Introduzione
…i quotidiani affari transnazionali tra individui, aziende e organizzazioni non governative
fanno impallidire le relazioni interstatali per il loro ordine di grandezza. Questo lavoro
offre risposta agli appelli che da lungo tempo invocano maggiore attenzione per le entità non
statali all’interno delle Relazioni Internazionali.
(Findley et al, 2013: 660)
Il Campionato del Mondo di calcio non è stato l’unico evento storico ad avere luogo in Brasile a metà del 2014: il paese ha anche ospitato il sesto summit dei BRICS a Fortaleza, evento che segna l’inizio del secondo lustro dei BRICS. Il risultato è stata la fondazione della Banca dei BRICS. Questo ed altri cambiamenti avranno un impatto nell’assegnazione delle prossime Olimpiadi nel 2016 a Rio e a Tokio (2020) e della prossima Coppa del Mondo al Qatar (2022).
Questo saggio si concentra sul decennio dei BRICS, il primo di questo secolo, e si interroga su che cosa sarà degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs) dopo il 2015. Si tenterà di mettere a fuoco la nascita del “Sud globale” e le sue implicazioni per lo sviluppo e la sicurezza globali attraverso gli strumenti di analisi della governance globale e del regionalismo comparato.
Tutto ciò nel momento in cui il Rapporto sullo Sviluppo Umano dello UNDP (Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite) asserisce con implicazioni sia politiche che teoriche che:
…il sud del mondo è cresciuto secondo velocità e proporzioni senza precedenti…Entro il 2050
si prevede che Brasile, Cina ed India, insieme, costituiranno il 40% della produzione mondiale
a parità di potere d’acquisto…
La mutevole economia politica globale sta creando sfide ed opportunità senza precedenti per un
progresso costante nello sviluppo umano. (UNDP, 2013: 1, 2)
Nonostante ciò l’era post-2015 si mostra diversa da quanto annunciato dalle Nazioni Unite, dal momento che il Sud globale sta arrivando a mettere in ombra il fino ad ora egemonico Nord (Abdenaur e Fonseca, 2013), in modo tale che il suo stesso regionalismo potrebbe giungere a bilanciare, o addirittura a sfidare, l’Unione Europea in quanto “modello” (Fanta, 2013; Vivares, 2014). A fine 2015 avrà luogo a Parigi la ventunesima UNFCCC COP (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico), forse l’ultima possibilità per un accordo sull’ambiente dopo Kyoto.
Queste nuove aspettative della regione sono rinforzate dalla presenza di fiorenti compagnie multinazionali (MNCs), che includono imprese statali (SOEs), in particolar modo compagnie petrolifere nazionali (NOCs), con base nel Sud (Nolke, 2014). I mercati emergenti (EMs) sono sempre più all’ordine del giorno nell’economia globale; ora, a metà del decennio, i nuovi BRICS del 2015 sono i mercati di frontiera (FMs) del secondo mondo, riflessi negli acronimi CIVETS e VISTA. Pertanto il regionalismo comparato subisce l’impatto della presenza e del ruolo dei mercati emergenti e di frontiera, concentrati in Africa, Sud America ed Europa Centrale; gli Exchange Traded Funds (ETFs) del Fondo Monetario tendono a focalizzarsi sul Cile, la Polonia, l’Argentina, la Colombia, l’Egitto e così via. Mahrenbach (2013) per primo ha messo in relazione potenze emergenti e mercati emergenti, ricalcando le conclusioni di Pieterse (2011) su ciò che sta emergendo: società, aziende, Stati e poi?
Quali sono le implicazioni per la pratica e per l’analisi dello sviluppo internazionale comparato o del regionalismo politico\economico comparato? Insieme tali esponenziali cambiamenti puntano ad una nuova politica economica internazionale (IPE) sia in teoria che in pratica: nuovo ordine o disordine? Questo articolo è ispirato dalla creazione di un nuovo dottorato di ricerca presso la UMass di Boston su “governance globale e umana sicurezza” e dal proseguimento dopo tre decenni dell’edizione delle “International Political Economy Series” per i tipi di Palgrave Macmillan, con la loro attenzione al Sud globale.
Si confrontano la governance globale e il regionalismo comparato in quanto approcci avanzati in ambito pratico e teorico a partire dalla crisi globale e dal relativo cambiamento strutturale. Ci si concentrerà sui sempre più familiari e compatibili concetti di “transnazionale” (Hale e Hekl, 2011) e di “governance globale” (Harmann e Williams, 2013; Weiss e Wilkinson, 2014a, b), su come insieme richiedano l’analisi dei nuovi regionalismi, specialmente riguardo alle risorse naturali, in Africa come altrove, come testimoniato dal processo Kimberley (KP) e dall’Iniziativa di Trasparenza dell’Industria Estrattiva (EITI). Come suggeriscono in modo retorico Weiss e Wilkinson (2014b), il generico ed inclusivo approccio della “governance globale” può davvero “salvare” istituzioni affermate come le relazioni, leggi ed organizzazioni internazionali (IR/IL/IO), o addirittura la IPE, se è vero che esse non si occupano più dei problemi del mondo “reale”?
Il primo decennio del ventunesimo secolo è dunque stato, con tutta probabilità, quello dei BRICS, in particolare Cina ed India, portando Pieterse (2011: 22) ad asserire che il classico asse Nord-Sud sia stato spodestato da un asse Est-Sud:
…la crescita delle società emergenti è una svolta di rilevo nella globalizzazione
…le relazioni Nord-Sud sono state dominanti per duecento anni ed ora sta prendendo corpo una
svolta Est-Sud. La crisi economica del 2008 è parte di un processo di ribilanciamento globale.
Un tale nuovo ordine, o disordine, vista l’intrusione degli EM e degli FM, influenzerà la pratica e l’analisi della IPE dopo il 2015 (Overbeek e van Apeldoorn, 2011), in particolar modo nelle economie BRICS democratiche e capitaliste di Brasile ed India (Mahrenbach, 2013).
La politica economica post-2015
Per descrivere il post-2015, questo articolo confronta una serie di prospettive parallele e sovrapposte per comprendere se i diversi “mondi” – dal Nord Atlantico/Pacifico fino ai PIIGS dell’Eurozona opposti al ”secondo mondo” (Khanna, 2009) dei BRICS/CIVETS/MINT/MIST e VISTA – siano cresciuti insieme o separatamente mentre le crisi globali ed il riordinamento si sono approfonditi. Tali acronimi riflettono una metodologia ed una gerarchia: in tal modo, l’acronimo CIVETS include più mercati emergenti, se non potenze emergenti, rispetto agli altri, anche più dei VISTA, prova ne sia che ne fa parte la Colombia.
Inoltre, le questioni “globali” “contemporanee”- ecologia, questioni di genere, governance, salute, leggi, tecnologia e via dicendo- si sono confrontate con convinzioni, tradizioni, attori e politiche istituzionalizzati (Weiss e Wilkinson, 2014a), conducendo ad una miriade di coalizioni “transnazionali” ed a schemi eterogenei di iniziative, processi e regolamentazione, come si nota in Bernstein e Cashore (2008), Dingwerth (2008), Hale e Held (2011), che prospettano uno sviluppo regionale sostenibile in Africa come altrove. Richey e Ponte (2014) suggeriscono che “sviluppo” significhi sempre di più “alleanze” o networks, che includano “nuovi” attori. Una tale “governance globale”- extra statale o ibrida semi statale- si confronta con e scavalca sempre di più le organizzazioni e le norme internazionali esclusivamente interstatali (Harman e Williams, 2013; Weiss e Wilkinson, 2014, a,b).
Ogni gruppo di mercati emergenti ed ora anche di mercati di frontiera racchiude in sé una serie di assunzioni, direzioni ed implicazioni abbastanza diversa; la PWC ha esteso la lista “Next-11” dei mercati emergenti e di frontiera di Goldman Sachs (quindici, senza la Repubblica del Sud Africa) a diciassette mercati emergenti e di frontiera significativi entro il 2050 (Hawkensworth e Cookson, 2008). Sintomaticamente, l’iconico acronimo iniziale era stato proposto all’inizio del nuovo secolo da un influente economista che lavorava per una corporation finanziaria globale- O’Neill (2011) di Goldman Sachs- il quale ha sottolineato e rafforzato il suo iniziale colpo di genio attraverso la celebrazione del suo primo decennio. Come egli nota, la ristrutturazione globale è stata accelerata dal declino simultaneo non solo degli Stati Uniti e del Regno Unito ma anche da quello dei membri meridionali dell’Eurozona. In molti ora predicono che la Cina diventerà la maggiore economia del mondo entro il 2025 e che l’India raggiungerà gli Stati Uniti entro il 2050 (Hawkesworth e Cookson, 2008: 3). La PWC (2013: 6,8) suggerisce che:
I paesi E7 potrebbero superare i G7 addirittura entro il 2017 in termini di PPP…i paesi E7
potrebbero potenzialmente valere il 75% in più dei paesi G7 in termini di PPP entro la fine
del 2050.
Entro il 2050 la Cina, gli USA e l’India saranno probabilmente le tre maggiori economie del
mondo.
Ma Brown (2013:168-170) sostiene che esistono previsioni discordanti riguardo al momento in cui la Cina supererà gli USA, a partire dal Fondo Monetario Internazionale che lo anticipa al 2016.
Mentre il G8 diventava G20 (Cooper e Antkiewicz, 2008; Cooper e Subacchi, 2010), un grande numero di analisti tentava di mappare il mondo emergente, inclusi il “secondo mondo” di Khanna (2009) ed il “resto” di Zakaria (2011), ad esempio:
(a) La Global Redesign Iniziative (GRI) del World Economic Forum, che includeva un comitato di piccoli Stati incentrato su Qatar, Singapore e Svizzera (Cooper e Momani, 2011).
(b) La Constructive Powers Iniziative avanzata dal Messico, che ha riunito insieme vecchie e nuove medie potenze (Jordaan, 2003), come il vecchio Commonwealth anglofono con, tra gli altri, Indonesia, Giappone e Corea del Sud.
(c) Alla fine del 2012, da entrambi i lati della barricata, la USNIC ha redatto “Global Trends 2030: Alternative Worlds” (GT 2030), che identifica quattro “megatendenze” come la “diffusione del potere” e il “nesso cibo/acqua/energia”; una mezza dozzina di “concetti spartiacque”; e quattro “mondi potenziali” dal più al meno conflittuale/iniquo, includendo sia la possibilità di una collaborazione Cina-USA sia un “mondo senza Stati”; la KPMG (2014: 3), poi, ha prodotto il proprio “Future State 2030”con megatendenze parallele che includono “slittamento del potere economico” e “stress delle risorse”, in particolar modo “acqua, cibo, terra coltivabile ed energia”. (d) La londinese Chatham House ha prodotto una relazione sui “Resources Futures” (Lee et al., 2012: 2) con un’attenzione particolare sulla “nuova politica economica delle risorse” e sulla possibilità di una governance delle risorse naturali (NRG) da parte del comitato “Resource 30” (R30) dei maggiori produttori/consumatori, importatori/esportatori: ossia i paesi G20 inclusi i BRIC, ma non i BRICS (quindi esclusa la Repubblica del Sud Africa), più il Cile, l’Iran, la Malesia, i Paesi Bassi, la Nigeria, la Norvegia, Singapore, la Svizzera, la Thailandia, gli Emirati Arabi Uniti ed il Venezuela.
Nel caso, poi, del continente più marginale, l’Africa, la sua possibile rinascita era stata anticipata a metà decennio dal Boston Consulting Group (BCG), dal Center for Global Development, da McKinsey ad altri ancora (Shaw, 2012, a), con l’ammissione dell’Economist che si sarebbe dovuta trattare l’Africa come il continente “speranzoso” piuttosto che come il continente “senza speranza”. Come continente con il maggior numero di mercati di frontiera l’Africa si è mostrata infatti la più resistente alla contrazione economica del Nord. Intanto, anche la fornitura di risorse per lo sviluppo, che include l’assistenza ufficiale per lo sviluppo (ODA), si sta allontanando dal vecchio Nord in direzione dei BRICS (Chin e Quadir, 2012) e verso nuovi altri donatori ufficiali come Corea del Sud e Turchia (Sumner e Kirk, 2014; Sumner e Mallett, 2014), oltre a fondazioni private come la Gates, organizzazioni religiose (FBOs), rimesse derivanti dall’emigrazione, eterogenei fondi sovrani (SWFs) e ad una miriade di ETF e nuove fonti di rendita come tasse sul carbone, sul cambiamento climatico, sulle emissioni inquinanti o le transazioni finanziarie (Besada e Kindornay, 2013; Richey e Ponte, 2014).
Economie/mercati/potenze/Stati/società emergenti?
L’importanza delle potenze e dei mercati emergenti (Mahrenbach, 2013), in particolare i BRICS e le altre economie politiche del secondo mondo, ha condotto a dibattiti riguardo punti in comune e differenze tra le economie emergenti, considerate sotto diversi aspetti disciplinari: ad esempio Pieterse (2011) privilegia un concetto di “società emergenti” costruito sociologicamente, a differenza di quanto fa Goldstein nei riguardi delle multinazionali dei paesi emergenti (EMNCs) o Mahrenbach (2013) con le potenze ed i mercati emergenti. A loro volta, specialmente nell’ambito delle Relazioni Internazionali, fioriscono le analisi sulle potenze e le regioni emergenti (Flemes, 2010; Jordaan, 2003; Nel and Nolte, 2010; Nel et al., 2012), alcune delle quali potranno potenzialmente essere alla base di nuove prospettive regionaliste, in special modo se subiranno sempre più l’impatto della divergenza tra i BRICS ed i PIIGS dell’Eurozona. Inoltre esse incarnano ed avanzano definizioni e direttive alternative per lo sviluppo.
Nonostante la crisi dei subprime negli USA e quella dell’Euro in Europa all’inizio del ventunesimo secolo, gli investimenti esteri diretti (FDI) continuano a crescere, raggiungendo 50 mld di dollari nel 2013, in misura primaria dalla China, dall’India e dalla Malesia; il che significa sia mercati emergenti che mercati di frontiera, anche se Taylor (2014) è in qualche modo scettico sullo sviluppo sostenibile del continente. Di pari passo con nuovi investimenti e scoperte nel settore energetico, una seconda schiera di produttori di petrolio è emersa dopo Nigeria ed Angola: Guinea Equatoriale, Congo-Brazzaville, Gabon, Sud Sudan ed ora anche il Ghana, con l’Uganda impaziente di unirsi al gruppo. Il gas naturale in forma liquida viene ora esportato da Nigeria, Guinea Equatoriale e Mozambico; sarà in grado quest’ultimo di sfidare il dominio di Qatar ed Australia entro il 2020? Inoltre entro la fine del 2014 la Banca Mondiale pianifica di costituire un fondo di 1 mld di dollari al fine di mappare le risorse minerarie del continente per implementare l’africana Africa Mining Vision (AMV).
Varietà di forme di sviluppo
La nozione di “sviluppo” era inizialmente correlata alla decolonizzazione ed al bipolarismo del dopoguerra. Fu resa popolare nel “Terzo Mondo” negli anni ’60, spesso in relazione con il “socialismo di stato”, con un solo partito o anche una sola persona al comando, ma fu superata dal neoliberalismo e dal Washington Consensus. Allo stesso tempo però i paesi di nuova industrializzazione (NICs), seguiti dai BRICs ed ora dai mercati emergenti, hanno puntato in una nuova direzione a differenza degli Stati fragili e in declino (Brock et al., 2012); tale “sviluppalismo” (Kyung-Sup et al., 2012) ha ora raggiunto anche l’Africa (UNECA, 2011, 2012) con i suoi fiorenti mercati emergenti e di frontiera. Ma, mentre cresce nel Sud la classe media “globale”, così fanno anche le disuguaglianze insieme alle malattie non trasmissibili (NCDs) come il cancro, i problemi coronarici e il diabete.
Date la scarsa concretezza e le limitazioni dei MDGs (Wilkinson and Hulme, 2012), le Nazioni Unite hanno dibattuto ed anticipato i desiderata sullo sviluppo post-2015, comprese appropriate ed innovative forme di governance, incoraggiate dai networks delle ONG internazionali e dai think tanks. Gli aiuti riguardano ora più la cooperazione che il semplice denaro- le “alleanze” come sono state concepite da Ritchey e Ponte (2014)- poiché una certa quantità di flussi economici, provenienti in special modo da nuovi attori, viene attirata ormai dal Sud Globale: capitali privati, investimenti esteri diretti, ETF, beneficenza, rimesse e fondi sovrani, per non parlare del riciclaggio (Shaxson, 2012). L’Assistenza Ufficiale per lo Sviluppo (ODA) da parte dei membri del Comitato per l’Assistenza allo Sviluppo (DAC) dell’OECD rappresenta una contrazione percentuale degli scambi transnazionali (Brown, 2011, 2013: 24–28; Sumner and Kirk, 2014). Intanto, all’interno di un così profondo riordinamento globale, le varietà di forme di capitalismo, statale e non, proliferano.
Varietà di forme di capitalismo
Come indicato dal mio approfondimento, il mondo del capitalismo non è mai stato tanto variegato: dal vecchio capitalismo transatlantico e transpacifico ad uno nuovo- il Sud globale con le sue diversità, come le “varianti capitalistiche” brasiliana, cinese, indiana e sudafricana (Nolke, 2014); sia mercati di frontiera che mercati e potenze emergenti (Mahrenbach, 2013). Goldstein (2007) ha introdotto le multinazionali dei mercati emergenti nelle IPE Series che io continuo a curare per Palgrave Macmillan, includendo un secondo indice di distinzione: cinque pagine di nomi di aziende transnazionali appartenenti a mercati emergenti (vedi il prossimo paragrafo). E nell’era post-neoliberale le aziende statali, in particolare le compagnie petrolifere (Xu, 2012), stanno fiorendo. I paradigmi neo liberale americano ed inglese, quello corporativista continentale e scandinavo e quello giapponese ed estremo orientale basato sullo sviluppo devono ripensare alle e riflettere sulle mutevoli relazioni tra società ed economia di Stato, superando le onnipresenti partnerships (Overbeek and van Apeldoorn, 2011). In aggiunta, se andiamo oltre i concetti di formale e legale, onnipresenti sono anche una miriade di settori basati sull’informalità ed il crimine organizzato transnazionale. (vedi “Economie informali e illegali: da Stati fragili a Stati in via di sviluppo?”).
Per la prima volta, su “Global Fortune 500” del Luglio 2012 i quartieri generali di multinazionali erano più numerosi in Asia di quanto non fossero in Europa o Nord America. C’erano in classifica 73 multinazionali cinesi (dalle undici del 2002) insieme a 13 basate in Corea del Sud e ad otto a testa in Brasile ed India. Ogni membro dei BRICS ed ogni potenza o mercato emergente ospita qualche marchio globale: per fare qualche esempio Geely, Huawei e Lenovo (Cina), Hyundai, Kia e Samsung (Corea), Embraer e Vale (Brasile), Infosys, Reliance e Tata (India), AngloAmerican, De Beers e SABMiller (Repubblica Sudafricana) e così via.
La coppia di economie dominanti nell’Africa subsahariana è senza dubbio quella formata da Nigeria e Repubblica Sudafricana le quali, nonostante siano sempre più in connessione, mostrano forme profondamente diverse di capitalismo africano. La Nigeria, includendo le megalopoli come Lagos e Ibadan, è un’economia politica altamente informale con un piccolo settore formale (birra, beni di consumo come bibite e sapone, finanza e telecomunicazioni); al contrario, a dispetto delle onnipresenti baraccopoli, la Repubblica Sudafricana si basa su una solida economia formale incentrata sull’estrazione mineraria, la manifattura, l’agricoltura, la finanza e i servizi. Entrambe hanno un significativo indice di emigrazione nel Nord globale, specialmente nel Regno Unito e negli USA, inclusa l’emigrazione nigeriana in RSA, in particolare a Johannesburg, che genera rimesse verso la patria. Stante l’ordinamento democratico, le compagnie e le catene di distribuzione insieme ai marchi ed alle franchigie sudafricane sono penetrate nel continente; inizialmente dall’Africa meridionale in quella orientale, ma ora sempre più in Africa Occidentale ed Angola.
Come riflesso nella moltiplicazione degli acronimi – MINT, MIST e così via – l’era post-BRICS è segnata da una proliferazione di mercati emergenti ed ora di mercati di frontiera, mentre la crescita ed i profitti dei BRICS e delle potenze emergenti è in declino. Così il fondo Guggenheim per i mercati di frontiera include più di 40 paesi concentrati nel Baltico, nel Golfo ed in Medio Oriente, in Europa Centrale e Sud America, alcuni dei quali senza una sede borsistica. Dal momento che sono mercati più piccoli e meno sviluppati, i rischi di investimento sono più alti nei mercati di frontiera rispetto ai BRICS ed alle potenze emergenti. Inoltre molti investimenti nei mercati di frontiera vengono operati in campi che crescono insieme alla classe media: banche, birrifici e cemento; ad esempio, in Nigeria, la Zenith Bank, le Nigerian Breweries e la Dangote Cement.
I vettori di mercato ETF per Van Eck Global includono Africa, Brasile, Cina, Colombia, Egitto, Stati del Golfo, India, Indonesia, America Latina e Vietnam; ed iShares di BlackRock offre ETF sul Brasile, il Cile, la Colombia, il Messico, la Repubblica Sudafricana e la Turchia. Similarmente, la top five delle holdings nei mercati di frontiera per Claymore/BNY Mellon include Cile, Polonia, Egitto, Colombia e Kazakistan; con holdings concentrate nella finanza, nel settore minerario, nell’energia e nelle telecomunicazioni. L’Africa è la classica regione dei mercati di frontiera, sempre più attraente a causa delle sue risorse e della resistenza alla recessione globale. Ma le regioni del Sud globale possono ora essere paragonate in termini di numero e dinamismo dei mercati emergenti e di frontiera: dall’Africa all’Asia Centrale fino al Sudamerica, in particolare gli Stati andini: Bolivia, Ecuador e Perù.
Nuovi regionalismi
La nascita di nuovi Stati che ha accompagnato la fase post-bipolare del capitalismo ha causato una parallela proliferazione di regioni, tanto più se consideriamo tali una varietà di regioni non statali, informali o addirittura illegali. Inoltre la crisi dell’Eurozona concentrata nei PIIGS ha eroso l’importanza dell’Unione Europea come modello, conducendo al riconoscimento di diversi “nuovi” regionalismi a (Flemes, 2010; Shaw et al., 2011). Essi includono le istanze della “African Agency” (Lorenz-Carl and Rempe, 2013), come le franchigie del Sud Africa, le catene di distribuzione che raggiungono l’Africa Occidentale, l’area di libero scambio trilaterale fra COMESA, EAC e
SADC (T-FTA) (Hartzenberg et al., 2012), insieme ai vecchi e nuovi conflitti regionali come nella regione dei Grandi Laghi ed alla dimensione regionale e globale di fenomeni come la pirateria al largo delle coste somale (ACBF, 2014; Hanson et al., 2014).
La Commissione Blue-ribbon sulle Droghe in America Latina ed ora in Africa Occidentale indica quanto il nuovo Sud sia ormai a buon punto nel definire la propria agenda, i propri obiettivi e la propria andatura. Mentre la prima ha pre-datato il problema, la seconda ha fatto il contrario, ma la Commissione Globale sulle Droghe uscente, proprio come alcune forze sociali negli USA, tende alla depenalizzazione ed alla commercializzazione della marijuana.
Alleanze sempre più onnipresenti fra compagnie aeree, poi, collegano hubs regionali nel Sud del mondo, specialmente in Asia, da Singapore a Panama. Nell’Asia Sudorientale, il marchio Singapore Airlines/Star Alliance è dominante; allo stesso modo South African/Star Alliance in Africa; ma in Sud America LAN/Oneworld è in una posizione di sempre maggiore egemonia. Nel Golfo, fra Europa ed Asia, il trio di floride compagnie aeree ha intrapreso rotte differenti: Emirates rappresenta a tutti gli effetti la propria stessa alleanza globale, Etihad acquista altri vettori, da Air Berlin a Alitalia; e Qatar è ora diffusa in tutto il mondo.
Problemi “globali” emergenti
Nel Sud globale si riconosce sempre di più l’emergere di un crescente numero di problemi globali, sia quelli risultanti dagli eccessivi consumi e inquinamento nel Nord, sia malattie non trasmissibili come il diabete. Nell’immediato futuro questi problemi includeranno quelli ambientali ed altre conseguenze del cambiamento climatico, oltre a malattie da virus e zoonosi. Si estenderanno anche ad un’enorme quantità di virus informatici ed al crimine digitale (Kshetri, 2013). Vista la rinnovata attenzione al nesso energia/cibo/terra/acqua, alcuni suggeriscono che potremmo esaurire le fonti energetiche (Klare, 2012) ed alcune risorse naturali senza parlare dell’acqua. Infine, dopo le recenti crisi globali e regionali, la stessa governance dell’economia globale è in gioco: la sindrome della finanziarizzazione, i derivati, dai mercati emergenti a quelli di frontiera, fondi pensione, hedge funds, fondi sovrani e così via. (Overbeek and van Apeldoorn, 2011).
Economie informali e illegali: da Stati fragili a Stati in via di sviluppo?
Le transazioni bancarie illegali (shadow banking) attraverso società di comodo si sono trasformate in una serie di network globali inafferrabili con centro a Londra e Miami, piuttosto che alle Cayman o alle Isole Vergini (Findley et al., 2014) riguardo al quale il G20 si comporta in modo piuttosto ambivalente, nonostante le sue norme ed agenzie anti-riciclaggio (Findley et al., 2013). Le nuove tecnologie mobili, sviluppandosi al di fuori di Internet, facilitano in misura sempre maggiore l’informalità e l’illegalità, ma anche il loro contrario, inclusa l’inarrestabile crescita della moneta mobile nel sud dell’Africa- lo Mpesa- soprattutto in Kenya e Repubblica del Sud Africa. Il “settore informale” gode di sempre maggiore attenzione in ambito antropologico, proprio come accade per l’”illegale” nel campo della IPE (Friman, 2009; Naylor, 2005); questi settori sono sempre più analizzati valendosi dei report annuali della Small Arms Survey (SAS), che da più di un decennio si occupa degli Stati fragili.
In modo simile, il crimine organizzato è sempre più transnazionale, stante la proliferazione di bande di giovani maschi in un numero enorme di Stati (Knight e Keating, 2010: 274–300). Come risposta, è necessario che la IPE sviluppi analisi e normative a partire dall’attività annuale della SAS e delle commissioni su droga e salute sudamericana e globale; tanto più se ora, all’inizio del nuovo decennio, anche Google Ideas si interessa di illegalità. Dal momento che le catene di distribuzione si sono spostate dall’America Centrale e dai Caraibi verso l’Africa Occidentale in risposta alla “guerra alle droghe”, come si notava sopra nel paragrafo “nuovi regionalismi”, la Fondazione Kofi Annan ha creato una previdente e preventiva Commissione sulle Droghe per l’Africa Occidentale: ecco un’altra definizione di regionalismo.
Varietà di forme di governance transnazionale
Proprio come la “governance” sta subendo una ridefinizione ed una riarticolazione (Bevir, 2011), così il concetto di “transnazionale” sta venendo riscoperto e riabilitato (Dingwerth, 2008; Hale e Held, 2011) in seguito ad una marginalizzazione subita dopo la sua iniziale articolazione all’inizio degli anni ’70 da parte di Keohane e Nye (1972). Essi avevano identificato le maggiori varietà di relazioni transnazionali come le comunicazioni, il conflitto, l’educazione, l’ambiente, il lavoro, le multinazionali, le religioni e così via; mentre Harman e Williams (2013) hanno prodotto una serie di casi di studio molto utile per il decennio presente. Brown (2011) ha inoltre aggiornato tali prospettive di studio secondo uno schema più attento all’economia che includeva la società civile, le rimesse ed altro ancora. Ora Weiss e Wilkinson (2014b) suggeriscono in modo retorico che una simile governance globale potrebbe ormai salvare le Relazioni Internazionali.
Inoltre io aggiungerei alla governance globale questioni contemporanee transnazionali come i marchi e le franchigie; i consumi consistenti delle classi medie emergenti (da Audi/BMW/Mercedes al turismo e, purtroppo, ai farmaci per trattare il diabete); gli sport di interesse mondiale, promossi da FIFA e CIO; gli eventi globali dalle Esposizioni alle Olimpiadi ai Mondiali di Calcio; attività logistiche e catene di distribuzione (legali e formali o di altra natura); la tecnologia mobile digitale inclusa la valuta mobile, nuovi centri cinematografici come Bollywood e Nollywood, emigrazione, festival cinematografici, occasioni di incontro, e via dicendo; nuovi media come Facebook e Twitter. Tali eterogenee relazioni e prospettive, meritano ulteriore attenzione rispetto al loro contributo allo sviluppo sostenibile in Africa ed altrove.
Governance globale e nuovi regionalismi a metà del secolo?
In conclusione opero un confronto tra una triade di cambiamenti che probabilmente avranno un impatto sulla governance globale e sul regionalismo comparato, sia dal lato che da quello teorico, nell’era post-2015, in Africa e altrove:
(a)esponenziale ristrutturazione globale in una miriade di campi, dall’economia all’ecologia alla diplomazia ed alla sicurezza (Besada e Kindornay, 2013; Overbeek e van Apeldoorn, 2011);
(b) spostamento nella direzione e nella concentrazione dei flussi di risorse e delle catene di distribuzione da un asse Nord-Sud ad uno Sud-Est;
(c) evoluzione continua nelle comunità degli stakeholders nel senso di una incorporazione di fonti energetiche, fondi sovrani, fondi pensione, ETF, e via dicendo, oltre alle multinazionali, in special modo da parte dei BRICS e di altri mercati emergenti e di frontiera, come la Banca dei BRICS.
Articolo originale: “From post-BRICS’ decade to post-2015: insights from global governance and comparative regionalisms” di Timothy M. Shaw
Traduzione per il CESEM di Lorenzo Pedrini
metà 2014, simboleggiata dal Global Compact delle Nazioni Unite.
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