di Giulio Chinappi
A 35 anni dall’invasione statunitense del 1989, Panama affronta nuove minacce alla sua sovranità. Le dichiarazioni del presidente eletto Trump sul canale interoceanico suscitano reazioni dure da parte di forze politiche, sociali e della comunità internazionale contro l’imperialismo USA.
FONTE ARTICOLO: https://giuliochinappi.wordpress.com/2024/12/25/gli-stati-uniti-preparano-una-nuova-invasione-di-panama/
Lo scorso 20 dicembre, ricorrevano i 35 anni dall’invasione statunitense di Panama, quando oltre 27.000 militari statunitensi, su ordine del presidente George H. W. Bush, invasero il Paese latinoamericano al fine di deporre il governo del generale Manuel Arturo Noriega, salito al potere nel 1983. Inizialmente sostenuto da Washington, infatti, Noriega aveva deciso di cambiare la propria politica estera rendendola più indipendente, e mettendo dunque a repentaglio gli interessi imperialisti, in particolare per quanto riguarda il controllo dello strategico canale. Inoltre, Bush sperava di ottenere l’abrogazione dei trattati sul Canale di Panama, che gli Stati Uniti avrebbero dovuto riconsegnare al governo panamense entro il 31 dicembre 1999.
I dati sulle conseguenze di quella che venne orwellianamente chiamata Operazione Giusta Causa (Just Cause) restano ad oggi incerti. Le fonti ufficiali statunitensi tendono naturalmente a minimizzare i danni causati dall’invasione militare, parlando di “sole” 500 vittime di cui 314 militari, mentre le associazioni panamensi sono arrivate a calcolare fino a 4.000 morti causati dall’intervento imperialista. Secondo la Confederazione Nazionale dell’Unità Sindacale Indipendente (Confederación Nacional de Unidad Sindical Independiente), “migliaia di panamensi persero la vita, e molte famiglie vennero distrutte. […] Il quartiere di Chorrillo fu ridotto in cenere. […] Ancora oggi, continuiamo ad aspettare risposte, riconoscimenti e risarcimenti per le vittime. Le denunce di crimini di guerra, violazioni dei diritti umani e distruzioni di massa continuano a essere ignorate“.
Proprio mentre a Panama si commemorava questa pagina oscura della storia nazionale, il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha rilasciato dichiarazioni che hanno avuto grande eco in America Latina. Trump ha infatti minacciato che gli Stati Uniti potrebbero riprendere il controllo del canale, qualora non vengano garantiti gli interessi degli imperialisti di Washington: “Gli Stati Uniti hanno un interesse personale nel funzionamento sicuro, efficiente e affidabile del Canale di Panama“, ha esordito il president eletto. “Non è stato concesso per il beneficio di altri, ma semplicemente come un gesto di cooperazione tra noi e Panama. Se non si rispettano i principi morali e legali di questo gesto magnanimo, esigeremo che ci venga restituito il Canale di Panama, integralmente e senza questioni. Ai funzionari di Panama, chiedo di agire di conseguenza!“.
Parole che suonano come minacce di stampo mafioso, quelle tipiche dell’imperialismo statunitense, che evidentemente non esclude di procedere ad una nuova invasione per proteggere i propri interessi egoistici. Trump ha infatti sottolineato che “il Canale di Panama è considerato un bene nazionale vitale per gli Stati Uniti, per il suo ruolo cruciale nell’economia e nella sicurezza nazionale” e che “un Canale di Panama sicuro è essenziale per il commercio statunitense e per il rapido dispiegamento della Marina, dall’Atlantico al Pacifico, riducendo drasticamente i tempi di trasporto verso i porti americani. Gli Stati Uniti sono il primo utente del canale, con oltre il 70% dei transiti diretti verso o provenienti da porti statunitensi“.
In pratica, Trump esige che Panama riduca i dazi di passaggio imposti alle navi battenti bandiera statunitense, minacciando conseguenze non specificate, ma che possiamo ben immaginare.
Le parole di Trump hanno suscitato dure reazioni sia a Panama che nella comunità internazionale. Il Partido Revolucionario Democrático (PRD), fondato da Omar Torrijos, il leader panamense che negoziò con l’allora presidente statunitense Jimmy Carter il trasferimento del canale interoceanico a Panama, ha condannato sabato scorso la minaccia del presidente eletto: “A Panama non è stato ‘dato’ il Canale, lo abbiamo recuperato e ampliato per il nostro sviluppo economico. Esigiamo dall’Esecutivo e dal Ministero degli Esteri che facciano rispettare la nostra sovranità di fronte alle dichiarazioni inaccettabili di Donald Trump“, si legge sull’account X del PRD.
Saúl Méndez, leader del sindacato Suntracs (Sindicato Único Nacional de Trabajadores de la Industria de la Construcción y Similares) ha risposto a Trump affermando che “nessun invasore gringo, nessun gringo con deliri di potere, come Trump, può minacciare Panama, la sua integrità territoriale, la sua sovranità e la sua autodeterminazione“.
Il Frente Amplio por la Democracia (FAD), partito della sinistra antimperialista, ha emesso un comunicato condannando le dichiarazioni minacciose di Trump: “È un affronto agli eroi e ai martiri della lotta per la sovranità, a 25 anni dalla restituzione del Canale“, vi si legge.
Secondo le organizzazioni e i partiti di sinistra, l’atteggiamento mafioso di Trump nei confronti di Panama sarebbe ulteriormente alimentato dal governo in carica del presidente José Raúl Mulino, che non ha condannato l’invasione statunitense del 1989 e sta nuovamente trasformando il Paese nel “cortile di casa” di Washington. Il governo Mulino ha infatti dato carta bianca a multinazionali statunitensi come First Quantum Minerals (FQM), supportate da partner come BlackRock, per lo sfruttamento delle risorse minerarie panamensi e la riapertura di una grande miniera di rame precedentemente chiusa a seguito di una decisione Corte Suprema di Giustizia.
Il vicino Venezuela, a sua volta vittime delle continue intimidazioni da parte di Washington, ha ribadito il proprio sostegno alla sovranità di Panama sul canale interoceanico situato nel suo territorio, di fronte alle ingerenze degli Stati Uniti che cercano illegalmente di reclamare il controllo di questa via marittima. In un comunicato ufficiale rilasciato dal governo di Caracas si legge che la sovranità di Panama “è stata conquistata grazie allo sforzo eroico del presidente Omar Torrijos”.
Anche la Cina ha ricordato che Pechino sostiene la sovranità panamense sul Canale di Panama: “Crediamo che, sotto la gestione efficiente di Panama, il canale continuerà a offrire nuovi contributi alla facilitazione dell’integrazione e degli scambi tra diversi Paesi“, ha affermato Mao Ning, portavoce del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare. Secondo le sue parole, il Canale di Panama è “un’opera del popolo panamense” e la Cina “rispetterà sempre” il diritto sovrano della nazione panamense su di esso.
A 35 anni dall’Operazione Giusta Causa, le ferite di quella tragica invasione restano aperte, e le parole di Trump dimostrano che la volontà egemonica degli Stati Uniti non è mai realmente tramontata. Tuttavia, le reazioni delle forze sociali, politiche e della comunità internazionale sottolineano che Panama non è sola nella sua difesa della sovranità.
Il Canale non rappresenta solo una via commerciale strategica, che rimane al centro di grandi interessi geopolitici, ma anche un simbolo della capacità di un popolo di riprendersi ciò che gli appartiene, di fronte a un passato segnato da oppressioni e ingerenze. Oggi, come allora, la mobilitazione permanente e il sostegno della comunità internazionale sono fondamentali per resistere alle minacce imperialiste.
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