La crisi multidimensionale della Bosnia-Erzegovina: politica, sociale, ambientale

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di Giulio Chinappi

La Bosnia-Erzegovina affronta una crisi complessa, dove la politica instabile si intreccia con le devastanti conseguenze delle recenti alluvioni. Le elezioni locali, rinviate in alcune zone colpite, evidenziano le sfide di un paese segnato dalle tensioni etniche e dai cambiamenti climatici.

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La Bosnia-Erzegovina si trova attualmente a fronteggiare una crisi complessa, caratterizzata da sfide politiche e ambientali che evidenziano le fragilità di questo Stato balcanico, nato dalla violenta dissoluzione della Jugoslavia socialista. Quando mancavano pochi giorni alle elezioni locali del 6 ottobre, la situazione del paese si è ulteriormente complicata a causa delle gravi alluvioni che hanno devastato diverse regioni, costringendo a posticipare le votazioni in alcuni comuni.

La Bosnia-Erzegovina è una nazione complessa, nata dalle macerie della guerra civile degli anni ’90 e regolata dagli Accordi di Dayton del 1995. Tali accordi hanno creato una struttura istituzionale intricata, suddividendo il paese in due entità federate: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, dominata da bosniaci-musulmani e croati, e la Republika Srpska, a maggioranza serba. Questa suddivisione riflette una difficile convivenza tra le diverse etnie, che da decenni caratterizza la vita politica del paese.

Le elezioni municipali del 6 ottobre avrebbero dovuto rappresentare un momento di verifica della stabilità democratica della Bosnia-Erzegovina, in un momento in cui si parla addirittura della possibilità di una dissoluzione della federazione. Tuttavia, la bassa affluenza, inferiore al 50%, ha evidenziato una crescente disillusione verso il sistema politico, unitamente alle difficili situazioni verificatesi in alcune aree a seguito dei fenomeni climatici estremi.

La distribuzione dei voti, come prevedibile, ha visto prevalere l’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (Савез независних Социјалдемократа, SNSD) di Milorad Dodik (in foto) nella Republika Srpska e il Partito Democratico d’Azione (Stranka demokratske akcije, SDA) di Bakir Izetbegović tra i bosniaci-musulmani. Le tensioni etniche restano forti, con Milorad Dodik che ha più volte prospettato la secessione della Republika Srpska per realizzare la riunificazione con la madrepatria serba, evidenziando una frattura sempre più profonda con le altre componenti etniche del paese.

La situazione politica della Bosnia-Erzegovina è inoltre complicata dalla presenza di attori internazionali, in particolare delle potenze occidentali. La comunità internazionale, rappresentata dall’Alto Rappresentante Christian Schmidt (autorità istituita in seno agli accordi di Dayton del 1995), è spesso in contrasto con le autorità della Republika Srpska, che non riconoscono la sua legittimità. Dal 1995, infatti, la posizione di Alto Rappresentante è sempre stata occupata da politici dell’Europa occidentale, ad esclusione dello slovacco Miroslav Lajčák tra il 2007 ed il 2009, rendendolo di fatto un agente dell’Unione Europea e degli Stati Uniti in Bosnia-Erzegovina.

Mentre le potenze occidentali non hanno mai esitato a mostrare la propria preferenza nei confronti della componente bosniaco-musulmana, mascherandola da tentativo di mantenere l’integrità territoriale del paese, la Russia ha spesso espresso il proprio sostegno nei confronti di Dodik, attuale leader della Republika Srpska, e della sua politica di maggiore autonomia dal governo centrale di Sarajevo. Indubbiamente, le attuali dinamiche geopolitiche di confronto tra il blocco occidentale e la Russia contribuiscono a rendere instabile la situazione politica della Bosnia-Erzegovina e dell’intera regione balcanica, creando un terreno fertile per la crescita delle tensioni interne.

A complicare ulteriormente il quadro, come detto, la Bosnia-Erzegovina è stata recentemente colpita da gravi alluvioni che hanno devastato molte aree del paese, causando morti, feriti e gravi danni materiali. Le piogge torrenziali che hanno colpito il paese all’inizio di ottobre hanno provocato frane e inondazioni, lasciando isolati diversi comuni, tra cui Jablanica, Kiseljak e Konjic, dove le elezioni sono state posticipate. Secondo la stampa locale, si tratta delle peggiori inondazioni che la Bosnia abbia visto dal 2014, quando oltre 20 persone persero la vita in circostanze simili.

Secondo gli analisti, le alluvioni hanno messo in evidenza l’impatto dei cambiamenti climatici su un paese già fragile, come dimostrano le accuse di ritardi nei soccorsi mosse nei confronti del governo di Sarajevo. Gli esperti meteorologici attribuiscono l’intensità delle piogge al riscaldamento globale, che ha reso l’atmosfera più ricca di umidità e, di conseguenza, ha aumentato la frequenza di fenomeni estremi. Inoltre, la siccità prolungata dei mesi estivi ha reso i terreni incapaci di assorbire l’acqua, aggravando ulteriormente l’impatto delle alluvioni. Questo scenario sottolinea la necessità urgente di politiche di adattamento ai cambiamenti climatici e di gestione del territorio, aspetti che però spesso passano in secondo piano rispetto alle questioni politiche.

La combinazione di crisi politica e ambientale ha dunque avuto un impatto devastante sulla popolazione della Bosnia-Erzegovina. Da un lato, le divisioni etniche e le tensioni politiche continuano a minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Dall’altro, le alluvioni hanno causato perdite di vite umane, distrutto infrastrutture e reso migliaia di persone senza casa. Molti cittadini lamentano l’inefficienza delle autorità locali nel rispondere all’emergenza e criticano la mancanza di una strategia coordinata per affrontare i disastri naturali.

Come anticipato, la risposta del governo alle alluvioni è stata considerata insufficiente da molti osservatori. Nonostante la richiesta di aiuto militare e l’intervento delle forze di soccorso, la mancanza di un coordinamento efficace ha reso difficile l’assistenza alle comunità colpite. Inoltre, l’attenzione politica concentrata sulle elezioni ha ulteriormente ridotto la capacità di reazione del governo, lasciando molte comunità a fare i conti con la devastazione senza un supporto adeguato.

In una situazione di questo tipo, possiamo affermare che la Bosnia-Erzegovina si trovi ad un bivio. La crisi politica e quella ambientale sono due facce della stessa medaglia, entrambe sintomatiche di un paese che non è ancora riuscito a trovare una stabilità duratura. Le elezioni locali, invece di offrire una soluzione, hanno messo in luce le persistenti divisioni tra le comunità etniche e la mancanza di un progetto comune per il futuro. In un contesto internazionale caratterizzato da forti rivalità geopolitiche, la Bosnia rischia di diventare nuovamente un campo di battaglia tra interessi esterni, mentre la popolazione locale paga il prezzo più alto.

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