di Lucia Gentili
La relazione tra cinema italiano e cinese è complessa e in continua evoluzione. Nonostante le sfide, la collaborazione tra i due Paesi offre un grande potenziale per la creazione di opere innovative e culturalmente significative.
Ciò è particolarmente valido per il cinema rispetto ad altri strumenti di produzione artistica perché sicuramente è una cooperazione nata quando già ci trovavamo in un contesto di globalizzazione e interconnessione mondiale. Questo significa che localmente ha sviluppato caratteristiche uniche ma denotando una storia globale condivisa.
Un’altra caratteristica importante del cinema è che oggi, grazie alla presenza degli smartphone e delle piattaforme digitali, è sempre presente sotto diverse forme in ogni momento e aspetto delle nostre vite. Proprio per questa sua caratteristica di interconnessione diventa uno strumento fondamentale per la collaborazione transnazionale e ponte e collegamento fra nazioni e culture differenti. Per riuscire a comprendere questo e il suo ruolo chiave nelle relazioni fra Italia e Cina andremo a vedere la sua storia di co-produzioni, gli aspetti tecnico narrativi, le opportunità di consapevolizzazione sociale e di inclusione e quali potranno essere le prospettive e opportunità future del cinema fra Italia e Cina.
La sfida del “transnazionale” negli studi sul cinema cinese
Il concetto di “transnazionale” complica lo studio del cinema, e in particolare del cinema cinese, in quanto mette in discussione le categorie tradizionali basate sulla nazione e sulla cultura di appartenenza. Da molti studi risulta evidente come la semplice definizione stessa di “cinema cinese” sia complessa e sfaccettata, andando oltre i confini geografici e culturali della Cina continentale.
Uno dei primi aspetti sta proprio nell’avvento del cinema in Cina, infatti già dal 1896, quando venivano proiettati i film dei fratelli Lumière in Cina, essi venivano percepiti dalla popolazione locale come “evento transnazionale”. Quindi, quando andiamo a parlare e ad utilizzare il concetto di “cinema cinese” si deve pensare a qualche cosa di non così autoctono e locale come possiamo immaginarlo, in quanto incarna inconsciamente un’idea di transnazionalità. Inoltre, questa idea viene rafforzata dal fatto che il popolo cinese vive una storica frammentazione in diverse entità territoriali: la parte continentale, le isole, Taiwan e Hong Kong, per non parlare della diaspora cinese in tutto il mondo, che attraverso i fenomeni come Bruce Lee è andato ancora di più a complicare il confine che definisce il “cinema cinese” all’interno di un limite territoriale come siamo soliti concepirlo e percepirlo in Italia.
Tutto questo va ad influire anche sui termini e sul linguaggio per indicare il cinema cinese nel contesto locale e transnazionale; infatti, sono utilizzati una vasta gamma di termini tra cui: “cinema cinese transnazionale”, “cinema in lingua cinese”, “cinema sinofono”, “Huallywood”, “Kungfu Movie”. Questa proliferazione di termini riflette proprio la difficolta di inquadrare un fenomeno così complesso e sfaccettato da non poter tracciare una linea di demarcazione netta fra cinema locale cinese e quello transnazionale.
Anche in epoca contemporanea diventa veramente difficile riuscire a fissare questo limite, perché il cinema in Cina oltre ad essere molto prolifico – con una grande produzione che va da quella del gruppo Media Governativo, alle grandi case di produzione private come quelle dei Gruppi Alibaba e Tencent fino a tutto il mondo del cinema di produzione indipendente o indie che sta diventando sempre più forte e presente grazie alle piattaforme digitali – prevede sempre un aspetto di collaborazione e produzione congiunta costante con il resto del mondo, che va dalla presenza di attori stranieri, musiche e musicisti, investitori, co-produttori, registi. Ciò porta alla luce la questione secondo cui il concetto di transnazionale non può essere spiegato solo con la logica del profitto e dell’affinità etnica, soprattutto se si guarda alle produzioni sino-italiane. Le motivazioni che spingono alla collaborazione transnazionale sono molteplici e includono il desiderio di esercitare un controllo sulla rappresentazione della propria cultura all’estero, rafforzare le relazioni diplomatiche, accedere a nuovi mercati ed esprimere interessi artistici.
L’altro aspetto importante è il contesto culturale che ha spinto a scegliere e incentivare in modo costante le collaborazioni cinematografiche; infatti, diverse fonti sottolineano come la Guerra Fredda e la Rivoluzione Culturale abbiano influenzato la produzione e la ricezione del cinema cinese in tutto il mondo e siano stati anche i momenti storici scatenanti e incentivanti a questo lungo percorso di collegamento e collaborazione internazionale. Questo perché il mondo in piena Guerra Fredda voleva accedere ad una Cina ancora chiusa, mentre la Cina voleva iniziare un nuovo percorso di narrazione e posizionamento sul piano globale verso le altre nazioni, così la censura cinese ha imposto limiti alla rappresentazione della Cina nei film, mentre il clima politico internazionale ha influenzato la percezione del cinema cinese in Occidente.
Il cinema cinese ha iniziato a poter essere definitivamente definito come transazionale, quando la Cina ha fatto il suo ingresso ufficiale nella globalizzazione, ossia quando è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, ufficializzando la crescita economica del Paese che oggi conosciamo e generando un impatto significativo sulle possibilità della produzione cinematografica, aprendo nuove opportunità di coproduzione e di distribuzione internazionale. Questo decollo economico ha portato a una maggiore visibilità del cinema cinese a livello globale, ma ha anche iniziato a sollevare interrogativi, non solo localmente ma anche globalmente, sulla sua identità e definizione di confini, su quando possa definirsi locale e transnazionale.
La natura transnazionale del cinema in Cina spinge gli studiosi a ripensare le categorie tradizionali di analisi del settore e aa adottare un approccio più fluido e complesso. Lo studio del cinema cinese, in particolare, richiede di andare oltre i confini nazionali e di considerare le molteplici influenze culturali, politiche ed economiche che hanno plasmato la sua storia e la sua produzione.
Il cinema sino-italiano dal dopoguerra ad oggi
Per analizzare l’evoluzione dell’immagine della Cina nel cinema italiano dal dopoguerra ad oggi, è essenziale considerare come i cambiamenti sociali, politici ed economici in Italia abbiano influenzato tali rappresentazioni. Le immagini cinematografiche sono il risultato di un intreccio complesso di fattori interni ed esterni al cinema. Nel corso degli anni, la rappresentazione della Cina è mutata profondamente, riflettendo le relazioni politiche, economiche e culturali tra Italia e Cina, oltre all’evoluzione del contesto globale. Le fonti disponibili permettono di tracciare questa trasformazione, evidenziando i principali elementi che hanno contribuito a definire l’immagine della Cina sul grande schermo.
Il dopoguerra in Italia fu caratterizzato da un forte impegno politico e ideologico, che si è riflettuto anche nella produzione cinematografica. Il Partito Comunista Italiano (PCI), con la sua influenza sulla cultura e la sua rete di intellettuali, ebbe un ruolo significativo nel plasmare l’immagine della Cina maoista nel cinema italiano. In questo contesto, il cinema italiano si trovò a dover bilanciare le esigenze del realismo con quelle della propaganda, offrendo spesso una visione idealizzata della Cina come modello di società socialista. Per esempio, il documentario “La muraglia cinese” (1958) di Carlo Lizzani è la perfetta rappresentazione di quanto sopra descritto. La pellicola è stata realizzata durante un viaggio in Cina, e cerca di mostrare gli sforzi verso la modernizzazione post rivoluzione, ma allo stesso tempo all’interno della sua narrazione emergono tutte le difficoltà incontrate da Lizzani per riuscire a conciliare tre aspetti importanti: la sua personale visione artistica, le aspettative dell’autorità cinese e quelle dell’allora Partito Comunista Italiano, facendo spesso emergere fortissimi elementi orientalistici[1] guidati da curiosità e ostilità a causa della chiusura della Cina verso il mondo esterno e alla narrazione globale della Guerra Fredda. Tale sentimento e la sua narrazione cinematografica sono continuati anche negli anni successivi, basti pensare al documentario “Chung Kuo” (1972) di Michelangelo Antonioni. Questo lavoro offre uno sguardo più critico sulla Cina maoista, concentrandosi sulla vita quotidiana e sulle contraddizioni della Rivoluzione Culturale, suscitando innumerevoli controversie e accuse di essere anti-cinese.
Con il passare degli anni, l’Italia visse un periodo di boom economico e di apertura al mondo esterno, che coincise con un allentamento delle tensioni ideologiche e con una maggiore attenzione verso le potenzialità del mercato. Questo cambiamento si esplicò anche nel cinema, che iniziò ad esplorare nuovi generi e a guardare alla Cina con occhi diversi, meno interessati all’ideologia e più attento agli aspetti culturali ed economici, soprattutto per evitare i contrasti emersi con il lavoro di Antonioni nel ’72 su tematiche troppo attuali. In questo periodo vediamo, all’interno della coproduzione internazionale “Marco Polo” (1982) di Giuliano Montaldo, un approccio e stile narrativo totalmente nuovi. Prima di tutto non si tratta di un film ma di una serie televisiva e soprattutto con un concetto certo divulgativo ma più di intrattenimento. Si continua a mantenere una prospettiva occidentale, cercando di offrire un nuovo ritratto più sfumato e complesso della Cina del XIII secolo. La narrazione della serie televisiva mette in risalto la figura di Marco Polo come mediatore tra due mondi; quindi, esaltando il suo ruolo di ponte e giunzione fra Occidente ed Oriente; anche in questo caso, però, la rappresentazione della Cina non è scevra da elementi orientalisti e da un certo esotismo, che rispecchiano ancora una volta la prospettiva e le aspettative del pubblico occidentale. Per non parlare poi del lavoro di Bernardo Bertolucci solo qualche anno dopo, nel 1987, con il lungometraggio “L’Ultimo Imperatore”. Questi due lavori, a differenza dei precedenti, riescono a portare la Cina ad un pubblico sempre più ampio e generico.
Nel ventennio dalla fine degli anni ’80 ai primi anni del 2000 le collaborazioni cinematografiche fra Italia e Cina hanno subito un forte disincanto e incertezza. Probabilmente tutto è iniziato con gli eventi di Piazza Tienanmen che hanno gettato un’ombra sulle relazioni tra la Cina e l’Occidente, generando un clima di sfiducia. Il cinema italiano di questo periodo ha riflettuto tale incertezza, con produzioni che si sono concentrate maggiormente sulle sfide della globalizzazione e dell’immigrazione cinese in Italia. Quindi, l’immagine della Cina nel cinema italiano si è ulteriormente evoluta, rispecchiando i cambiamenti sociali e culturali del Paese. L’Italia, da Paese di emigrazione, è diventata meta di immigrazione, e la presenza cinese è diventata sempre più significativa, non solo da un punto di vista sociale ma anche economico e industriale. Il cinema italiano ha iniziato a confrontarsi con questa nuova realtà, offrendo ritratti della comunità cinese in Italia che riflettono le sfide dell’integrazione, i pregiudizi e gli stereotipi, ma anche le opportunità e le ricchezze culturali che derivano dall’incontro tra culture diverse. Esempi significativi di questo filone sono “La stella che non c’è” (2006) di Gianni Amelio e “Due tigri” (2007) di Sandro Cecca. Questi film, pur affrontando tematiche diverse, mettono in scena l’incontro-scontro tra la cultura italiana e quella cinese, mostrando come la percezione dell’altro sia spesso influenzata da pregiudizi e stereotipi.
Per quello che riguarda invece gli anni ’10 e ’20 di questo millennio vediamo un altro grande cambiamento nella narrazione cinematografica sino-italiana. La sua narrazione eredita molti aspetti legati al periodo precedente, ma soprattutto segnala una nuova veste e narrazione guidata dai fenomeni del mondo digitale e della globalizzazione virtuale. Essa porta alla nascita di nuovi mondi, grandi produzioni e forti influenze di culture indie, grazie alla maggiore conoscenza reciproca facilitata dall’informazione trasmessa sulle piattaforme digitali sia dei social media che di intrattenimento come Netflix, Amazon Prime, ecc. Si arriva ad una maggiore consapevolezza reciproca e ad un forte salto in avanti verso la perdita dell’eurocentrismo all’interno delle narrazioni. Proprio in questo periodo troviamo due importanti esempi di collaborazione:
- Coffee (2017) di Cristiano Bortone: un film drammatico ambientato nel mondo del commercio internazionale del caffè.
- The Italian Recipe (2022) di Hou Zuxin: una commedia romantica che parla di un cantante pop cinese che si reca a Roma per trovare l’amore.
In questi lavori moderni nasce un nuovo tipo di narrazione più consapevole ed utilizzata dalle parti per riuscire a mettersi nei panni non solo di un narratore bianco e italiano, come per il film di Bertolucci, ma con un nuovo punto di vista più aperto all’Oriente.
L’immagine della Cina nel cinema italiano dal dopoguerra ad oggi ha subito notevoli trasformazioni, riflettendo i cambiamenti sociali, politici ed economici dell’Italia. Se inizialmente la Cina veniva rappresentata principalmente in chiave ideologica, nel tempo il cinema italiano ha offerto ritratti più complessi e articolati, aprendosi al dialogo interculturale e affrontando le sfide della globalizzazione. L’evoluzione di questa rappresentazione evidenzia la complessità delle relazioni tra Italia e Cina e il contesto globale in mutamento. Dal primo esotismo alla raffigurazione delle problematiche legate all’immigrazione e alla globalizzazione, il cinema italiano ha continuato ad offrire una visione sempre più realistica di un Paese in costante cambiamento.
Rappresentazioni cinematografiche della Cina: orientalismo italiano vs. complessità cinese
Il fatto che il film italiano tenda a rappresentare la Cina attraverso una lente orientalista, concentrandosi su elementi esotici o misteriosi, mentre i film cinesi offrono una prospettiva più sfumata, trova riscontro in diversi aspetti che vanno dalla cultura alla storia. Con orientalismo nel cinema italiano si indica la tendenza dei film italiani a rappresentare la Cina attraverso un filtro eurocentrico. Si traduce in una focalizzazione su elementi esotici o misteriosi della cultura cinese, perpetuando stereotipi e immagini superficiali, con l’obiettivo di suscitare nel pubblico occidentale un senso di meraviglia e di “alterità”.
Le ragioni di questa tendenza sono molteplici e possiamo riassumerle in principalmente tre motivazioni. Radici storiche: la Cina ha sempre rappresentato per l’Occidente un luogo di fascino e mistero, alimentato da una lunga storia di scambi culturali e commerciali, ma con una visione spesso distorta e stereotipata dell’Oriente. Esigenze di mercato: i film italiani, spesso indirizzati a un pubblico occidentale, hanno assecondato la curiosità per una Cina “altra” e misteriosa, proponendo narrazioni che confermassero tali aspettative. Difficoltà di comprensione: la profonda differenza culturale e linguistica, e spesso anche la distanza geografica tra Italia e Cina, ha reso difficile una rappresentazione autentica e realistica della società cinese da parte dei registi italiani. Esempi di questo approccio sono visibili sia nei documentari degli anni ’50 e ’60 che si soffermano su aspetti esotici e folkloristici delineando una visione parziale e stereotipata del Paese, come i già citati “La muraglia cinese” di Lizzani, “Marco Polo” di Montaldo e “L’ultimo imperatore” di Bertolucci. Ma questo aspetto si ripropone anche in film di finzione più recenti, sia in quelli ambientati nella Cina contemporanea che in quelli sulla comunità cinese in Italia, concentrandosi in maniera spropositata su aspetti superficiali della cultura cinese; uno di questi esempi è “Cenci in Cina” (2009), diretto da Marco Limberti.
Ovviamente non bisogna pensare che la prospettiva cinese nella sua produzione cinematografica sia priva di pregiudizi e stereotipi superficiali, soprattutto considerando il fatto che è soggetta a censura e a influenze politiche che influenzano la rappresentazione cinematografica del Paese, tuttavia, essa offre una visione più sfumata e diversificata. Quando si va poi a parlare di co-produzioni e di cinema transnazionale questi due aspetti si mescolano andando a creare ulteriore complessità nell’analisi e nello sviluppo del processo creativo. Da un lato, la collaborazione tra registi e produttori di diversa estrazione culturale potrebbe favorire una maggiore comprensione reciproca e la creazione di opere meno stereotipate. Dall’altro lato, la crescente influenza dell’industria cinematografica cinese potrebbe portare a una maggiore autocensura da parte dei registi italiani, desiderosi di accedere a quel mercato.
Le diverse influenze poi vanno a loro volta a mescolarsi e ad interagire con quelli che sono gli stili e le tecniche cinematografiche predilette dai grandi artisti italiani e cinesi. Infatti, l’uso dello spazio e dell’ambientazione nei film italo-cinesi rivela parecchio su come la Cina viene costruita visivamente e narrativamente, contribuendo in modo significativo al significato generale del film. I registi italiani hanno utilizzato lo spazio e l’ambientazione per trasmettere diversi significati e prospettive sulla Cina.
Un punto molto forte che mette in comune il cinema italiano e quello cinese d’autore è il realismo e la critica sociale, che nelle opere di coproduzione per la rappresentazione della Cina contemporanea ha trovato terreno molto fertile soprattutto grazie alle produzioni realizzate dopo l’apertura economica cinese. In tale contesto lo spazio e l’ambientazione assumono un ruolo importante nel mostrare la trasformazione sociale ed economica del Paese. I film che più lo sottolineano sono: “La stella che non c’è” (2006), di Amelio, che utilizza lo spazio per mostrare il contrasto tra la Cina industrializzata e le zone rurali, evidenziando le conseguenze sociali della globalizzazione; “Due Tigri” (2007), di Cecca, ambientato nella Shanghai contemporanea, in cui lo spazio diventa lo strumento per raccontare la modernità e il dinamismo cinese. Un secondo aspetto narrativo che unisce l’Italia e la Cina nella narrazione cinematografica è la rappresentazione dei paesaggi e il ruolo attivo e simbolico che giocano all’interno della narrazione. Ciò fa ancora più effetto quando nella cinematografia italiana si inserisce il paesaggio cinese, con la sua vastità varietà che divengono metafora e simbolo della grandezza e della complessità della Cina oppure del suo isolamento e inaccessibilità, a seconda del periodo storico. Un film che utilizza molto questa narrazione è “Chun Kuo” (1972) di Antonioni.
L’ultimo aspetto importante è il punto di vista narrativo, spesso il cinema cinese ci ha abituati a punti di vista particolari e dinamici all’interno della narrazione. Nelle principali co-produzioni sino-italiane si trova sempre un punto di vista con narratore esterno che funge da guida dello spettatore attraverso l’interpretazione, tenendo sempre toni e posizioni distaccate, scientifiche e di quello che è un punto di vista occidentale, oscillando spesso fra orientalismo e realismo, spettacolarizzazione e critica sociale. Questo perché i film sono spesso pensati per un pubblico occidentale, con l’obiettivo di intrattenere, informare o stimolare la riflessione su temi culturali. I film cinesi, invece, sono principalmente rivolti al pubblico interno, con l’obiettivo di raccontare storie, veicolare messaggi sociali o politici e celebrare la cultura cinese. Le scelte relative a questi elementi contribuiscono in modo significativo al significato generale del film, influenzando la percezione del pubblico occidentale sulla Cina.
Un aspetto che può essere compreso maggiormente attraverso l’analisi e la presentazione di uno dei film menzionati. Il film di Bernardo Bertolucci, “L’Ultimo Imperatore” (1987), ha avuto un impatto significativo in Italia ma allo stesso tempo la sua accoglienza in Cina non è stata molto più controversa e criticata proprio per l’impatto e la percezione della Cina che ha generato in Italia. Infatti, è stato spesso criticato per la sua rappresentazione idealizzata della Cina come una realtà sociopolitica incontaminata dalla monocultura consumistica che, secondo Bertolucci, aveva saturato ogni società occidentale. Questa idealizzazione, sebbene discutibile, ha contribuito ad alimentare una visione romantica e in qualche modo semplicistica della Cina agli occhi del pubblico occidentale. Il secondo aspetto di criticità sta nel fatto che il film si inserisce nella lunga tradizione occidentale di vedere la Cina come un simbolo di “alterità” e di proiettare su di essa i propri sogni, fantasie e utopie. “L’Ultimo Imperatore”, con la sua ambientazione esotica e la sua storia drammatica, ha contribuito a rafforzare questa visione della Cina come un luogo misterioso e affascinante, ma allo stesso tempo distante e “altro” rispetto all’Occidente. Se in Italia il film è stato elogiato per la sua bellezza visiva, per la fotografia e la maestria tecnica, in particolare per le riprese nella Città Proibita, mai concesse prima ad una troupe occidentale, questa dimensione estetica, tuttavia, ha sollevato anche critiche riguardanti un possibile voyeurismo occidentale nei confronti della cultura cinese, ridotta a spettacolo per il proprio pubblico. Proprio questo film è diventato uno dei simboli di rappresentazione e interpretazione della Cina per molti anni.
Rappresentazione di genere e inclusività nei film italo-cinesi
Oggigiorno come dimostrato dai nuovi parametri di valutazione per la premiazione degli Oscar, la diversità e l’inclusività giocano un ruolo sempre più importane per il mercato dell’intrattenimento globalizzato in cui viviamo. Le collaborazioni cinematografiche sino-italiane offrono spunti interessanti per analizzare come i ruoli e le aspettative di genere potrebbero essere negoziati e rappresentati in contesti culturali diversi. Perché la realizzazione di film di coproduzione implica inevitabilmente una negoziazione tra le diverse culture coinvolte, anche per quanto riguarda la rappresentazione del genere. È possibile che si siano verificati compromessi per rendere i film accettabili in entrambi i mercati.
Gli studi fino ad ora si sono sempre concentrati principalmente sulla storia delle coproduzioni italo-cinesi, sugli aspetti economici e diplomatici, e sulle sfide creative che queste collaborazioni comportano. Non sono mai state affrontate direttamente le questioni di genere, né sono mai state analizzati i personaggi femminili o le relazioni tra uomini e donne all’interno dei film di coproduzione. Però resta chiaro che un lavoro di coproduzione già di per sé diventa un impegno di inclusività e rappresentazione sotto diversi elementi ed aspetti: dalla scelta del casting, gli attori di diversa provenienza, come è cambiata negli anni la presenza e rappresentazione sia di attori italiani che cinesi. Se pensiamo a “L’ultimo imperatore” e poi alla varietà del casting di “The Italian Recepie”, troviamo un forte distacco; infatti, nel secondo film abbiamo una grande varietà di rappresentazione e inclusività che comprendono attori italiani, attori cinesi e attori sino-italiani di seconde generazioni. Inoltre, sono cambiati i pesi dei ruoli, nei primi film di coproduzione si dava grandissimo spazio ai protagonisti maschili, mentre nelle produzioni più recenti abbiamo la presenza di co-protagonisti sia maschili che femminili.
Soprattutto, quello che emerge fra i primi film di coproduzione e quelli più recenti negli anni ’20 di questo millennio è un diverso approccio nella rappresentazione della Cina stessa. Se è vero che nelle prime coproduzioni si aveva un racconto didascalico e distante, anche quando all’interno della serie televisiva “Marco Polo” il protagonista era italiano, si rileva comunque un senso di globalità e di insieme e mai di semplici individui. Nelle ultime produzioni come “The Italian Recepie” la narrazione e descrizione della Cina diventa uno sfondo su cui si costruisce un copione narrativo di intrattenimento che dà spazio alle relazioni interpersonali, alla diversità, dove vengono messi al centro gli individui con le loro unicità. In quest’ultima opera abbiamo tutte le grandi tendenze e gli stereotipi cinesi che diventano sfondo e pretesto narrativo e non il fulcro centrale della narrazione: i grandi influencer e cantanti mediatici POP, il mondo dei social media, l’influenza dell’imprenditorialità cinese a livello globale, la presenza delle seconde generazioni di migranti. Diventa così occasione di presentazione e divulgazioni di tematiche estremamente importanti per il mondo di oggi: come l’inclusività sociale della diversità culturale e di genere. Grazie ad una coproduzione si aprono porte ed opportunità per poter inserire nuovi punti vista e narrazioni più inclusive e multipolari grazie al fatto che si tratta di un lavoro congiunto fra più realtà e persone con culture di provenienza differenti, le quali richiedono una continua e costante mediazione e individuazione di un compromesso, così come significati e significanti cinematografici comprensibili per entrambe le parti.
Le coproduzioni italo-cinesi e le realtà economiche del cinema globale
I film di coproduzione italo-cinesi riflettono le realtà economiche del cinema globale in diversi modi, mostrando sia le opportunità che le sfide che caratterizzano l’industria cinematografica contemporanea.
- La crescita del mercato cinese: dagli anni ’70 dello scorso secolo si è avviata la rapida crescita del mercato cinematografico cinese, destinato a diventare il più grande al mondo. Questa crescita attrae produttori e registi italiani, che vedono nelle coproduzioni italo-cinesi un’opportunità per accedere ad un pubblico vasto e in espansione.
- Investimenti e coproduzioni: la Cina, grazie alla sua crescente potenza economica, sta investendo sempre più nel cinema, sia a livello nazionale che internazionale. Le coproduzioni con l’Italia sono viste come un modo per acquisire competenze, tecnologie e visibilità a livello globale. Ad esempio, la serie TV “Marco Polo” (1982) ha segnato un passo importante nella collaborazione cinematografica italo-cinese, aprendo la strada a future coproduzioni. Soprattutto, si tratta di un perfetto strumento per accedere a mercati alternativi inaccessibili per diritti e legislazioni.
- Il ruolo della censura: il sistema di censura cinese rappresenta una sfida significativa per le coproduzioni italo-cinesi. I film devono essere attentamente valutati per garantire che siano accettabili per le autorità cinesi, il che può portare a compromessi narrativi o a limitazioni creative oppure a vera e propria esclusione, ma nel caso di coproduzioni l’ingresso nel mercato cinese è facilitato.
- Differenze culturali e sfide creative: la collaborazione tra professionisti del cinema italiani e cinesi comporta la necessità di affrontare le differenze culturali e di trovare un equilibrio tra le diverse sensibilità estetiche. La produzione di “Marco Polo” ha richiesto un lungo processo di negoziazione e di adattamento alle esigenze di entrambe le parti prima di vederne la proiezione, e questo è riguardato tutte le fasi di produzione dalla scrittura, alla scelta di cast, alla fase delle riprese e alla fase di montaggio e promozione.
- Il “Made in Italy” e la globalizzazione: alcuni film di coproduzione italo-cinesi, come “Cenci in Cina” (2009) e “L’occupazione cinese. Made in Prato” (2013), con la regia di Massimo Luconi, riflettono l’impatto della globalizzazione e della concorrenza cinese sull’industria tessile italiana. Questi film evidenziano la necessità di trovare nuove forme di collaborazione tra i due Paesi, adattandosi alle realtà economiche del cinema globale. Inoltre, raccontano come siano cambiate le abitudini di vita e le aspettative della città di Prato con l’arrivo della comunità cinese.
- L’importanza dei festival e delle reti di collaborazione: il ruolo dei festival cinematografici, come i “China Days” ai festival di Roma e Venezia, e delle reti di collaborazione, come “Bridging the Dragon”, facilitano la promozione del cinema italiano in Cina e la nascita di nuove coproduzioni. Queste iniziative contribuiscono a creare visibilità, a favorire l’incontro tra professionisti del settore e a sviluppare nuovi progetti. Grazie alle collaborazioni cinematografiche sono nati diversi eventi che promuovono l’attività economica e lo sviluppo locale, fra i quali sicuramente la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che è un punto di riferimento per il cinema cinese in Italia. Nel 2005, la Mostra ha ospitato la sezione speciale “Storia Segreta del Cinema Cinese”, presentando dieci film cinesi restaurati ad un pubblico internazionale, offrendo un importante contributo alla scoperta e alla valorizzazione delle due culture. Il Far East Film Festival di Udine: rappresenta l’esempio in cui l’Italia diventa un altro importante ponte per raggiungere il cinema cinese blockbuster dal 1999 ad oggi.
Anche in questi contesti, i ruoli delle relazioni interpersonali e di figure chiavi di esperti rivestono un ruolo fondamentale; ad esempio, il ruolo di Marco Müller, esperto di cinema cinese e direttore della Mostra del Cinema di Venezia nel 2005, è significativo. La sua nomina a capo consulente del Festival del Cinema di Pechino sottolinea come la partecipazione a festival internazionali possa creare opportunità di collaborazione e di scambio tra professionisti del settore.
Queste collaborazioni sono state rese possibili anche grazie alla firma di diversi accordi diplomatici. Nel 2015, durante l’EXPO, Francesco Rutelli e Li Zhaoxing, rappresentante della Diplomazia Culturale cinese, hanno firmato cinque accordi per la promozione reciproca della cultura che comprendeva anche il cinema. Risulta evidente come queste coproduzioni offrano opportunità di crescita all’industria cinematografica italiana e ad altri settori industriali.
Il futuro della collaborazione cinematografica italo-cinese
Esso offre sia opportunità che sfide. Da un lato, il mercato cinematografico cinese è in rapida crescita e rappresenta una grande opportunità per i produttori e i registi italiani. Dall’altro lato, la Cina ha un sistema di ingressi complesso con un numero molto limitato a circa una quarantina e cinquantina di titoli internazionali che ogni anno vengono accettati e possono entrare nel mercato cinese locale. Infine, le coproduzioni italo-cinesi hanno l’arduo compito di dover riuscire a soddisfare le aspettative del pubblico cinese e italiano, spesso molto diversi tra loro.
Più nello specifico, le coproduzioni aprono le porte a diverse opportunità per quello che riguarda la condivisione della cultura e del cinema italiani in Cina. La Cina è destinata a diventare uno dei maggiori e più influenti mercati cinematografici del mondo e potervi entrare significa offrire grandi opportunità e potenzialità alla creatività italiana. Grazie ad una strategia di collaborazione e co-produzione più strutturata e costante sarebbe facilmente possibile superare la problematica del limitato numero di titoli esteri approvati all’ingresso nel mercato cinese.
Un’altra grande opportunità è data dal fatto che il mondo cinematografico cinese ha due grandi filoni, quello delle case di produzione storiche nazionali pubbliche come China Media Group, il principale emittente statale cinese Radiotelevisivo; ed un secondo filone in forte espansione e crescita, ossia quello delle case di produzione private che appartengo alle big corporate dell’High-Tech cinese quali: Baidu Group, Tencent, Alibaba Group e Bilibili. Ciascuna di queste aziende ha sviluppa un’intera strategia di diversificazione del business dedicata all’intrattenimento e alla produzione cinematografica, scalando il mercato delle piattaforme di stream video online e delle TV digitali. Molte di queste riescono sia a portare sui grandi schermi che sulle loro piattaforme digitali di live streaming e TV private contenuti di intrattenimento di diverso tipo: lungometraggi, serie televisive, talkshow, documentari, film d’animazione, ecc. Il sempre più forte desiderio di espansione commerciale di queste aziende a livello internazionale potrebbe comportare anche per il mondo cinematografico italiano grandi opportunità non solo in termini finanziari sui progetti ma anche di scalabilità di nuovi mercati.
Da un punto di vista italiano è chiaro che si tratta di una grande opportunità perché si parla di un mercato immenso, ma allo stesso tempo di una sfida, in quanto il mondo del cinema italiano non è abituato ad affrontare le dinamiche e le azioni di promozione e gestione di un mercato così ampio per quantità di pubblico e per dimensione. Allo stesso tempo per i contenuti cinesi diventerà una sfida interessante apprende ed imparare come vincere un mercato più selettivo come quello italiano.
Vanno poi presi in considerazione anche tutti gli aspetti di differenze culturali nella visione creativa, che possono essere sia un ostacolo ma anche una grande opportunità per la nascita di nuove idee narrative e di maggiore scoperta e comprensione reciproca fra le culture. Attraverso le storie raccontate, il pubblico può conoscere meglio le tradizioni, i valori e le prospettive dell’altra cultura. Favorendo così anche la comprensione reciproca sia attraverso il lavoro congiunto fra team multiculturali italo-cinesi nelle attività di produzione quotidiane di lavoro in gruppo e inclusività, che proprio attraverso il superamento degli stereotipi e delle incomprensioni tra le due culture, presentano ritratti più realistici e sfumati dei personaggi e delle società all’interno dei film. Questo poi offre anche l’opportunità di creare nuove narrazioni e punti di vista su temi globali di interesse comune, come la globalizzazione, l’immigrazione, l’ambiente o i diritti umani, offrendo diverse prospettive e stimolando la riflessione. Si parla di un aspetto molto importante in quanto riguarda azioni che le popolazioni di tutto il mondo si aspettano vengano intraprese da parte dei loro governi ma che richiedono un grande sforzo globale per il raggiungimento degli obiettivi specifici, basti pensare alla semplice Agenda 2030 portata avanti dalla Comunità Europea. Sicuramente è un interessato e importante punto di vista che apre nuove opportunità di comunicazione, collaborazione oltre la semplice conoscenza culturale reciproca ma che diventa anche una stimolante opportunità di collaborazione economica e politica multisettoriale in un mondo sempre più multipolare, gloalizzato e interconnesso.
FONTI
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ITALIAN LITERARY AND CINEMATIC REPRESENTATIONS OF CHINA AND THE CHINESE (1949-2011) Xin Liu A dissertation submitted to the faculty at the University of North Carolina at Chapel Hill in partial fulfillment of the requirements for degree of Doctor of Philosophy in the Department of Romance Studies. Chapel Hill 2015.
“Ecstasy of Difference”: Bertolucci’s “The Last Emperor” Author(s): Yosefa Loshitzky, Raya Meyuhas and Bertolucci Source: Cinema Journal, Winter, 1992, Vol. 31, No. 2 (Winter, 1992), pp. 26-44 Published by: University of Texas Press on behalf of the Society for Cinema & Media Studies.
Chiara Lepri, Marco Polo returns to China: Giuliano Montaldo’s TV series (1982), © Author(s), CC BY 4.0, DOI 10.36253/979-12-215-0068-4.10, in Valentina Pedone, Miriam Castorina (edited by), Words and visions around/about Chinese transnational mobilities 流动, pp. 99-116, 2023, published by Firenze University Press, ISBN 979-12-215-0068-4, DOI 10.36253/979-12-215-0068-4.
Italian Filmmakers in China after 1949: Transnational cinema and its cultural, economic, and political implications by Stefano Bona Thesis Submitted to Flinders University for the degree of Doctor of Philosophy College of Humanities, Arts and Social Sciences 6 March 2018.
The “Wolf Warrior Cycle”: Chinese Blockbusters in the Age of the Belt and Road Initiative Xiao Yang Monash University, Melbourne, Australia, The China Quarterly (2023), 256, 1053–1067 doi:10.1017/S0305741023000693.
NOTE AL TESTO
[1] Orientalismo: Un modo di pensare occidentale che spesso rappresenta le società asiatiche e del Medio Oriente come esotiche, arretrate o misteriose.
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