di Maria Morigi
Nel 1923 per la prima volta viene utilizzato il termine “islamofobia” dal professore di lingua ebraica Stanley A. Cook nel testo “Storia delle religioni” per il Journal of Theological Studies. Nella sua accezione attuale il termine compare nel rapporto intitolato “Islamophobia, a Challenge for Us All” (Islamofobia: una sfida per tutti noi) della “Commissione sui musulmani britannici e l’islamofobia”, presieduta dal professor Gordon Conway. Il rapporto fu lanciato nel novembre 1997 dall’allora ministro degli Interni, Jack Straw. per poi essere ripreso, studiato e analizzato all’inizio degli anni 2000, prima dell’attacco dell’11 settembre.
Da allora, grazie al processo di globalizzazione e ai social, l’islamofobia è cresciuta in modo esponenziale nell’opinione pubblica, fino a diventare una vera emergenza in una costante rappresentazione negativa dell’Islam, spesso equiparato a integralismo, terrorismo, arretratezza culturale ed enfatizzando attentati terroristici e migrazioni. Non a caso, l’Onu ha deciso di dedicare il 15 marzo alla Giornata Internazionale per la lotta all’islamofobia.
A proposito di globalizzazione cito Oliver Roy (1)“Islam alla sfida della laicità”, Marsilio Ed, 2008: “I musulmani oggi sono figli della globalizzazione, spesso studiano fuori dal loro paese e soprattutto si re-islamizzano in occidente. L’Islam oggi è un fenomeno globale che si nutre di Internet sradicato da orizzonti culturali definiti. Ė un Islam che preoccupa gli Stati d’accoglienza, poiché essendo privo di una sua appartenenza territoriale, e senza progetto sociale o economico non s’interessa allo Stato, dunque lo Stato non fa presa su di esso, in quanto agisce in uno spazio diverso”
Già durante la Guerra Fredda, le potenze occidentali che controllavano i giochi del neo-colonialismo e sostenevano il primato occidentale del laicismo illuminista, dipingevano il mondo politico islamico di ogni latitudine come incapace di evoluzione. L’Islam era interpretato come un freno che non consentiva di accedere alla democrazia occidentale, ritenuta l’unico possibile modello di gestione dello Stato. Tale convinzione ha permesso di fare affidamento su regimi islamici militari autoritari per assicurare agli Stati ex-colonizzatori e agli USA una vasta area di influenza strategica. E in seguito di scatenare contro gli stessi regimi autoritari le cosiddette “Primavere arabe”.
Dopo l’11 settembre, l’opinione pubblica in Italia si è divisa in due fazioni. C’erano coloro, come Oriana Fallaci e il giornalista Magdi Allam (egiziano e naturalizzato italiano che si è platealmente convertito divenendo Magdi Cristiano Allam), che vedevano l’origine del male radicalista – fondamentalista nell’essenza stessa della cultura islamica e abbracciavano la teoria dello “scontro di civiltà”. Essi sostenevano che, se gli arabi volevano liberarsi, dovevano uscire dall’Islam e che l’unica alternativa dell’Occidente era di schierarsi contro il pericolo di contaminazione culturale da attribuire all’eccessivo numero di migranti musulmani. Sul fronte opposto c’era chi invece considerava il fenomeno del fondamentalismo e del terrorismo come un effetto prodotto dalle guerre scatenate dall’Occidente in Afghanistan, Iraq e Libia, solo per citarne alcune, secondo la teoria (da me pienamente condivisa) che terrorismo e fondamentalismo sono “creature” di quella propaganda occidentale che ha la “necessità” irrefrenabile di costruire Nemici (oggi questi nemici sono individuabili in Iran e Asse della Resistenza contro lo Stato ebraico) .
Di fatto negli ultimi 30 anni l’islamofobia è stata utilizzata in Italia come strumento di consenso politico, facendo leva sulle paure delle persone in riferimento al connubio islam-migrazione e all’idea di “invasione islamica”. Un’ invasione che a ben guardare non esiste, né per il numero di migranti sbarcati in Italia né dal punto di vista religioso. Nel 2024, infatti, sono arrivati in Italia complessivamente 66.317 persone (fonte Viminale), molto meno che nel 2023 e meno anche che nel 2022. Inoltre fino all’anno scorso la maggioranza degli immigrati in Italia era di religione cristiana, con una percentuale di 53% su 5,3 milioni di residenti stranieri (Fonte Fondazione ISMU ETS). Ma i dati statistici purtroppo non arginano le paure irrazionali che sono sfruttate per propaganda o per scopi elettorali. Paure che si mescolano ad una serie di fattori sociali come il precariato, la scarsa sicurezza e la povertà. L’Islam, diventa così un catalizzatore di sensazioni negative, perché associato alla condizione di immigrato che invade, non si integra, pratica un’altra cultura e ruba il lavoro. Temi su cui una certa politica insiste fomentando odio e divisioni.
Secondo il sociologo Stefano Allievi (2), autore di testi sulle migrazioni e l’immigrazione ed esperto di Islam in Italia, non esiste alcun indicatore secondo cui i musulmani sono meno integrati rispetto ad altre comunità straniere, anzi a livello statistico i musulmani in Italia hanno un tasso di occupazione superiore che in Europa e sono in aumento gli attivi nel terzo settore o nel settore turistico. Nel discorso di incitamento all’odio, però, continuano ad essere tra i target principali, soprattutto sui social media.
A titolo personale qui accenno solo (ne ho parlato spesso nei miei saggi) alla questione dei diritti delle donne e del velo islamico, argomento su cui si impegnano giornaliste del tutto ignoranti di dottrina, usi e costumi islamici che riescono a scatenare – spesso su notizie fake – il peggio di razzismo, sessismo e ipocrisia nei confronti dell’intero mondo islamico, sia che si trovino ad apostrofare un Talebano a Kabul, o un Imam a Teheran. In realtà le donne musulmane vestite in modo tradizionale subiscono in Italia il massimo delle discriminazioni nella ricerca di un lavoro: 58% per le giovani donne tra i 16 e i 24 anni che indossano abiti religiosi, come ci dice il rapporto della Fundamental Rights Agency del 2024.
Si rileva inoltre che il 60-70% della popolazione italiana ha un giudizio negativo nei confronti dell’islam: ciò non riguarda solo persone di destra ma è un fenomeno trasversale, poiché sia gli elettori di centrosinistra, sia quelli di centrodestra rientrano in queste percentuali alte. Relativamente alle motivazioni, chi è di centrodestra vede nell’Islam e nei musulmani un attentato all’identità nazionale e teme un’invasione islamica; a sinistra, invece, si teme un attacco ai diritti in particolare delle donne (vedi Fabrizio Ciocca – 3).
La realtà nuda e cruda di un sondaggio su cittadini di fede musulmana che vivono in 13 Paesi dell’Unione europea realizzato a fine 2024 (Fundamental Rights Agency), è che il 50% dei musulmani ha subito discriminazioni se non veri e propri attacchi nella vita quotidiana. Nel 2023 lo stesso sondaggio aveva fatto registrare un numero più basso, 21%, a dimostrazione che nell’ultimo anno l’attacco terrorista di Hamas del 7 ottobre ha prodotto una massiccia ondata mondiale di islamofobia… mentre i media e le istituzioni sono preoccupatissimi dell’ insorgere di forme di antisemitismo
NOTE AL TESTO
(1) Olivier Roy docente all’Istituto universitario europeo di Firenze, consigliere scientifico del Middle East Directions presso il Robert Schuman Centre for Advanced Studies. È stato consulente del ministero degli Esteri francese, consulente dell’Ufficio delle N. U. incaricato di coordinare i soccorsi in Afghanistan, tra 1993 e 1994 rappresentante dell’Ocse in Tagikistan. Si è occupato di Islam in Europa e di questioni legate all’immigrazione. Le analisi di Roy portano a concludere che la globalizzazione favorisce il neo-fondamentalismo ed alimenta una comunità virtuale ostile ai processi di integrazione locali. Vedi anche: L’Islam mondialisé, Seuil, Paris 2002, trad. it. Global Muslim. Le radici occidentali del nuovo Islam, Feltrinelli, Milano 2003.
(2) Stefano Allevi, laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Milano, Dottore di ricerca in Sociologia e Ricerca Sociale all’Università degli Studi di Trento (tesi su “Le conversioni all’islam. Percorsi tra culture”), è professore ordinario di Sociologia all’Università di Padova.
(3) Fabrizio Ciocca, Dottore di ricerca in Storia dell’Europa alla Sapienza Università di Roma, si occupa delle diaspore islamiche in Europa. Tra le sue pubblicazioni la monografia “L’Islam italiano. Un’indagine tra religione, identità e islamofobia”, Ed Meltemi 2019.
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