di Giulio Chinappi
Storiche elezioni a Porto Rico: il referendum spinge verso la statualità, mentre l’indipendentismo ottiene un risultato senza precedenti. Jenniffer González diventa governatrice, ma cresce il consenso per il Partito Indipendentista, segnando una svolta nel panorama politico dell’isola.
Le elezioni dello scorso 5 novembre a Porto Rico, svoltesi in corrispondenza dell’election day statunitense, hanno segnato un nuovo momento storico nella lunga disputa sullo status politico dell’isola. Insieme alle elezioni generali per il governatore, il Resident Commissioner, il Senato, la Camera dei Rappresentanti e i sindaci dei 78 municipi, si è tenuto infatti un referendum non vincolante sullo status politico dell’isola, sottoposta da decenni a quello che di fatto risulta essere un regime coloniale da parte degli Stati Uniti. Per la prima volta, i cittadini hanno votato senza l’opzione di mantenere lo status quo come territorio non incorporato degli Stati Uniti, scegliendo tra Stato federato, indipendenza o libera associazione.
Le elezioni per il governatore hanno visto una competizione serrata tra i principali candidati: Jenniffer González Colón del Partito Nuovo Progressista (Partido Nuevo Progresista, PNP), Juan Dalmau del Partito Indipendentista Portoricano (Partido Independentista Puertorriqueño, PIP), sostenuto anche dal Movimento Vittoria Cittadina (Movimiento Victoria Ciudadana, MVC), e Jesús Manuel Ortíz del Partito Popolare Democratico (Partido Popular Democrático, PPD).
Secondo i risultati ufficiali, Jenniffer González ha ottenuto il 39% dei voti, ottenendo la vittoria con un totale di 447.962 preferenze, e succedendo dunque a Pedro Pierluisi, altro esponente del PNP, come governatore dell’isola. Tuttavia, il risultato di Juan Dalmau ha sorpreso molti, visto che il candidato indipendentista ha raggiunto il 33% delle preferenze con 370.904 voti, un risultato straordinario e senza precedenti per un partito che sostiene chiaramente l’indipendenza di Porto Rico dagli Stati Uniti. Questo risultato ha segna infatti la prima volta dal 1952 in cui un candidato indipendentista arriva secondo nelle elezioni generali per il governatore. Ortíz, rappresentante del PPD, si è fermato invece al 21%, segnando il peggior risultato nella storia del partito.
Secondo gli analisti, ad ogni modo, il risultato di Dalmau non dovrebbe sorprendere eccessivamente, visto che questa tornata elettorale ha confermato una tendenza di lungo periodo: il declino dei due partiti tradizionali, PNP e PPD. Nel 2012, le due principali formazioni poltiiche portoricane insieme raccoglievano il 95% dei voti; oggi, questa percentuale si è ridotta a circa il 60%. Tale calo ha aperto lo spazio per partiti emergenti, come il PIP e il MVC, che guadagnano terreno grazie al malcontento per la gestione dei due partiti dominanti e alla crescente richiesta di cambiamento politico.
Ricordiamo anche che il PIP, fondato nel 1946, ha subito per decenni repressioni da parte delle autorità statunitensi, il che non gli ha permesso di rivaleggiare ad armi pari con il PNP e il PPD. Tuttavia, negli ultimi anni, ha visto una crescita costante del suo supporto elettorale, passando dal 2% dei voti nel 2012 al 13,5% nel 2020 e al 33% nel 2024. Questa crescita è stata facilitata dall’alleanza con il MVC, un partito progressista nato nel 2019 con una forte agenda sociale e ambientale. Entrambi i partiti sostengono la convocazione di un’assemblea costituzionale per decidere il futuro politico dell’isola. Questa assemblea, secondo i proponenti, dovrebbe essere il primo passo verso un processo di autodeterminazione che permetta ai portoricani di decidere tra indipendenza, Stato federato o associazione libera.
Venendo, appunto, al referendum sullo status politico dell’isola, questo ha visto una netta preferenza per lo Stato federato, con il 53% dei voti, pari a 540.635 preferenze, una soluzione che, se messa in pratica, farebbe di Porto Rico il 51º Stato degli USA a tutti gli effetti. L’indipendenza ha ottenuto il 29%, corrispondente a 293.224 voti, mentre l’opzione per l’associazione libera ha raccolto il 12% con 116.834 voti. Oltre il 16% delle schede sono state lasciate bianche o annullate, un dato significativo che riflette il disaccordo di molti elettori sulla legittimità del processo, trattandosi di un referendum non vincolante che difficilmente verrà messo in pratica.
Secondo i suoi sostenitori, l’esito del referendum non vincolante dovrebbe rappresentare un chiaro mandato per coloro che sostengono l’annessione di Porto Rico come 51º Stato degli Stati Uniti. Tuttavia, l’aumento del supporto all’indipendenza mostra un cambiamento nelle dinamiche politiche dell’isola, visto che la combinazione tra l’alleanza del PIP con il MVC e l’inasprirsi della crisi economica ha reso l’indipendentismo una forza politica sempre più rilevante. Allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che un referendum si questo tipo si tenne già nel 2020, ed anche allora la soluzione dello Stato federato vinse con il 52,52% dei consensi, ma il Puerto Rico Status Act venne poi bocciato dal Senato di Washington.
Per comprendere meglio il contesto attuale, dobbiamo ricordare che Porto Rico si trova in una situazione economica e sociale complessa. Dal ritiro degli incentivi fiscali da parte degli Stati Uniti negli anni ’90, l’isola ha affrontato un progressivo declino economico. Le industrie hanno chiuso, la base imponibile si è ridotta e il debito pubblico è esploso. Nel 2016, il governo federale degli USA ha istituito la Financial Oversight and Management Board per implementare severe misure di austerità e supervisionare le finanze dell’isola. Tali misure non hanno fatto altro che aggravare la situazione economica, con infrastrutture in deterioramento e servizi pubblici sottofinanziati.
Il passaggio di uragani devastanti, come Maria nel 2017, ha ulteriormente esacerbato le difficoltà. La privatizzazione del sistema elettrico non ha risolto i problemi di blackout frequenti, aumentando la frustrazione della popolazione ed il costo delle bollette. Mentre la propaganda statunitense continua a puntare il dito contro Cuba, sottolineando con malcelata soddisfazione le difficoltà causate da decenni di blocco economico, un recente rapporto del New York Times descrive Porto Rico come un’isola “in rovina”, con scuole chiuse, strade dissestate, un sistema sanitario al collasso e un’università pubblica gravemente colpita dai tagli al budget.
Il risultato delle elezioni e del referendum rappresenta dunque una sfida per il Congresso degli Stati Uniti, che dovrà ora affrontare una richiesta più pressante per risolvere lo status politico di Porto Rico. Sebbene il referendum sia non vincolante, il secondo risultato consecutivo a favore della statualità potrebbe dare nuova spinta al precedentemente citato Puerto Rico Status Act, una proposta di legge che mira a stabilire un percorso definitivo per la risoluzione dello status dell’isola. D’altra parte, il crescente supporto per l’indipendenza suggerisce che una parte significativa della popolazione è pronta a considerare alternative che vadano oltre il legame con gli Stati Uniti.
A nostro modo di vedere, le elezioni del 5 novembre e il relativo referendum sullo status politico di Porto Rico hanno chiaramente dimostrato che la popolazione portoricana è esausta dello status coloniale in cui vive. Sebbene il voto sia stato diviso tra l’opzione dello Stato federato e quella dell’indipendenza, il messaggio comune è inequivocabile: i portoricani non vogliono più rimanere un territorio non incorporato degli Stati Uniti, uno status che rappresenta a tutti gli effetti un dominio coloniale di Washington sull’isola. Il netto rifiuto dello status quo segna un punto di non ritorno: Porto Rico è a un bivio storico, e la sua gente ha parlato con forza, chiedendo un futuro che garantisca piena dignità politica e autodeterminazione.
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