Churchill e la tentazione… di una Terza guerra mondiale

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di Antonio Ratti

Documenti segreti britannici rivelano che nel maggio del 1945 gli inglesi avevano elaborato un piano di attacco contro l’esercito russo stanziato in Europa centrale cheavrebbe dovuto scattare il primo luglio. Per fortuna non fu mai attuato, ma è certo che Stalin sapeva della sua esistenza. C’è da chiedersi pertanto se questo evento, insieme ad altri,sia stato alla base della rottura tra ex alleati e il montare della Guerra Fredda. 

«L’8 maggio 1945 […], mentre l’Europa celebrava la pace al termine di sei anni di guerra, Winston Churchill rimuginava sulla possibilità che queste celebrazioni sarebbero state presto interrotte… Per un periodo spaventoso di più di tre mesi, né gli alleati né i russi sapevano le intenzioni dell’altra parte. Churchill aveva concluso che doveva prepararsi ad affrontare il fatto che l’Armata Rossa stesse ignorando le frontiere e gli accordi raggiunti precedentemente in Europa. La Gran Bretagna avrebbe affrontato ondate di truppe comuniste che giorni prima avevano stretto la mano ai loro amici occidentali?… Forse l’unico modo per assicurarsi che il nuovo ordine mondiale fosse scritto dall’Occidente era attaccare le forze di Stalin prima che avessero la possibilità di riorganizzarsi dal caos del loro assalto a ovest. Se così fosse stato, sarebbe dovuto accadere prima che gli americani ritirassero il meglio dei loro eserciti per concentrarsi nello sconfiggere il Giappone». La prima impressione, leggendo questo passaggio, è che si tratti dell’inizio di un romanzo o la sceneggiatura di un film dal chiaro intento apocalittico. Nulla di tutto questo. È il titolo di un articolo “La strategia segreta per lanciare un attacco contro l’Armata Rossa”, apparso il primo di ottobre del 1998 sul quotidiano The Daily Telegraph, a firma Ben Fenton, un noto giornalista investigativo britannico. Ma era l’occhiello a non lasciare dubbi di sorta: “Il piano di Churchill per la Terza guerra mondiale contro Stalin”.

Un’eventualità impensabile

Ma è davvero possibile che Churchill avesse ordinato di studiare un piano di attacco contro le forze sovietiche si stanza in Europa centrale dopo aver combattuto al loro fianco? Com’era nata questa folle idea? «Una mattina [dell’8 maggio] – scrive il giornalista inglese – nella cupa atmosfera delle stanze del Gabinetto di Guerra, Churchill ordinò al suo staff di “pensare l’impensabile”. Il risultato fu l’Operazione Unthinkable, un possibile attacco alla Russia da parte di un esercito britannico e americano. Gli ufficiali del gabinetto di guerra di Churchill si misero al lavoro. Il 22 maggio… il rapporto fu consegnato al primo ministro dal tenente generale Hastings Ismay, il suo capo di stato maggiore». Ed è proprio questo rapporto segretissimo, rimasto custodito negli archivi inglesi per decenni, ha fornito a Fenton (il primo ad aver potuto consultarlo) il materiale per le sue incredibili rivelazioni. Sebbene fosse passato mezzo secolo dagli eventi e nulla di quanto affermato realmente accaduto (alla fine l’ipotesi di attacco fu ritenuta impraticabile), leggere nero su bianco che il primo luglio 1945 avrebbe potuto scoppiare il Terzo conflitto mondiale, non ha lasciato indifferente l’opinione pubblica, e tantomeno gli storici. Perché, scoprire l’esistenza dell’Operazione Unthinkable ha fornito non pochi elementi per comprendere meglio le dinamiche che hanno portato al rapido deteriorarsi dei rapporti tra alleati occidentali (anglo-americani) e sovietici. Contrasti che, documenti alla mano, erano già palesi a partire dall’aprile-maggio del 1945 quando ancora si combatteva su molti fronti e saranno alla base del montare della Guerra Fredda. Su una cosa sembra non ci siano dubbi, Stalin era ben informato del piano britannico fin dal mese di maggio, grazie alla vasta rete di agenti doppiogiochisti operanti all’interno dei servizi di intelligence americana e inglese. E lo stesso di può dire per tutte le altre “iniziative” anglo-americane miranti a limitare l’avanzata sovietica nel Vecchio Continente: cercare un accordo di resa con le truppe tedesche di stanza in Italia per permettere alle truppe alleate, ivi stanziate, di operare in Europa centrale (Operazione Sunrise), accaparrarsi la tecnologia e gli scienziati del Terzo Reich (Operazione Paperclip) e sfruttare le capacità degli ex servizi segreti nazisti deputati allo spionaggio contro l’Unione sovietica (Operazione Rusty). Operazioni che si concentrarono nei primi sei mesi di quel fatidico 1945 che ha cambiato la storia del mondo. C’è quindi da chiedersi se, in realtà, la decisione sovietica di non rispettare gli accordi (faticosamente) raggiunti nel corso della conferenza di Yalta (mese di febbraio) non sia stata una reazione a questo stato di cose. Questo non vuole dire che la crisi sia stata innescata solo da questi elementi, tenuto conto delle differenze abissali che dividevano i due schieramenti, ma è impensabile che non vi abbia contribuito. In special modo se, come pare sia avvenuto, i russi ebbero modo di consultare i piani di attacco elaborati contro di loro dal Joint Planning Staff.

Prove di guerra totale

Spulciando i documenti desegretati, emerge che per lo stato maggiore britannico solo uno scenario di guerra totale, finalizzato alla completa distruzione del potenziale bellico avversario e alla caduta del regime sovietico, avrebbe permesso di raggiungere gli obiettivi politici prefissati. Prospettiva di non facile attuazione per quella serie di fattori che avevano già messo in crisi, e fatto fallire, l’offensiva nazista del giugno 1941: la rigidità del clima nella stagione invernale, l’enorme vastità dei territori interessati dalle operazioni, che avrebbe permesso ai russi di riproporre una strategia temporeggiatrice (fatta di ritirate e terra bruciata, in attesa del momento propizio per colpire) e l’enorme potenziale bellico a disposizione di Stalin. Per poter conseguire un successo completo sarebbe stato necessario molto tempo e l’impiego di enormi risorse. Cosa che né gli americani, né gli inglese potevano permettersi. Per non parlare dello sfacelo in cui versava il Vecchio Continente dopo sei anni di guerra. Di fronte a simili prospettive, l’unica alternativa era una campagna militare limitata nel tempo e nello spazio in modo da costringere il nemico a venire a patti (sempre che fosse stato possibile). In tal senso, la risposta degli esperti britannici fu che la chance migliore poteva essere un attacco fulmineo portato da 47 divisioni, di cui 14 corazzate, su due direttrici: una a nord, in prossimità di Stettino e della costa baltica, la seconda a sud nel settore di Dresda. Una manovra a tenaglia che avrebbe permesso di far cadere in trappola le forze sovietiche ammassate a ridosso dei fiumi Oder e Nasser (il nuovo confine che divideva territori polacchi e tedeschi). Fu stabilito, inoltre, che all’attacco prendessero parte anche dieci divisioni polacche, opportunamente addestrate ed equipaggiate. Non solo. Si arrivò a prospettare anche il riarmo di dieci divisioni composte da ex militari tedeschi. Ciò significava gettare nella mischia almeno 100mila uomini che, fino a poche settimane prima, erano stati acerrimi nemici. In una nota del rapporto possiamo leggere: «La stanchezza della guerra sarà la caratteristica predominante dell’atteggiamento della popolazione civile tedesca. Tuttavia, la paura radicata della minaccia bolscevica e delle rappresaglie da parte dei russi dovrebbe far preferire alla popolazione civile tedesca l’occupazione anglo-americana a quella russa e quindi spingerla a schierarsi con gli alleati occidentali». Per quanto non completamente affidabili, i soldati tedeschi avrebbero preferito combattere a fianco degli anglo-americani piuttosto che essere assoggettati ai comunisti. Dall’esito dello scontro iniziale sarebbero dipese le mosse successive. In caso di netta vittoria, gli alleati avrebbero potuto avanzare di quasi 250 chilometri verso est, dopodiché sarebbero stati costretti a fermarsi per evitare un contrattacco sui fianchi da parte delle forze sovietiche dislocate in Cecoslovacchia. Come ha scritto lo storico Jonathan Walker nel suo libro Churchill’s Third World War: British Plans to Attack the Soviet Empire, 1945: «Ma se gli alleati avessero raggiunto quella linea entro l’autunno (senza considerare l’enorme vantaggio dei sovietici in termini di forza lavoro) e Stalin non avesse cambiato idea sul controllo dell’Europa orientale, cosa sarebbe successo? Con le forze a loro disposizione, i comandanti occidentali non avrebbero potuto mantenere la linea per tutto l’inverno del 1945-46 e sarebbero stati costretti o a ritirarsi o a spingersi nella Polonia orientale e nell’Unione Sovietica. Spingersi avanti avrebbe senza dubbio portato alla guerra totale». Mentre le forze terrestri avanzavano, la flotta inglese si sarebbe mossa lungo la costa baltica, proteggendo il fianco sinistro, senza che i russi potessero opporvisi per la mancanza di unità da guerra nell’area (la flotta sovietica all’epoca non era minimamente in grado di opporsi allo strapotere anglo-americano sul mare). La Royal Air Force (RAF) inglese e l’United States Air Force (USAF), operanti dalle basi nella Germania del nord e della Danimarca, avrebbero provato a garantire la superiorità aerea, fattore essenziale perché le operazioni terrestri avessero un minimo di possibilità di successo. Un compito non semplice. I russi in termini di velivoli tattici (caccia da superiorità aerea e caccia-bombardieri) potevano vantare una superiorità di uno a due (6.042 contro 11.800), anche se i mezzi erano tecnologicamente inferiori a quelli del nemico. Il rapporto di forze per quanto riguarda i bombardieri strategici era, invece, nettamente a favore degli anglo-americani: 2.750 contro 960. Ma era l’inferiorità sul campo a preoccupare maggiormente: gli alleati potevano contare in tutto su 80 divisioni di fanteria contro 228 del nemico. Altrettanto grave era la differenza in termini di divisioni corazzate: 23 contro 36. Dati che non lasciavano molto spazio all’ottimismo. Gli analisti britannici ipotizzarono che i sovietici avrebbero dato il via a sistematiche azioni di sabotaggio dietro le linee, supportati dai movimenti comunisti locali. Anche le previsioni di cosa sarebbe potuto accadere nel caso di una vittoria iniziale non erano rosee: «La superiore maneggevolezza e la superiorità aerea potrebbero permetterci di vincere la battaglia, ma non c’è forza intrinseca nella nostra posizione strategica e dovremmo, di fatto, puntare tutto sull’esito tattico di un grande scontro». Senza considerare che il nemico avrebbe potuto mettere in atto operazioni di ritorsione invadendo la Norvegia, o addirittura la Grecia e la Turchia. La prospettiva di un’invasione dei pozzi petroliferi in Iraq e Iran non era da scartare. Nella regione erano presenti solo tre divisioni inglesi con effettivi indiani che avrebbero dovuto subire la pressione di ben undici divisioni dell’Armata Rossa. Ecco perché il pool di esperti non ebbe altra scelta che sottolineare: «Se dovessimo intraprendere una guerra con la Russia, dovremo essere pronti a impegnarci in una guerra totale, che sarà lunga e costosa”. E quindi: “La nostra inferiorità numerica sulla terraferma rende estremamente dubbia la possibilità di ottenere un successo limitato e rapido». Messo di fronte a questa dura realtà, Churchill chiese un parere al comitato dei capi di stato maggiore (COS). La risposta, consegnata l’8 giugno, sottolineava che attaccare l’Unione Sovietica sarebbe stato del tutto irrealizzabile, suggerendo al contrario di predisporre validi piani per la difesa del Regno Unito. Il fatto che proprio in quei giorni gli americani stessero incominciando a smobilitare le truppe per essere trasferite nel Pacifico, avrebbe sguarnito l’Europa occidentale, lasciandola alla mercè di Stalin. Il COS concluse: «È chiaro dalla forza relativa delle rispettive forze di terra che non siamo in grado di prendere l’offensiva in vista di un rapido successo… Poiché, tuttavia, le forze terrestri russe e alleate sono in contatto dal Baltico al Mediterraneo, siamo destinati a essere coinvolti in operazioni terrestri. A sostegno delle nostre forze terrestri dovremmo avere forze aeree tattiche tecnicamente superiori, ma numericamente inferiori». E quindi: «La nostra opinione è… che una volta iniziate le ostilità, sarebbe al di là del nostro potere ottenere un successo rapido… e dovremmo essere impegnati in una guerra prolungata». Il verdetto era senza appello. Ecco perché, lo stesso giorno, il primo ministro inglese scrisse al generale Ismay: «Se gli americani si ritirano e riportano il grosso delle loro forze negli Stati Uniti e nel Pacifico, i russi hanno il potere di avanzare verso il Mare del Nord e l’Atlantico […] Si prega di far fare uno studio su come potremmo difendere la nostra isola, supponendo che la Francia e i Paesi Bassi siano impotenti a resistere all’avanzata russa verso il mare». Lo studio fu consegnato a Churchill il 22 luglio. Veniva sottolineato che la Russia non sarebbe stata pronta all’invasione prima di alcuni anni a causa della supremazia della Gran Bretagna in mare, ma che avrebbe potuto ricorrere a bombardamenti a tappeto che avrebbero fatto impallidire l’attacco nazista del 1940. Il COS respinse l’idea di Churchill di mantenere delle teste di ponte sul suolo europeo, in quanto non erano in grado di fornire alcun vantaggio operativo. Va precisato che questa analisi sarebbe diventata obsoleta nel giro di due settimane, quando agli inizi di agosto gli americani lanciarono le loro bombe atomiche sul Giappone. Evento che rivoluzionò completamente i rapporti di forza e rese inutile, per il momento, pensare che i sovietici potessero lanciare attacchi sul suolo europeo. Non dimentichiamo che questi riusciranno a dotarsi di un ordigno atomico solo nell’agosto del 1949 (Operazione Primo Raggio). Prima di quella data anche lontanamente pensare di dare inizio a un attacco contro l’Europa occidentale sarebbe stato puro suicidio, considerando il rischio di una rappresaglia nucleare americana (nel 1946 gli Stati Uniti disponevano già di nove ordigni). Non è una coincidenza che il primo conflitto delocalizzato della Guerra Fredda sia scoppiato in Corea nel giugno del 1950, quando i russi si erano già dotati di ordigni atomici.

I russi sapevano

Oggi sappiamo che la scelta di Churchill di commissionare una piano di attacco contro il dispositivo militare sovietico in Europa centrale è da attribuire in buona parte alla decisione di Stalin di non rispettare gli accordi sul futuro assetto della Polonia. Non tanto sulla questione dei confini, quanto piuttosto sul sistema di governo. Secondo quanto fissato nel corso della Conferenza di Yalta del febbraio del 1945: «Il governo provvisorio che ora sta funzionando in Polonia dovrebbe […] essere riorganizzato […] Questo [nuovo governo] dovrà impegnarsi a tenere elezioni libere e senza restrizioni». Libere elezioni che non si terranno mai. Dopo essere state fissate per l’estate 1946, furono posticipate al gennaio del 1947. Tutto il tempo perché venissero condizionate e manipolate nell’interesse dell’Unione Sovietica. In pratica, la Polonia era avviata sulla strada di un governo comunista filosovietico. Esattamente l’opposto di quanto avrebbe voluto e sperato Churchill (non dimentichiamo che era stato l’attacco alla Polonia da parte tedesca nel 1939 a indurre il Regno Unito a dichiarare guerra alla Germania nazista). Resta però da stabilire se l’intransigenza dimostrata da Stalin nel gestire la faccenda fosse o meno influenzata da quanto venuto a sapere riguardo l’Operazione Unthinkable. Ci sono diversi elementi che lo farebbero pensare. Un primo dato che denota la conoscenza delle manovre messe in atto dagli alleati occidentali è quanto riportato dallo storico Bernard Montgomery nel suo The Memoirs of Field-Marshal the Viscount Montgomery of Alamein, secondo cui nel novembre del 1945 il maresciallo Georgij Zhukov, comandante in capo delle truppe sovietiche in Germania «fece circolare un memorandum al consiglio di controllo che accusava [Montgomery] di mantenere unità organizzate dell’ex esercito tedesco nella zona britannica». Una chiara presa di posizione che denunciava quanto già detto in precedenza, ovvero il tentativo inglese di lasciare operative forze tedesche per qualsiasi evenienza. Ciò comportava anche la raccolta di armi ed equipaggiamento. A parziale conferma delle accuse lanciate da Zhukov, sappiamo che nel 1954 il primo ministro inglese ammise di aver telegrafato a Montgomery «ordinandogli di fare attenzione nel raccogliere le armi tedesche […] in modo che potessero essere facilmente rilasciate di nuovo ai soldati tedeschi con cui [la Gran Bretagna] avrebbe dovuto lavorare se l’avanzata sovietica fosse continuata». Il fatto che i sovietici siano riusciti a venire a conoscenza del contenuto del telegramma nel maggio del 1945 può essere un serio indizio in grado di spiegare il comportamento di Stalin sulla questione polacca, contribuendo a generare quel clima di sfida che avrebbe portato allo scoppio della Guerra Fredda. Vale la pena ricordare che i sovietici erano rimasti già scottati dalle trattative degli alleati occidentali per la resa delle forze tedesche in Italia e, più in generale, sul fronte occidentale (Operazione Sunrise). In un certo senso la scoperta del piano Unthinkable non fece che gettare benzina sul fuoco, confermando la sensazione di Stalin che il suo paese fosse minacciato. Secondo lo storico russo Yuriy Rubtsov, pare che Stalin fosse a conoscenza che gli inglesi prevedevano di impiegare truppe tedesche ancora prima che il rapporto del Joint Planning Staff fosse consegnato a Churchill il 22 maggio 1945. Si tratta di un’eventualità per nulla impossibile, tenendo conto del ruolo attivo avuto dagli agenti doppiogiochisti al soldo di Mosca operanti all’interno dell’intelligence alleata. Tutto ciò contribuì al crescere della tensione tra le due parti. Secondo lo storico Sam Hines: «Come risultato dell’ordine di Churchill di ridistribuire le armi ai soldati tedeschi, Stalin divenne sempre più diffidente e ampliò l’intelligence sovietica che avrebbe scoperto Unthinkable poco dopo essere stato inviato al primo ministro l’8 giugno 1945». Walker ha avanzato l’ipotesi che sarebbe stato un membro del Cambridge Five, Donald Maclean, a inviare informazioni del piano all’NKGB la polizia segreta sovietica. Di fronte alla possibile minaccia inglese sappiamo per certo che, proprio nel maggio del 1945, Stalin ordinò a Zhukov di rientrare frettolosamente a Mosca. Solo tenendo a mente questo particolare possiamo comprendere perché un mese dopo, come affermato dallo storico John Erickson, lo stesso Zhukov abbia ordinato alle sue truppe di stanza in Polonia di raggrupparsi e assumere una posizione difensiva. Se, quindi, la decisione di Stalin di dare vita a un governo polacco filosovietico fu influenzata dall’Operazione Unthinkable si tratterebbe di un fatto di grande rilevanza storica visto che la questione polacca è unanimemente considerata una delle principali cause dello scoppio della Guerra Fredda. La mossa di Stalin di assicurarsi quella sorta di “zona cuscinetto” a protezione dei confini dell’Unione Sovietica sarebbe stata dettata da precise esigenze strategiche dovute al fatto che non si fidava degli anglo-americani.

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