Le implicazioni securitarie legate alla Belt and Road Initiative: minaccia od opportunità?

Start

di Matteo Marras

Una delle principali lenti attraverso cui la narrazione occidentale descrive la Belt and Road Initiative (BRI) è quella della rivalità geopolitica. La BRI viene comunamente rappresentata come un’iniziativa cinese in diretta competizione con l’ordine unipolare post guerra fredda a guida statunitense. Sebbene non ci sia nulla di esplicitamente sbagliato nel vedere la BRI anche attraverso questa lente di rivalità, questo punto di vista risulta non ottimale nel comprendere le numerose dinamiche e problemi ad essa associate. Da questo punto di vista, la BRI è stata descritta in modo impreciso o, quantomeno, male interpretata. Spesso, infatti, si minimizza o si ignora del tutto il ruolo dei Paesi riceventi degli aiuti finanziari, tendendo a trascurare i vantaggi economici che il miglioramento delle infrastrutture ha creato come maggiore sviluppo economico, promozione dell’industrializzazione e nuovi posti di lavoro nei Paesi aderenti. Pertanto, attraverso l’analisi di alcune argomentazioni e lavori di studiosi internazionali, l’obbiettivo di questo lavoro è stato quello di mettere a confronto le due contrapposte visioni relative ai vantaggi e alle criticità legati alla Belt and Road Initiative.

Nata sullo sfondo della lenta ripresa economica mondiale, in seguito alla crisi finanziaria del 2008, il progetto della Belt and Road Initiative è stato lanciato ufficialmente nel 2013 dal presidente Xi Jinping. L’Iniziativa, basata sullo sviluppo pacifico e sulla logica win-win, considera la cooperazione economica e commerciale come la pietra angolare della politica estera cinese, promuovendo la diplomazia e gli scambi commerciali. La BRI mira a costruire il corridoio economico più lungo e promettente del mondo, che collega la Cina con l’Europa e l’Africa, passando per l’Asia Centrale e il Medio Oriente. In quanto piattaforma di cooperazione internazionale, l’iniziativa riflette la tendenza cinese nel promuovere stabilità attraverso lo sviluppo economico dei Paesi coinvolti, rafforzando gli scambi e l’integrazione regionalei.

Ciò nonostante, se è vero che ogni opportunità porta con sé anche dei rischi, questo vale certamente anche per la Belt and Road. Sebbene abbia il potenziale per accelerare il tasso di integrazione e lo sviluppo economico globale, un progetto così ambizioso riflette altresì il crescente intreccio tra politica ed economia. Negli ultimi anni, molti studi hanno messo in luce l’abile uso, da parte della Cina, del potere economico al fine di soddisfare i propri fini politici e di sicurezza interna. Secondo Blackwill e Harris, la Cina è pertanto “il principale esperto mondiale di geoeconomia”ii. La Belt and Road rappresenta forse l’iniziativa geopolitica più ambiziosa che la Cina abbia mai proposto, destinata ad avere un impatto importante sull’attuale sistema di governance economica mondiale, sia in modo positivoiii sia negativoiv.

Secondo Colint Flint e Cuiping Zhuv, la BRI rappresenta una miscela tra obiettivi e strategie, così riassunti: “integrazione economica, influenza regionale e competizione geopolitica globale”. Non c’è dubbio che un investimento economico così ingente genererà inevitabilmente significative ripercussioni politiche e securitarie in regioni strategiche dove sono già in aumento contese tra la Cina e le altre grandi potenze, in particolare gli Stati Uniti. Pertanto, negli ultimi anni, la BRI ha generato molti sospetti e timori, soprattutto nella narrazione occidentale. I motivi sono principalmente tre. Il primo è dovuto all’ambiguità degli obiettivi e dell’approccio cinese al progetto. La seconda ragione risiede nell’apparente contraddizione tra la retorica pacifista professata e il comportamento assertivo degli ultimi annivi. Le prime mettono in evidenza l’orientamento della Cina verso lo “sviluppo pacifico”; le seconde, invece, suggeriscono che la Cina stia assumendo una linea più assertiva e proattiva in politica esteravii. La terza ragione è legata invece alla tematica del “neocolonialismo”viii.

Come sostengono Di Munzio e Robbins nel loro libro Debt as Powerix: “Il debito è una tecnologia di potere. Nel capitalismo, la logica prevalente è quella dell’accumulazione differenziale, e dato che gli strumenti di debito superano di gran lunga gli strumenti azionari, possiamo tranquillamente affermare che il debito fruttifero è il modo principale in cui si genera la disuguaglianza economica man mano che più denaro viene ridistribuito ai creditori. In altre parole, gli strumenti di debito dividono effettivamente la società in debitori e creditori all’interno di una struttura di potere che privilegia ampiamente i secondi rispetto ai primi.”

È proprio questa relazione asimmetrica e i conseguenti differenziali di potere che hanno reso sempre più difficile per Pechino sostenere narrazioni ufficiali che suggeriscono l’uguaglianza delle relazioni tra la Cina e altre regioni del mondo in via di sviluppo. A riprova di ciò, l’ex presidente della Tanzania, John Magufuli, ha affermato che gli accordi di prestito dei progetti BRI nel suo Paese erano “sfruttatori e imbarazzanti”x, ribadendo inoltre che i finanziatori cinesi hanno stabilito “condizioni difficili che possono essere accettate solo da persone pazze”. Nello specifico, al suo Governo fu chiesto di dare loro una garanzia di 33 anni e un contratto di locazione esteso di 99 anni per la costruzione di un porto. Per questo motivo, alcuni Paesi hanno accusato la Belt and Road Initiative di essere un progetto neocoloniale, sostenendo che la Cina pratichi la diplomazia della “trappola del debito”xi xii.

Tuttavia, meritano attenzione anche le posizioni di senso opposto espresse negli anni da alcuni studiosi, i quali hanno sostenuto un’altra tesi in merito all’approccio cinese. Secondo Kirsty Needhamxiii le accuse di “diplomazia trappola del debito” rivolte alla BRI cinese sono state messe in discussione da nuove ricerche che mostrano come gli espropri di beni eseguiti da parte di Pechino siano alquanto rari. Un’analisi, seppur preliminare, del Rhodium Group ha rilevato che su 40 rinegoziazioni del debito effettuate dalla Cina in 24 Paesi “i sequestri di beni sono un evento molto raro”xiv. Sempre secondo un rapporto del China-Africa Research Institute del 2018, si è osservato che “attualmente i prestiti cinesi non hanno dato un contributo importante al disagio del debito in Africa”xv. Mentre, secondo uno studio della Johns Hopkins School of Advanced International Studies, sui circa mille prestiti elargiti in Africa, non vi è alcun esempio tangibile per cui la Cina abbia deliberatamente intrappolato un Paese estero nel debito, al fine di ottenere vantaggi monopolistici o strategici di qualsiasi tipo, compreso il “sequestro di beni”xvi. Per questo motivo, per autori come Deborah Brautigam, la Cina non sta ottenendo un reale vantaggio strategico da questa relazione.

A questo proposito si segnala che, fino ad oggi, un certo numero di Paesi ha già ottenuto dalla Cina la ristrutturazione del proprio debito. Uno dei tanti esempi a supporto di questa tesi è l’Isola di Tonga, che si è fortemente indebitata con la Repubblica Popolare dopo aver sottoscritto due prestiti per la costruzione di infrastrutture. Ciò nonostante, in seguito all’incapacità del piccolo Stato di far fronte ai pagamenti, di comune accordo con la Cina, si è deciso di rinviare ulteriormente i pagamenti concordati di altri cinque anni rispetto a un iniziale periodo di graziaxvii. Pertanto, secondo l’economista Anastasia Papadimitriouxviii, i Paesi partner sono ugualmente responsabili delle loro azioni quando stipulano accordi per progetti finanziati dalla BRI. Seguendo questo ragionamento, si potrebbe concludere che la BRI non sia tanto un progetto neocolonialista, quanto piuttosto una forma di regionalismo economicoxix.

Va considerato inoltre che, anche senza la BRI, il potere economico della Cina si è dimostrato particolarmente decisivo nell’attrarre nuovi partner sotto la sua sfera di influenza. Il modello cinese ha dimostrato la sua efficacia nel consentire ai Paesi in via di sviluppo di generare crescita economica senza richiedere alcuna riforma politica importante. Questo perché la Cina non chiede condizionalità in termini di riforme democratiche o rispetto dei diritti umani, né tenta di interferire con gli affari interni dei Paesi partner, ma piuttosto offre un modello che si basa su una serie di misure pragmatiche per migliorare le variabili economiche senza intaccare i regimi politici dei Paesi coinvolti, rendendo tale approccio più appetibile di quello occidentale. Nonostante la sua assertività e le continue schermaglie su questioni territoriali con un certo numero di Paesi vicini, la Cina è riuscita a costruire con successo solide relazioni economiche con la maggior parte di questi Paesi, anche quando le relazioni sono segnate da aspre divisioni e ulteriormente esacerbate da rancori storici, come nel caso del Vietnam. Questa motivazione ha spinto molti Paesi a optare per un approccio basato su una politica estera variabile, dove l’obiettivo è cercare un punto di equilibrio tra le opportunità economiche offerte dalla Cina e la sicurezza militare offerta dall’Occidente.

In conclusione, abbiamo potuto constatare di come, a seconda della propria percezione, spesso condizionata dall’ideologia, l’Iniziativa cinese passi dall’avere un connotato estremamente positivo dando un contributo allo sviluppo economico locale e regionale a una connotazione essenzialmente negativa di neocolonialismo e saccheggio economico, frutto di una asimmetria di potere tra creditore e debitore. Certamente, quindi, la Cina non rappresenta sempre un’opportunità per i Paesi partner, tuttavia, per discriminarla laddove c’è rischio, la si debba conoscere e, in questo senso, non la conosciamo abbastanza. Pertanto, in un contesto mondiale profondamente interconnesso e globalizzato, comprendere le motivazioni di un tale progetto si rivelerà un utile strumento per cogliere l’entità dell’espansionismo economico cinese sulla base di un approccio cooperativo e non conflittualexx.

NOTE AL TESTO

i Tian Guang & Chen Gang, Belt and Road vs China and the world: perspectives of the Chinese, (Atlanta: North American Business Press, 2020).

ii Ivi, pag. 11.

iii Wu Xinbo, “China in search of a liberal partnership international order”, in International Affairs, vol.94, 2018, pag. 995-1018. http://www.cas.fudan.edu.cn/picture/2948.pdf

iv Shahar Hameiri & Lee Jones, “China challenges global governance? Chinese international development finance and the AIIB”, in International Affairs, vol.94, issue 3, 2018, pag. 573-593.

v Colin Flint & Cuiping Zhu, “The geopolitics of connectivity, cooperation and hegemonic competition: The Belt and Road Initiative”, in Geoforum, vol. 99, 2019, pag. 95-101. https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0016718518303634?via%3Dihub

vi Shi Yinhong, “China’s complicated foreign policy”, European Council on Foreign Relations, 31 March 2015. https://ecfr.eu/article/commentary_chinas_complicated_foreign_policy311562/

vii Suisheng Zhao, “China’s new foreign policy “assertiveness” motivations and implications”, in ISPI, no.54, 2011. https://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/analysis_54_2011.pdf

viii Per neocolonialismo s’intendono tutte quelle forme di dipendenza di un Paese nei confronti di altri Stati più potenti ed economicamente sviluppati.

ix Tim Di Munzio & Richard Robbins, Debt as Power, (Manchester: Manchester University Press, 2016), pag 7. https://library.oapen.org/viewer/web/viewer.html?file=/bitstream/handle/20.500.12657/32159/9781526101013_fullhl.pdf?sequence=1&isAllowed=y

x Dipanjan Chaudhury, “Tanzania president terms China’s BRI port project exploitative”, The Economic Times News, 6 July 2019. https://economictimes.indiatimes.com/news/international/world-news/tanzania-president-terms-bri-port-project-exploitative/articleshow/70109612.cms

xi Brahma Chellaney, “China’s debt-trap diplomacy”, Project Syndicate, 23 January 2017. https://www.project-syndicate.org/commentary/china-one-belt-one-road-loans-debt-by-brahma-chellaney-2017-01

xii Una trappola del debito è una forma di prestito predatorio, a tassi di interesse elevati, in cui un mutuatario non è in grado di pagare i propri debiti, fino a quando non sarà costretto a svendere degli asset nazionali importanti per poter ripagare il proprio debito.

xiii Kirsty Needham, “Data doesn’t support Belt and Road debt trap claims”, The Sidney Morning Herald, 2 May 2019. https://www.smh.com.au/world/asia/data-doesn-t-support-belt-and-road-debt-trap-claims-20190502-p51jhx.html

xiv Agatha Kratz, Allen Feng & Logan Wright, “New data on the Debt trap question”, Rhodium group, 29 April 2019.https://rhg.com/research/new-data-on-the-debt-trap-question/

xv Janet Eom, Deborah Brautigam & Lina Benadallah, “The path ahed: the 7th forum on China-Africa cooperation”, in China-Africa Research Institute, no.1, 2018, pag 1-10. https://static1.squarespace.com/static/5652847de4b033f56d2bdc29/t/5c467754898583fc9a99131f/1548121941093/Briefing+Paper+1+-+August+2018+-+Final.pdf

xvi Deborah Brautigam & Jhyjong Hwang, “Eastern promises: new data on Chinese loans in Africa, 2000 to 2004”, SAIS China-Africa research initiative, School of Advanced International Studies, Johns Hopkins University, Working Paper no. April 2016, pp. 1-34. https://saiia.org.za/wp-content/uploads/2016/04/CARI_WP4_BrautigamHwangEasternPromises.pdf

xvii Matthew Dorna & Philippa Brant, “Chinese assistance in the pacific: agency, effectiveness and the role of pacific island governments”, in Asia & the Pacific Policy studies, vol.1, no.2, 2014. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/app5.35

xviii Anastasia Papadimitriou, “China’s belt and road initiative: is it truly neo-colonialist?”, Theworldmind.org, 20 October 2019. https://www.theworldmind.org/home/2019/10/20/chinas-belt-and-road-initiative-is-it-truly-neocolonialist

xix Si tratta di un fenomeno sviluppatosi in quasi tutti i continenti, consistente nella conclusione di accordi formali di integrazione economica a livello regionale, costituiti al fine di liberalizzare, su base discriminatoria, il commercio tra i paesi membri.

xx Shaun Breslin, “Chinese economic statecraft. An illiberal actor in a (more) liberal global economy: who is changing who”, in Drivers of Global Change: Responding to East Asian Economic and Institutional Innovation a cura di Giuseppe Gabusi, (Torino: Torino World Affairs Institute, 2021) pag. 5-9. https://www.twai.it/articles/china-economy-illiberal-liberal/

Iscriviti alla nostra Newsletter
Enter your email to receive a weekly round-up of our best posts. Learn more!
icon

Progetto di Ricerca CeSE-M

Dispacci Geopolitici

MATERIALI CORSO ANALISTA GEOPOLITICO 2023

Il CeSE-M sui social

Naviga il sito

Tirocini Universitari

Partnership

Leggi anche