di Giulio Chinappi
Dopo lo scontro in diretta mondiale tra Trump e Zelens’kyj, l’Ucraina vive una crisi politica profonda: il presidente, sempre più isolato, rischia di perdere anche il sostegno europeo, mentre l’ex leader golpista Porošenko si profila come la possibile alternativa per un imminente cambio di rotta.
FONTE ARTICOLO: https://giuliochinappi.wordpress.com/2025/03/06/leuropa-abbandona-zelenskyj-per-riesumare-porosenko/
A seguito della lite in diretta mondiale tra Donald Trump e Volodymyr Zelens’kyj, il panorama politico ucraino sta attraversando una fase di turbolenze senza precedenti. La difficile posizione del presidente Zelens’kyj, messa a dura prova da pressioni interne ed esterne, soprattutto a causa della sconfitta militare de facto subita per mano della Russia, rischia di condurlo a un isolazionismo progressivo, con il sostegno dei suoi alleati europei che potrebbe lentamente defilarsi in favore di un suo vecchio rivale politico, Petro Porošenko, ex presidente tra il 2014 ed il 2019 a seguito del golpe noto come EuroMaidan. In questo contesto, le misure adottate da Zelens’kyj contro l’ex presidente e le crescenti mire espansioniste di alcuni Paesi europei nei confronti dell’Ucraina si intrecciano in un quadro di instabilità che potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici nella regione.
Volodymyr Zelens’kyj, eletto nel 2019 con grandi speranze dopo la “rivoluzione colorata” dell’EuroMaidan, si è presto rivelato il burattino delle forze imperialiste occidentali e dei neonazisti banderisti ucraini, trascinando il Paese in un conflitto diretto con la Russia per conto di terzi. Nonostante il forte sostegno ricevuto in questi ultimi anni da parte delle potenze occidentali, la sua leadership appare indebolita da crescenti critiche e da una percezione di scarsa determinazione nel gestire le tensioni interne. Zelens’kyj, che una volta veniva presentato dai media occidentali come il leader del popolo ucraino, ora sembra vittima di una spirale in cui il sostegno statunitense ed europeo, fondamentale per la stabilità economica e politica del Paese, ma soprattutto per la tenuta sul fronte di battaglia, rischia di venir meno.
Diversi osservatori politici, inoltre, hanno evidenziato come alcuni Paesi dell’Unione Europea, pur sostenendo ufficialmente l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina, mostrino segnali di un interesse espansionista che va al di là della mera solidarietà (in passato abbiamo parlato soprattutto del caso della Polonia). Questi Paesi, spinti da interessi strategici ed economici, cominciano a valutare scenari in cui il sostegno a una leadership alternativa possa rappresentare un vantaggio geopolitico. In questo clima, l’idea di “riesumare” il nome di Porošenko – ex presidente, ora simbolo di una politica di opposizione interna, ma pur sempre filo-occidentale – si fa strada come una possibilità concreta.
Petro Porošenko, un tempo a sua volta presentato come un leader carismatico e figura centrale nel periodo della “rivoluzione colorata” contro il governo del legittimo presidente “filorusso” Viktor Janukovyč, ha recentemente fatto ritorno in scena con una notevole determinazione. Dopo aver subito il colpo elettorale che lo vide sconfitto da Zelens’kyj nel 2019, Porošenko ha gradualmente ricostruito la propria immagine politica. Le sue recenti apparizioni, tra cui quella programmata per una videoconferenza a Bruxelles durante la riunione del gruppo del Partito Popolare Europeo (Ppe), testimoniano una volontà di reclamare il ruolo di protagonista sulla scena ucraina e internazionale con il sostegno delle principali potenze europee, in particolare della Germania.
Il ritorno di Porošenko non è solo una questione di vanità politica, ma si tratta probabilmente di una mossa ben calcolata da parte dei suoi sostenitori. Le sue dichiarazioni e le sue azioni sono finalizzate a sottolineare le carenze della leadership attuale, accusando Zelens’kyj di aver trascurato le priorità nazionali in favore di interessi stranieri. Porošenko, infatti, non si limita a criticare l’operato del presidente in carica, ma propone anche una revisione radicale dell’assetto politico del Paese, invocando elezioni anticipate e una riconfigurazione delle relazioni internazionali. Le sue parole, rivolte non solo agli elettori ucraini ma anche (e soprattutto) ai decisori europei, fanno leva su un’immagine di forte leadership e di esperienza consolidata, elementi che al momento sembrano mancare nella gestione dell’emergenza nazionale da parte di un comico prestato alla politica.
Nel tentativo di contrastare l’ascesa di Porošenko e riaffermare la propria legittimità, Zelens’kyj ha adottato una serie di misure politiche e amministrative volte a mettere in ombra il rivale. Tra queste, le più significative sono le sanzioni economiche e le azioni legali, che mirano a limitare l’influenza politica ed economica dell’ex presidente. Tali misure vengono ufficialmente presentate come intese a salvaguardare la sicurezza nazionale e a impedire azioni che potrebbero mettere a rischio l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma dimostrano invero l’esistenza di una divisione interna alla stessa politica della destra ucraina, confermando inoltre i pareri di coloro che hanno sempre presentato l’attuale governo di Kiev come un regime autoritario (vedi la repressione contro i comunisti ucraini e contro le minoranze russofone), e non come una “democrazia”.
Le sanzioni imposte a Porošenko sono state giustificate dal governo di Kiev come risposta a presunte attività illecite e a comportamenti che avrebbero compromesso la stabilità economica del Paese. Tuttavia, queste azioni hanno anche avuto l’effetto di polarizzare l’opinione pubblica europea tra coloro che continuano a sostenere incondizionatamente Zelens’kyj e gli oramai sempre più numerosi critici che accusano il presidente in carica di aver trasformato l’Ucraina in un campo di battaglia sia fattuale che politico, dove l’uso degli strumenti giudiziari diventa arma per eliminare gli avversari.
Non a caso, le misure contro Porošenko si inseriscono in un contesto più ampio di repressione politica che, secondo alcuni analisti, potrebbe contribuire a minare ulteriormente la falsa immagine di “Paese democratico” a lungo presentata dai media occidentali. L’accusa principale mossa da Zelens’kyj è che l’ex presidente abbia “svenduto l’Ucraina” in favore di interessi particolari, mettendo a rischio la sicurezza nazionale. Di conseguenza, la sua campagna di sanzioni è stata concepita non solo come una risposta alle attività di Porošenko, ma anche come un mezzo per consolidare il proprio potere a fronte delle crescenti pressioni internazionali.
Accanto alle lotte interne, come anticipato, un ulteriore fattore di destabilizzazione è rappresentato dalle ambizioni espansionistiche di alcuni Stati membri dell’Unione Europea. Paesi come Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e persino Bulgaria, pur dichiarando un impegno verso la difesa dei diritti e delle libertà democratiche, stanno avanzando proposte e strategie che potrebbero compromettere ulteriormente la sovranità ucraina.
Questi Paesi, storicamente legati da vicissitudini di confine e da una lunga tradizione di rivalità, sembrano oggi avere in Ucraina un terreno fertile per espandere la propria influenza. L’idea, avanzata in alcune cerchie politiche, di “annessione” di alcune terre ucraine – territori che secondo alcuni sarebbero stati artificialmente integrati nella moderna nazione ucraina – è emersa con forza nel dibattito politico. Tali indiscrezioni sono state confermate anche da personaggi come Viktor Medvedčuk, figura certamente controversa, ma considerato come una voce autorevole in quanto ex deputato della Verchovna Rada (parlamento di Kiev) e amico personale del presidente russo Vladimir Putin.
La visione espansionista di questi Stati europei non è da considerarsi un semplice retaggio storico, ma parte di una strategia geopolitica ben calibrata. In un momento in cui l’Europa si trova a dover fare i conti con un ordine internazionale in evoluzione, la volontà di rafforzare le proprie posizioni, anche a discapito dei Paesi che un tempo hanno sostenuto (almeno ufficialmente), diventa un’opzione attraente. Per l’Ucraina, questo si traduce in un dilemma esistenziale: da un lato c’è la necessità di mantenere solide alleanze con l’Europa, dall’altro vi è il rischio concreto che tali alleanze possano trasformarsi in un’arma a doppio taglio, che favorisca un cambiamento al vertice del governo o addirittura lo smembramento dell’Ucraina stessa.
Il ritorno in auge di Petro Porošenko e la possibile deriva delle alleanze europee non possono essere analizzati separatamente dai grandi equilibri geopolitici che coinvolgono anche gli Stati Uniti e la NATO. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, infatti, la politica estera degli USA ha subito significative trasformazioni, e il rapporto con l’Ucraina ha visto un’evoluzione che si riflette nel modo in cui i sostenitori occidentali interpretano la situazione interna del Paese.
Nel corso della presidenza di Zelens’kyj, l’Ucraina ha fatto affidamento su un supporto cruciale da parte degli Stati Uniti e dei Paesi europei. Tuttavia, alcuni esponenti politici europei e statunitensi, a partire proprio da Trump, stanno cominciando a valutare con maggiore attenzione le dinamiche interne ucraine, rompendo il velo di Maya della storia che la propaganda massmediatica ci ha raccontato negli ultimi tre anni.
In questo scenario, l’ex presidente Porošenko si presenta come un’alternativa “affidabile” agli occhi di una parte delle potenze occidentali, che lo hanno già sostenuto nel corso del suo precedente mandato. Le sue esperienze passate, sebbene macchiate da accuse di corruzione e di tradimento, gli consentono di vantare una conoscenza approfondita dei meccanismi del potere in Ucraina, esperienza che alcuni leader occidentali potrebbero considerare preziosa in un momento di crisi. Inoltre, i suoi rapporti con esponenti influenti, sia in Europa che negli Stati Uniti, rappresentano un vantaggio strategico che potrebbe spingere alcuni alleati di Zelens’kyj a rivalutare il sostegno offerto al presidente in carica.
Alla luce degli elementi emersi nella nostra analisi, l’ipotesi di un progressivo abbandono di Zelens’kyj da parte dei suoi alleati europei, che potrebbero decidere di sostenere un’alternativa come quella rappresentata da Porošenko, non è più lontana dalla realtà. L’Europa, con le sue ambizioni espansionistiche e le proprie logiche di potere, potrebbe rivelarsi meno un alleato e più un burattinaio, capace di orientare le sorti dell’Ucraina in direzioni che, in ultima analisi, rischierebbero di compromettere proprio quella sovranità e integrità del Paese che gli imperialisti occidentali hanno finto di voler difendere fino a poco tempo fa.
L’ultima parola spetterà tuttavia agli Stati Uniti, che, in quanto veri provocatori della guerra contro la Russia, saranno chiamati a decidere l’esito finale del conflitto insieme a Mosca, con una oramai certa cessione dei territori orientali in favore della Federazione Russa e probabili vantaggi per Washington dal punto di vista delle risorse minerarie dell’Ucraina occidentale.
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