Martedì 8 novembre 2016 si è tenuta l’elezione del 45º presidente degli Stati Uniti d’America: nonostante diverse accuse di elezioni truccate e numerosi scandali di violenza sessuale che lo hanno visto protagonista negli ultimi tempi, Donald Trump, imprenditore e personaggio televisivo newyorkese sopra le righe, candidato del Partito Repubblicano, ha sconfitto la candidata Hillary Clinton del Partito Democratico, prima donna ad aver vinto le primarie presidenziali di uno dei maggiori partiti. «È giunto il momento di cicatrizzare le ferite: il popolo americano è uno solo e dobbiamo essere uniti. A tutti i repubblicani e democratici nel Paese, io dico che è arrivato il momento di essere un popolo unito. Lo prometto a tutti i cittadini del Paese. Sarò il presidente di tutti gli americani» assicura il neo-presidente della Casa Bianca tendendo la mano a Hillary Clinton nel suo primo discorso e dicendo di volersi spendere per evitare divisioni.
Una Clinton dal sogno sfumato. Hillary Clinton, alcune ore dopo la tormentosa sconfitta e il desiderio sbiadito di essere la prima donna presidente alla Casa Bianca, rompe il silenzio: «Mi sono congratulata con Donald Trump e impegnata a lavorare con lui per il bene del Paese. E’ una sconfitta dolorosa e lo sarà per molto tempo. Sono delusa e mi dispiace non aver vinto queste elezioni», ha ammesso sensibilmente commossa. In seguito ha inviato un messaggio a tutte le sue sostenitrici, facendo riferimento alla possibilità che una donna diventi presidente degli Stati Uniti d’America: «Non abbiamo ancora spezzato il più alto e duro soffitto di cristallo, ma un giorno succederà. Ora dobbiamo accettare il risultato della vittoria di Donald Trump, divenuto il nostro presidente».
Elettori e popolo in un’unica direzione? Donald Trump ha ottenuto l’appoggio di 290 grandi elettori – venti in più rispetto a quelli necessari per garantirsi la maggioranza – al contrario dell’avversaria Hillary Clinton, la quale si è fermata a quota 218. Trump ha conquistato i seggi elettorali di Stati come l’Alaska e l’Arizona, in cui i repubblicani prevalgono facilmente, e di altri ritenuti decisivi per la nomina, quali il Wisconsin, il Michigan e la Pennsylvania. Soddisfazione per la Clinton il voto popolare, dove la candidata democratica ha raggiunto oltre 59,18 milioni di consensi, contro i 59,04 di Trump. Per avere una garanzia di vittoria la Clinton avrebbe dovuto vincere almeno in Florida o in Ohio, dove invece in entrambi gli Stati sono stati i repubblicani a prevalere.
Piano economico-politico del neo-inquilino della Casa Bianca. Quali conseguenze e scenari si aprono con l’imprevedibile Donald Trump che sale alla guida degli USA? Il 22 ottobre è stato presentato il programma economico-politico del candidato alla Casa Bianca, Donald Trump, riassumibile in
cinque punti fondamentali, per quanto alcuni d’essi al momento rimangono un’incognita soprattutto per gli americani.
• Piano economico: agevolazioni fiscali per la classe media americana; semplificazione del codice fiscale; nessuna azienda di qualsiasi dimensione pagherà più del 15% del reddito d’impresa in tasse; creazione di un’economia “dinamica” con una crescita del 3,5% annuo; diminuzione del debito e del deficit; rinegoziare il Nafta (North American Free Trade Agreement, Accordo nordamericano per il libero scambio) e gli altri accordi commerciali.
• Politica interna: emendare la Costituzione per porre un limite ai mandati dei membri del Congresso; riscrivere “ogni atto esecutivo, memorandum e ordinanza incostituzionali del presidente Obama”; più armi per i cittadini, meno vincoli per la vendita di pistole e fucili.
• Politica estera: lavorare a stretto contatto con gli alleati arabi per sconfiggere lo Stato Islamico; combattere l’ideologia dell’Islam radicale con tutti i mezzi; sospendere l’immigrazione da quelle aree che hanno noti legami con il terrorismo; rinegoziare i rapporti con l’Arabia Saudita; far pagare di più gli alleati Nato per la propria difesa; allentare le tensioni con la Russia e la Cina trovando interessi comuni nonostante le divergenze e trattare con il leader nordcoreano; cercare un’intesa con Mosca per arrivare a una tregua e all’avvio di un processo di pace in Siria; rafforzare maggiormente la “cyber intelligence”.
• Immigrazione: continuare la costruzione di un muro al confine meridionale con il Messico per bloccare l’immigrazione clandestina: «una nazione senza confini non è una nazione»; eliminare il diritto di cittadinanza
per nascita; realizzare un piano di immigrazione che migliori i posti di lavoro, i salari e la sicurezza degli americani.
• Ambiente: sviluppo delle fonti fossili per aiutare l’industria e l’economia del paese; smantellare l’Agenzia federale che si occupa della tutela dell’ambiente.
Trump e Putin, alleati per interesse? Donald Trump e Vladimir Putin non hanno nessuna intenzione di farsi la guerra, piuttosto guardano entrambi con forte preoccupazione e prioritaria attenzione all’inarrestabile boom economico della Cina, che ultimamente sta totalmente abbattendo la concorrenza europea. La Cina, grazie ad una sconvolgente manodopera, è diventata l’epicentro degli investimenti, tant’è da muovere i suoi incrementi in Europa, in Africa, in Asia Centrale e nel Sud Est asiatico, al fine di creare un’ampia area di influenza che si spinga in seguito sino alla Turchia e all’Iran. Tale piano espansionistico, però, non è gradito all’India, altra potenza asiatica che gode di ottimi rapporti, specialmente economici, con la Russia.
Il triangolo Obama-Putin-Trump. Solitamente il periodo che intercorre tra l’elezione di un nuovo presidente USA e il suo effettivo insediamento, è definito “transizione” ed è caratterizzato da una stretta collaborazione tra il leader uscente e quello eletto, al fine di cooperare sui temi più delicati riguardanti il Paese Americano e per trattare dei principali problemi che dovranno essere affrontati durante la nuova presidenza. Ma per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, si è assistito ad un passaggio turbolento. Gli ultimi giorni della presidenza Obama, infatti, sono stati segnati da decisioni di politica estera sufficientemente critiche e opinabili: il presidente uscente si è rifiutato di firmare una legge votata all’unanimità dal Senato che prevede il prolungamento delle sanzioni contro l’Iran (andando così contro il Congresso Americano); ha voluto inoltre rafforzare ulteriormente le sanzioni contro gli hackeraggi russi ai danni del Partito Democratico e ad altre organizzazioni politiche che avrebbero inquinato la campagna presidenziale, firmando provvedimenti che bloccano le ricerche minerarie in varie parti del territorio americano. Tali provvedimenti sembrerebbero una strategia per minare la credibilità e recare problematicità a Trump, il cui obiettivo sarà quello di revocarli prima possibile per porre l’attenzione sul disprezzato Obama-Care, sull’accordo nucleare stipulato con l’Iran, sulla carenza dell’azione contro lo Stato Islamico e sull’irruenza cinese che minaccia il potere marittimo americano nel Pacifico Occidentale. Ma le sanzioni decise dall’attuale Presidente (Obama) riguardano non solo i singoli individui, ma anche interi organismi russi. La prima decisione presa nell’immediato ha riguardato 35 alti funzionari russi accusati di essere agenti dell’intelligence russa, ai quali erano state concesse solo 72 ore per lasciare gli Stati Uniti perché incompatibili con lo status diplomatico. Ad essere stati messi sotto accusa anche l’FSB (Servizio di sicurezza federale) e il GRU (Direzione Centrale dell’Intelligence Militare) con i loro più alti ufficiali in carica (Igor Valentinovich Korobov, Serhei Aleksandrovich Gizunov, Igor Olegovich Kostyukov e Vladimir Stepanovich Aleksev) ritenuti responsabili di aver ordinato gli attacchi contro il Comitato Nazionale Democratico. Altre sanzioni USA sono spettate a due cittadini russi (Evgeniy Bogachev e Aleksey Belan), ambedue risaputi cyber criminali perseguibili per intrusioni nel sistema finanziario internazionale, anche ai danni di alcune compagnie americane. La Russia ha replicato dichiarandosi estranea agli atti di hackeraggio e sottolineato che le accuse mosse da Obama non fanno altro che danneggiare la ricostruzione dei legami tra i due Paesi; inoltre ha voluto precisare che non vi è stato alcun tentativo di compromettere gli interessi americani. Tentativo di Trump è invece quello di creare un clima favorevole al dialogo con la Russia, alla quale si sono subito opposti il parlamento e i funzionari delle agenzie federali. Trump ha deciso di nominare alcuni funzionari filorussi nella propria amministrazione, segno di fiducia nei confronti di Putin: da Michael Flynn, generale eletto nel ruolo di consigliere per la Sicurezza nazionale, a James Mattis, generale al Pentagono (quartier generale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America). Altro nominativo il texano Rex Wayne Tillerson, ingegnere civile statunitense, politico e attuale amministratore delegato della compagnia petrolifera Exxon Mobil, inserito a capo della Diplomazia come 69° segretario di Stato degli Stati Uniti, decorato con la massima onorificenza russa destinata ai cittadini stranieri e “amico” di Vladimir Putin, col quale si schierò nel 2014 contro l’approvazione delle sanzioni ai danni di Mosca.
Successivamente all’elezione del nuovo presidente americano, che prenderà luogo il 20 gennaio 2017, l’intelligence americana ha ottenuto prove attendibili che la Russia abbia fornito a Wikileaks del materiale hackerato. Già mesi prima le autorità americane avevano affermato con una certa sicurezza che vi fosse l’intelligence russa dietro le cyber intrusioni, ma non avevano avuto alcuna conferma riguardo la possibilità che Mosca avesse manovrato anche la diffusione di queste informazioni. Il direttore della National Intelligence, James Clapper, ha sostenuto pubblicamente che Mosca, benché continui a rimanere una minaccia, con l’azione di hackeraggio dei sistemi di votazione americani non ha comunque intralciato l’esito di quest’ultime elezioni presidenziali. La reazione di Donald Trump come conseguenza alle parole di James Clapper, è stata quella di ridimensionare l’intelligence americana (sostituendo e nominando direttore nazionale il senatore dell’Indiana Dan Coats) e la CIA (alla quale è stato assegnato maggiore potere), decisioni prese al fine di apportare cambiamenti a coloro che cercano continuamente di sminuire la sua vittoria sostenendo la tesi dell’hackeraggio russo, sostenendo che tali sanzioni non sono altro che sono motivate unicamente dal loro essere politicizzate. Il direttore uscente della Cia John Brennan ha inoltre definito l’atteggiamento di Trump pericoloso e rischioso per il Paese.
Le polemiche sul ruolo di Mosca nelle elezioni dell’8 novembre non accenna a placarsi: le accuse contenute nel dossier, presentato su ordine di Barack Obama a Donald Trump il 6 gennaio, intitolato “Assessing Russian Activities and Intentions in recent US elections” e redatto in 25 pagine dalle principali agenzie, cui FBI (Federal Bureau of Investigation), CIA (Central Intelligence Agency) e NSA (National Security Agency), ha constatato che Putin ha ordinato di aiutare Trump a vincere la nomina presidenziale manipolando le intenzioni di voto degli elettori americani, screditando Hillary Clinton dopo aver fatto intrusione nei computer dei suoi più stretti collaboratori. Inoltre, le spie russe vengono accusate di aver creato un DC Leaks, ovvero un sito web sul quale avrebbero pubblicato le notizie tratte dalle fonti private del capo della campagna elettorale della Clinton, John Podesta. Quindi, le elezioni presidenziali sono state realmente manipolate dai servizi segreti russi? Se da un lato gli analisti dell’intelligence americana continuano a presentare tali accuse nei confronti della Russia, dall’altro lato concludono il loro lavoro minuzioso affermando che non ci sono prove sufficienti di una macchinazione che abbia alterato il voto dell’8 novembre. A tali congetture, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha voluto denunciare nuovamente le accuse mosse a suo carico, continuando a smentire nettamente ogni coinvolgimento, considerando le prove americane ingiustificate e prive di fondamento. E’ certo che le decisioni prese in quest’ultimo mese da Obama nei confronti di Putin hanno solamente riportato le relazioni tra USA e Russia ai livelli della trascorsa Guerra Fredda. Secondo quanto riportato dai mass media, il pensiero del nuovo leader americano su questo problema non è mai stato dichiarato ufficialmente, sebbene la sua notificazione sull’intenzione di aggiungere una possibile task-force per la cybersicurezza americana, svelerebbe molto a riguardo. Successivamente al suo incontro con Obama e i quattro capi dell’intelligence, Trump ha affermato che in realtà la Russia, la Cina e altri Paesi tentano continuamente di violare le infrastrutture informatiche delle istituzioni americane e di varie organizzazioni tra cui il Comitato Nazionale Democratico. Il piano di riaccostamento con Mosca auspicato dal nuovo presidente Donald Trump, riuscirà ad andare in porto?
Un genero per consigliere. Jared Kushner, nonché genero di Trump, è stato nominato consulente per il commercio e il Medio Oriente. Erede di una storica famiglia ebrea, scampata all’Olocausto, col sogno di far firmare un accordo di Pace tra Israele e Palestina; benestante imprenditore nel ramo immobiliare di famiglia già all’età di ventisette anni, e popolare editore e proprietario del “New York Observer”.
Critiche e accuse cadono ai piedi del nuovo leader per aver indicato il marito della figlia Ivanka nella cerchia dei Trump. Nello specifico, i democratici e alcuni funzionari della Casa Bianca, si sono dichiarati impensieriti dal conflitto d’interesse che questa nuova nomina potrebbe produrre, e hanno deciso di rivolgersi alla magistratura in base alla legge anti – nepotismo, la quale vieterebbe la nomina di familiari in incarichi importanti. L’avvocato Jamie Gorelick ha affermato che tale legge può essere applicata solo al Gabinetto del governo e non allo staff della Casa Bianca, aggiungendo che nel non lontano 1967 il Congresso approvò la legge anti – nepotismo, ma che nove anni dopo, nel 1978, autorizzò il presidente in carica a nominare il personale della Casa Bianca senza alcuna limitazione. Quando nel 1993 Bill Clinton incaricò sua moglie Hillary Clinton di presiedere una task – force sulla riforma sanitaria nazionale, la Corte stabilì definitivamente che una legge anti – nepotismo non si sarebbe obbligatoriamente dovuta applicare allo staff presidenziale.
In politica estera, Jared Kushner, potrebbe addirittura aiutare a risolvere il conflitto istraelo – palestinese, portando ad un grande risultato: è stato capace di da fare da tramite tra la comunità ebraica e i repubblicani filo – Trump, ed è persino riuscito a ricostruire un rapporto con il governo Netanyahu. Ulteriore scopo sarà quello di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, contribuendo a diminuire la divisione politica tra lo Stato di Israele e la Palestina, progetto posticipato da anni a causa del timore di far naufragare i negoziati di Pace tra i due Paesi. Ma con l’arrivo di Donald Trump e di suo genero, questa “tradizione politica” potrebbe essere sospesa, e giungere proprio in un momento particolare della storia: mentre la Russia estende sempre più il proprio potere commerciale in Medio Oriente, nei confini israeliani è in atto una guerra civile. In vista della nomina di alto consigliere della Casa Bianca, Kushner, ha deciso di dimettersi dalla posizione della Ceo di molte sue società e da editore, vendendo e cedendo anche numerosi investimenti all’estero e affari in America.
Deborah Garofalo
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