Clemente Herrero Fabregat è Professore emerito all’Università Autonoma di Madrid nell’area Didattica delle Scienze Sociali, dove dirige un gruppo di studio dal titolo “Investigazioni geopolitiche ed educative”. La sua fama si estende ampiamente al di fuori della Spagna, avendo svolto lezioni universitarie in Brasile, Cuba, Uruguay e Messico; ha quindi ricevuto una Laurea Honoris Causa presso l’Università Regionale del Nord Est del Rio Grande del Sur (UNIJUI).
Il suo ultimo testo, El Mundo hace crack, riassumendo i più importanti eventi geopolitici degli ultimi due secoli, si divide in diverse parti, alcune di carattere introduttivo altre che affrontano temi più specifici.
Tracciando linee generali, l’autore ritiene che la geopolitica possa distinguersi in tre tipi fondamentali: classica, organica e cibernetica (o cognitiva); a quest’ultima viene in particolare dato risalto, in quanto disciplina che si pone in relazione diretta con l’immaginario “interessato” che i gruppi di potere vogliono creare nelle menti delle persone. Per dominare quello che viene definito lo “spazio mentale” i gruppi dirigenti devono controllare quattro ambiti: quello economico, quello culturale-filosofico, quello politico e quello tecnologico.
Rispetto alla geopolitica classica, quella cibernetica decide di avanzare nell’utilizzo delle nuove tecniche di informazione e comunicazione, diluendo il suo tradizionale unico centro di potere in una rete con molti centri interconnessi: il suo obiettivo non è più la dominazione militare degli spazi geografici ma piuttosto il controllo economico degli stessi.
Le nuove forme di capitalismo finanziario che hanno dato vita al processo di globalizzazione utilizzano le istituzioni tradizionali come Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale ecc., insieme alle grandi multinazionali, alle reti e ai loro operatori, per sostituire il ruolo svolto un tempo dagli stati maggiori dell’esercito. Le grandi corporazioni costituiscono l’unità di base dell’attuale economia mondiale e attualmente il 55% della ricchezza del Pianeta si trova concentrata nelle mani di 400 imprese transnazionali del settore energetico, chimico, farmaceutico … Il 90% della ricchezza mondiale è in mano all’1% della popolazione del Pianeta.
Accanto a questa geopolitica cibernetica, quella cognitiva pretende di imporre la visione del mondo, diffondere l’ideologia e realizzare gli interessi delle classi dominanti attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Se l’obiettivo precedente era il dominio militare dello spazio, oggi bisogna far accettare ai cittadini una determinata visione simbolica dell’esistenza, tanto nella sfera economico-commerciale che in quella politica, religiosa, sportiva, ricreativa ecc.
Questo effetto potentemente stimolatorio viene poi dialetticamente “temperato” attraverso la diffusione delle droghe e di potenti farmaci: attualmente il 25% dei bambini negli Stati Uniti si trova sotto la prescrizione di qualche sostanza che necessita di ricetta medica.
Quando il controllo “medico” non basta, arriva quello tecnologico. Stando alla ricostruzione effettuata dal noto geopolitico francese Yves Lacoste, il sistema Echelon (dipendente dalla National Security Agency degli Stati Uniti d’America e il cui centro si trova a Fort Meade in Maryland), oltre a fax e telefoni, è in grado di intercettare il 90% del traffico via internet a livello mondiale, con particolare attenzione alle informazioni funzionali allo spionaggio civile e industriale.
Parallelamente si stanno sviluppando altri tipi di sistema come ad esempio il progetto Oseminti (Operational Semantic Intelligence Infrastructure) sviluppato dai Ministeri della Difesa spagnolo, francese e italiano in collaborazione con l’Agenzia di Difesa Europea. Si tratta di un software spia con intelligenza semantica, cioè capace di interpretare il linguaggio umano identificando in frasi particolari determinati pensieri ed idee. In Spagna esiste anche SITEL (Sistema Globale di Intercettazione delle Comunicazioni Elettroniche), capace di bloccare tutti i telefoni nazionali contemporaneamente, che viene utilizzato dal Ministero degli Interni, dalla Polizia nazionale, dalla Guardia Civile e dal Centro Nazionale dei servizi segreti di Madrid.
Proprio la parte dedicata alla Penisola Iberica e alla sua posizione geopolitica è tra le più interessanti del libro. Essa si situa nel fianco sud europeo, dove convergono due grandi rotte: una che va da Nord a Sud e una che va da Est ad Ovest (e viceversa). La prima mette in comunicazione l’Europa con l’Africa attraverso tre direzioni: Sudan, Sahara ed Egitto, la seconda è ostruita nella sua parte occidentale dallo Stretto di Gibilterra, che domina l’ingresso al Mediterraneo, quella centrale passa attraverso il Canale di Sicilia, e ad oriente attraverso la Turchia europea che domina gli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli, tradizionale impedimento all’espansione russa verso il Mediterraneo.
Turchia e Spagna costituiscono così le chiavi del Mediterraneo e, “curiosamente”, quando l’instabilità politica in entrambi i Paesi ha minacciato gli interessi statunitensi, la situazione di crisi interna si è sempre risolta rapidamente.
Ad esempio il colpo di Stato spagnolo del febbraio 1981, pur fallendo, ha accelerato l’ingresso del Paese nella NATO e messo fine alla politica neutralista del Primo Ministro Adolfo Suarez Gonzalez che si era da poco recato in visita a Cuba e in Algeria.
Gli Stati Uniti avevano in precedenza appoggiato la dittatura franchista per sottrarre la Penisola Iberica all’influenza sovietica, a partire dalla crisi del 1948 e dalla Guerra di Corea (1950), tenendo conto della grande importanza geopolitica della Spagna, che – se ostile – avrebbe causato numerose difficoltà alla VI Flotta nordamericana nel Mediterraneo e al suo eventuale appoggio ad Italia, Grecia, Turchia e Israele.
I primi accordi tra Madrid e Washington risalgono al 23 settembre 1953: essi prevedevano aiuti economici, finanziari e il posizionamento di basi militari statunitensi sul territorio spagnolo: a Moron de la Frontera (Siviglia), a Torrejon de Ardoz (Madrid), a Saragozza e a Cadice (base aeronavale di Rota). Il funzionamento di questi centri militari dipende dalla volontà del Pentagono, come dimostrato con la inibizione di Washington al conflitto in Ifni e l’appoggio degli Stati Uniti al Marocco (talvolta chiamata anche Guerra dimenticata in Spagna, la Guerra Olvidada, fu una serie di incursioni armate nell’Africa Occidentale spagnola ad opera di insorgenti marocchini che iniziarono nell’ottobre del 1957 e culminarono con il fallimentare assedio di Sidi Ifni).
Non sempre però la cooperazione militare filò liscia; durante la Guerra arabo-israeliana del 1973, l’ammiraglio Carrero Blanco, mano destra del generale Franco, negò agli aerei statunitensi nelle basi spagnole la possibilità di appoggiare militarmente Tel Aviv e quindi di violare la tradizionale neutralità di Madrid nella principale questione mediorientale. Tre mesi dopo Carrero Blanco fu ucciso in un attentato rivendicato dall’ETA; i terroristi avevano depositato un esplosivo ad alto potenziale all’interno di un tunnel da loro costruito, al centro di una strada di Madrid e ad ottanta metri dall’Ambasciata degli Stati Uniti d’America.
Con il Primo Ministro Leopoldo Calvo Sotelo, successore di Adolfo Suarez, la politica di Madrid tornò ad essere totalmente pro atlantista e il 16 marzo 1982 la Spagna completò il suo processo di integrazione nella NATO.
Malauguratamente, un referendum popolare tenutosi il 12 marzo 1986 confermò questa scelta: a favore della permanenza della Spagna nella NATO votò il 52,54% degli elettori recatisi alle urne, il 39,83% votò no e il 6,54% lasciò la scheda bianca.
Da allora, indipendentemente dai governi socialisti o popolari, l’appoggio spagnolo alla politica atlantista è continuato; nell’ottobre 2011 è stato ad esempio concesso agli Stati Uniti l’utilizzo della base navale di Rota e il dispiegamento di quattro cacciatorpedinieri dotati dei sistemi antimissile AEGIS, come parte del più ampio dispiegamento dello scudo spaziale USA in Europa (teoricamente in funzione anti iraniana ma in realtà diretto contro la Russia).
Nel giugno 2015 è stato poi firmato un accordo che consente al Pentagono l’utilizzo in modo permanente della base aerea di Moron de la Frontera per intervenire in Africa con la scusa della minaccia del terrorismo islamista (in realtà in funzione anti cinese).
Circa 4.000 soldati statunitensi rimangono impiegati nelle due basi a suggellare l’accordo.
Stefano Vernole
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