Onana il negazionista? Intervista a Nicoletta Fagiolo

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di Giovanni Amicarella

Nicoletta Fagiolo è una produttrice di reportage e documentari che ho avuto modo di conoscere durante l’evento a Roma “Voci dell’Africa” a gennaio 2024. Già in quella prima occasione, soffermandoci a parlare prima e dopo l’evento, mi accennò alle conclusioni e alle vicissitudini tratte dalla sua attività di documentarista e dal suo attivismo.

Una delle parentesi che più mi colpì fu la questione del, supposto, genocidio dei Tutsi in Ruanda. Successivamente, tenendoci in contatto, venni a sapere di un nuovo caso legato alla questione: lo storico Charles Onana processato per negazionismo in Francia (e più recentemente condannato).

Una breve presentazione su di te, cosa ti ha spinto a interessarti all’Africa?

Ho studiato storia contemporanea all’Università la Sapienza di Roma con Paolo Spriano -che purtroppo mori l’anno in cui mi sono iscritta- e avevo come relatori Giuliano Procacci e Luciano Marrocu, che seguirono la mia tesi di laurea. Ho proseguito gli studi in Storia delle Relazioni Internazionali alla London School of Economics and Political Science (LSE) e avevo cominciato un dottorato in Storia comparata alla University of London con Donald Sassoon, autore di One Hundered Years of Socialism:the western Left in the Twentieth Century (Cento anni di socialismo: la sinistra occidentale nel Novecento), dottorato che ho in seguito abbandonato perché stavo svolgendo contemporaneamente un progetto di ricerca alle Nazioni Uniti, presso l’UNHCR, l’agenzia per i rifugiati basata a Ginevra.

All’UNHCR, nel 2001, l’anno del 50 anniversario dell’agenzia, assieme al mio capo, Hans Thoolen, siamo riusciti, scrivendo lettere su lettere e organizzando incontri, a far istituire il 20 Giugno come giornata internazionale dei rifugiati. Sempre in occasione del 50esimo anniversario dell’agenzia ho scritto 200 ritratti sulla vita di rifugiati, famosi e sconosciuti, contemporanei e del passato, che si chiamava Gallery of Prominant Refugees (Galleria di rifugiati illustri)1. Mi ricordo che rifugiati da tutte le parti del mondo risposero al mio questionario mandandomi pacchi enormi con foto, le loro biografie, libri, articoli e dovetti lottare con il mio capo per allungare il testo dei ritratti e così onorare meglio le loro vite. All’epoca lavoravo ogni sera fino a mezzanotte perché il mio capo, che voleva che lavorassi anche su molte altre iniziative, mi disse di scrivere i ritratti più lunghi nel mio tempo libero.

Attraverso queste testimonianze preziosissime la storia da astratta diventò concreta, un susseguirsi di tragedie umane dovute alle guerre. Nonostante esperienze di vita tragiche, spesso in esilio questi rifugiati lottavano per migliorare la sorte dei loro connazionali.

Mi sono poi occupata nella sezione emergenza di UNHCR di un progetto di ricerca storica sui singoli paesi in crisi e li ebbi già un primo impatto con la censura, perché alcuni rapporti realizzati non si dovevamo distribuire largamente, per non “offendere” certi paesi! Per me era un controsenso: spesso li facevo girare comunque, nonostante la richiesta di auto censura.

In seguito lavorando in Pakistan ho deciso di lasciare l’UNHCR perché questa agenzia dell’ONU stava implementando politiche che andavano contro il benessere dei rifugiai dell’Afghanistan, rifugiati che vivevano in Pakistan da tre decenni! Il mio capo all’epoca mi disse che io avevo ragione nel chiedere di modificare le politiche di rimpatrio (il mio lavoro consisteva nel valutare i progetti fra cui quello del rimpatrio in Afghanistan), ma gli Americani volevano questa politica, anche se era persino illegale, cozzava col mandato di protezione dell’UNHCR. Se il paese di provenienza dei rifugiati non è sicuro, non si dovrebbero organizzare né incoraggiare rimpatri. Soprattutto non rimpatri di massa. Capì che anche un’agenzia delle Nazioni Unite può essere captata da interessi particolari, interessi che calpestano i diritti umani. Questo è dovuto al fatto che l’UNHCR dipende ogni anno dal fundraising da paesi singoli che possono earmark (destinare) i fondi che danno,cioè decidono loro quali fondi dare a quali progetti. Solo il 2% del budget complessivo è coperto dalle Nazioni Unite. Per non parlare dei numerosi agenti della CIA in seno all’agenzia! Con una piccola macchina da presa andai nei campi dei rifugiati Afghani in Pakistan e in Afghanistan per sentire cosa loro avevano da dire. Era il contrario di ciò che l’UNHCR scriveva. Lasciando UNHCR sono andata a New York e ho frequentato un breve corso per filmmaker e poi in Bangladesh dove ho realizzato il mio primo film Fighting Financial Apartheid (Combattendo l’apartheid finanziario), uno sguardo sul mondo della microfinanza.

Non credo di essere un’esperta dell’Africa, semplicemente vivendo a Parigi dal 2006, se si è curiosi, si è automaticamente esposti alla storia e alla politica Africana, per via delle politiche di neocolonialismo nell’Africa francofona che riecheggiano quotidianamente nella politica francese. Per esempio il franco CFA è ancora in vigore in 15 paesi ex colonie francesi sul continente Africano, ed è una moneta strutturalmente coloniale.

Nel 2009 ho realizzato un film sui vignettisti Africani, Résistants du 9ème Art (Ribelli della 9na Arte)2 che mi ha aperto squarci sulla storia contemporanea di molti paesi: Madagascar, Cameroon, Sud Africa, Kenya, Algeria, Congo, Costa d’Avorio etc. Per intervistare i vignettisti dovevo studiare la storia dei singoli paesi, ma spesso erano proprio le loro vignette a delucidare la loro storia.

Come sei finita ad occuparti del caso Charles Onana?

Lo storico e giornalista d’investigazione Charles Onana ha scritto due libri3 sulla crisi Ivoriana, il primo Côte d’Ivoire: le coup d’État  (Costa d’Avorio, il colpo di Stato) fu pubblicato nel Novembre del 2011, in piena crisi quando i media mainstream e anche purtroppo molte ONG rinomate, il mondo accademico e le think tank scrivevano ad nauseum gli stessi tre fatti falsi sulle elezioni del 2010.4 Era un momento molto difficile per chiunque difendeva Simone e Laurent Gbagbo e il loro partito politico, il Fronte Patriottico Ivoriano: si veniva subito bollati come xenofobi, difensori di una dittatura criminale, etc.

Il mio interesse per la Costa d’Avorio è iniziato con una manifestazione di Ivoriani in Place de la Bastille nel marzo del 2011. Sono scesa in piazza con la mia macchina da presa. Non sapevo che quel giorno fu l’inizio di un’avventura che durò ben dieci anni, dove mille manifestazioni con le grida LibérezGbagbo, Libérez Gbagbo si sono tenute negli anni. Avevo anche un amico, Guy Labertit, un politico francese e amico storico di Laurent Gbagbo, che aveva scritto un libro nel 2008 Adieu, Abidjan-sur-Seine !: Les coulisses du conflit ivoirien (Addio, Abidjan-sur-Seine!: Dietro le quinte del conflitto ivoriano). Leggendolo capì che dovevo fare un film! Spesso lui oggi scherza con me che il suo libro ha rovinato la mia vita! Labertit fu perseguitato e diffamato dalla stampa francese e anche abbandonato dal suo stesso partito socialista per le sue posizioni a favore di Simone e Laurent Gbagbo, coi quali aveva stretto un’amicizia nella sua gioventù, e poi in seguito come delegato nazionale per l’Africa del Partito Socialista francese dal 1993 al 2006. Labertit ha recentemente scritto il primo volume delle sue memorie, Anticolonialement vôtre !Autobiographie d’un militant politique (Anticolonialmente Vostro! Autobiografia di un militante politico) su l’epoca post-68 dove la generazione Africana post-indipendenza, che spesso studiava in Francia, sognava di istaurare un mondo che va oltre il banale dominio dei potenti e con obiettivi sociali di progresso chiari, insomma dei veri socialisti, che sognavano una seconda indipendenza, quella vera.

Volevo realizzare un film sulla vita di questa coppia straordinaria, Simone e Laurent Gbagbo, dagli anni 1960 al 2000 e quello che avevano raggiunto prima e dal 2000, anno in cui Laurent Gbagbo è arrivato al potere, ma invece nel 2002 il governo subì un tentativo di colpo di stato che divise il paese in due e cominciò una guerra ibrida: mediatica, diplomatica, e in finis anche militare contro il suo governo. Nel 2011 i francesi, assieme a mercenari e all’ONU presero il potere via le armi e imposero Alassane Ouattara come Presidente. Purtroppo i miei protagonisti finirono uno, Laurent Gbagbo, deportato all’Aia alla Corte Penale Internazionale5 e Simone Gbagbo in prigione in Costa d’Avorio in quello che fu chiamato dal politologo francese Michel Galy un colpo di stato Franco-Onusiano. Che l’ONU potesse arrivare ad abbracciare una politica palesemente illegale è un grave fallimento dell’istituzione.

La produzione che aveva accettato la proposta del film, Point du Jour, mi ha censurata dopo un anno di ricerca e riprese perché il tema divenne completamente tabù in Francia. Loro mi dissero-ma poi anche altre produzioni- che era impossibile mandare in onda tale film e anche che non avrebbero più lavorato con me sui miei altri progetti di film se non mollavo il soggetto. Decisi di mollare gli altri progetti che avevo con loro.

Ho continuato a fare delle interviste sulla crisi Ivoriana, ne ho realizzato un centinaio fra Francia, Senegal, Costa d’Avorio e Ghana, e le ho messe su U tube, creando una specie di archivio storico alternativo. Alternativo perché stranamente nessuno faceva sentire le voci di chi la pensava diversamente sulla crisi Ivoriana. Fu in quel occasione che feci una lunga intervista a Charles Onana sui suoi due libri.

Quando entravo nelle case dei resistenti Ivoriani a Parigi spesso c’erano degli altari con i libri di Charles Onana a fianco a quelli di Laurent Gbagbo: questo mi commosse molto, era un riflesso dell’importanza che gli Ivoriani davano alla ricostruzione storica del loro paese, una priorità assoluta nella loro lotta.

Una volta iniziata questa battaglia non potevo lasciarla: sono diventata anche attivista, andavo spesso all’Aia a manifestare davanti alla Corte Penale Internazionale, aiutavo a organizzare a Parigi incessanti manifestazioni, dibattiti, conferenze, mostre, armi di lotta che il popolo Ivoriano ha cosi degnamente abbracciato. Era diventato per me una questione di principio, non capivo come in pieno XXI secolo si potesse rimanere in silenzio di fronte ad un tale sopruso: la deportazione e l’incarcerazione di un leader panafricanista e innocente sotto gli occhi di tutti e il silenzio di avvocati di diritto penale internazionale, giornalisti, accademici, centri di ricerca.

Su questo dossier Michele Crudelini, giornalista della TV indipendente Italiana Byoblu, ha organizzato una puntata Le trame francesi in Africa occidentale: il caso della Costa d’Avorio. In Italia ho intervistato Paolo Sannella ex ambasciatore Italiano in Costa d’Avorio che la pensava come me e ho organizzato eventi sulla Costa d’Avorio assieme al regista Silvestro Montanaro, che aveva realizzato La Francia in Nero. Fu proprio questo film che gli fece perdere il suo lavoro alla RAI. Ho realizzato un film di testimonianze sulle elezioni del 2010 e il successivo colpo di stato.

Ho passato anni a fare chiamate, scrivere lettere e email pensando che la disinformazione era dovuta all’ignoranza, per poi scoprire che invece era una scelta voluta dalle potenze imperialisti, Francia e USA in primis e chi eseguiva le loro richieste senza scrupoli. Seguire il processo all’Aia era pesante, davvero imbarazzante per l’istituzione. Quando ho fatto delle riprese lì, intervistando i vari dipartimenti della Corte Penale Internazionale sul processo Gbagbo, loro mi hanno in seguito minacciata, dicendo che non dovevo diffondere quello che avevo girato, nonostante il loro iniziale permesso. Ma anche gli altri casi di questa corte sono imbarazzanti, più simili a casi di lawfare che di giustizia. La Corte Penale Internazionale è un’istituzione che secondo me va smantellata, forse rafforzando le Corti regionali, rendendole indipendenti.

Avevo anche già scritto una postfazione a un libro sulle elezioni in Congo del 2006, Les dix questions: Le Congo post-Kabila par la diaspora congolaise (Dieci domande: il Congo post-Kabila nella diaspora congolese) del giornalista Congolese Freddy Mulongo e dunque ho successivamente letto gli otto libri di Charles Onana sulla regione dei Grandi Laghi. Volevo fare un film sulla crisi dei rifugiati Ruandesi in Congo (all’epoca di chiamava Zaire) nel 1996, ma anche questo era un soggetto completamente censurato. Avevo anche in mente di fare un film sulla metodologia e gli argomenti storici del lavoro di Onana, ma poi per una seconda volta, dopo la coppia Gbagbo, un personaggio scelto da me per fare un film finì sotto accusa giudiziaria. Ho dunque deciso di seguire il processo.

Solo un mese fa ho realizzato un film sull’inizio della guerra in Congo nel 1996, guerra e genocidio che ormai durano da quasi 30 anni, vista attraverso il vissuto di un missionario Spagnolo Juan Carrero Saralegui, Cool Operator, La lotta non violenta di un uomo in un mondo violento.6

Con il tuo articolo di risposta a Jason Stearns7 hai tirato un bel calcio al vespaio. Secondo te perché tutto questo accanimento nei confronti di Charles Onana? Avendo anche avuto modo di seguire il processo in Francia sicuramente avrai maturato delle conclusioni.

Jason Streans è professore assistente nella Simon Fraser University in Studi Internazionali e anche direttore della Congo Research Group, autore di solo due libri sul Congo. È lui che domina la narrazione mainstream sul Congo nel mondo anglofono, ma purtroppo è un propagandista, non usa archivi storici, ma quasi solo fonti secondarie e quasi esclusivamente occidentali.

Invece di sollevare gli argomenti coperti nei libri di Onana, Stearns scrive principalmente per confondere, e confondendo protegge l’impero Americano da qualsiasi controllo.

Il lavoro di Onana è difficile da smentire perché Onana invece usa solo archivi storici, dunque fonti primarie, e testimonianze che hanno vissuto gli eventi direttamente. Utilizza anche fonti secondarie Ruandesi e Congolesi poco conosciute in Occidente. Onana è stato uno dei primi storici che ha smascherato sin dal 2000 la vera natura del Fronte Patriottico Ruandese di Paul Kagame, che oggi sappiamo è una dittatura spietata, come si evince dalle recenti inchieste di Forbidden Stories.

L’articolo di Stearns contro il lavoro di Onana sulla regione dei Grandi Laghi rientra in una campagna diffamatoria contro l’autore in vista del processo che è cominciato in ottobre del 2024 a Parigi, dove Onana e il suo editore sono accusati da ben sette ONG di negazionismo del genocidio del 1994 contro i Tutsi. Questo è assurdo su più livelli: Onana non nega il genocidio contro i Tutsi, che io invece rifiuto al 100 % come spiegazione degli eventi del 1990-94 in Ruanda, perché già mentre lavoravo all’UNHCR i miei colleghi mi avvertirono che i libri che stavo comprando sul ruolo della Francia nel genocidio era pura propaganda Americana per deflettere l’attenzione dagli USA e il loro ruolo in questa tragedia (i miei colleghi che erano stati sul terreno in quei anni mi dissero che avevano visto e identificato chi aveva commesso i numerosi massacri: il Fronte Patriottico Ruandese) ; in Francia dal 2017 c’è una legge che stabilisce cosa si può scrivere sul Ruanda e cosa no, nonostante il fatto che molti archivi storici ancora non sono stati resi pubblici; l’accusa consiste di una serie di frasi estrapolate dal loro contesto del libro di Onana sulla Operazione Turquoise (Rwanda: La vérité sur l’opération Turquoise, Ruanda: La verità sull’operazione Turquoise); questo libro è una versione ridotta del dottorato sostenuto da Onana nel 2017 all’Università di Lione, il cui valore storico è stato riconosciuto da un comitato universitario; durante il processo Onana ha portato in aula 18 testimoni che hanno difeso il suo lavoro: Ruandesi di tutte le formazioni politiche, funzionari internazionali dell’ONU, ambasciatori, avvocati, esponenti del mondo dei diritti umani, generali Francesi che avevano partecipato alla operazione Turquoise, invece i querelanti hanno ignorato completamente i fatti storici sollevati nel libro e non hanno presentato neanche una, fra le sei testimonianze venute in aula, che aveva vissuto gli eventi! I querelanti si affidavano costantemente ad argomenti emotivi, predando sulle emozioni delle persone, poiché i fatti non reggevano all’esame. Era anche imbarazzante l’apatia dei giudici e della Procuratrice che non avevano nessun’ interesse nei fatti che gli venivano presentati. Leggendo la decisione finale dei giudici si ha l’impressione che nessuno è venuto a testimoniare: rimarrà nella storia come un esempio lampante di strumentalizzazione della giustizia.

Onana sostiene solo che tutte le vittime dovrebbero essere commemorate, dunque anche gli Hutu e i Twa. Questo fu anche sostenuto dall’amministrazione Biden e recentemente dall’inviato per l’Africa dell’amministrazione Trump Massad Boulos. Dunque anche loro sono, secondo la nuova legge Francese, dei negazionisti.

Carla del Ponte, la Procuratrice del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda a Arusha voleva venire a testimoniare a favore di Onana, ma il tribunale di Parigi non ha fatto nulla per facilitare la sua presenza. Carla del Ponte fu all’epoca rimossa dal suo incarico dagli Americani perché voleva indagare su chi aveva tirato il missile che uccise i due Presidenti Africani, il Presidente Ruandese Juvénal Habyarimana e il Presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira, attentato che fu considerato la scintilla che iniziò i massacri nel 1994 in Ruanda. Non è accettabili che nessuna inchiesta seria fu fatta, né che l’evento fu in seguito escluso dalle inchieste del Tribunale di Arusha. Attribuire questo attentato alla moglie del Presidente Habyarimana e a degli Hutu estremisti, come spesso si scrive, è uno dei primi miti da sfatare sulla tragedia Ruandese.

Onana e il suo editore Damien Serieyx sono stati condannai a dicembre dell’anno scorso e ora stanno lavorando sull’appello che si terrà nel marzo del 2026. Paradossalmente il giorno dopo la loro condanna i soldati Francesi della Operazione Turquoise furono tutti scagionati dalle accuse di aver partecipato al genocidio Ruandese, dopo ben 18 anni di procedure giudiziarie. Il governo Francese (la Francia dal governo di Nicolas Sarkozy in poi ha stretto un’alleanza con il Ruanda) è stato disposto, su richiesta del Ruanda, a screditare i propri soldati per 18 anni, solo per godere dei vantaggi economici: protezione degli interessi di Total con soldati Ruandesi in Mozambico, ma soprattutto accesso ai minerali rubati dal Ruanda in Congo.

Lo scopo del Ruanda e dei Francesi non è di vincere l’argomento, di dibattere i fatti storici, di tenere un processo equo, ma di screditare al massimo l’autore e dunque bollarlo come negazionista di un genocidio è perfetto per i loro scopi. La giustizia usata a fini politici è un crimine, non di certo un esempio positivo per la Francia. Ho scritto una decina di articoli sul contenuto di questo processo analizzando le frasi incriminanti, alcune addirittura tagliate a metà. Incoraggio le persone a richiedere alla Corte di Parigi le trascrizioni di questo processo sulla libertà di stampa/opinione per capire la percepita assenza di un giusto processo, che è motivo di preoccupazione come precedente legale in Francia.

Onana analizza anche via archivi storici la complicità e l’omertà dell’Occidente nel genocidio in corso in Congo oggi, genocidio cominciato nel 1996 dove oggi abbiamo raggiunto dai 10 ai 15 milioni di morti, più di 7 milioni di sfollati all’interno del paese e 500,000 donne stuprate. Il suo ultimo libro, Holocauste au Congo: L’Omerta de la communauté internationale (Olocausto in Congo: l’omertà della comunità internazionale) ha avuto un enorme successo in Congo. Qui Onana ricostruisce come, da chi e perché il Congo fu invaso nel 1996. Siccome questa aggressione fu organizzata dall’amministrazione Clinton e da alcune multinazionali, è ovvio che alcuni non vogliono che questi fatti vengono alla luce oggi.

L’Africa in generale ha la sfortuna di vivere come continente in una mancanza perenne di copertura mediatica, voluta visti i balzi in avanti dallo smantellamento della colonizzazione. Se ti chiedessi di riassumere per un “digiuno” di geopolitica, nella sua complessità, la vicenda conosciuta come genocidio del Ruanda, coma mi diresti a riguardo?

Purtroppo credo che lo smantellamento della colonizzazione francese stia facendo alcuni passi in avanti, come nei paesi dell’Alleanza degli Stati del Sahel, ma anche altri indietro, se guardiamo cosa succede in Nuova Caledonia, a Mayotte che è un dipartimento e una regione francese d’oltremare e non parte delle Unione delle Comore, alle tensioni nei Caraibi dei due dipartimenti francesi d’oltremare, la Guadalupa e la Martinica. Il giornalista Franco-camerunense Théophile Kouamouo parla di una ricolonizzazione della Costa d’Avorio da parte della Francia dalla crisi del 2002 a oggi.

Ruanda 1990-94 va storicizzato, inserendo gli eventi nella politica dell’era post sovietica, dove gli Americani decisero di appoggiare alcune figure in Africa – Meles Zenawi in Etiopia, Yoweri Museveni in Uganda e Paul Kagame in Rwanda-per espandere la loro presenza.

Non fu un genocidio contro la minoranza Tutsi, ma un colpo di stato del Fronte Patriottico Ruandese appoggiato dagli USA via l’Uganda. Fu venduto al mondo come un genocidio per permettere a Kagame di prendere il potere, di fare un cambiamento di regime illegale a Kigali.

Onana, attingendo alle fonti d’archivio dell’ONU, dimostra che fu il Fronte Patriottico Ruandese a bloccare qualsiasi intervento multilaterale per fermare i massacri, già una settimana dopo il loro inizio nell’Aprile del 1994.

Oggi o dici che fu un genocidio dei Tutsi che il Fronte Patriottico Ruandese fermò o finisci in prigione. In Ruanda per legge puoi finire in prigione fino a 25 anni! In Francia con la nuova legge sulla libertà di stampa si rischia fino ad un anno di prigione e 45,000 euro di multa. Gli Hutu (cioè l’85 percento della popolazione Ruandese) non hanno neanche il diritto oggi di piangere i propri morti in Ruanda! Una tale repressione eccessiva, che vuole imporre una narrazione di stato falsa, non può che essere una dimostrazione della paura che alcuni hanno che la verità venga a galla.

Ma per quante generazioni si può imporre una storia falsa su un intero popolo? Per esempio ho incontrato un giovane Ruandese, Patrick Rugaba, al processo di Onana che mi ha detto che anche se rischia 25 anni di prigione, lui ha, assieme ad altri 100 connazionali, pubblicato i suoi ricordi sugli eventi del 1990-94. Loro non ne possono più di sentire parlare di genocidio dei Tutsi, una deformazione di ciò che hanno vissuto. Leggendo il loro libro Survivors Uncensored (Sopravvissuti senza censura) si rimane sorpresi che gli assassini che molti ricordano furono quasi tutti perpetuati dal Fronte Patriottico Ruandese di Kagame, e non dall’esercito nazionale Ruandese o dagli Interahamwe, come si scrive in tutti i libri occidentali sul Ruanda. È un altro mito da sfatare.

Lo scopo del cambiamento di regime in Ruanda nel 1994 era di poi invadere il Congo ed è ciò che fecero due anni dopo, nell’Ottobre del 1996. I pretesti fasulli del Ruanda e del Uganda per invadere il Congo purtroppo vengono ripetuti anche dall’Occidente e questo da ormai quasi trent’anni. Di nuovo un’aggressione internazionale viene camuffata come una guerra etnica. Il Ruanda parla del pericolo dei FDLR (Hutu rifugiati in Congo che vengono bollati tutti come génocidaires) per giustificare l’invasione, quando già nel lontano 1994 i rapporti del Pentagono sottolineavano che questo pericolo non esisteva! L’altro pretesto per l’invasione ancora oggi in vigore è che una minoranza di rifugiati Tutsi in Congo sono perseguitati e il Ruanda li vuole dunque difendere. Il regime di Kagame, con l’appoggio di think tank e ONG occidentali, si sono pure inventati una etnia precoloniale, i Tutsi Congolesi (i Banyamulenge), per giustificare l’occupazione Ruandese. Spesso apologisti di Kagame accusano addirittura i Congolesi aggrediti di essere xenofobi, con lo scopo di confondere per nascondere le politiche imperialiste.

Il silenziare il dibattito sulle questioni storiche è prassi ormai decennale in Occidente, com’è letta invece la questione in loco?

Varia ampiamente da paese a paese: per esempio nel 2011 gli Ivoriani si sono accorti che quello che i media mainstream dicevano in Francia era l’opposto di quello che gli raccontavano i loro famigliari via skype. Il governo di Laurent Gbagbo è stato anche chiamato governo dei professori perché molti erano accademici, che hanno scritto tantissimo, fra cui molti volumi di storia. Ci tengo a sottolineare che Laurent Gbagbo ha scritto dei libri storici molto interessanti e Simone Gbagbo si è specializzata facendo un dottorato in storia orale.

Anche se oggi la Costa d’Avorio soffre tantissimo sotto il regime di Alassane Ouattara e le tensioni stanno crescendo in vista delle elezioni in ottobre, solo io ho più di 150 libri scritti da Ivoriani sulla crisi! Il fatto che la resistenza sia riuscita a liberare Laurent Gbagbo dalla Corte Penale Internazionale è una vittoria per il paese. Eppure nessuno si è scusato in occidente per aver rinchiuso due innocenti (fu anche imprigionato Charles Blé Goudé, un grande attivista non violento e ministro della gioventù) per ben 10 anni! Una vergogna! Questa impunità nuoce al progresso verso un mondo più equilibrato, senza supremazia razzista e inganni continui per giustificare l’ingiustificabile.

Un rapporto dell’ONU nel 2012 cercava di screditare il partito di Gbagbo, il Fronte Patriottico Ivoriano, dicendo che alcuni suoi esponenti si erano incontrati con dei jihadisti Maliani. Esponenti del partito hanno risposto con un libro, Laurent Gbagbo au centre d’un complot, Le rapport du groupe d’experts de l’ONU mis a nu (Laurent Gbagbo al centro di un complotto, il rapporto del gruppo degli esperti dell’Onu smascherato) che ha distrutto ogni paragrafo di questo rapporto con prove concrete. L’ONU dopo la pubblicazione di questo libro non si sono più permessi di scrivere tali cavolate! La macchina della disinformazione è vastissima e difficile da smantellare.

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Invece al Ruanda fu imposta una storia falsa anche via il Tribunale penale internazionale di Arusha. Chiunque si informa sui singoli casi giudicati ad Arusha percepisce che i processi erano falsi. Ancora oggi gli avvocati della difesa a Arusha sono minacciati di morte, per paura che espongono ciò che è accaduto in quel tribunale. Credo che questi processi sono fra gli esempi più grotteschi di lawfare, perché durarono 21 anni e oggi continuano nelle giurisdizioni nazionali occidentali. Il regime di Kagame ha criminalizzato un popolo intero per far passare il mito che fu lui e il suo partito a fermare un genocidio dei Tutsi. Invece il Fronte Patriottico Ruandese uccise anche molti Tutsi durante la presa di potere, e questo lo scrivono Ruandesi. Che fu Kagame a fermare i massacri è un altro mito sulla storia Ruandese da sfatare.

In Rwanda oggi purtroppo le persone vivono nella paura totale quando si tratta di affrontare la propria storia e sono soli al mondo perché l’occidente ha deciso di appoggiare Paul Kagame a tutti i costi, nonostante la repressione in Ruanda, le uccisioni di molti esponenti Ruandesi in esilio e il genocidio che l’esercito Ruandese commette in Congo per rubare minerali che poi rivendono dal Rwanda.

Come abbiamo visto col processo contro Onana, la Francia preferisce deformare la giustizia per imporre una storia fabbricata, invece di magari organizzare una conferenza storica e aprire un necessario e sano dibattito su Ruanda 1990-94. Durante il processo Onana alcuni francesi che assistevano in aula mi dissero che non avevano mai sentito la versione dei soldati francesi o il punto di vista del capo della missione ONU a Kigali. I giornali francesi mainstream, ma anche il New York Times, hanno solo riportato il punto di vista dei querelanti.

In Congo sta nascendo una nuova generazione di storici, ma faticano a farsi conoscere, perché volutamente censurati in Occidente. Io ho tradotto un libro dal francese in inglese di un eccellente storico Congolese, Boniface Musavuli, sui recenti massacri a Beni, che vengono falsamente attribuiti ad una milizia Islamica. Musavuli ha anche scritto un libro, Les génocides des Congolais: Un crime de l’humanité au Congo (I Genocidi dei Congolesi: Un crimine contro l’umanità in Congo) che dovrebbe essere un manuale studiato in tutte le università che si occupano di storia Africana, giustizia, guerre contemporanee o genocidi, ma non è stato ancora tradotto in nessun altra lingua.

L’Europa che sa che il Ruanda sta commettendo un genocidio in Congo da tre decenni ancora non ha cancellato l’accordo sui minerali del febbraio 2024 col Ruanda. Di fronte ad un genocidio di 15 milioni di Congolesi, dunque un bilancio più tragico di quello del re Leopoldo II del Belgio all’epoca coloniale che uccise 10 milioni di Congolesi, l’Europa ha solo fatto qualche timida sanzione ad alcuni individui e pochi tagli ai propri finanziamenti al Ruanda. Anche gli aiuti bilaterali sono stati tagliati solo in parte.

Ad oggi, la ferita lasciata dalla narrazione del fatto, ha secondo te generato altre criticità per le comunità coinvolte?

Io credo che una vera democrazia dovrebbe garantire ai propri cittadini di non doversi per forza occupare di politica. Gli Africani non hanno questo lusso, perché la politica entra in modo spesso violento nella loro vita quotidiana.

L’aver imposto una falsificazione storica in Costa d’Avorio dal 2011 ha stroncato la democrazia nascente in quel paese, e permesso che una dittatura spietata prospera. L’impunità totale della Francia, dell’ONU e della Corte Penale Internazionale sul loro ruolo criminale in questa crisi permette che tali politiche da delinquenti si ripetono.

La falsificazione della storia Ruandese ha conseguenze tragiche su tanti livelli: innanzitutto occulta le radici di due genocidi, il genocidio Hutu del 1990-1996 e il genocidio Congolese dal 1996 ad oggi.

Ci tengo a sottolineare che secondo un ex funzionario dell’UNHCR, Lino Bordin, che ho recentemente intervistato, e che ha passato tre anni sul terreno in Congo, il Ruanda ha ucciso fino a 800,000 Hutu Ruandesi bombardando i campi dei rifugiati nel 1996 e perseguitandoli nelle foreste Congolesi.

I Ruandesi purtroppo vivono nella paura di quello che probabilmente è il regime più totalitario al mondo. Questa paura è poi rafforzata dall’occidente che sulla scia dei processi falsi ad Arusha, sta oggi perseguitando gli Hutu in esilio. Ci sono ben 700 casi giudiziari oggi fra Europa, Canada e USA di tali persecuzioni giudiziarie. Il Presidente Kagame dice che uno è un génocidaire e la persona viene automaticamente arrestata da Interpol. Essere bollati come uno che ha commesso un genocidio nella stampa è poi la seconda tappa, e la condanna in tribunale è praticamente automatica. Uno storico Congolese, Patrick Mbeko ha affrontato questo tema nel suo ultimo libro Rwanda: Malheur aux vaincus (1994-2024) – 30 ans de crime, de manipulations et d’injustice couverts par l’Occident (Ruanda: disgrazia ai vinti (1994-2024) – 30 anni di crimini, manipolazioni e ingiustizie occultati dall’Occidente). E un libro che chiunque si interessa di giustizia penale internazionale dovrebbe leggere.

Leggendo il libro sul Congo all’epoca coloniale di Adam Hochschild King Leopold’s Ghost: A Story of Greed, Terror, and Heroism in Colonial Africa (Il fantasma di Re Leopoldo: una storia di avidità, terrore ed eroismo nell’Africa coloniale) si apprende che c’era più coscienza in occidente su quello che accadeva in Congo agli inizi del novecento che oggi, eppure abbiamo cellulari, internet, migranti e esiliati Congolesi che ci dovrebbero facilitare la conoscenza. Specialmente in vista dell’escalation dell’intensità del conflitto agli inizi del 2025 e dell’effettiva occupazione Ruandese dell’est del Congo.

In Francia è stato persino annullato agli inizi di questo mese un concerto di musicisti Congolesi per i bambini orfani di guerra perché si doveva svolgere lo stesso weekend della commemorazione di ciò che gli apologisti di Kagame si ostinano a chiamare il genocidio dei Tutsi. Le ONG che lavorano come lobby pro Kagame si felicitarono di essere riusciti a farlo annullare, un concerto i cui fondi alzati dovevano aiutare dei bambini! I musicisti Congolesi hanno spostato la data alla fine del mese di aprile, con tutte le difficoltà organizzative che un grande concerto comporta.

Il colonialismo è anche il modo in cui vengono formulate le argomentazioni. Imporre il falso e brandire miti fabbricati non può che portare più colonialismo. L’occidente in Costa d’Avorio, Ruanda e Congo ha messo un freno al sogno di quella generazione post-indipendenze che aspirava ad una vera indipendenza sul continente Africano. Ma i sogni non muoiono mai, e alla fine chi perderà questa battaglia, che è anche una battaglia delle narrazioni, è l’Occidente, un Occidente che ancora fatica a rompere con il neocolonialismo. La violenza che essi esercitano in Africa finirà per corroderli a casa loro, distruggendo le poche conquiste democratiche occidentali che si sono acquisite dalla seconda guerra mondiale.

Conto su una generazione di giovani occidentali, che supera il paradigma neocoloniale e la supremazia razzista che lo accompagna, e allaccia legami diretti con giovani Africani, per rompere definitivamente con schemi anacronistici, non degni di una civiltà evoluta. La storia non si può scrivere su una data popolazione, ma solo assieme ad essa.

NOTE AL TESTO

1Nicoletta Fagiolo, Ritratti che fanno il mondo, ilmanifesto, 19 Giugno 2001.

2https://www.24images.fr/en/rebels-the-9th-art/ 

3Charles Onana ha anche scritto France–Côte d’Ivoire: la rupture (Francia-Costa d’Avorio: la rottura) che tratta di un’operazione di falsa bandiera da parte della Francia in Costa d’Avorio nel 2004. 

4Articolo in Italiano sulle elezioni Nicoletta Fagiolo, Il caso Laurent Gbagbo e il diritto alla differenza, RESET, 16 gennaio 2016 https://www.reset.it/reset-doc/il-caso-laurent-gbagbo-e-il-diritto-alla-differenza

5Su questo sito https://www.free-simone-and-laurent-gbagbo.com ho messo gli articoli che ho pubblicato sul processo alla Corte Penale Internazionale. 

6https://www.youtube.com/watch?v=LV7bJI9CNWI&t=14s

7Nicoletta Fagiolo, Charles Onana, Negazionista o nuovo storico? Agosto 2004 su socialismoitalico.it

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