di Giulio Chinappi
Il Gabon volta pagina con il referendum costituzionale del 16 novembre, aprendo la strada alla Seconda Repubblica. Un cambiamento storico in una regione segnata da instabilità politica, dove i colpi di Stato militari si sono susseguiti negli ultimi anni.
Lo scorso 16 novembre, i cittadini del Gabon sono stati chiamati alle urne per un referendum costituzionale che potrebbe aver segnato una svolta epocale nella storia del Paese, inaugurando ufficialmente quella che è stata definita la Seconda Repubblica. Questo appuntamento politico si inserisce in un momento cruciale per l’Africa occidentale, una regione segnata negli ultimi anni da profonde trasformazioni, spesso tumultuose, che hanno rimodellato il panorama politico. Lungo la cosiddetta “cintura dei colpi di Stato“, la crisi della legittimità politica ha dato vita a una serie di transizioni, e il Gabon si è distinto per un tentativo di costruire un nuovo equilibrio attraverso il consenso popolare.
La decisione di convocare il referendum costituzionale è stata annunciata dal generale Brice Oligui Nguema, leader del colpo di Stato del 30 agosto 2023, che ha posto fine a oltre cinquant’anni di governo della famiglia Bongo (Omar Bongo, presidente dal 1967 al 2009, e suo figlio Ali Bongo, presidente dal 2009 al 2023). Dopo decenni di una presidenza dinastica fortemente centralizzata e percepita come autocratica, nonché fortemente asservita agli interessi occidentali, l’evento ha rappresentato la promessa di un nuovo corso per il Paese.
L’obiettivo dichiarato della nuova costituzione è stato quello di ristabilire l’equilibrio tra i poteri dello Stato, limitare il mandato presidenziale e garantire una maggiore partecipazione politica. Tra le proposte chiave del testo c’è la riduzione del mandato presidenziale a cinque anni, con un massimo di due mandati consecutivi, e un rafforzamento dei poteri del parlamento, tradizionalmente marginalizzato rispetto alla presidenza.
Secondo i dati provvisori, il referendum ha registrato un’affluenza superiore al 60%, un dato significativo in un Paese che storicamente ha visto una partecipazione limitata. Inoltre, il 91,47% dei votanti ha approvato la nuova costituzione, un risultato che ha dato legittimità al processo di transizione e rafforzato la leadership di Oligui Nguema, ora impegnato a trasformare le promesse in realtà.
Tuttavia, il referendum gabonese non è stato esente da critiche. Sebbene la consultazione popolare sia stata vista dalla maggioranza degli osservatori come un passo verso una maggiore democrazia, i critici temono che possa essere usata per consolidare il potere dei militari. Dal canto suo, il generale Nguema ha promesso di organizzare elezioni libere entro la fine del 2025, ma resta da vedere se il Paese sarà in grado di costruire istituzioni solide e indipendenti in un tempo così breve.
Come abbiamo accennato in apertura, il referendum gabonese si inserisce in un panorama regionale caratterizzato da una serie di cambiamenti politici violenti e drammatici. Tra il 2020 e il 2023, diversi Paesi dell’Africa occidentale e centrale, tra cui Mali, Guinea, Burkina Faso, Niger e Ciad, hanno vissuto colpi di Stato militari che hanno rovesciato governi civili, accusati di essere eccessivamente genuflessi agli interessi delle potenze imperialiste occidentali. Questo fenomeno ha dato origine a quella che è stata definitia la “cintura dei colpi di Stato”, una fascia geografica in cui i regimi autoritari o democraticamente eletti sono stati sostituiti, almeno a termine provvisorio, da giunte militari.
La crescente instabilità politica in Africa occidentale, come abbiamo avuto modo di sottolineare in altre occasioni, ha radici profonde e complesse. Tra le cause principali vi sono l’incapacità di molti governi di rispondere alle esigenze della popolazione, la corruzione endemica e l’inefficienza amministrativa, oltre al già citato rapporto con le potenze neocoloniali. A ciò si aggiunge il deterioramento della sicurezza, in gran parte dovuto all’espansione di gruppi jihadisti nella regione del Sahel, una crisi alla quale i governi non sono riusciti a rispondere adeguatamente.
In questo contesto, i colpi di Stato sono spesso stati visti dalle popolazioni locali come risposte necessarie a governi percepiti come incapaci o illegittimi, anche se fino ad oggi l’intervento militare ha raramente portato a soluzioni durature.
Il Gabon, pur essendo geograficamente al di fuori della regione del Sahel, ha vissuto dinamiche simili in termini di sfiducia nei confronti delle élite politiche. La dinastia Bongo, che ha governato il Paese dal 1967, era diventata simbolo di corruzione e disuguaglianza, alimentando il malcontento popolare. L’ascesa dei militari al potere è stata accolta con un misto di speranza e scetticismo, ma il referendum costituzionale potrebbe rappresentare un primo passo verso la costruzione di una democrazia più inclusiva.
Inoltre, il referendum gabonese potrebbe avere implicazioni importanti per l’intera regione dell’Africa occidentale e centrale. Se il processo di transizione si rivelerà un successo, potrebbe servire da modello per altri Paesi che cercano di uscire dalla spirale di instabilità e colpi di Stato. Inoltre, dimostrerebbe che è possibile intraprendere riforme significative attraverso mezzi pacifici e democratici, anche in contesti difficili.
Tuttavia, il Gabon dovrà affrontare la pressione sia interna che internazionale per mantenere gli impegni presi. L’Unione Africana e altre organizzazioni regionali hanno espresso il loro sostegno al processo, ma monitoreranno attentamente gli sviluppi per assicurarsi che le promesse di democrazia non vengano tradite. Parallelamente, il governo militare ed il governo civile che dovrebbe vedere la luce il prossimo anno dovranno continuare ad affrontare le principali criticità del contesto nazionale gabonese, in particolare:
1. La costruzione di istituzioni forti e indipendenti: la nuova costituzione pone le basi per una maggiore separazione dei poteri, ma la sua attuazione richiederà una volontà politica genuina e un impegno costante per rafforzare il sistema giudiziario e parlamentare.
2. La lotta alla corruzione: uno dei principali obiettivi del nuovo governo dovrebbe essere quello di affrontare la corruzione sistemica, che ha rappresentato uno dei principali problemi della precedente amministrazione.
3. La riconciliazione nazionale: dopo decenni di governo dinastico e un colpo di Stato, il Gabon deve lavorare per superare le divisioni politiche e sociali, promuovendo un dialogo inclusivo tra tutte le parti, che vada oltre le tradizionali divisioni in famiglie, clan e gruppi etnici.
4. Lo sviluppo economico: nonostante la ricchezza derivante dalle risorse naturali, tra cui il petrolio, il Gabon soffre di alti livelli di disoccupazione e povertà. Una governance più equa e trasparente potrebbe favorire investimenti e crescita economica, e soprattutto dovrebbe garantire una più giusta ripartizione dei proventi del petrolio.
In un’Africa occidentale attraversata da profondi sconvolgimenti, il Gabon potrebbe dunque emergere come un esempio positivo di transizione politica, offrendo speranza non solo ai suoi cittadini, ma a un’intera regione in cerca di stabilità e progresso. Sarà tuttavia necessario attendere almeno un anno per comprendere se la giunta militare rispetterà gli impegni presi di fronte alla popolazione.
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