La Cina nella finanza globale (parte 4)

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Articolo originale: http://www.ilcaffegeopolitico.org/40877/la-cina-nella-finanza-globale-iv

Comprendere la Cina – Non solo yuan: per aumentare la propria presenza sulla scena finanziaria internazionale, Pechino ha dato vita ad una serie di organizzazioni regionali, quasi tutte dedicate alla promozione degli investimenti infrastrutturali.

L’ASCESA DELLA CINA – Nella sua progressiva proiezione internazionale, la Cina manifesta una strategia sempre più chiara: le autorità politiche della Repubblica popolare continuano a negoziare molto con le loro controparti statunitensi, mentre allo stesso tempo cercano di portare avanti la propria agenda. L’intento è di cercare di armonizzare le necessità nazionali con la leadership degli Usa. Dal 2009, la Cina ha di fatto promosso l’uso della propria moneta al livello internazionale in modo graduale ma rapido. Prima del 2009, la moneta cinese aveva una presenza nelle transazioni internazionali pari a zero. Dopo pochi anni, nel 2014, è diventata la settima valuta più popolare a livello mondiale per regolare i pagamenti globali e la seconda più usata tra la Cina e il resto del mondo (dati della Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, SWIFT). Nell’agosto 2015, lo yuan ha superato lo yen giapponese, divenendo la quarta moneta globale più usata (e garantendosi in tal modo l’inclusione nel paniere di valute di riserva dell’IMF). Contestualmente, oltre ad espandere rapidamente l’uso dello yuan nel commercio internazionale, la Cina ha fondato nuove istituzioni internazionali per rafforzare ulteriormente il proprio ruolo nella finanza globale.  In questo intervento cominciamo a presentare in breve la valenza e le implicazioni di queste iniziative.

L’ASIAN INFRASTRUCTURE INVESTMENT BANK – E’ un’istituzione che si propone di finanziare progetti infrastrutturali nella regione Asia-Pacifico. Essa è divenuta un punto centrale della politica estera del Presidente Xi Jinping ed è volta ad offrire un’alternativa alla World Bank e all’Asian Development Bank (ADB). La ragione è duplice. In primo luogo, negli ultimi decenni la WB e la ADB hanno entrambe fallito nel fornire copertura finanziaria a molti progetti infrastrutturali in Asia, lasciando centinaia di milioni di persone in condizioni di difficoltà. L’AIIB, invece, la cui maggiore fonte di finanziamenti viene dalla Cina, accetta contributi dagli Stati membri dirigendoli su progetti infrastrutturali precedentemente falliti. In secondo luogo, l’AIIB è diretta dalla Cina, mentre la WB dagli Stati Uniti e la ADB dal Giappone. Queste ultime sono state a lungo percepite come istituzioni estranee agli interessi della Cina e del resto del mondo emergente, poiché non interessate, politicamente, a finanziare ulteriormente lo sviluppo di quella parte del mondo. Gli Stati Uniti hanno cercato di impedire che il centro di gravità del mondo economico si spostasse verso la Cina, mentre il Giappone era troppo occupato a cercare di risolvere i problemi della propria economia, almeno prima che il Presidente Abe assumesse il potere. Vari standard arbitrari, come supposte violazioni di diritti umani o soglie di PIL troppo alte, sono stati usati spesso come scuse per negare finanziamenti a progetti infrastrutturali fortemente supportati sul piano scientifico e necessari per lo sviluppo dell’Asia. La Cina, dunque, ha pensato che assumendo una posizione di leadership nella nuova istituzione internazionale ci sarebbero state meno interferenze da parte degli Stati uniti o del Giappone.

E’ pur vero peraltro che a seguito del lancio dell’AIIB gli Stati Uniti hanno fatto pressione sul Giapponeperché usasse la ADB per erogare prestiti estesi finalizzati alla realizzazione di vari progetti infrastrutturali nella regione, cercando così di anticipare l’influenza cinese e la diffusione dell’uso dello yuan in quella parte del mondo. Attraverso la ADB il Giappone ha investito nel Corridoio Economico Est-Ovest, per collegare il Vietnam alla Birmania attraverso Laos e Tailandia, provvedendo inoltre a finanziare la Cambogia per la costruzione di un ponte sul fiume Mekong. Nel luglio 2015, il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe “ha promesso 750 miliardi di yen (6.1 miliardi di dollari) in forma di aiuto [alle nazioni sul fiume Mekong], come parte del suo piano di accrescere del 25 per cento i finanziamenti giapponesi e della ADB a progetti infrastrutturali”. Con la creazione della AIIB, si è venuta a determinare una crescente competizione nel costruire progetti infrastrutturali in Asia, cosa che ha stimolato un maggiore coinvolgimento delle banche di investimento di tutti gli stati membri.

LA BANCA DEI BRICS, O NEW DEVELOPMENT BANK (NDB) – E’ stata creata anch’essa per la realizzazione di investimenti infrastrutturali, ma con un mandato più ampio, volto cioè a coprire il mondo intero. Anche in questa organizzazione multinazionale la Cina costituisce il contribuente principale, tuttavia essa ha concordato che, in termini di leadership, tutti i paesi BRICS avranno lo stesso peso, a prescindere dall’entità dei contributi. Mentre la sede del quartier generale sarà a Shangai, le posizioni ufficiali saranno assegnate a rotazione.

 REGIONAL COMPREHENSIVE ECONOMIC PARTNERSHIPQuesto accordo di libero scambio è stato visto come un rivale della Trans Pacific Partnership (TPP), ideata e guidata dagli Stati Uniti. La principale differenza sta nel fatto che il TPP esclude la Cina, mentre l’RCEP dà il benvenuto alla partecipazione degli Stati Uniti. Molti Paesi asiatici hanno partecipato in entrambi i processi per paura di scontentare la Cina o gli Stati Uniti. Ancora una volta, la Cina opera portando avanti la propria agenda e le proprie iniziative, adoperandosi nel contempo ad armonizzare queste ultime nei processi di cooperazione internazionale e del quadro istituzionale esistente.
La logica dietro questa iniziativa cinese è legata all’ulteriore promozione dell’uso dello yuan e all’espansione della propria influenza economica al livello macro-regionale. La storia ha dimostrato che Paesi che hanno un forte legame economico sono meno portati a far guerra e più propensi, invece, a lavorare in cooperazione. Questa è stata la logica sottostante la fondazione dell’Unione Europea ed è la logica che guida le iniziative della Cina nella regione Asia-Pacifico.
Il TPP, al contrario, è stato specificamente disegnato per escludere la Cina. Il pivot di Obama è partito inizialmente come un’offensiva per contenere la Cina militarmente, rafforzando gli equipaggiamenti e il personale militare nella regione Asia-Pacifico. In seguito, però, i politici statunitensi hanno concepito il TPP come una componente economica per stringere nuovi rapporti con i Paesi che fanno affari con la Cina, al fine di spingerli più lontano dalla sfera di influenza cinese. Non appena il TPP ha finalizzato le negoziazioni, molti degli Stati partecipanti non sono apparsi soddisfatti con le negoziazioni, inclusi gli americani.
Rimane da vedere se il TPP possa avere un effetto materiale nel contenere economicamente la Cina, mentre questa continua, senza sosta, ad annunciare nuovi accordi commerciali. Tuttavia, malgrado certe tensioni competitive, la centralità della Cina nella regione non può essere negata. Non è un caso che i partecipanti agli accordi del TTP abbiano concordato una norma che prevede la possibilità di entrata di nuovi membri, senza possibilità di veti unilaterali. Infatti, sono in molti a considerare l’entrata della Cina un esito inevitabile.

Ann Lee
(traduzione di Fabio Massimo Parenti)

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