di Ngai Kwan Yau Oscar
L’elezione di Trump – esattamente come ci aspettavamo tutti – comporta grandi cambiamenti per l’ordine geopolitico ed economico internazionale. Oltre ad aver dichiarato guerra contro il commercio cinese, non ha neanche esitato minimamente a minacciare i suoi partner tradizionali: Canada, l’Unione Europea e – nel bene e nel male – il Messico. Tutto ciò ci ricorda una serie di strategie diplomatiche manualistiche che gli Stati Uniti hanno usato nel corso della storia, tra cui la dottrina Monroe, il Big Stick, l’isolazionismo, il dollar diplomacy di Taft, il sistema wilsoniano, la dottrina Truman e quant’altro.
Panama, strategicamente importante per tutti gli Stati del mondo, è un capitolo dolente per l’egemonia espansionistica statunitense. Trump, tra tutte le sue genuine contraddizioni, ha affermato che attualmente la Cina sta controllando il Canale di Panama. La Cina, d’altro canto, sta cercando di smentire questa affermazione con tutti i mezzi possibili. La verità è ben più complessa.
Dietro a una serie di frasi semplicistiche di Trump di carattere propagandistico, si nascondono tante informazioni estremamente complesse non facilmente digeribili. Una delle chiavi di lettura è proprio lui, Li Ka Shing, il tycoon hongkonghese che era tra le 10 persone più ricche del mondo e il cinese più ricco fino al 2015. La sua storia ha una trama simile agli uomini più ricchi del mondo. Nato nell’area orientale della provincia di Guangdong, non è ricco di nascita, però proviene da una famiglia storicamente importante per la zona in cui viveva. È venuta ad Hong Kong durante l’invasione giapponese. Ha poi finito gli studi ad Hong Kong e cominciava a lavorare con la speranza di fondare una sua società. Non possedeva tanti capitali liquidi all’inizio, doveva lavorare per diverse aziende e fare tanti sacrifici per risparmiare. Tuttavia, ha sfruttato bene il boom economico degli anni ’60 e la posizione geopolitica di Hong Kong per fondare la sua strada verso la ricchezza.
Hong Kong, negli anni ’60, era ancora un Crown Colony della Gran Bretagna e usufruiva di una posizione geografica estremamente strategica del commercio internazionale. Hong Kong, per la sua neutralità, già negli anni ’50 e ’60 attirò imprenditori che sfuggivano dalla soppressione comunista. Grandi capitali – soprattutto da Shanghai – entravano nel mercato di Hong Kong e permisero lo sviluppo del settore manufatturiero e di conseguenza l’esportazione del “made in Hong Kong”. Grazie al suo sistema fiscale estremamente semplice e alla maturità infrastrutturale basata sul sistema britannico imperiale, sempre più società manifatturiere hanno cercato di fondare le loro fabbriche ad Hong Kong. Essa, infatti, assieme a Taiwan, alla Corea del Sud e al Singapore, viene classificata una delle 4 tigri dell’Asia. Li Ka Shing, un uomo che ha una visione internazionale, non si è limitato a fare semplicemente business. Lui sapeva e ha sempre saputo captare l’andamento del commercio internazionale.
A partire dal 1972, l’economia di Hong Kong ha subito una grande trasformazione. Per il fatto che la Gran Bretagna ha finalmente normalizzato le relazioni diplomatiche con la Cina, l’importanza di Hong Kong è cresciuta tantissimo. Nello stesso momento, l’instabilità sociale nella Cina continentale continuava a portare grandi numeri di immigrati ad Hong Kong e ha fatto aumentare la sua popolazione in brevissimo tempo. La popolazione nel 1955 era di circa 2 milioni e mezzo[1], ma nel 1971 ha già raggiunto 4 milioni[2]. Welsh usa l’espressione “Golden Years” (anni d’oro)[3] per descrivere gli anni ’70 di Hong Kong. In quanto la crescita demografica della città ha permesso alla stessa città di poter espandersi ulteriormente: costruzione della metro, nuovi progetti di urbanizzazione, fioritura del settore immobiliare e la nascita del settore finanziario[4]. In questo momento, sono sorte tantissime grandi aziende e imprenditori, tra cui l’impero di Li Ka Shing[5].
La successiva morte di Mao Zedong e la riforma economica di Deng Xiaoping hanno inaugurato un nuovo clima nella Repubblica Popolare Cinese, hanno consentito alla Cina di aprire di nuovo il dialogo con la Gran Bretagna e soprattutto hanno offerto ad Hong Kong nuove possibilità. Deng Xiaoping aprì l’economia cinese al mondo e decise di fondare diverse zone economiche speciali nella provincia di Guangdong, la Zona economica speciale di Shenzhen – ora il Silicon Valley della Cina – era una di queste. Gli imprenditori hongkonghesi[6] erano i primi ad effettuare investimenti industriali e ad ottenerne successo[7]. Gli investitori installando le fabbriche nelle città vicino al Delta del Fiume delle Perle, creavano nuovi lavori per l’hinterland cinese e hanno trasformato l’economia di Hong Kong in una locomotiva capace di trainare la rapida crescita dei primi anni di riforma[8]. Nel 1997, Hong Kong era il principale luogo di provenienza degli investimenti in Cina ed era anche il partner commerciale, intermediario e finanziatore più importante che ha consentito il successo della riforma di Deng[9].
La CK, per la sua grandissima potenzialità e interconnettività internazionale, è diventata la principale promotrice dell’economia cinese durante gli anni ’80. Infatti, non è un’azienda qualsiasi, ma è una delle più importanti per la Cina contemporanea. Basti pensare che il porto di Hong Kong è rimasto il più importante del territorio cinese ed è stato anche the busiest port del mondo[10] fino al 2006. Sarebbe opportuno ricordare che Hong Kong, pur essendo tornato definitivamente alla Cina, a livello commerciale è un’entità autonoma. Inoltre, Hong Kong, come città portuale, garantisce il libero scambio di valute e una bassissima tassazione doganale. Il dollaro di Hong Kong è attualmente agganciato al dollaro americano e risulta una valuta estremamente stabile nonostante la limitata circolazione territoriale. Il dollaro di Hong Kong è pure l’unica valuta con la quale più o meno il RMB – la valuta cinese – può scambiarsi liberamente. Hong Kong, perciò, sotto questa prospettiva, è diventata un centro finanziario che convogliava capitali, risorse umane, navi e opportunità.
Li Ka Shing, sapendo che la manifatturiera hongkonghese prima o poi doveva tramontare e l’economia della città doveva trasformarsi in qualcos’altro, cercava di capire l’orientamento economico internazionale. È passato da essere imprenditore di una fabbrica di plastica a diventare proprietario terriero di Hong Kong essendo consapevole che la città, per il baby boom dovuto al flusso migratorio, aveva sempre più bisogno di nuove costruzioni immobiliari. Comprava supermercati, linee telefoniche e espandeva i suoi possedimenti anche all’estero.
La sua società originale Cheung Kong Plastics Manufacturing ora è ormai diventata CK Hutchison Holdings, con sede legale all’Isola di Cayman[11], anche qui, ci sarebbe anche tanto da discutere. La CK Holdings è proprietaria di tante linee di telecomunicazione tra cui Vodafone e Wind 3 che tutti gli italiani conoscono[12]. Possiede anche la Hutchison Port Holdings Limited, azienda madre di tantissimi porti sparsi nel mondo, tra cui Taranto, Rotterdam e il Porto di Balboa[13].
Questa trama è, d’altronde, estremamente familiare per tutti noi. Infatti, ricorda precisamente una serie di strategie di investimenti che la Cina ha fatto attraverso la Belt and Road Initiative. Non a caso, le strategie di espansione commerciale di Li sono state replicate attraverso tante aziende diverse cinesi, tra cui anche quelle con la partecipazione dello Stato comunista. In nome del libero mercato, quello che le potenze occidentali possono fare è veramente poco. La Cina sta vincendo la gara nel controllo dei porti[14].
Sarebbe opportuno chiedersi, se effettivamente, il Governo cinese è coinvolto nelle attività di Li Ka Shing. Sarebbe sciocco escludere il coinvolgimento del Governo cinese, visto che Li ha sparso i suoi investimenti in Cina e in tutto il mondo. Dall’altra parte, però, qual è l’intenzione di Trump? Lui, sicuramente, è consapevole che in realtà si tratta di un’azienda di Hong Kong, quindi, diversamente dalle società della Cina continentale, non ha l’obbligo di seguire le direttive del Governo[15]. Considerarla un’azienda cinese in questo caso metterebbe il Governo di Pechino quasi in imbarazzo. È plausibile pensare che Trump, a differenza degli altri presidenti statunitensi, voglia togliere il privilegio che Hong Kong ha sempre goduto nella relazione sino-americana. Sembra che le intenzioni di Trump siano più di un mero controllo effettivo del canale di Panama, anche perché in un mandato di 4 anni, effettivamente non può dichiarare guerra contro tutto il mondo; a livello pragmatico, costerebbe troppo agli Stati Uniti compiere tutti quei piani espansionistici che ha promesso durante la sua campagna elettorale.
Eliminare alcuni ostacoli però è possibile. Hong Kong, non possedendo la piena soggettività internazionale, è sostanzialmente condizionata dalla politica estera cinese. Hong Kong, agli occhi di Trump, così come tanti piccoli intralci quali WTO, OMS e il protocollo di Tokyo, risulta effettivamente un bersaglio ragionevole. L’ex-colonia britannica attualmente è ancora il principale convoglio della valuta cinese RMB. Attaccare le imprese di Hong Kong e in modo particolare attaccare direttamente i possedimenti a Panama della CK gli permetterebbe di avere più fiche nelle trattative commerciali contro la Cina, forse anche la possibilità di costringere quest’ultima a liberalizzare lo scambio del RMB. Perché la potenziale liberalizzazione del RMB potrebbe, da una parte, finalmente aumentare i costi di produzione in Cina e rendere più competitivo il mercato manifatturiere statunitense; e, dall’altra, destabilizzare il mercato monetario cinese e, di conseguenza, far abortire – o almeno tardare – il sogno russo-cinese di «de-dollarizzazione»[16] e la possibilità di promuovere il RMB come valuta principale, soprattutto tra i paesi BRICS+.
Ngai Kwan Yau Oscar è collaboratore ed esperto linguistico – Uniurb
NOTE AL TESTO
[1] S. Tsang, A Modern History of Hong Kong, Bloomsbury, London, 2007, p.167.
[2] F. Welsh, A History of Hong Kong, Harper Collins, London, 1997, p.478.
[3] Ivi, p.475.
[4] S. Tsang, Take off, in A Modern History of Hong Kong, cit., pp.170-175.
[5] Cfr. S. Tsang, A Modern History of Hong Kong, cit., p.173.
[6] Ibidem.
[7] Ivi, p.178.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] G. van Marie, Hong Kong drops out of world’s top 10 busiest container ports, The Load Star, 17 Apr 2024, https://theloadstar.com/hong-kong-drops-out-of-worlds-top-10-busiest-container-ports/. Accesso: 18 Feb 2025.
[11] Cfr. About Us, CK Hutchison Holdings Limitedhttps://www.ckh.com.hk/en/about/, Accesso 18 Feb 2025.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] A. Amighini – G. Sciorati, Fact Checking: BRI, la nuova via della seta, ISPI, 9 Ago 2019, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/port-power-la-sfida-silenziosa-per-il-controllo-dei-porti-170406, Accesso: 18 Feb 2025.
[15] Cfr. Art. 19 D.P.R. n.15/2018 della Repubblica popolare cinese: «La società deve stabilire un’organizzazione del partito comunista cinese all’interno di essa. La società deve dare il necessario per garantirne l’attività».
[16] G. Zapponini, Un jolly chiamato petroyuan per i Brics. Ma anche stavolta non funzionerà, Formiche, 22 Ott 2024, https://formiche.net/2024/10/brics-cina-russia-dollaro-yuan-usa/#content, Accesso: 18 Feb 2025
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