Progetto di ricerca CeSEM, FOCUS – Balcani, la storia in movimento: quali conseguenze per l’Europa?
La vittoria dei “NO” al referendum tenutosi in Grecia lo scorso 5 luglio assume, in questo periodo di profondo cambiamento degli assetti geopolitici mondiali, un significato importante.
Non è un caso che questo segnale di rottura con le direttive euro-atlantiche arrivi dallo stesso popolo greco che 16 anni fa, per protestare contro l’aggressione militare della NATO alla Federazione Jugoslava (Serbia-Montenegro), bloccò il paese per mezzo di un massiccio sciopero generale del pubblico impiego.
Alcuni commentatori hanno sottolineato che si tratta naturalmente di una vittoria della “vera Europa”, essendo la Grecia la culla storica e culturale della nostra civiltà; altri, molto più sottilmente, hanno invece sottolineato che la scossa arriva proprio dal popolo “meno europeo” presente nei confini della UE, in quanto la sua spiritualità cristiano-ortodossa lo rende estremamente distante dalla mentalità calvinistico-protestante che alimenta la guida dell’Unione.
I significati immediati e apparenti del voto greco sono diversi: il Sud povero che si ribella al Nord ricco, una “sinistra” patriottica che si contrappone ad una “destra” tecnocratica, l’Europa dei popoli che dice No all’Europa dei banchieri …
La sua importanza appare ancora più evidente se ne valutiamo il significato geopolitico: se il rilancio europeista di Tsipras dovesse fallire, si capirebbe immediatamente la validità strategica della neo-costituita Banca dei Paesi Brics, la cui implementazione ha subito una decisa accelerazione proprio nelle ultime settimane.
Sotto l’aspetto metapolitico, più che una riproposizione dell’antica contrapposizione socialismo-liberismo, la vittoria di Syriza e dei suoi alleati nazionalisti rilancia l’antagonismo tra i sostenitori di un’Europa atlantica e i promotori di un’Europa eurasiatica, con i primi usciti sonoramente sconfitti.
Molte però sono le incognite che rimangono sul tavolo:
1) La Grecia, paradossalmente, svolgerebbe meglio la propria funzione se rimanesse nell’eurozona, così come auspicato dalla Cina (e probabilmente anche dalla Russia) ovviamente a condizioni diverse da quelle inizialmente proposte dalla Trojka. La prima bozza d’accordo tra Atene e Bruxelles sembrerebbe rafforzare questa sensazione.
2) Non solo la Grecia si trova in una posizione geografica strategica ma appartiene al contesto regionale balcanico, tutt’altro che normalizzato, non solo per le evidenti difficoltà economiche che lo pervadono.
Se infatti analizziamo uno ad uno i paesi chiave dell’area, dobbiamo registrare una situazione di turbolenza su cui potrebbe abbattersi presto l’effetto domino del voto greco.
Quanti, magari anche in buona fede, pensavano di trovare nell’adesione all’Unione Europea e alla NATO una via d’uscita ai problemi del passato, si sono ben presto ricreduti, come l’esodo di massa degli albanesi dal Kosovo e Metohija verso la Serbia e l’Ungheria dimostra.
La stessa Serbia, alleata storica, geopolitica e religiosa della Grecia, non rimarrebbe indenne da un’eventuale uscita di Atene dall’euro, tanto più che gli umori anti-atlantici a Belgrado rimangono forti.
Il ritorno in patria di Vojislav Seselj, che da diverse settimane mobilita le piazze attraverso un fiero nazionalismo filo-russo, potrebbe essere sfruttato dall’ipocrita Governo Vucic per virare in maniera più decisa verso Mosca.
La stabilità della Serbia è determinante per quella di tutta la regione balcanica, in quanto la sua influenza geopolitica si esercita in tutte le direzioni: verso l’Ungheria, la Bosnia Erzegovina, il Montenegro, la Macedonia, la Bulgaria, l’Albania e la Croazia, rimanendo a tutt’oggi irrisolte questioni come quelle del Kosovo e Metohija, della Vojvodina, delle minoranze serbe sparse per l’ex Jugoslavia e di quelle albanesi nella stessa Serbia, in Montenegro e perfino in Grecia (Ciamuria).
Chi rischia di più da una possibile esplosione dell’area è proprio l’Italia, che dalla caduta del Muro di Berlino in avanti, non ha mai saputo ritagliarsi uno spazio di autonomia lungo le sue due direttrici geopolitiche principali, quella mediterranea e, appunto, quella balcanica.
La sua incondizionata fedeltà europea, non rappresenta altro che il naturale coronamento del progetto di subordinazione che gli Stati Uniti d’America hanno riservato al nostro paese e all’intero continente, destino al quale solo il solo generale Charles De Gaulle seppe temporaneamente sottrarsi.
I recenti documenti statunitensi declassificati da Joshua Paul, ricercatore della Georgetown University, dimostrano senza ombra di dubbio che il progetto europeo venne incentivato e finanziato fin dall’inizio da Washington ufficialmente in funzione antisovietica ma in realtà per mantenere il Vecchio Continente sotto occupazione.
Il principale strumento utilizzato per forgiare l’agenda europea fu l’American Committee for a United Europe [ACUE], costituito nel 1948; primo Presidente del “Comitato” fu William Donovan, capo dell’ufficio USA dei servizi strategici durante la Seconda Guerra mondiale (Office of Strategic Services, OSS), precursore della CIA.
Vice presidente ne fu Allen Dulles, direttore della CIA dal 1953 al 1961, ma presenti nel Consiglio troviamo anche Walter Smith, nominato nell’ottobre 1950 primo direttore della CIA, Paul Hoffman, ex ufficiale dell’OSS, capo dell’amministrazione del “Piano Marshall” e presidente della Fondazione Ford, che divenne capo dell’ACUE verso la fine degli Anni Cinquanta.
Furono quindi le Fondazioni statunitensi legate ai loro servizi segreti a sostenere, anche finanziariamente, il Movimento federalista europeo e i suoi “padri della patria”: Schuman, Spaak e Giscard D’Estaing, insieme agli italiani Spinelli e De Gasperi.
Nonostante il crollo dell’Unione Sovietica fin dalle guerre contro l’Iraq del 1991 e del 2003 (si pensi alla vicenda BNL Atlanta), passando per l’aggressione alla stessa Jugoslavia 1999 (Telekom Srbija), all’amica Libia (2011), alla Siria e alle incredibili sanzioni contro Iran e Russia, l’Italia ha pagato un prezzo durissimo e ormai insostenibile alla propria appartenenza euro-atlantica.
Eppure, ancora oggi, il “Libro Bianco della Difesa” ribadisce e sottolinea la fedeltà tricolore alla NATO in tutti i contesti operativi per i prossimi 15 anni …
La vera incompatibilità sulla quale perciò bisogna attirare l’attenzione non è tanto quella tra Atene e Berlino, come artatamente alimentato dall’opinione pubblica dominante, bensì quella tra l’Europa atlantica e l’Europa eurasiatica.
Da questo punto di vista proprio la Germania, più che l’Italia, potrebbe in futuro riservare più di una sorpresa, vista l’incompatibilità tra il “manifesto destino” tedesco verso Oriente e la subordinazione atlantica del suo Governo ad Occidente.
Una possibile nuova Ostopolitik nei confronti della Russia sarebbe determinante per assicurare la stabilità dei Balcani e dell’intera Europa; in caso contrario, il rischio, sempre più concreto, è quello di un lungo conflitto più o meno “caldo”, come il caso ucraino purtroppo dimostra, a causa del quale il Vecchio Continente finirà per assomigliare sempre più all’attuale Medio Oriente, a tutto vantaggio dei fautori del caos permanente.
Stefano Vernole
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