di Giulio Chinappi
Il voto del 24 novembre ribalta le aspettative: il candidato indipendente di destra, Călin Georgescu, guida la corsa elettorale, superando i candidati dei partiti tradizionali. Una sfida decisiva all’orizzonte, tra richieste di cambiamento e nuovi equilibri geopolitici.
Come oramai noto a molti, lo scorso 24 novembre ha avuto luogo in Romania il primo turno delle elezioni presidenziali, che ha visto il candidato indipendente di destra Călin Georgescu ottenere il primato provvisorio con il 22,94%. Questo risultato ha creato grande sorpresa tra la stampa mainstream, che aveva invece previsto il solito duello tra i due principali candidati delle forze politiche tradizionali, Elena Lasconi per il partito USR (Uniunea Salvați România) di centro-destra e Marcel Ciolacu, primo ministro in carica, per il PSD (Partidul Social Democrat) di centro-sinistra.
L’esito delle urne ha invece premiato Georgescu, relegando Lasconi e Ciolacu alla lotta per la seconda posizione, comunque fondamentale per giungere al ballottaggio del prossimo 8 dicembre. Alla fine, Lasconi l’ha spuntata con meno di tremila voti di margine su Ciolacu, ottenendo il 19,19% delle preferenze contro il 19,15% del candidato socialdemocratico. Sarà dunque una lotta tutta interna alla galassia di destra quella del secondo turno tra Georgescu e Lasconi, che si contenderanno la successione a Klaus Iohannis, che nel corso del suo mandato ha fatto di tutto per trasformare il Paese in uno dei principali avamposti dell’imperialismo occidentale contro la Russia.
Proprio le questioni di politica estera hanno giocato un ruolo fondamentale nella vittoria di Georgescu. Come detto, Iohannis ha seguito una linea decisamente atlantista negli ultimi anni, al punto da essersi autocandidato come segretario generale della NATO, ruolo al quale poi, come noto, ha dovuto rinunciare in favore dell’ex primo ministro olandese Mark Rutte. Sia Lasconi che Ciolacu – come del resto lo ha dimostrato nel ruolo di primo ministro – avrebbero probabilmente mantenuto invariata la linea della Romania in politica estera, ed è proprio questo elemento che ha portato i cittadini a preferire una candidatura come quella di Georgescu, che invece ha incentrato la propria campagna elettorale sulla fine della partecipazione della Romania alla guerra che l’Occidente collettivo a guida statunitense ha dichiarato contro la Russia.
A dire il vero, quella di Călin Georgescu non è stata l’unica voce a levarsi contro la guerra antirussa. Anche George Simion, candidato del partito nazionalista AUR (Alianța pentru Unirea Românilor) ha espresso una posizione critica nei confronti della politica estera del governo in carica. Simion, alla fine giunto quarto con il 13,86% delle preferenze, ha infatti rifiutato la possibilità di inviare soldati romeni in Ucraina, pur respingendo l’etichetta di “filorusso” ed affermando che da presidente avrebbe continuato a fornire assistenza umanitaria e supporto logistico a Kiev. Inoltre, Simion ha affermato di essere favorevole alla partecipazione della Romania nell’Unione Europea, ma non nella NATO, organizzazione alla quale Bucarest ha aderito nel 2004.
Anche Călin Georgescu ha espresso serie perplessità in merito alla partecipazione della Romania nell’Alleanza Atlantica, promuovendo una politica di normalizzazione delle relazioni con la Russia. Proprio questa posizione potrebbe portare gli elettori di Simion a sostenere Georgescu al secondo turno (del resto, lo stesso Georgescu era un membro del partito AUR fino a due anni fa), mentre, dall’altra parte, gli elettori del socialdemocratico Ciolacu potrebbero decidere di appoggiare Lasconi, rendendo la sfida del prossimo 8 dicembre incerta fino all’ultimo. Da notare, inoltre, che Georgescu ha ricevuto un forte sostegno da parte dei romeni residenti all’estero, ottenendo il 43,35% di preferenze tra gli emigrati.
L’accordo tra Georgescu ed il partito AUR è stato successivamente confermato anche da Ramona Ioana Bruynseels, esponente di questa forza politica, che, di fronte alle domande dei giornalisti sulle dinamiche che hanno portato il candidato presidente a lasciare AUR ha risposto: “Noi non siamo i portavoce del signor Călin Georgescu. Lo sosteniamo, ma non rispondiamo delle sue dichiarazioni. Non dobbiamo avere una compatibilità assoluta con lui; non stiamo contraendo matrimonio con il signor Georgescu. Non è il candidato di AUR; il nostro candidato era George Simion“.
Ad ogni modo, quello che ci preme sottolineare è che, ancora una volta, i popoli europei hanno espresso la propria contrarietà alla guerra per procura che l’Occidente imperialista a guida statunitense ha dichiarato contro la Russia. Quando vengono chiamati alle urne, i cittadini hanno quasi sempre espresso la propria preferenza per i candidati che hanno espresso opposizione alle folli politiche russofobe di Washington e Bruxelles, siano essi di destra o di sinistra. Questo avviene in particolare nei Paesi dell’Europa orientale, che sono maggiormente legati a Mosca sia dal punto di vista economico che da quello storico-culturale.
Naturalmente, sostenere la fine della guerra non significa concordare con tutte le dichiarazioni e le opinioni di Călin Georgescu, che infatti ne ha espresse di molto criticabili, fino a sconfinare nel complottismo quando ha pubblicamente negato lo sbarco sulla Luna o il cambiamento climatico. Inoltre, Georgescu ha espresso alcune opinioni che sono state fortemente criticate in Romania, soprattutto quando ha elogiato la figura di Ion Antonescu, primo ministro filonazista della Romania tra il 1940 e il 1944. In seguito a quelle parole, un’inchiesta penale è stata avviata contro Georgescu per aver promosso il culto di figure responsabili di genocidi e crimini di guerra.
Tuttavia, di fronte all’imminenza di una possibile terza guerra mondiale, molti elettori hanno preferito esprimere il proprio voto nei confronti di un candidato che ha messo, a ragion veduta, proprio la fine del conflitto con la Russia in cima alla lista delle proprie priorità. Nonostante tutte le critiche che possono essere formulate contro Georgescu, la priorità assegnata al tema della pace e alla fine del coinvolgimento della Romania nel conflitto in Ucraina ha evidentemente prevalso nell’immaginario elettorale.
Questo risultato provvisorio, dunque, rappresenta un segnale inequivocabile del cambiamento politico richiesto dagli elettori, e riflette una crescente disillusione nei confronti dell’élite politica consolidata e delle sue scelte negli ultimi anni. Il ballottaggio dell’8 dicembre sarà decisivo per comprendere se il messaggio di cambiamento incarnato da Georgescu potrà tradursi in una vittoria definitiva. La sfida con Elena Lasconi, esponente di un centro-destra più moderato e filo-occidentale, rappresenta non solo una competizione politica, ma anche un referendum simbolico sul futuro posizionamento geopolitico della Romania.
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