Riceviamo e pubblichiamo la seguente lettera.
Vorrei condividere con voi una storia, purtroppo reale, di un aiuto umanitario arrivato in Kosovo e Metochia e che avrebbe potuto essere molto pericoloso per i destinatari se solo si fosse scoperto da chi era stato mandato. Ecco perché in questa breve, ma impressionante storia non farò nomi di persone che ne hanno fatto parte.Tutto comincia circa un mese fa.Un amico mi chiama e mi dice “C’è un associazione italiana di Verona che ha bisogno di una mano per spedire dei pacchi in Kosovo”. Gli dico di dare loro il mio contatto e che vedrò se si può fare qualcosa. Successivamente riesco a sentire l’associazione, di cui non farò nome per motivi che capirete, e mi rendo conto subito della gravità del problema: alcuni bambini di diverse famiglie albanesi del Kosovo necessitano urgentemente farmaci per il cuore.La situazione è grave e l’associazione non ha possibilità di spedire nulla a causa dei blocchi imposti per il corona virus. Gli dico che proverò ad informarmi, ma che non sarà facile.Nel frattempo contatto i consolati generali della Repubblica di Serbia a Milano e a Trieste che mi danno buone notizie: se trovo una persona che accetta di portare con sé i pacchi fino a Belgrado loro sbrigheranno la parte burocratica, i documenti e i permessi.Ottimo penso, ma chi potrebbe portarli fino a Belgrado? Decido di chiedere una mano ad una persona,il signor V.T., che ho aiutato con i documenti per l’evacuazione dall’Italia e anche a trovare il passaggio per andare in Serbia.Lui accetta, anche se perplesso, perché temeva che avrebbe avuto problemi con l’autista se avesse saputo il contenuto dei pacchi. Invece, anche questa volta , tutto è andato per il verso giusto.Avevamo trovato il modo per far arrivare i medicinali da Verona a Belgrado. Ma da Belgrado fino a Pristina, Djakovica, Klina e altri posti c’è ancora tanta strada da fare.Contatto la signora S.M dell’Ufficio governativo della Serbia per il Kosovo e Metochia, le spiego il problema e lei accetta di darmi una mano. Un trasporto sanitario in quei giorni partiva da Belgrado per il Kosovo, avrebbe aspettato! E allora, ci siamo? Problema risolto? No, per nulla!Il signor V.T. arriva a Belgrado, riesce a consegnare i medicinali alle persone che li avrebbe portati in Kosovo, ma qui adesso inizia il dramma. La persona che doveva prelevare i medicinali e consegnarli alle varie famiglie albanesi è albanese e il trasporto sanitario è serbo.Per lui prendere i medicinali significa che avrebbe potuto avere problemi con il cosiddetto “Governo della Repubblica del Kosovo”. Cosa fare? Beh, troviamo una volontaria serba vicino a Pristina per prelevare i farmaci e consegnarli direttamente al ragazzo albanese.Bene, fatta anche questa. E adesso? Dove è il prossimo inghippo? Chi conosce la situazione in Kosovo e Metochia lo avrà già capito: non possiamo farne parola, almeno non in maniera troppo dettagliata, perché chi ha ricevuto l’aiuto, i bambini albanesi e le loro famiglie rischiano la vita se lo venissero a scoprire i loro connazionali ed il cosiddetto “governo” formato dagli ex terroristi e tagliagole.In Kosovo* si contano a migliaia gli albanesi che tutt’oggi si curano presso ospedali serbi della regione, come anche nel resto della Serbia, ma lo devono nascondere per paura di essere maltrattati, esclusi ed evitati, privati di ogni diritto o addirittura di essere uccisi.Questa è la verità del cosiddetto “Kosovo indipendente”, questa è la “vita” che molti esponenti occidentali definiscono “all’avanguardia”, che definiscono il Kosovo* “democratico e pieno di vita e di rispetto del multiculturalismo”.Mi rifiuto di pensare che possa essere tollerata l’esistenza di un luogo, da molti riconosciuto a livello di Stato, accusato dei più brutali crimini come rapimenti, trapianto di organi, uccisione di bambini ed anziani, di un luogo disposto a mettersi contro i propri concittadini, anche se della stessa etnia, solo per aver accettato l’aiuto di chi deve essere considerato nemico anche quando aiuta. Tutto per giustificare l’odio e tutti i crimini commessi in passato da quelle persone che oggi in Kosovo e in Europa da molti vengono chiamate “onorevoli”.
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