini più mostruosi commessi nella storia dell’umanità? In tutti i continenti del mondo, l’Impero Britannico ha assassinato, umiliato, violato e saccheggiato; centinaia di milioni di persone. Gli esseri umani sono stati ridotti a schiavi. Le loro vite, le loro identità erano ridotte a nulla.
Ti è stato detto questo? Te ne rendi conto? Quando sventoli queste bandiere, quando i tuoi leader prendono tangenti dagli Stati Uniti e dall’establishment dell’UE, pensi mai a che tipo di denaro stai toccando? Pensi mai che questi soldi siano intrisi di sangue?
Ho visto molti di voi chiedere l’”indipendenza dalla Cina”. Ho anche visto alcuni di voi definire la Cina uno Stato “terrorista”. Hai mai, seriamente, paragonato il sistema politico cinese a quella della cosiddetta “democrazia” dell’Occidente?
Lasciate che vi ponga un semplice quiz: negli ultimi decenni, quanti Paesi sono stati attaccati dalla Cina e quanti dall’Occidente? Fai solo un semplice calcolo, per favore. È così semplice; così chiaro. Quanti Paesi sono stati bombardati al suolo e completamente rovinati dalla Cina e quanti dall’Occidente?
E la democrazia? In Cina, il Governo ascolta la sua gente. In realtà, la democrazia non significa altro che la traduzione diretta dal greco: governo del popolo. In RPC, il governo sta lavorando per migliorare la vita dei suoi cittadini, costruendo al contempo un’infrastruttura globale per tutti (BRI). Ora, guarda all’Occidente: la maggior parte dei cittadini del Nord America e dell’Europa odia il proprio sistema, ma non riesce a liberarsene. Alcuni di voi viaggiano regolarmente in Occidente: non sentite cosa dicono le persone lì?
Negli ultimi due decenni, la Cina ha sollevato centinaia di milioni dalla povertà. In Occidente, i Governi hanno seppellito miliardi di persone nella miseria in tutte le loro colonie. Nonostante il terribile saccheggio del mondo, decine di milioni sono indigenti a casa loro, sia in Nord America che in Europa.
Nonostante il PIL pro capite non troppo alto, la Cina non ha quasi miseria, mentre decine di milioni di cittadini statunitensi vivono in povertà. Ci sono molti più detenuti (pro capite) nelle carceri statunitensi che in quelle cinesi. Molte carceri statunitensi sono ora privatizzate: è un grande affare. Più sono tenuti dietro le sbarre, maggiore è il profitto!
È questo un sistema in cui vorresti vivere? Lo è davvero?
Conosco molto bene l’Occidente. E conosco la Cina. In questi giorni, a Hong Kong, alcuni di voi sventolano bandiere occidentali, insultando Pechino.
L’Occidente ha la più potente propaganda sulla terra. Ha la capacità di distorcere tutto; chiamare nero – bianco e viceversa.
Ma francamente è Pechino, che ha la capacità e il desiderio di aiutare a risolvere i problemi di Hong Kong.
Pensi davvero che Washington, Londra o Berlino siano sinceramente interessati ad aiutare la tua città? Sono convinto che vogliano solo distruggere la Cina e continuare a governare il mondo.
Per concludere questa lettera, lasciatemi dire cosa c’è da dire: dopo aver parlato con persone che ora sventolano rabbiosamente striscioni neri, così come bandiere degli Stati Uniti e del Regno Unito, mi sono reso conto che sanno molto poco dello stato del mondo. E non vogliono ascoltare diversi punti di vista. Quando vengono affrontati intellettualmente, diventano violenti.
Questo non è un approccio democratico; affatto.
Suggerisco di parlare. Pubblicamente. Parliamo delle definizioni stesse di democrazia. Parliamo di chi ha fatto più danni al mondo: la Cina o l’Occidente? Sono pronto, in qualsiasi momento.
Se i leader delle rivolte o delle “proteste” di Hong Kong sono sicuri di avere ragione, facciamoci fronte, davanti a microfoni e telecamere.
Amo la tua città. Amo Hong Kong. Io amo la Cina. E credo fermamente che la Cina e Hong Kong siano un’entità bellissima e inseparabile.
Sono pronto a dare il massimo, dimostrando questo punto.
Nel tempo in cui questo articolo prende forma, la situazione ad Hong Kong sta tornando alla normalità in modo graduale benché le persone si sentano ancora arrabbiate, ma in modo minore rispetto allo scorso anno; le persone hanno cominciato a comportarsi in modo più razionale e gli eventi sono diventati sempre meno politicizzati. Ritengo che i fattori che hanno contribuito a riportare lo scenario in un contesto di ragionevolezza siano questi: la pandemia, per prima cosa, ha interrotto il momentum del movimento; molte persone, poi, hanno cominciato realmente a sentire il peso economico delle proteste ed hanno fatto un passo indietro; la legge per la tutela della sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong e un maggiore presa di posizione della polizia hanno fatto da deterrente; lo scorso anno, invece, molti manifestanti pensavano di poterla fare franca facendo qualsiasi cosa mentre adesso ne capiscono davvero le conseguenze. Ultimo fattore, il burnout, lo spegnimento del conflitto: le persone non possono rimanere arrabbiate per sempre. E le persone iniziano a rendersi conto che molte delle notizie sono disinformazione e non credono più ciecamente a tutto ciò che vedono sui social media2.
Nel corso dell’ultimo anno Hong Kong ha vissuto giorni turbolenti fatti di proteste, violenze e azioni coordinate di guerriglia urbana, le manifestazioni inizialmente pacifiche sono diventate turbolente, con atti di vandalismo, percosse, attacchi frontali alle forze di polizia hongkonghiane, deliberate e coordinate azioni di guerriglia urbana e bombe; come già successo durante i giorni delle proteste scatenatesi per opporsi agli emendamenti al disegno di legge sull’estradizione avanzati dal Governo della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong nel 2019, le rivolte che sono seguite all’approvazione della Legge per la tutela della sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong si sono discostate dall’intento originale e sono diventate una sorta di spietata distruzione sistematica dello stato di diritto della città; i manifestanti radicali hanno voluto paralizzare la città, minare l’autorità del governo e della polizia così che, conseguentemente, le manifestazioni hanno deragliato dal binario dell’espressione delle legittime richieste di una popolazione ai propri rappresentanti istituzionali inserite in un quadro di legalità, ma un tentativo di rovesciare lo stato di diritto e rimodellare la struttura di potere della città.
Secondo il GlobalTimes, questa è una tipica rivoluzione colorata, teoria per altro sostenuta da numerosi studiosi come Su Jingxiang, membro della China Institutes for Contemporary International Relations che considera quel che succede ad Hong Kong come un caso da manuale di “rivoluzione colorata”, dietro la quale il Governo degli Stati Uniti ha fornito supporto attraverso l’assistenza organizzativa e di pianificazione, il tutto è evidente3. Per molti analisti, la paternità occidentale dell’organizzazione delle proteste è un argomento da non mettere più in discussione: le violente proteste in corso a Hong Kong da parte degli estremisti sono, senza dubbio, orchestrate dagli Stati Uniti e da altri Paesi occidentali con l’obiettivo di destabilizzare questa regione cinese, intento che, in caso di successo, metterebbe a repentaglio l’economia cinese e potrebbe agire come un effetto domino da cui potrebbero essere colpite altre regioni della madrepatria4.
Un recente articolo dal titolo Crackdown: Hong Kong faces Tiananmen 2.0 a firma Victoria Tin-bor Hui e pubblicato sul Journal of Democracy, rivista del National Endowment for Democracy – il principale sponsor delle proteste ad Hong Kong e delle “rivoluzioni colorate” che hanno seminato violenza in molti paesi – involontariamente afferma che con ogni probabilità il vero successo delle “rivoluzioni colorate” non violente che si sono verificate altrove probabilmente ha condannato la lotta di Hong Kong che, altrimenti, avrebbero sortito probabilmente l’effetto sperato del tutto simile alle esperienze verificatesi in altre zone del globo.
Con il tempo, le proteste – durante le quali l’opposizione politica e i manifestanti si sono integrati mentre varie forme di sostegno e di assistenza sono state fatte arrivare da oltre confine – si sono evolute in termini di organizzazione e pianificazione. I manifestanti hanno cominciato ad agire seguendo tattiche tutt’altro che spontanee di guerriglia urbana; uno di questi principi lo ha illustrato nel giugno del 2019, un manifestante al New York Times che ne ha riportato il racconto in un articolo dal titolo A Hong Kong Protester’s Tactic: Get the Police to Hit You5. Si tratta della cosiddetta teoria della violenza marginale (o teoria della frangia violenta), un’idea circolata su uno dei tanti blog che fungono da catalizzatore organizzativo delle proteste che prevede che i manifestanti non dovrebbero usare o sostenere attivamente la violenza, ma utilizzare invece le azioni non violente più aggressive possibili per spingere la polizia e il governo ai loro limiti. […] Tali azioni sono un modo per fare rumore e attirare l’attenzione e se spingono la polizia a rispondere con forza non necessaria, il pubblico proverà disapprovazione e disgusto per le autorità. I manifestanti dovrebbero intensificare premurosamente la non-violenza, forse anche ricorrere a una forza moderata, per spingere il governo al limite. È difficile implementare la teoria della violenza marginale. È difficile calibrarlo nel modo giusto: se la polizia diventa violenta, noi manifestanti conquistiamo oltre un milione di persone – come è successo tra le marce del 9 giugno e del 16 giugno – ma se i manifestanti diventano violenti, perdiamo un milione.
Il più delle volte, sono stati i manifestanti ad iniziare l’azione con lo scopo di catturare l’attenzione internazionale. I manifestanti avrebbero deliberatamente abusato della polizia (emotivamente e fisicamente), fino a quando essa non avesse commesso errori o perso il controllo delle proprie emozioni. Quindi i media di parte userebbero quei filmati per incoraggiare ancora più abusi nei confronti della polizia. Prima del 2019, la brutalità della polizia non era mai stata un problema a Hong Kong6. Il livello di sostegno delle potenze straniere e dei media occidentali è anormale e del tutto sproporzionato. E in qualche modo tutti hanno sostenuto la violenza dei manifestanti che ha portato a un aumento massiccio delle rivolte in molti paesi. È davvero ovvio che le potenze straniere (soprattutto gli Stati Uniti) sostengano le proteste per trarne un proprio vantaggio. Le proteste avvengono in ogni parte del mondo, perché si presta così tanta attenzione solo a Hong Kong?
Alcuni lettori potrebbero avere da dissentire riguardo la classificazione delle proteste di Hong Kong come una sorta di “rivoluzione colorata” che non tiene conto dell’insoddisfazione di alcuni cittadini di Hong Kong riguardo alcuni aspetti – politici e socio-economici – della vita quotidiana in città; potrebbero, allora, sostenere che incolpare l’Occidente per le interferenze esterne significa coprire i problemi interni. Il mondo è cambiato, non vi è dubbio alcuno, sotto i colpi ferali della globalizzazione lo sviluppo delle economie di alcune regioni ha subito drammatici ridimensionamenti che ha portato riduzione dei salari, aumento generalizzato della disoccupazione, aumento dei prezzi delle locazioni delle case, inflazione e movimenti di capitali verso altri Stati, ma è pur vero che tutte le “rivoluzioni colorate” hanno preso vita da ragioni e questioni di natura interne come la mancanza dei mezzi di sussistenza e il divario crescente tra ricchi e poveri. La democrazia pretende di porre fine a tali problematiche e cleavages profondi che minano la stabilità sociale di un Paese ma, in realtà, tutti i paesi che hanno subito “rivoluzioni colorate” negli ultimi 20 anni hanno subito le conseguenze delle turbolenze a lungo termine e di un ulteriore declino economico senza che i veri mandanti si siano mai assunti la responsabilità delle loro azioni e degli amari esisti delle proteste scatenate. Hong Kong non fa eccezione in questo quadro e i tumulti non sono soltanto una questione legata alla politica internazionale; ci sono altri problemi sociali di lunga durata a Hong Kong (come i prezzi elevati delle case, la disparità, il protezionismo e l’eccessiva enfasi sul turismo, ecc.) che hanno contribuito ad alimentare le proteste. Anche il sistema educativo, i media e il governo hanno i propri problemi. È tutto molto complicato.
Di questa situazione che si protrae da tempo, sono soltanto Hong Kong e la Cina continentale che sopporteranno il dolore mentre il declino porterà sul lungo periodo ad ulteriori turbolenze nella regione aumentando, così, l’onere politico ed economico di Pechino. Intanto, la reputazione di Hong Kong si è notevolmente deteriorata, e i giovani e i neolaureati avranno molte difficoltà a trovare un buon lavoro; i danni economici delle proteste riguardano principalmente l’industria del turismo ma riteniamo che i danni maggiori si sono verificati sull’aspetto sociale. La popolazione di Hong Kong si è divisa in due parti. Il livello di felicità delle persone è drasticamente diminuito7.
La conferma è nelle pagine di Hong Kong protest leaders. Sick facts that Western countries do not know, un piccolo volume pressoché sconosciuto sul mercato editoriale occidentale in cui l’autrice scrive che nella comunità di Hong Kong, è risaputo che coloro che protestano sono supportati dal 50% della comunità e che allo stesso tempo sono osteggiati dall’altra metà. […] Le proteste hanno ricevuto sempre meno supporto dai residenti di Hong Kong da quando sono divenute violente e i disordini persistono all’infinito anche dopo il ritiro il 19 ottobre del disegno di legge sull’estradizione che ha scatenato le proteste. […] I residenti che sono contrari alle proteste non necessariamente odiano la democrazia o amano il Governo cinese. Loro sono contrari perché chi protesta usa la lotta per la democrazia come una giustificazione alla rottura della legge. Gli abitanti di Hong Kong non sono felici riguardo i danni economici, emotivi e relazionali che le proteste porteranno con loro. Alcuni di essi sono, invece, contrari alle proteste perché lo stesso movimento “pro-democracy” è tutt’altro che democratico8.
A guidare l’intero universo pro-democratico che si dichiara leaderless, senza guida, è Demosistō9, il “movimento per la democrazia a Hong Kong” che, subito dopo l’approvazione della Legge per la tutela della sicurezza nazionale della Regione amministrativa speciale di Hong Kong, si è sciolto accogliendo le dimissioni dei suoi quattro fondatori Joshua Wong, Nathan Law, Jeffrey Ngo e Agnes Chow, indubbi protagonisti dal 2014 della stagione tumultuosa e della protesta nota alle cronache come Movimento degli Ombrelli, i quali hanno catturato l’attenzione di tutti i media occidentali; pur non avendo riportato i successi sperati, il Movimento degli Ombrelli è servito da modello per politicizzare una generazione di giovani a Hong Kong e per demolire il mito che la gente di Hong Kong – soprattutto i giovani – non si interessano di politica. […] Le proteste sicuramente saranno ricordate come l’evento formativo di una intera generazione di hongkonghiani, molti dei quali saranno i leaders del futuro e hanno fissato il tono per il dibattito pubblico – e le proteste – ad Hong Kong per le decadi a venire10. In realtà, negli anni a seguire i manifestanti hanno alzato il tono e l’asticella delle proteste, spingendosi ben oltre quel che riguarda le proteste e non disdegnando azioni di guerriglia urbana con cui hanno incendiato la vita quotidiana del “porto profumato” della Repubblica Popolare Cinese.
Il professore universitario Benny Tai Yiu-ting è stato uno dei promotori11 dell’iniziativa sfociata, poi, nel Movimento degli Ombrelli; egli rappresenta una figura centrale per comprendere i legami dei leader delle proteste di Hong Kong con le cancellerie e le organizzazioni non governative estere. Sul movimento, nel settembre del 2014 Frederick William Engdahl, uno dei maggiori analisti mondiali di geopolitica, economia e affari internazionali, si esprimeva il tal senso: in quest’era della globalizzazione industriale e della delocalizzazione dell’industria statunitense verso i Paesi a basso costo del lavoro, in particolare in Cina, vale la pena prendere atto di una cosa che gli Stati Uniti – o più precisamente Washington DC e Langley, Virginia – stanno producendo ed esportando a Hong Kong in Cina. La Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong della Repubblica Popolare Cinese è stata presa di mira per una rivoluzione colorata, che è stata soprannominata dai media la “rivoluzione degli ombrelli” a causa degli ombrelli che i manifestanti usano per bloccare i gas lacrimogeni della polizia; Gli “ombrelli” per la rivoluzione degli ombrelli in corso a Hong Kong sono realizzati a Washington. La prova di ciò non sta solo nel l’aperto sostegno, oscenamente rapido, della Casa Bianca ad Occupy Central [manifestato] poche ore dopo l’inizio, seguendo lo stesso modello che ha usato in Ucraina. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e le ONG che finanzia preparano tranquillamente queste proteste da anni. Esse sono considerate solo la punta del progetto di “democrazia” di Washington ad Hong Kong.
Con una monotonia quasi noiosa, Washington ha scatenato un’altra delle sue famigerate rivoluzioni colorate. Le ONG guidate dal Governo degli Stati Uniti e gli agenti addestrati dagli Stati Uniti stanno conducendo tutte le proteste di Hong Kong “Occupy Central”, apparentemente per protestare contro le regole che Pechino ha annunciato per le elezioni di Hong Kong del 2017. Il movimento di protesta Occupy Central Hong Kong è nominalmente guidato da uno studente di 17 anni, Joshua Wong, che assomiglia a una versione di Hong Kong di Harry Potter, un bambino che era appena nato l’anno in cui la Gran Bretagna ha concluso con riluttanza i 99 anni di occupazione coloniale, cedendo la città-Stato alla Repubblica Popolare. Wong è accompagnato in Occupy Central da Edward Chin, un finanziatore istruito presso l’Università del Minnesota per le proteste; da un sociologo istruito all’università di Yale, Chan Kin-man; da un ministro battista che è un veterano della destabilizzazione della CIA nel 1989 in Piazza Tiananmen, Chu Yiu-ming; e da un professore di legge dell’Università di Hong Kong, Benny Tai Yiu-ting, o Benny Tai12.
Dietro queste facce di Hong Kong, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e la sua ONG preferita, il National Endowment for Democracy (NED) finanziato dal Congresso degli Stati Uniti, tramite sua figlia, il National Democratic Institute (NDI). Guardiamo dietro la bella facciata della protesta pacifica non violenta per la democrazia e troviamo un’agenda segreta di Washington molto antidemocratica.13L’articolo si chiude elencando una serie di personalità direttamente o indirettamente coinvolte nelle proteste di Hong Kong: il Vicepresidente Joe Biden (allora vice di Obama, n.d.r.); il Cardinale Zen; il Reverendo Chu; Joshua Wong; Benny Tai e il neo-conservatore NED, la sua NDI e uno stuolo di altri beni del Dipartimento di Stato e delle ONG troppo numerosi da nominare qui, hanno innescato una vera e propria rivoluzione colorata, la Rivoluzione degli Ombrelli. La tempistica dell’azione, due anni prima delle elezioni di Hong Kong 2017, suggerisce che alcune persone a Washington e altrove nell’ovest stavano diventando nervose.
Tra le figure più influenti del movimento di protesta senza ombra di dubbio l’imprenditore locale Jimmy Lai – fondatore e maggior azionista di Next Digital, il più grande gruppo di media registrato ad Hong Kong e proprietario del giornale Apple Daily – considerato il capo dei media di opposizione al Governo cinese e di Hong Kong; figura imprescindibile per la massa di coloro che sono scesi in strada per protestare contro le leggi del Governo della Regione amministrativa speciale e dello stesso Governo centrale di Pechino, non tutti hanno del tycoon la stessa benevola opinione: come documenta l’account Twitter del China Global Television Network (CGTN)14 nell’agosto 2019, infatti, un gruppo di manifestanti si è mobilitato fuori dalla residenza del magnate denunciandolo come il “galoppino” di Washington e accusandolo, inoltre, di tradimento verso la Nazione e di aver seminato il caos sull’Isola; i suoi legami con Washington sono, infatti, profondi, così come quelli di altre personalità di primo piano della protesta hongkonghese; milioni di dollari sono fluiti dalle organizzazioni statunitensi alla società civile e alle organizzazioni politiche che costituiscono la spina dorsale della mobilitazione anti-cinese per mettere in atto (o accelerare) il cambio di regime (con Donald Trump alla Casa Bianca, Lai era convinto che fosse giunto il suo momento. Trump “capisce i cinesi come nessun presidente ha capito“, ha detto il magnate al Wall Street Journal, penso che sia molto bravo a trattare con i gangster15) e Lai lo ha sostenuto con la propria fortuna istruendo i manifestanti sulle tattiche da utilizzare attraverso i suoi vari organi mediatici: oltre alle ingenti somme che Lai ha speso per finanziare i partiti politici direttamente coinvolti nelle proteste, il suo gruppo di media ha creato, ad esempio, un video animato che mostra come resistere alla polizia nel caso in cui la forza sia stata usata per disperdere le persone in una protesta di massa. Nel 2014, un articolo del South China Morning Post rivelava che stando a quanto si leggeva in 900 leaked-file trapelati, Jimmy Lai Chee-ying ha donato oltre 10 milioni di HK $ a partiti e politici pan-democratici dallo scorso anno. Le donazioni includevano 5 milioni di HK $ al Partito Democratico e 3 milioni di HK $ al Partito Civico.16 Nel luglio del 2019, mentre le proteste di Hong Kong aumentavano, Lai si è recato a Washington DC per incontrare il vicepresidente Mike Pence, il segretario di Stato Mike Pompeo, il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e i senatori repubblicani Ted Cruz, Cory Gardner e Rick Scott. Il corrispondente di Bloomberg News Nicholas Wadhams ha commentato sulla visita di Lai: “Molto insolito per un visitatore [non governativo] ottenere questo tipo di accesso”. Ad uno dei più stretti alleati di Lai, Martin Lee17, è stata anche concessa un’udienza con Pompeo e un incontro con alcuni leader statunitensi tra cui la rappresentante Nancy Pelosi e l’ex vicepresidente Joseph Biden18.
Per avere un quadro più completo di quel che si cela dietro le proteste dei cittadini di Hong Kong riportiamo di seguito uno stralcio di un articolo scritto da Dan Cohen per il portale TheGreyZone.com che mette a nudo le “relazioni pericolose” tra i leader del movimento sedicente pro-democratico della regione e gli interessi di forze esterne. Oltre a Lai, gran parte del merito di aver mobilitato la xenofobia latente va al leader del partito indigeno di Hong Kong, Edward Leung. Sotto la direzione del 28enne Leung, il suo partito pro-indipendenza ha brandito bandiere coloniali britanniche e molestato pubblicamente i turisti cinesi continentali. Nel 2016, Leung è stato smascherato per l’incontro con funzionari diplomatici degli Stati Uniti avvenuto in un ristorante locale. Anche se è attualmente in prigione per aver guidato una rivolta del 2016 in cui la polizia è stata bersagliata con mattoni e pezzi di pavimentazione – e durante la quale ha ammesso di aver attaccato un ufficiale – la politica di “destra” di Leung e il suo slogan, “Retake Hong Kong”, hanno contribuito a definire le proteste in corso. Un legislatore locale e leader di protesta ha descritto Leung al New York Times come “il Che Guevara della rivoluzione di Hong Kong”, riferendosi senza un pizzico di ironia al rivoluzionario comunista latinoamericano ucciso in un’operazione sostenuta dalla CIA. Secondo il Times, Leung è “la cosa più vicina a una luce guida che il tumultuoso e senza leader movimento di protesta di Hong Kong possiede”.
La sensibilità xenofoba dei manifestanti ha fornito terreno fertile per il reclutamento al partito nazionale di Hong Kong. Fondato dall’attivista pro-indipendenza Andy Chan, il partito ufficialmente bandito combina il risentimento anti-cinese con gli appelli affinché gli Stati Uniti intervengano. Sono emersi immagini e video di membri dell’HKNP che sventolano le bandiere degli Stati Uniti e del Regno Unito, cantano lo Star Spangled Banner e portano bandiere blasonate con immagini di Pepe la rana, il simbolo più riconoscibile dell’alt-right statunitense. Mentre il partito manca di un’ampia base di sostegno popolare, è forse il più schietto all’interno dei ranghi di protesta, e ha attirato un’attenzione internazionale sproporzionata di conseguenza. Chan ha chiesto a Trump di intensificare la guerra commerciale e ha accusato la Cina di effettuare una “pulizia nazionale” contro Hong Kong. “Una volta eravamo colonizzati dagli inglesi, e ora lo siamo dai cinesi”, ha dichiarato19.
Dal 2014, una generazione più giovane di attivisti è emersa con un nuovo marchio di localismo politico; Joshua Wong aveva solo 17 anni quando si è formato il “Movimento degli Ombrelli” e dopo essere emerso dai ranghi della protesta come una delle sue voci più carismatiche, è stato costantemente sostenuto e considerato come una delle figure di riferimento del campo pro-occidentale. Wong ha ricevuto grandi elogi dalla rivista Time, Fortune e Foreign Policy come attivista per la libertà ed è diventato il soggetto di un premiato documentario prodotto da Netflix chiamato Joshua: Teenager vs. Superpower. Non sorprende che tali attestati di stima abbiano sottaciuto e dimenticato i legami stretti e a doppio filo che il presidente di Demosisto intrattiene (e ha intrattenuto) con gli apparati promotori delle attività politiche controPechino e il Governo della Repubblica Popolare Cinese: il National Endowment for Democracy’s National Democratic Institute (NDI), ad esempio, mantiene uno stretto rapporto con Demosisto. Lo scorso agosto ha destato un certo clamore la pubblicazione di una foto che immortalaval’incontro di Joshua Wong e Nathan Law – uno dei cofondatori di Demosisto – con Julie Eadeh, consigliere politico presso il Consolato generale degli Stati Uniti a Hong Kong, scatto che ha sollevato lecite domande sul contenuto del meeting e ha dato il via a una resa dei conti diplomatica tra Washington e Pechino. Come ebbe a commentare l’editorialista e capo del China Daily EU Bureau Chen Weihua, sarebbe difficile immaginare la reazione degli Stati Uniti se il diplomatico cinese incontrasse i leader di Occupy Wall Street, Black Lives Matter o i protestatari di Never Trump20.
La foto – scrive ancora Dan Cohen nel suo lungo articolo – ha sottolineato lo stretto rapporto tra il movimento filo-occidentale di Hong Kong e il Governo degli Stati Uniti. Dalle proteste di Occupy Central del 2014 che hanno portato Wong alla ribalta, lui e i suoi colleghi sono stati assiduamente coltivati dalle istituzioni d’élite di Washington per agire come volti e voci del fiorente movimento anti-cinese di Hong Kong; nel settembre 2015, Wong, Martin Lee e il professore di diritto dell’Università di Hong Kong Benny Tai sono stati premiati da Freedom House, un’organizzazione di soft power di destra pesantemente finanziata dal National Endowment for Democracy e da altre braccia del Governo degli Stati Uniti; pochi giorni dopo l’elezione di Trump a presidente nel novembre 2016, Wong era tornato a Washington per fare appello ad un maggiore sostegno degli Stati Uniti. “Essendo un uomo d’affari, spero che Donald Trump possa conoscere le dinamiche di Hong Kong e sapere che per mantenere i benefici del settore imprenditoriale a Hong Kong, è necessario sostenere pienamente i diritti umani a Hong Kong così da conservare l’indipendenza giudiziaria e lo stato di diritto”, ha detto. La visita di Wong ha fornito l’occasione ai due membri più aggressivamente neo-conservatori del Senato, Marco Rubio e Tom Cotton, di spingere per l’adozione delle leggi sui diritti umani e la democrazia di Hong Kong. Wong è stato quindi coinvolto in un incontro congiunto di istituzioni statunitensi d’élite tra cui il think tank di destra Heritage Foundation e le redazioni del New York Times e del Financial Times. Si è poi intrattenuto con Rubio, Cotton, Pelosi e il senatore Ben Sasse.
Nel settembre 2017, Rubio, Ben Cardin, Tom Cotton, Sherrod Brown e Cory Gardner avevano firmato una lettera destinata a Wong, Law e al collega attivista anti-cinese Alex Chow, lodandoli per i loro sforzi volti a costruire una Hong Kong veramente autonoma”. Il cast bipartisan di senatori ha proclamato che “gli Stati Uniti non possono stare a guardare”.
Un anno dopo, Rubio e i suoi colleghi hanno nominato il trio composto da Wong, Law e Chow per il Premio Nobel per la Pace 2018.
Joshua Wong e Nathan Law sono, dunque, le figure chiave dell’attuale gruppo degli autodeterministi all’interno della nuova ondata localista nell’elemento pro-democratico. Come riportato nel saggio di Ming K. Chan, professore universitario della Stanford University, “Regime Agenda, Elite Views and the Voices in a Polarized HKSAR’S Mainland interface”,pubblicato sulle pagine della rivista Chinese Law and Government, da un’intervista condotta dallo stesso docente ai due giovani attivisti era emerso che, pur insistendo personalmente sull’idea di non supportare l’indipendenza di Hong Kong, nella campagna di autodeterminazione del popolo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong da loro proposta, un’opzione “separatista” viene elencata come una delle opzioni possibili21, così come più o meno apertamente, spesso mascherato da retorica volutamente ambigua, delinea il manifesto del movimento: è chiaramente affermato nel Patto Internazionale per diritti civili e politici che tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione. In base a questo diritto, i popoli determinano liberamente il proprio status politico e perseguono liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale. Ma, essendo stati cancellati dalla lista delle colonie delle Nazioni Unite a causa della proclamazione di Hong Kong come suo territorio da parte della Repubblica Popolare Cinese, il nostro diritto è stato spazzato via. La questione relativa ad Hong Kong è stata, così, negoziata soltanto tra due parti: Regno Unito e Repubblica Popolare Cinese, abbassando le nostre speranze di determinare il nostro stesso futuro. […] Demosistō ritiene che, per liberarci adesso dalla gabbia e prendere in mano il nostro stesso destino, dobbiamo cambiare le regole e riaffermare la nostra agenda politica attraverso una democratica autodeterminazione. Attraverso la democrazia, dobbiamo mettere insieme le opinioni dei cittadini di Hong Kong sui loro desideri che rimangono invariati da 50 anni, e lanciare un progetto di dieci anni per organizzare la Carta di Hong Hong, rimodellando una nuova, autodeterminata costituzione e un ordine socio-politico per la città. […] Stimiamo che per il 2030, dobbiamo partire con la deliberazione e combattere per la nostra opinione sulla questione della sovranità della città. […] Demosistō stabilisce l’autodeterminazione democratica con la sua missione definitiva, fissa gli obiettivi di un referendum popolare e di una sollecitazione internazionale per avere il sostegno del mondo, spingendo perché l’autodeterminazione di Hong Kong si ponga come un’agenda nel regno internazionale della politica. Gli hongkonghiani devono avere diritto di parola sul loro percorso futuro e devono tenere fermi i propri diritti all’autodeterminazione22.
Intervistato nel 2015 da En Liang Khong per Open Democracy, il giovane leader di Demosistō Joshua Wong aveva giocato a carte scoperte e si era presentato come fermamente convinto che la generazione della protesta di Hong Kong debba combattere secondo i termini del suffragio e della democrazia. E va anche oltre. “Dopo il movimento Occupy, è chiaro che la base della democrazia e del suffragio universale è l’autodeterminazione”, mi dice. “I termini del passaggio di consegne alla Cina sono già stati infranti. Non vediamo alcuna possibilità per il Partito comunista di adottare il suffragio universale ai sensi della Legge fondamentale di Hong Kong. Quindi ora è il momento di lottare per l’autodeterminazione”. Non c’è dubbio che l’appello di Joshua Wong all’autodeterminazione sia incendiario, fondamentalmente in contrasto con le vecchie generazioni di pan-democratici di Hong Kong. “La maggior parte dei moderati”, mi ha detto Chan Kin-man, “considera l’indipendenza non realistica”. Ma per Wong, la causa dell’autodeterminazione è una parte intrinseca della decolonizzazione. “L’autodeterminazione è sempre stata il diritto per ogni colonia dopo l’impero”, dice. “Ma il problema è che nel 1971, dopo il rientro della Cina all’Onu, Hong Kong fu costretta a uscire dalla lista delle colonie. Ci è stata negata la nostra autodeterminazione”.
Ma mentre la voce di Joshua Wong è un cambiamento rispetto alla vecchia guardia liberale, ci sono molte voci critiche alla sua sinistra. “Cosa ci porterà l’indipendenza politica, se continuiamo a seguire il capitalismo?” Chiede Lala Pikka Lau. L’attivista Wong Kit è d’accordo: “stiamo perennemente evitando la vera questione di come il capitalismo clientelare di Hong Kong possa funzionare altrettanto bene, che faccia parte della Cina o no”.
C’è un’aria preoccupante di sinofobia, dice Wong Kit, “nel modo in cui Joshua parla della Cina. È un’immagine molto unidimensionale che gli consente di basare le sue opinioni su una moralizzazione della politica, trascurando il contesto economico e politico internazionale”. Ma alla fine, “i problemi di Joshua sono i limiti intellettuali del discorso politico a Hong Kong. È molto comune ignorare la Cina a Hong Kong”, mi dice23.
La folla che grida Free Hong Kong, Liberate Hong Kong. Come mai, allora, si chiede Selina, Co – autrice di Hong Kong Protest Leaders – meno del 20% dei cittadini della Regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese supporta l’indipendenza di Hong Kong24? Joshua Wong e gli altri leader delle proteste parlano sempre alla stampa e ai Governi come rappresentanti dell’intera popolazione di Hong Kong, mentre ci sono molte voci contrarie che si levano contro di loro. I leader delle proteste vogliono far credere alla stampa e ai governi stranieri che la gente di Hong Kong vuole l’indipendenza. Così, di conseguenza, loro diventerebbero nel corso naturale delle cose Primo Ministro e legislatori di un Hong Kong indipendente.
Ci sono, poi, una serie di fattori generali i quali fanno sì che Hong Kong tendenzialmente si opponga all’indipendenza: militari (Hong Kong non ha un esercito. Il corpo militare di Hong Kong veniva fornito dai britannici quando era una loro colonia e dalla Cina dal 1997. Se Hong Kong vuole diventare indipendente, ha bisogno di avere un suo esercito. […] Senza un forte esercito, i piccoli Stati come Hong Kong potrebbero essere facilmente invasi da altre potenze), tassazione (la gestione di uno Stato indipendente è molto dispendiosa. Come si dovrebbe pagare il conto? Alzando le tasse in modo diffuso), eventuali sanzioni della Cina sull’economia locale (dovesse Hong Kong diventare indipendente, questo offenderebbe senza ombra di dubbio la Cina. La Cina adesso è economicamente forte ed ha molti alleati nel mondo. Se la Cina imponesse delle sanzioni ad Hong Kong, Hong Kong diventerebbe un’altra Cuba, che è sotto le sanzioni del suo forte vicino, gli Stati Uniti), perdita di business e competitività (recidendo i suoi legami con la Cina, Hong Kong perderebbe definitivamente la sua competitività) e terribile inflazione visto che Hong Kong acquisisce dalla Cina prodotti a buon mercato che permettono anche alle fasce più povere della società di avere un dignitoso sostentamento. In conclusione, è irrealistico che Hong Kong cerchi l’indipendenza. Le persone devono soffrire molto peggio di oggi. Poche persone sicuramente beneficerebbero dell’indipendenza di Hong Kong – i leader delle proteste, ad esempio, che con ogni probabilità diventerebbero Primo Ministro e legislatori di Hong Kong indipendente25.
Per il giornalista britannico Marcus Papadopoulos, la strada da seguire non può che essere una ed una soltanto: giovani cinesi di Hong Kong, vi invito a salvaguardare la vostra regione dal colonialismo britannico e americano e, in tal modo, a difendere l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Popolare Cinese. E mi appello a voi affinché assicuriate che il dolore e la sofferenza dei vostri antenati per mano degli inglesi durante le guerre dell’oppio non siano stati vani; lasciate che le difficoltà che hanno dovuto affrontare servano come fonte di patriottismo e ispirazione per voi nella difesa della vostra patria.
Hong Kong è la Cina!26
NOTE AL TESTO
1Articolo pubblicato originariamente sul China Daily Hong Kong e riportato dal sito GlobalResearch.ca: https://www.globalresearch.ca/letter-young-people-hong-kong/5700423
2Scambio di mail con fonti personali e riservate dell’autore dell’articolo residenti nella Regione amministrativa autonoma di Hong Kong.
3https://www.chinausfocus.com/society-culture/color-revolution-in-hong-kong-and-us-hybrid-war-against-china
4https://www.globalresearch.ca/plea-youth-hong-kong/5689356
5https://www.nytimes.com/2019/06/30/opinion/hong-kong-protests-police-violence.html.
6Scambio di mail con fonti personali e riservate dell’autore dell’articolo residenti nella Regione amministrativa autonoma di Hong Kong.
7Scambio di mail con fonti personali e riservate dell’autore dell’articolo residenti nella Regione amministrativa autonoma di Hong Kong.
8Selina Co, Hong Kong protest leaders. Sick facts that Western countries do not know, pp. 12 – 13.
9Per ragioni di spazio a disposizione, limiteremo la trattazione ai leaders più noti delle proteste ma invitiamo il lettore a prendere visione del lavoro A web of deceit. Amnesty International in Hong Kong a firma Laura Ruggeri e facilmente reperibile sul web.
10Antony Dapiran, City of Protest, Penguin Books, Australia, 2017, pp. 92 – 93.
11Il 27 marzo del 2019, Benny Tai Yiu-ting, professore di diritto di secondo rango alla Hong Kong University, lanciò Occupy Central with Love and Peace, un movimento sociale scaturito dalla frustrazione per il ritardo con cui venivano implementate le riforme democratiche ad Hong Kong. Sei giorni prima, il 21 marzo, dodici partiti politici pro-democratici avevano fondato l’Alleanza per la vera democrazia.
12 Benny Tai, uno dei promotori del movimento Occupy ha intrattenuto regolari rapporti con il Dipartimento di Stato statunitense e nel 2014 lavorava per il Hong Kong University Centre for Comparative and Public Law che riceve sovvenzioni dal National Democratic Institute – una filiale del National Democracy Endowment – per progetti come Design Democracy Hong Kong. Scrive su Benny Lai, Laura Ruggeri: nel 2014, egli è stato uno degli iniziatori del movimento illegale Occupy Central, ed è stato successivamente condannato e incarcerato. Il ruolo preminente giocato dagli esperti legali nel minare l’autorità del Governo, disseminando propaganda anti-cinese, organizzando proteste e istruendo gli attivisti è riflesso nei finanziamenti da 460.000$ che essi hanno ricevuto dal NED. Il rapporto annuale del NED del 2012 asseriva che i soldi erano destinati a promuovere la consapevolezza riguardo alle istituzioni politiche di Hong Kong e al processo di riforma costituzionale e sviluppare la capacità dei cittadini, in particolare degli studenti universitari, di partecipare in modo più efficace al dibattito pubblico sulla riforma politica. (https://medium.com/@italian4hk/agents-of-chaos-how-the-u-s-seeded-a-colour-revolution-in-hong-kong-2b5050b5ba0f).
13 https://www.globalresearch.ca/hong-kongs-umbrellas-are-made-in-usa/5409780
14 @CGTNOfficial, 11 agosto 2019.
15 Per le attività anti-cinesi di Jimmy Lai invitiamo le lettura del seguente articolo https://consortiumnews.com/2019/08/19/us-backs-xenophobia-mob-violence-in-hong-kong/
Uno dei consiglieri di Lai è Mark Simon, un ex analista dell’intelligence della Marina statunitense, veterano che nel 2009 ha organizzato un incontro con un gruppo operante nel campo anti-cinese per l’ex candidata alla vicepresidenza repubblicana Sarah Palin, all’epoca in visita ad Hong Kong.
16 https://www.scmp.com/news/hong-kong/article/1557159/alleged-details-apple-daily-founder-jimmy-lais-political-donations
17 Tra le figure di spicco dei partiti politici filo-USA di Hong Kong, Lee iniziò a collaborare con Lai durante le proteste di piazza Tienanmen del 1989. Vincitore del National Endowment for Democracy’s “Democracy Award” finanziato dagli Stati Uniti nel 1997, Lee è il presidente fondatore del Partito Democratico di Hong Kong, ora considerato parte della vecchia guardia del campo pro-occidentale.
18 https://www.scmp.com/news/hong-kong/article/1465400/biden-backs-hong-kong-democracy-activist-meeting?page=all
19ibidem
20Twitter @Chenweihua, 8 agosto 2019.
21Ming K. Chan, Regime Agenda, Elite Views and the Voices in a Polarized HKSAR’S Mainland interface in Chinese Law and Government, 2018, vol. 50, n. 2, p.96.
22Ibidem, pp. 156 – 157.
23 https://www.opendemocracy.net/en/hong-kong-angry-young-millennials-interview-with-joshua-wong/
24 Una delle spiegazioni offerte è di matrice linguistica: 光復香港 è uno dei primi slogan adottati durante le proteste. Lo slogan si compone di tre ideogrammi 光 = risplendi, shine in lingua inglese, 復= risorgi, resurrect e 香港 = Hong Kong. Quindi – si legge a pagina 16 del volume – lo slogan in lingua di Hong Kong significa Let Hong Kong Shine and recover strong again che ha niente a che fare con Free o Liberate degli slogan in lingua inglese. Quando la folla si unisce alle proteste, loro vedono e supportano 光復香港; ma, in lingua inglese, i leaders delle proteste scrivono Liberate Hong Kong o Free Hong Hong che non hanno niente a che vedere con lo slogan in cinese tradizionale, la lingua di Hong Kong. I Paesi anglofoni hanno – così – l’impressione che la folla stia protestando per liberare Hong Kong o per un Hong Kong libero, mentre gli abitanti di Hong Kong che leggono il cinese tradizionale sono convinti di supportare la causa Let Hong Kong shine and recover/strong again.
I leader delle proteste intenzionalmente propongono una traduzione errata degli slogan per indurre in errore la stampa e i Governi stranieri e guadagnare il loro supporto. Ma non è la sola volta che i leader delle proteste inducono in errore la stampa e i governi stranieri, Selina Co, op. cit., pp. 14-15.
25 Ibidem, pp. 16 – 19
26 https://www.dimsumdaily.hk/a-plea-to-the-youth-of-hongkong-from-marcus/
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