a cura di Giampiero Braida per Socit
FONTE ARTICOLO: https://artverkaro.altervista.org/intervista-a-giulio-chinappi-responsabile-per-lasia-di-anteo-edizioni/
Gentilissimo dottor Chinappi, lei, assieme a Stefano Bonilauri, è stato premiato non molto tempo fa ad Hanoi dal Segretario Generale del Partito Comunista To Lam e dal Presidente della RSV come vincitore di un concorso per i saggi sulla tutela delle basi ideologiche del partito. Come si sente ad aver ricevuto una tale premiazione in un contesto di così grande importanza?
È stato un evento di rilevanza nazionale molto importante, giacché è stato trasmesso in diretta televisiva sulla Rai 1 vietnamita praticamente. È stato un onore ricevere un tale premio, anche perché io e Stefano siamo stati i primi autori provenienti da un paese non socialista (in genere i premi andavano o a studiosi cinesi o laotiani) a ricevere una tale premiazione. Il merito è anche dovuto dal fatto che abbiamo da tempo stabilito dei contatti prolifici con importanti case editrici vietnamite.
Cosa l’ha spinta a trasferirsi in Vietnam e perché? Cosa la appassiona di più di questo stato? Che somiglianze e differenze nota con l’Italia?
Sono arrivato in Vietnam nel 2012 come studente universitario e volontario per una ONG vietnamita. Al tempo viaggiavo e facevo volontariato nei Paesi in cui mi recavo. Il Paese mi appassionò molto e decisi di scrivere una tesi sull’educazione vietnamita per la mia laurea in Belgio. Ad oggi vivo e lavoro ancora qui. E’ un Paese molto diverso dall’Italia, soprattutto per via della cultura di matrice confuciana, ma può presentare delle similitudini con il nostro Meridione per il modo di fare delle persone, l’accoglienza…
L’Asia sta facendo passi da gigante…i paesi asiatici che hanno adottato il socialismo compiono progressi ogni giorno di più. L’Europa a confronto sta diventando un edificio decrepito. Come pensa si evolverà la situazione tra Oriente e Occidente nei prossimi anni? Vi sarà una coagulazione delle parti con successivo scontro di civiltà o magari si creerà una profonda integrazione eurasiatica con un’Europa magari più autonoma?
Esiste una prospettiva di guerra che è presente soprattutto per l’insistenza degli Stati Uniti nel voler mantenere il loro ruolo egemonico costruito prima dal 1945 e poi dalla fine dell’Unione Sovietica nel corso di anni 90 con la fine della storia di Fukuyama. Presi da un’eccessiva euforia, hanno ritenuto di essere in eterno i padroni del mondo. Ciò è stato vero per poco più di un decennio, intervenendo militarmente nei Paesi i cui i governi non volevano sottomettersi ai loro diktat Con l’emersione delle potenze asiatiche si resero conto dell’esistenza di altri attori di una certa importanza, i quali non avrebbero potuto in futuro venire messi in secondo piano. Ciò generò una crisi il timore dei leader americani per il rischio che gli Stati Uniti si inserissero nella Trappola di Tucidide, lasciandosi trascinare nel conflitto. Conflitto che, come è utile ribadire, la Cina non vuole, siccome non ha interesse a muovere guerra dato il suo status di potenza emergente con un futuro brillante. Dunque il destino del mondo sta nella scelta degli Stati Uniti. Come scrisse Chomsky, gli Stati Uniti d’America dovranno capire se accontentarsi di un ruolo di brillante secondo, che comunque continuerà a giocare un ruolo importante a livello globale, o iniziare una guerra per l’egemonia. La scelta è o conflitto diretto oppure seconda potenza. Posizione più difficile è quella europea, dato che l’Europa è agganciata agli USA da 80 anni e non ha nessuna capacità di portare avanti politiche autonome, proprio in quanto satellite di Washington; ruolo subalterno di primaria importanza dalla seconda guerra mondiale. Oggi l’Europa è asservita e non riesce a ricavarsi uno suo spazio di influenza: basta guardare la Francia, che sta perdendo influenza in Africa, o la Germania, la quale è stata richiamata all’ordine con il caso del Nord Stream. Tra l’altro oggi è l’Oceano Pacifico l’area più importante del mondo e l’Europa è inserita in una posizione essenzialmente periferica. Unica speranza è che una nuova leadership politica emerga e cambi rotta in modo deciso. In tal caso non si potranno recidere subito i legami con gli Stati Uniti, siccome tale possibilità non è molto fattibile nel breve periodo. Andrebbero bensì utilizzati i rapporti con le diverse potenze in modo da non dipendere più da nessuno, evitare di cedere alle pressioni degli Stati Uniti e non aderire a sanzioni russe e cinesi che dispongono di un effetto semplicemente “suicidario”, in quanto sono le prime della storia che fanno più danni a chi le impone che a colore che le subiscono.
Qual è l’importanza dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) nel mondo multipolare? Può tale istituzione ergersi a blocco di civiltà autonomo?
Come già detto il baricentro economico si è spostato nell’Oceano Pacifico. Gli europei non hanno capito la situazione mondiale, e ritengono che le cose importanti siano quella della loro regione mondiale della loro area. Questa incomprensione è comune anche all’élite statunitense, con i repubblicani che sono i più consapevoli delle sfide statunitense. L’incomprensione del Trump pacifista nasce anche dal fatto che mentre i repubblicani sanno bene che il competitor mondiale degli USA è la Cina e non la Russia, i Democratici sono rimasti più vicini alle logiche della Guerra Fredda. Per esempio Trump vuole spegnere il focolaio ucraino così da accendere un potenziale focolaio a Taiwan in funzione anti-cinese. La Cina non ha nessuna intenzione di fare guerra a Taiwan, avendo elaborato un piano di riunificazione pacifica con madrepatria sul modello “un Paese, due sistemi” applicato ad Hong Kong. Non c’è quindi un’intenzione di invadere militarmente la sedicente “Repubblica di Cina”, a meno che USA non decidano di intervenire militarmente per rendere una base militare l’isola. Per quanto riguarda l’ASEAN, essa è l’area marittima più trafficata dopo il Golfo Persico e può beneficiare dell’ascesa di Cina e India per promuovere il proprio sviluppo. L’ASEAN è un tipo di unione interstatale diversa dall’UE, in quanto è formata da Paesi con sistemi politici ed economici molto diversi da loro, mentre l’UE è composta da una serie di Stati che condividono lo stesso sistema politico ed economico; l’ASEAN conta due paesi socialisti quali Laos e Vietnam, Paesi con elezioni multipartitiche come l’Indonesia e paesi sotto giunte militari come il Myanmar. Bisogna sapere che il principio cardine dell’ASEAN si basa proprio sul non effettuare ingerenze interne nei paesi membri partecipanti all’organizzazione.
Ad oggi l’ASEAN è un’organizzazione prevalentemente economica per i Paesi che vogliono sfruttare collaborazione per emergere e svilupparsi. Questo modo di mantenere le relazioni in modo molto positivo fa sì che dispute territoriali come la questione del Mar Cinese Meridionale vengano meno per favorire i punti di collaborazione economica in comune.
Quali sono le potenzialità del sud-est asiatico per il futuro e come si pone nei confronti dell’Italia e dell’emisfero europeo in generale? Con quale paese dell’ASEAN il Vietnam ha più legami e perché?
Tutte le proiezioni future sul Sud-est asiatico sembrano positive, indicando che le economie dei Paesi di tale regione rientreranno tra le maggiori a livello mondiale. Si sostiene che il Vietnam nel 2050 sarà la decima economia mondiale e Indonesia, quarta per popolazione al mondo, rientrerà sicuramente nelle prime dieci economie mondiali. Il Laos, invece, sta sfruttando ASEAN e BRI per costruire infrastrutture nel paese, sviluppandosi così più rapidamente e abbandonando la situazione di povertà, in modo da trasformare il socialismo da una condivisione della miseria a una “condivisione di una prosperità moderata” (termine ampiamente usato anche nella situazione cinese odierna).
Per quanto riguarda il discorso dei contatti tra Europa e Sud-est asiatico, esiste un forum UE-ASEAN con una profonda cooperazione tra le due organizzazioni regionali. Alcuni Paesi europei hanno ottime relazioni con quelli dell’ASEAN, in particolare per quanto riguarda la collaborazione nei settori delle energie rinnovabili. Per esempio il Vietnam ha stipulato un accordo di libero scambio con l’UE, e di recente c’è stata la visita del presidente della Bulgaria Rumen Radev. Tuttavia bisogna considerare la diversità dei due organismi sovranazionali nell’approccio alla politica internazionale: l’ASEAN spinge per un mondo multipolare, sposando visione BRICS, l’Unione Europea è invece saldamente legata a una visione unipolare a prevalenza occidentale, contando anche sull’alleanza militare con gli Stati Uniti d’America. Nell’ASEAN si vuole superare il dollaro a favore dell’utilizzo delle valute nazionali degli Stati membri, e nel futuro prossimo si sta già parlando di emettere una valuta ASEAN che si affiancherebbe a quelle nazionali gli per scambi tra paesi membri. Non sarebbe come l’Euro, cioè una moneta unica per gli scambi interni ed esterni ai Paesi membri UE, ma verrebbe usata come valuta di scambio estero tra i paesi ASEAN (che nella vita quotidiana manterrebbero). Nell’UE è esistito un sistema simile prima dell’adozione dell’euro chiamato ECU, il quale funzionava come una valuta digitale di interscambio.
Il Vietnam ha una lunga storia di indipendenza nazionale. Cosa spinge psicologicamente e politicamente questo piccolo paese a difendersi in maniera impeccabile quando viene attaccato (che sia dai Mongoli negli anni 1000 o dagli americani nel XX secolo)? Vi è uno spirito nazionale di un certo tipo?
La storia del Vietnam è in realtà molto più complessa e non così lineare. Il Vietnam è stato sotto dominazione cinese per molti secoli e al suo interno era diviso tra diversi regni più piccoli. Uno di questi, chiamato appunto il Regno dei Viet, ad un certo punto di espanse verso sud, conquistando i territori degli altri regni. Durante la colonizzazione francese il re rimane al potere formalmente, il Vietnam viene suddiviso in tre regioni e iniziano a nascere i primi movimenti di indipendenza nazionale. Bisognerà aspettare gli anni ’30 del ‘900 perché il Partito Comunista del Vietnam stabilisca un fronte nazionale unito contro il colonialismo e per l’indipendenza, risolvendo la questione della mancanza di un forte background ideologico dei precedenti movimenti nazionalisti. Nel pensiero di Ho Chi Minh la base marxista-leninista si unì così alle volontà anti-imperialiste e nazionalitarie, portando così avanti una lotta di liberazione nazionale ideologicamente coerente. Con la Seconda Guerra Mondiale il Vietnam viene invaso dal Giappone che stava cercando di occupare il Sud-est asiatico contro la Francia, commettendo massacri non dissimili da quelli dei nazisti in Europa. Il Vietnam diviene indipendente nel 1945 con Ho Chi Minh che proclama la Repubblica Democratica del Vietnam. I francesi tuttavia cercano di riprendersi le colonie asiatiche al tavolo dei vincitori fino a quando nel 1954 la battaglia di Dien Bien Phu sancì la definitva uscita dai francesi dall’Asia. All’epoca si era formato uno Stato al sud, dove i francesi avevano tentato di restaurare la monarchia, mentre il nord era uno Stato socialista indipendente. Successivamente gli Stati Uniti si sostituirono alla Francia come imperialisti, facendosi promotori del governo del sud e scatenando la Guerra del Vietnam.
Il 30 aprile 1975 avvenne la liberazione di Saigon (per gli americani la “disfatta di Saigon”), in cui il governo fantoccio del sud cadde e gli Stati Uniti dovettero lasciare repentinamente il Paese. L’anno successivo il Paese venne unificato sotto la denominazione di Repubblica Socialista del Vietnam.
Certamente i vietnamiti sono un popolo determinato a difendere la propria sovranità nazionale, e ciò si vede anche dalle relazioni che il governo intrattiene con altri Paesi. Per molti risulta per esempio scioccante il partenariato strategico con gli Stati Uniti. Non deve scioccare invece un’iniziativa del genere proprio perché è basata su quella che si chiama la “diplomazia del bambù”: i vietnamiti non dimenticano il passato coloniale e la rovina della guerra, ma non nutrono rancore per ciò che è successo e verso chi lo ha causato. Il Vietnam ricava la sua posizione di indipendenza e non allineamento grazie ai buoni rapporti che intrattiene con tutte le potenze, senza essere dipendente da alcuna di esse. Con la Cina, per esempio, esistono ottime relazioni a livello commerciale e a livello partitico, però esiste la contesa territoriale sul Mar Cinese Meridionale. Se quest’ultima questione il Vietnam ha l’appoggio statunitense in funzione anticinese, se gli USA stendono rapporti sui diritti umani presumibilmente violati in Vietnam, quest’ultimo avrà il sostegno della Cina che ne è colpita ugualmente. Ci sono poi ovviamente delle linee rosse che non possono venire superate nella “diplomazia del bambù”: una di queste è di non ospitare nessuna base straniera sul proprio territorio.
Quanto la spiritualità locale influenzata da confucianesimo, buddismo e taoismo incide nel discorso politico e nella coscienza nazionale dei cittadini?
Il Vietnam ha una grandissima tradizione spirituale in senso lato. Col tempo si sono sovrapposte tantissime tradizioni religiose e culti. La maggioranza della popolazione vietnamita è non religiosa e lo Stato socialista vietnamita si dichiara ateo. La religione tradizionale vietnamita si può identificare nel sistema del “Tam Giao”: esso rappresenta la sintesi delle tre grandi tradizioni spirituali del Vietnam, ossia il confucianesimo, il taoismo e il buddismo. Il substrato culturale del Tam Giao si manifesta nella vita culturale e sociale del Paese. Le sue componenti taoista, confuciana e buddista mescolate rappresentano la visione della vita del vietnamita medio. Dalla morale confuciana provengono ad esempio l’interesse della comunità prevale sempre rispetto a quello privato, il concetto di pietà filiale con inversione ruoli genitori-figli durante la maturità di questi ultimi, cosicché i rapporti familiari sono molto presi in considerazione. L’occidentalizzazione dei consumi è ovviamente presente nelle città.
Quali sono le basi ideologiche del socialismo vietnamita e in cosa si differenzia rispetto a quello cinese? Come è cambiato dal Doi Moi in poi?
Il Doi Moi entra in vigore nel 1986, riprendendo le riforme economiche introdotte in Cina da Deng Xiaoping nel 1978. Per tale ragione il Vietnam è un decennio di ritardo rispetto alla Cina sul percorso economico a causa della tardiva applicazione delle riforme. Il sistema economico vietnamita è un’economia di mercato orientata al socialismo: vi è una pianificazione statale caratterizzata dall’introduzione di elementi di mercato, il socialismo è l’obiettivo a lungo termine per il futuro e i traguardi a breve termine possono essere raggiunti con politiche mercatiste. L’introduzione di pratiche capitalistiche nell’economia è dunque una scelta atta ad aumentare la produzione e a far sviluppare rapidamente il Paese. Storicamente il Vietnam è stato un Paese agricolo e feudale, e per la sua conformazione geomorfologica, la distribuzione della terra non era sufficiente per tutti. In un mondo capitalista il Vietnam doveva decidere se scegliere la via coreana dell’isolamento nazionale (la quale risulta essere comunque un’alternativa valida) o la via cinese all’integrazione con l’economia mondiale. Scegliendo quest’ultima il Vietnam ristabilirà relazioni con gli USA dal 1996, diventando un protagonista dei commerci internazionali. Pur mantenendo il socialismo come obiettivo principale, l’iniziativa privata in economia è concessa purché non entri in contrasto con l’interesse generale dello Stato (e quindi della popolazione). Le imprese private vengono preferite in quei settori nei quali è necessaria un’innovazione tale che il pubblico non potrebbe garantire, come ad esempio l’alta tecnologia, mentre lo Stato continua a possedere le leve strategiche dell’economia come il settore agricolo.
Non sono rare le joint ventures (associazione temporanea di imprese) tra aziende private e pubbliche o anche tra aziende private vietnamite ed estere, in quanto questo processo serve a garantire i trasferimenti tecnologici dalle aziende straniere a quelle vietnamite.
Il benessere della popolazione è crescente anche grazie anche a politiche interne oculate. Sul piano della politica monetaria è il governo del Vietnam che decide il valore della moneta in base agli indici di import ed export. Dal punto di vista salariale vi sono livelli di diverso tipo in base alla suddivisione del Paese in tre aree economiche: l’area 1 è quella urbana delle grandi città dove vi sono i salari più elevati, l’area 2 è quella della periferia con salari di livello medio e per ultimo c’è l’area 3 delle zone rurali nelle quali ci sono i salari più bassi. Nonostante questa divisione interna al Paese, è presente un sistema di scala mobile: ogni anno a luglio vengono aumentati i salari di tutte e tre le zone per garantire un aumento proporzionale del potere d’acquisto della popolazione in base all’inflazione.
Si può dire che l’Italia potrebbe prendere esempio dal modello economico vietnamita piuttosto che da quello cinese per riappropriarsi della sua forza economica e magari proseguire il cammino verso il socialismo? Ci sono somiglianze tra i due paesi che possono confermare ciò?
L’Italia ha in comune con il Vietnam la dimensione territoriale (il Vietnam è leggermente più grande dell’Italia), tuttavia il Vietnam possiede una popolazione, anche se maggiore, simile all’Italia ed è pertanto il più indicato dei Paesi socialisti odierni ad un confronto con l’Italia. Una differenza fondamentale risulta essere però quella tra i due modi di produzione: il Vietnam socialista è partito da un contesto feudale, mentre l’Italia era già in una fase di capitalismo avanzato. Il punto principale è che in Italia ci deve essere la volontà di restaurare il socialismo in Italia a livello governativo. Certamente sarebbe utile prendere spunto da Paesi socialisti di successo, tra cui magari soprattutto il Vietnam. Per ora la possibilità dell’instaurazione del socialismo in Italia è alquanto remota.
La diplomazia del Vietnam presenta delle dinamiche molto interessanti. Potrebbe l’Italia adottarla anche essa come prospettiva per una nuova geopolitica euromediterranea? Ci sarebbero le condizioni per adottare una sorta di “diplomazia del frassino”?
L’ideale per l’Italia sarebbe avere una politica equilibrata che includa la Cina e la Russia come partner strategici. Nel contesto attuale ci si potrebbe ispirare alla politica estera dell’Indonesia, la quale è calibrata sul modello della “diplomazia del bambù”. Purtroppo, per quanto sia difficile ammetterlo, l’Italia è sotto occupazione militare americana dal 1945, in quanto Paese sconfitto che è stato occupato dal paese vincitore. Per tale ragione l’Italia non ha il 100% di libertà nella politica estera, anche se un piccolo margine di manovra è ancora garantito. In passato, durante la Prima e la fase iniziale della Seconda Repubblica, l’Italia è stata in grado di distinguersi dai Paesi occidentali per essere riuscita ad avere rapporti sulla carta con paesi non amici dell’Occidente. Bisogna ricordare come, grazie al PCI, l’Italia aveva le relazioni migliori con l’URSS tra le nazioni europee, e che aveva avuto relazioni con la Cina maoista ben prima dell’apertura di Nixon. Il governo di Berlusconi, nonostante le tante criticità interne, lo si ricorda per aver creato delle relazioni positive tra Italia e Russia. La fine dell’ultimo governo Berlusconi potrebbe essere definita come il momento di conclusione di questo margine di manovra. Successivamente solo sotto il governo Conte si poté assistere ad una ripresa di questo margine con l’adesione dell’Italia alla Nuova Via della Seta (Belt & Road Initiative, BRI). La volontà di far uscire l’Italia da questo accordo con la Cina fu del governo Meloni, motivo per cui non si possono attribuire colpe solo alla NATO o agli Stati Uniti. Ci sono stati diversi governi che hanno avuto un margine di manovra entro cui poterono operare.
Come si pone oggi il Vietnam nel contesto asiatico? Quali sono i suoi alleati? Come risolve le problematiche con la Cina riguardo alla disputa sul Mar Cinese meridionale? Potrebbe essere un problema per un fronte multipolare più compatto contro le intrusioni imperialistiche occidentali?
Gli Stati Uniti tentano di sfruttare la questione del Mar Cinese Meridionale per creare un fronte anti-cinese nel Sud-est asiatico (unico Paese che ci è caduto sono le Filippine).
Vietnam e Cina, in quanto molto vicini a livello ideologico, hanno ribadito ognuno le proprie posizioni sul Mar Cinese Meridionale, sostenendo che tale questione non deve precludere altre relazioni in altri settori e che quindi dovrà venire risolta pacificamente. Tale posizione sta alla base della “comunità del futuro condiviso” tra Cina e Vietnam. Nel lessico politico cinese, una “comunità del futuro condiviso” è un termine che definisce una dichiarazione d’intenti a livello globale tra Paesi che intrattengono relazioni culturali, sociali, politiche ed economiche di un certo livello.
Come crede dovrebbe porsi l’Italia nei confronti del Vietnam e come dovrebbero svilupparsi i legami tra le due nazioni in futuro? Un mediterraneo unito e pacifico potrebbe collegarsi ad un sud-est asiatico volenteroso di scambi commerciali e culturali, magari con una nuova rotta indipendente da quella delle grandi potenze attuali (mercato unico europeo, nuova via della seta…)?
Tra Italia e Vietnam ci sono relazioni bilaterali di un certo tipo con scambi diplomatici di un certo tipo. Bisognerebbe aumentare gli investimenti italiani in Vietnam (che per ora non sono tantissimi) e continuare a a mantenere come ora buone relazioni diplomatiche. C’è da dire che comunque sono due Paesi molto distanti tra loro a livello spaziale e culturale, e che quindi non vi è allo stato attuale una priorità assoluta nel mantenimento delle relazioni bilaterali.
Quali sono le minacce imperialiste che secondo lei stanno riaffiorando in Asia? Quali sono i punti caldi e secondo lei potrebbero portare ad un avvicinamento alla Terza guerra mondiale?
I punti caldi sono Taiwan, il Mar Cinese meridionale e la Corea del Sud. Attualmente gli Stati Uniti stanno agendo verso gli avamposti dell’area sud-orientale e ci sono Paesi asiatici che stanno cercando di coinvolgere nel progetto della NATO del Pacifico.
Cosa la appassiona più del suo lavoro e cosa le dà speranza di continuare a pensare ad un più giusto futuro politico?
Mi occupo di relazioni internazionali e devo dire che il mio punto di vista è pessimista attualmente. Non noto ampie prospettive da parte degli USA e ritengo che il pericolo di uno scontro diretto tra grandi potenze sia reale. Penso che, se gli Stati Uniti si lasceranno prendere da manie di grandezza, Cina e Russia saranno obbligate a rispondere alla lunga, sempre sperando che un conflitto nucleare non distrugga l’umanità. Se gli USA invece si accontenteranno della seconda posizione si assisterà alla creazione di un ordine mondiale più giusto e multipolarizzato. Molto dipende da come gli Stati Uniti si porranno in futuro.
Ringraziamo Giulio Chinappi per la sua disponibilità in questa intervista e speriamo di farne altre in futuro, magari analizzando altre situazioni interessanti nel contesto internazionale e prendendo in considerazione soprattutto i Paesi socialisti ad oggi esistenti.
Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di “Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale” e successivamente in “Scienze della Popolazione e dello Sviluppo” presso l’Universitè Libre de Bruxelles. Ha conseguito un Master of Education presso la University of the People di Pasadena, California (USA). Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese in cui risiede tutt’ora, e sul quale ha pubblicato alcuni libri, come “Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam” (2018) e “Storia delle religioni in Vietnam” (2019). Collabora con “La Città Futura”, scrive per l’associazione culturale “Marx21”, gestisce un proprio blog personale di geopolitica “World Politics Blog” e ha pubblicato diversi libri per l’Anteo Edizioni e altre case editrici. Nei suoi articoli spesso analizza le situazioni politiche internazionali. Ultimamente ha tradotto per l’Anteo Edizioni il libro del compianto segretario generale del Partito Comunista Vietnamita Nguyen Phu Trong, intitolato “Teoria e pratica del socialismo in Vietnam”.
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