di Giulio Chinappi
Con la sua scelta di rinunciare alla Presidenza, Tô Lâm ha riaffermato la centralità del sistema dei “quattro pilastri,” consolidando il suo ruolo di leader del Partito Comunista in vista del Congresso del 2026.
Dopo essere stato a capo del Ministero della Pubblica Sicurezza per otto anni, nel giro di poco tempo Tô Lâm si è ritrovato a diventare il protagonista assoluto della politica vietnamita, ereditando in circostanze impreviste le due più importanti cariche del Paese.
Nello scorso mese di marzo, infatti, l’allora Presidente della Repubblica Socialista, Võ Văn Thưởng, era stato costretto a rassegnare le dimissioni in seguito all’emergere di alcuni scandali passati che lo avevano visto coinvolto quando occupava cariche a livello provinciale. Il successivo 22 maggio, l’Assemblea Nazionale ha dunque designato proprio Tô Lâm come nuovo capo dello Stato, carica alla quale aveva postulato già in passato.
Nel mese di luglio, poi, la scomparsa del Segretario Generale del Partito Comunista, Nguyễn Phú Trọng, ha accelerato i tempi per un passaggio di consegne che, secondo molti, avrebbe comunque avuto luogo tra due anni, al momento del prossimo Congresso Nazionale del PCV. Qualche giorno dopo, Tô Lâm ha dunque ottenuto la carica di leader del Partito, diventando solamente la terza persona nella storia del Paese a ricoprire il ruolo di capo dello Stato e del Partito in contemporanea, dopo Hồ Chí Minh e proprio Nguyễn Phú Trọng (a questi potrebbe essere aggiunto anche Trường Chinh, in carica per soli cinque mesi nel 1986).
Al contrario di quello che avviene in altri Paesi socialisti, come la Cina o Cuba, dove il capo del Partito Comunista occupa quasi sempre anche l’incarico di Presidente della Repubblica, in Vietnam la dottrina politica prevalente prevede un sistema denominato tứ trụ, traducibile come “quattro pilastri” o “quattro colonne”. Secondo questa dottrina politica informale, i cosiddetti “quattro pilastri” si riferiscono al Segretario Generale del Partito Comunista, al Presidente, al Primo Ministro e al Presidente dell’Assemblea Nazionale, noti anche come i “leader chiave del Partito e dello Stato” (Lãnh đạo chủ chốt của Đảng và Nhà nước). In questo quadro, il Segretario Generale si occupa delle questioni teoriche e di indirizzare le politiche del Partito, il Presidente dello Stato è responsabile della diplomazia e degli affari di difesa (in coordinazione con il Segretario Generale), il Presidente dell’Assemblea Nazionale rappresenta il potere legislativo e il Primo Ministro rappresenta il potere esecutivo e si occupa dello sviluppo socio-economico.
Come detto, la prassi di mantenere i “quattro pilastri” separati, assegnando tali ruoli a quattro figure diverse, rappresenta una dottrina informale, e non c’è nessun obbligo legale al riguardo. Tuttavia, dopo la morte di Hồ Chí Minh, fondatore del PCV e del Vietnam indipendente, tale prassi è sempre stata rispettata, fatto salvo nei casi di morti improvvise che hanno portato alla sostituzione dei leader senza svolgimento del Congresso del PCV (anche nel caso di Nguyễn Phú Trọng, infatti, l’incarico di Presidente gli era stato assegnato dopo la prematura scomparsa di Trần Đại Quang nel 2018).
Tornando all’attualità della politica vietnamita, dopo la scomparsa di Nguyễn Phú Trọng, molti pensavano che Tô Lâm avrebbe mantenuto entrambe le cariche fino al Congresso Nazionale del 2026, proprio come aveva fatto Trọng tra il 2018 ed il 2021. Tuttavia, lo scorso 26 agosto è stata pubblicata una Risoluzione del Partito Comunista secondo la quale l’Assemblea Nazionale provvederà ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica nel prossimo mese di ottobre. Questa elezione era stata anticipata da alcune dichiarazioni dello stesso Tô Lâm, che lo scorso 15 agosto aveva affermato che “la sessione dell’Assemblea Nazionale di ottobre completerà il processo di nomina delle posizioni di leadership di alto livello”, senza tuttavia specificare quali posizioni.
Questo significa che Tô Lâm, volendo dimostrare la sua fedeltà al principio dei “quattro pilastri”, ha deciso di rinunciare alla carica di capo dello Stato, concentrandosi invece sul suo nuovo ruolo di Segretario Generale del PCV. Sebbene su di lui non pesasse nessun obbligo giuridico da questo punto di vista, Lâm ha dato un segnale importante della sua volontà di preservare il sistema della democrazia socialista vietnamita in continuità con i mandati precedenti, e con questa mossa probabilmente si garantirà anche un solido sostegno in vista della sua rielezione a Segretario Generale al Congresso Nazionale del 2026.
Nel complesso, si prevede che nei prossimi anni la politica interna ed estera del Vietnam non subirà grandi cambiamenti. Di conseguenza, il Vietnam continuerà ad attuare una politica estera indipendente, autonoma, diversificata e multilaterale, volta all’integrazione con la comunità internazionale senza rinunciare alle proprie specificità. Secondo gli obiettivi posti dal Congresso Nazionale del 2021, il Vietnam punta a diventare un Paese in via di sviluppo con un’industrializzazione moderna, superando il livello di Paese a reddito medio-basso nel corso del periodo 2021-2025, per poi avviare una visione fino al 2030 per diventare un Paese in via di sviluppo con industrie moderne e un reddito medio-alto. A questo ritmo, entro il 2045, il Vietnam cercherà di diventare un Paese sviluppato e ad alto reddito con un PIL di 2.500 miliardi di dollari e un reddito pro capite di 18.000 dollari.
Articolo pubblicato su www.lacittafutura.it
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