Intervento di Stefano Vernole (CeSEM) alla alla VIII Conferenza internazionale «Russia ed Europa: problemi attuali del giornalismo moderno»
I rapporti con l’Europa chiamano in causa direttamente l’identità storica e culturale della Russia, la sua visione religiosa (per certi versi messianica) e il suo ruolo strategico nel mondo (derivante anche soltanto dalla sua posizione geografica, dalle sue potenzialità economiche, ecc.). I legami esistenti tra Mosca e Bruxelles, teoricamente forieri di proficue relazioni reciproche, possono anche essere interpretati (e spesso lo sono stati) da una prospettiva culturale diametralmente opposta.
Il primo, controverso, aspetto riguarda la divaricazione tra cattolicesimo e cristianesimo ortodosso, una comune radice che ha però finito per creare visioni del mondo differenti.
Se nel cattolicesimo l’uomo finisce per rimanere solo davanti a Dio, nell’ortodossia la concezione comunitaria (ben visibile nella Mir dei villaggi rurali)) è rimasta centrale. Essa ha avuto delle conseguenze anche dal punto di vista sociale; è in Europa (e in particolare nella sua punta di lancia più avanzata, la Francia) a scoppiare inevitabilmente la Rivoluzione che mette l’individuo al centro del dibattito politico, con annesso il liberalismo, il protestantesimo (ulteriormente degenerato nel calvinismo e nell’ideologia della predestinazione Made in USA), l’ideologia dei diritti dell’uomo … Nulla di simile succede in Russia, dove la triade Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità rimane viva almeno fino alla Rivoluzione bolscevica del 1917, la quale finirà per per appiattirsi sulla struttura preesistente al fine di consolidare il proprio successo e stabilizzare lo Stato.
Alla visione “statalista” va affiancata l’idea di Terza Roma, che suggella l’antica aspirazione geopolitica della Russia ad avere una posizione centrale e dominante nelle vicende dell’umanità.
In un fondamentale documento del 2000, la Chiesa Ortodossa russa affermava che “il patriottismo del cristiano ortodosso deve essere attivo; esso si manifesta nella difesa della patria dal nemico, nella preservazione della cultura e dell’identità nazionale”. Le differenze con il cristianesimo europeo sono evidenti.
In Europa l’elevata autonomia ha permesso alla Chiesa cattolica di ritagliarsi uno spazio di potere terreno sempre più preminente rispetto al proprio ruolo spirituale.
I contatti con l’Occidente risalgono comunque alla Russia pre-petrina: i Rjurik che la governarono fino alla fine del Cinquecento erano di origine vichinga e le città di Novgorod e Pskov intrattenevano forti legami con la Lega Anseatica, mentre la rivalità con la Polonia rimane una delle cause storiche dell’incomprensione tra Russia ed Europa.
Agli inizi del Settecento, Pietro il Grande non solo introdusse la scienza, la tecnica e alcuni aspetti della cultura occidentale ma tentò di inserirsi nelle controversie e nei giochi di potere del Vecchio Continente. Tuttavia questa occidentalizzazione coinvolgeva soprattutto l’alta corte e l’alta nobiltà zarista, mentre vasti ceti popolari ne rimanevano esclusi completamente.
Il filosofo Alexander Herzen riteneva che solo la Russia, in quanto nazione europea giovane e sana, avrebbe potuto salvare il mondo dal decadimento a cui la cultura occidentale lo stava conducendo. I populisti russi ne ripresero l’idealizzazione dell’obscina (comunità rurale) come uno dei modi per superare il capitalismo.
Per Fedor Dostoevskij, “L’Europa sta perdendo il suo universalismo e tra la sua gente i vincoli cristiani si stanno allentando… L’universalismo è stato perciò concesso allo spirito russo in vista della sua futura missione che è quella di abbracciare e unire tutte le diverse nazionalità eliminando tutti i loro contrasti … La vocazione della Russia sta nell’attendere il momento in cui la civiltà europea giungerà all’ultimo respiro, per raccoglierne ideali e obbiettivi ed innalzarli al rango di valori validi per l’umanità intera … La Russia non sta solo in Europa, ma anche in Asia e perché i russi non sono soltanto degli europei ma anche degli asiatici Inoltre è lecito immaginare che l’Asia riservi per noi maggiori promesse che non l’Europa”. Amore e odio, quindi.
Lenin assorbì totalmente la tradizionale nazionale e patriottica del socialismo russo, pur interpretandola in modo nuovo e operando una sintesi selettiva dei suoi elementi costitutivi. Non a caso biasimò i lavoratori occidentali che avevano raggiunto il loro alto tenore di vita al prezzo di uno sfruttamento spietato dei sottopagati lavoratori russi, per cui l’etichetta di “imperialisti” andava affibbiata anche ai partiti socialdemocratici europei. Secondo Stalin, se la Russia si era già liberata del capitalismo, per forza di cose si doveva ergere contro l’Occidente senz’anima emblema della civiltà imperialista. Ma anche i Bianchi come Nikolaj Ustrjalov, che pure si contrapponevano ai bolscevichi, giudicavano come “traditore” il comportamento dell’Occidente che poco aveva fatto per aiutare i controrivoluzionari, dimenticando l’enorme sacrificio dei russi nella Prima Guerra Mondiale.
Lo scrittore Anatolij Lunacarskij riteneva che l’indole nazionale degli Stati capitalisti, Stati Uniti in particolare, avesse subito un mutamento irreversibile a causa dell’influenza negativa della civiltà meccanicista, mentre l’anima russa era più profonda, naturale.
L’esponente principale del futurismo russo, Vladimir Majakovskij, suggeriva di imporre la volontà russa, quella audace dell’Oriente, all’Europa corrotta: “Per noi essere Europa non costituisce un’imitazione servile dell’Occidente”. Nella Grande Enciclopedia Sovietica, sotto il termine “cosmopolitismo” si poteva leggere: “ideologia borghese e reazionaria che predica la rinuncia alle culture e alle tradizioni nazionali, al patriottismo, alla sovranità nazionale e statale”.
Non va inoltre dimenticato come diversi russi individuarono nel comunismo una delle possibilità per realizzare la giustizia sociale del cristianesimo primitivo.
Dall’altra parte del Continente, la russofobia è stato un sentimento pervasivo per secoli nella pubblicistica europea; dall’odio incondizionato espresso dallo scrittore cattolico Léon Bloy, fino alle orribili e false parodie di personaggi come Ivan il Terribile, Rasputin e lo stesso Stalin.
Sono però esistite ed esistono anche oggi in Russia due correnti, per certi versi contrapposte, su quali debbano essere i rapporti con l’Europa, eurasiatica la prima e nazionalista la seconda (divisa a sua volta in due categorie, quella degli slavofili e quella degli occidentalisti, anche se ad entrambe Dostoevskij riconosceva la vocazione universalistica). Pur ricordando che esiste una certa affinità tra l’ideale slavofilo-comunitario del sobornost e la “teoria organicistica” del filosofo tedesco Ferdinand Tonnies.
Una simile divisione, seppur non così manichea, è stata ampiamente riscontrata negli stessi apparati di sicurezza dello Stato prima zarista, poi sovietico ed oggi nazionalista: quella tra KGB e GRU ha riguardato più volte proprio l’atteggiamento, collaborativo o meno, da tenere nei confronti di un Occidente con il quale l’Europa ha finito progressivamente per identificarsi.
Una contrapposizione di vedute che è paradossalmente divenuta più evidente a partire dalla caduta del Muro di Berlino, quando il conflitto ideologico avrebbe dovuto terminare.
In effetti l’avanzata della NATO verso Est ha non solo contraddetto quanto era stato promesso a Mosca dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia ma ha progressivamente costretto ad una marcia a ritroso quanti al Cremlino ritenevano fosse giunto il momento di una piena distensione e/o normalizzazione dei rapporti dopo decenni di rivalità.
Il bombardamento con i carri armati di una Duma legittimamente eletta, nel 1993, è stato favorevolmente accolto dall’élite dei Paesi occidentali al punto che il quotidiano britannico “Financial Times” scrisse in quei giorni che “gli interessi dell’Occidente coincidono inevitabilmente con gli interessi di El’cin”. Nessun importante media europeo ha sottolineato le incongruenze e le assurdità del caso Litvinenko, la cui morte non poteva portare alcun vantaggio alla Russia. Lo stesso può dirsi per la campagna propagandistica montata con il caso Skrypal, che ha causato l’adozione di ulteriori sanzioni economiche contro il Cremlino.
Vanno lette come durissime provocazioni occidentali lo scisma della Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Costantinopoli, le manovre della NATO nei Balcani o la prossima installazione del sistema missilistico nordamericano Aegis Ashore nei Paesi Baltici.
Europa e Stati Uniti presentano la Russia agli occhi dell’opinione pubblica mondiale come un Paese con libertà e diritti umani menomati, sempre più aggressivo, autoritario e bramoso di ambizioni imperiali, senza ricordare che raramente l’esercito di Mosca ha partecipato nella storia a guerre sui campi di battaglia occidentali (viceversa lo stesso non può dirsi per gli eserciti europei) e non ha mai preteso di avere una contropartita territoriale per i suoi interventi.
Nel 1997 la firma dell’ “Atto fondamentale Russia-NATO” impegnava l’Alleanza Atlantica a non posizionare su base permanente “consistenti” forze militari sui territori dei nuovi Stati membri, un accordo ovviamente mai rispettato.
Tra il 1999 (anno del bombardamento NATO della Federazione Jugoslava) e il 2001, il Parlamento Europeo ha approvato ben sette risoluzioni di condanna dell’intervento militare russo in Cecenia.
La sfera di interessi dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica si è presto estesa ad aree geografiche e a territori tradizionalmente importanti per Mosca (Georgia, Ucraina ecc.); vi giocano fattori come la “sindrome da vincitori” della “guerra fredda” e l’inerzia del pensiero occidentale, seppure dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla UE le forze atlantiste al suo interno si siano indebolite.
Quando l’Europa parla alla Russia di libertà e democrazia, quest’ultima vi legge ipocrisia o volontà di erigersi ad esempio morale; ai russi l’Europa appare politicamente poco coesa, debole militarmente ed energicamente dipendente da altri. Come recentemente fatto notare dal Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, “I Paesi europei non sono ancora pronti a vivere la politica estera in maniera autonoma e seguono gli Stati Uniti anche nei casi in cui è chiaramente contrario ai loro interessi” (si veda da ultimo l’abbandono di Trump al Trattato INF).
L’aggressività statunitense, quasi sempre supportata dal consenso europeo, ha così costretto la dirigenza putiniana ad intraprendere iniziative di politica estera sempre più audaci (pur nel rispetto del diritto internazionale) come in Ucraina e in Siria, proiettandone la traiettoria geopolitica verso Pechino anziché verso Bruxelles. Se la prima “idea forte” del capo del Cremlino era quella di “democrazia” sovrana, ora Vladimir Putin parla apertamente di “integrazione eurasiatica”.
Si è creata una spirale di azione-reazione, caratterizzata dalla logica delle sanzioni economiche, alla quale nessuno dei due contendenti sembra aver minimamente intenzione di rinunciare. Un confronto che rischia di diventare estremamente pericoloso se solo si pensa che i due principali contendenti, Russia e Stati Uniti, possiedono un potenziale messianico fortissimo ed opposto allo stesso tempo: la Terza Roma imperiale fautrice della giustizia sociale e rispettosa delle differenze da una parte (“sovranità e diritto incondizionato di ogni Paese al proprio percorso di sviluppo”), il “destino manifesto” e l’“eccezionalismo americano” con la sua volontà uniformante e globalizzatrice dall’altra (“le regole internazionali comuni verrebbero sostituite da leggi, meccanismi amministrativi e giudiziari di un Paese, gli Stati Uniti, estendendo la loro giurisdizione a tutto il mondo” ha notato lo scorso luglio Vladimir Putin).
Queste differenti visioni storiche, culturali, nazionali e religiose rappresentano perciò il corollario necessario a giustificare interessi geopolitici che vengono costantemente perseguiti da secoli, aldilà di ogni ideologia.
La relazione tenuta nel 1904 da Halford Mackinder, individuando nell’Heartland il “cuore del mondo”, proclamò la Russia nemico principale delle potenze talassocratiche.
Esiste perciò oggi una competizione insanabile fra il progetto euroatlantico e quello eurasiatico; come temeva Zbigniew Brzezinski, se la Russia guadagnasse influenza nel Vicino Oriente e in Asia Centrale, ancor più alleandosi con la Cina, l’influenza globale di Washington sarebbe finita.
Nonostante l’Europa fatichi ad ammetterlo, Bruxelles avrebbe lo stesso interesse di Mosca a favorire l’instaurazione di un ordine mondiale alternativo, geopoliticamente multipolare. O i popoli europei recupereranno infatti il controllo sulla propria sicurezza militare, sullo sviluppo demografico e, più in generale, sulla loro politica estera, divenendo attori indipendenti sullo scenario globale o si dissolveranno gradualmente.
Un rapporto paritario e privilegiato con la Russia permetterebbe all’Unione Europea di raggiungere importanti traguardi in settori come l’approvvigionamento energetico, la risoluzione delle crisi geopolitiche, l’utilizzo dello spazio, la costruzione delle infrastrutture strategiche e la padronanza dell’alta tecnologia.
Un primo passo da compiere, dopo l’annullamento delle reciproche sanzioni, è quello di sviluppare un processo di graduale integrazione economica, con la completa abolizione del visto tra Europa e Russia. L’obiettivo finale sarebbe la creazione di una grande area di libero scambio da Lisbona a Vladivostok, la quale potrebbe poi essere estesa all’istruzione e alla sicurezza; ma per i due partner rimane prioritario riconoscere le reciproche sfere d’interesse se si vogliono armonizzare le differenze e valorizzare l’eredità culturale condivisa.
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