di Giulio Chinappi
Per decenni, la stampa occidentale ha descritto la Corea del Sud come il “baluardo della democrazia” in Asia orientale. Il fallito golpe di Yoon Suk-yeol ci ha riportato alla realtà di un Paese dal passato burrascoso.
FONTE ARTICOLO: https://strategic-culture.su/news/2024/12/20/la-corea-del-sud-non-il-baluardo-della-democrazia-in-asia/
Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre, la Repubblica di Corea – meglio nota come Corea del Sud – ha vissuto momenti di grande tensione, che nei sudcoreani più âgé deve aver riportato alla memoria il passato burrascoso del Paese, caratterizzato da colpi di Stato e dittature militari, sebbene oramai dimenticato da gran parte dell’opinione pubblica occidentale, abituata alla descrizione della Corea del Sud come “baluardo della democrazia” in Asia orientale, soprattutto al cospetto della Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord).
La storia sudcoreana, invece, non è affatto un esempio di democrazia. Soprassedendo sull’epoca monarchica e sulla successiva colonizzazione da parte del Giappone fascista, nel secondo dopoguerra il Paese ha visto il succedersi di tre dittature principali, inframmezzate da fasi di transizione, sempre con il sostegno degli Stati Uniti – che dal 1945 occupano militarmente la parte meridionale della penisola coreana – e delle altre potenze occidentali.
Dalla fondazione della Repubblica di Corea nel 1948 fino al 1960, il Paese è stato nelle mani di Syngman Rhee, un collaborazionista nei confronti dei colonizzatori giapponesi, poi diventato l’uomo di riferimento degli Stati Uniti. Nei suoi dodici anni di governo, Rhee utilizzò metodi repressivi per mantenere il controllo, tra cui la manipolazione delle elezioni, l’arresto degli oppositori politici e la censura dei media, trasformando il Paese in un regime anticomunista, utilizzando il timore del comunismo come pretesto per eliminare i dissidenti e rafforzare il proprio potere, e macchiandosi di gravi crimini come il massacro di Jeju e quello di Geochang.
Il secondo dittatore sudcoreano fu Park Chung Hee (1962-1979), che diede al Paese un forte impulso verso la crescita economica, ma attraverso misure come la deportazione forzata di persone dalle campagne verso le città per dare il via all’industrializzazione della Corea. Inoltre, la crescita venne ottenuta attraverso salari bassi e restrizioni ai diritti sindacali, oltre ad una dura repressione dell’opposizione politica, attraverso la censura, l’arresto di dissidenti e il controllo sui media. Nel 1972 proclamò la Costituzione Yushin, che gli conferì poteri quasi illimitati, fino al suo assassinio, avvenuto il 26 ottobre 1979.
Il terzo dei leader dittatoriali sudcoreani fu Chun Doo-hwan, che salì al potere attraverso un colpo di Stato nel 1979, instaurando un regime che durò fino al 1988. Dopo aver conquistato il governo nel caos che regnava a seguito dell’assassinio di Park, il generale Chun sciolse l’Assemblea Nazionale e dichiarò la legge marziale in tutto il paese, reprimendo brutalmente le proteste per la democrazia, una mossa simile a quella tentata dal presidente Yoon ad inizio dicembre. Uno degli eventi più tragici del regime di Chun fu il Massacro di Gwangju (maggio 1980), quando le forze armate, sotto il suo comando, repressero violentemente una rivolta popolare nell’omonima città, causando centinaia di morti e feriti.
Fu solamente tra il 1987 e il 1988 che la crescente pressione interna ed esterna per riforme democratiche portò alla fine del regime di Chun. Nel 1987, massicce proteste popolari costrinsero il governo a indire elezioni dirette per la presidenza, con Chun che lasciò il potere l’anno successivo, passando il testimone a Roh Tae-woo, un altro generale vicino al suo regime, ma in un contesto politico più democratico, che garantì la transizione verso il sistema bipartitico che ha caratterizzato la politica sudcoreana negli anni ’90 e 2000.
Venendo ai fatti più recenti, il presidente Yoon Suk-yeol, figura proveniente dalla coalizione di centro-destra denominata Partito del Potere Popolare, è salito al potere nel 2022 come successore di Moon Jae-In, che invece rappresentava il Partito Minju (Partito Democratico di Corea) di centro-sinistra. Tuttavia, Yoon ha dovuto fare i conti con un Parlamento (Daehanminguk Gukhoe) dominato dall’opposizione, ovvero dal Partito Minju, un equilibrio confermato anche dalle elezioni legislative dello scorso aprile. Frustrato da tale situazione, con l’opposizione che ha usato la propria maggioranza parlamentare per far passare degli emendamenti alla legge di bilancio, Yoon ha tentato la strada del colpo di Stato imponendo la legge marziale, prima di essere costretto a fare marcia indietro a seguito di ampie proteste sia da parte dei deputati che della cittadinanza.
Non è ancora chiaro quali siano le reali ragioni che hanno spinto Yoon a rispolverare la legge marziale, che in Corea veniva oramai considerata come un triste ricordo del passato. Alcuni analisti, come Andrew Mitrovica di Al Jazeera, hanno persino visto in questo gesto disperato il tentativo di mettere in pratica alcune idee di Donald Trump, puntando sull’immagine dell’uomo forte alla guida del Paese. Secondo le sue stesse parole, Yoon avrebbe tentato di salvare il Paese dalla “forze comuniste e filonordcoreane”. Quello che ci sembra certo, è che la carriera politica di Yoon volgerà presto al termine, nonostante i tentativi di salvarlo da parte del suo partito.
Per inciso, il leader del centro-destra Han Dong-hoon ha chiesto la sospensione dei poteri del presidente, in accordo con l’opposizione. Han ha infatti dichiarato che nuovi elementi lo hanno convinto della colpevolezza di Yoon, che avrebbe ordinato al comandante della contro-intelligence della difesa di arrestare importanti leader politici, definendoli forze anti-statali. Tuttavia, il voto della mozione di impeachment, che richiederebbe 200 voti favorevoli su 300 deputati, non è andato a buon fine, in quanto i 108 esponenti del partito di governo hanno deciso di abbandonare l’aula.
Dopo il fallimento del voto per l’impeachment, l’opposizione sudcoreana ha accusato il partito di governo di aver orchestrato un “secondo colpo di Stato” rimanendo aggrappato al potere e rifiutandosi di procedere con la sospensione del presidente Yoon. Dal canto suo, Yoon ha rifiutato di dimettersi, nonostante le richieste, anche da membri del suo stesso partito.
Allo stesso tempo, Oh Dong-woon, capo dell’Ufficio per le indagini sulla corruzione di alti funzionari, ha fatto sapere di aver ordinato il divieto di viaggio all’estero per Yoon, dimostrando come i guai non siano affatto finiti per il presidente aspirante golpista. Se il voto per l’impeachment non ha avuto successo a causa dell’ostruzionismo del Partito del Potere Popolare, l’opposizione, che dispone di 192 seggi su 300, ha approvato una legge che richiede la nomina di un procuratore speciale per “accertare la verità sulla ribellione interna attraverso la dichiarazione incostituzionale della legge marziale”, secondo quanto riportato dall’agenzia Yonhap.
Inoltre, il parlamento ha anche approvato il bilancio per il 2025, ridotto rispetto alla proposta del governo. L’organo legislativo ha votato con un verdetto di 183-94 per approvare un bilancio di 673,3 trilioni di won (470,6 miliardi di dollari), ridotto rispetto ai 677,4 trilioni di won (473,5 miliardi di dollari) proposti dal governo. È stata la prima volta che il parlamento ha approvato un bilancio ridimensionato senza il consenso del governo.
Gli ultimi aggiornamenti parlano dell’arresto dell’ex ministro della Difesa Kim Yong-hyun e dei capi delle agenzie di polizia nazionale e metropolitana di Seul, accusati di coinvolgimento nel breve decreto del presidente Yoon, con Kim Yong-hyun che avrebbe tentato il suicidio mentre si trovava sotto custodia. Intanto, l’opposizione ha presentato una seconda mozione di impeachment contro il presidente Yoon, che ha avuto successo con un verdetto di 204 voti favorevoli su 300. Al momento, il primo ministro Han Duck-soo ha assunto temporaneamente le responsabilità presidenziali, mentre la Corte Costituzionale è chiamata a decidere nei prossimi mesi se confermare la rimozione di Yoon dall’incarico o ripristinarne i poteri.
Indipendentemente da quella che sarà la decisione del massimo organo giudiziario sudcoreano, i fatti degli ultimi giorni ci hanno restituito un quadro della Repubblica di Corea ben diverso da quello che ci era stato propinato negli ultimi due decenni. Lungi dal rappresentare un baluardo democratico in Oriente, la Corea del Sud rischia di riscoprire il proprio passato autoritario nel bel mezzo della crisi generale del modello politico occidentale.
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