Senegal, un altro Paese perso alla causa del neocolonialismo occidentale?

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di Giovanni Santini per Rifondazione.it

Il Senegal ha scelto, in modo plebiscitario, il suo nuovo Presidente. Anche se lo spoglio non è ancora terminato e quindi manca l’ufficialità, la tendenza, a due terzi dei voti scrutinati è ormai chiara: Bassirou Diomaye, rappresentante del partito Pastef ha una superiorità schiacciante, di molto superiore al 50%, che gli permetterebbe di essere eletto al primo turno.

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Presentatosi al posto di Ousmane Sonko, capo carismatico del partito che non ha potuto candidarsi per guai giudiziari, sarà con i suoi 44 anni, il più giovane Presidente della storia del Senegal.

I motivi che hanno indotto i senegalesi, in grande maggioranza, a votare un politico quasi sconosciuto fino a pochi mesi fa, sono diversi.

Innanzitutto il rigetto del Presidente uscente, Macky Sall, accentuatosi nelle ultime settimane dopo il maldestro tentativo di quest’ultimo di rimanere al potere ben oltre i limiti temporali previsti dalla Costituzione ed oltre il dissenso , ormai diffuso in tutta la società, per le sue politiche liberiste ed i suoi legami con la Francia. Anche la classe media, moderatamente agiata e benpensante, che lo aveva appoggiato per larga parte dei suoi due mandati, non ne poteva più del suo attaccamento al potere e dei tentativi di eliminare, per via giudiziaria, il principale oppositore, Ousmane Sonko. Le violente proteste seguite a tali tentativi e l’aperta violazione della Costituzione stavano facendo perdere al Senegal la propria fama di Paese pacifico e democratico a cui i senegalesi tengono molto e che costituisce un forte incentivo per gli investimenti stranieri. Nelle strade si respira un senso di liberazione e sul web si moltiplicano i commenti entusiasti per la fine di un incubo.

Ma un elemento altrettanto importante è costituito dalla proposta politica del Pastef, completamente opposta a quella portata avanti in questi anni e che interpreta il diffuso sentimento anticoloniale e segnatamente anti francese che pervade la società senegalese.

L’azione politica del Presidente uscente si era concentrata soprattutto sulla realizzazione di grandi opere infrastrutturali, con l’intervento di capitali stranieri ma anche di grandi investimenti statali. L’allargamento della rete autostradale, inesistente fino a dodici anni fa; una moderna linea ferroviaria che serve la regione di Dakar; la creazione di un polo amministrativo ed industriale ad una trentina di chilometri dalla capitale per favorirne il decongestionamento; il miglioramento della viabilità della medesima, con la costruzione di viadotti e l’acquisto di autobus ecologici.

Tutti questi investimenti, però, hanno avuto una ricaduta minima sulle condizioni di vita delle famiglie, costrette a fare i conti con un costo della vita crescente in maniera esponenziale rispetto a salari e stipendi stagnanti; laddove, poi, si possa contare su un’entrata fissa a fine mese, visto che gli indici di disoccupazione e lavoro informale sono stati anche loro sempre crescenti negli ultimi anni.

Il malcontento popolare contro l’attuale governo ha raggiunto il culmine negli ultimi mesi quando non solo le bollette di energia elettrica ed acqua, ma anche gli ingredienti basici dell’alimentazione senegalese, come pane, riso e cipolle, hanno subito aumenti drastici.

L’agenda politica del Pastef, che si ispira, come dichiarato dai suoi principali esponenti, ad un “panafricanismo di sinistra”, prevede, in totale rottura con il passato, la rivendicazione della sovranità politica, finanziaria ed economica del Paese; il rifiuto delle ricette neoliberiste imposte dal Fondo Monetario Internazionale a fronte dei propri prestiti, di cui l’ultimo, di 1,8 miliardi di dollari, approvato a giugno 2023, potrebbe essere rinegoziato o addirittura abbandonato dal nuovo governo; la messa in discussione del franco CFA, la moneta di 14 Paesi ex colonie francesi, controllata dalla Francia; la rinegoziazione dei contratti fin qui stipulati con società straniere per lo sfruttamento di petrolio, gas e miniere, che potrebbe cambiare il volto economico del Paese; la lotta alla corruzione che è stata il corollario dei contratti per le grandi opere infrastrutturali e per l’ammodernamento del Paese, stipulati con società straniere, con beneficio di queste ultime e dei politici di turno; una politica sociale per alleviare le difficili condizioni di vita della popolazione, sia urbana che rurale, attraverso, tra l’altro, un controllo dei prezzi dei beni di prima necessità.

Anche nella politica internazionale la discontinuità è evidente. In campagna elettorale Diomaye ha dichiarato che, pur non nutrendo ostilità nei confronti della Francia, il Senegal rivendica il diritto di scegliere i propri partner, non escludendo a priori alcuno Stato, con evidente riferimento alla Russia.

Insomma, è evidente che dopo Mali, Burkina Faso e Niger, il dominio neo coloniale francese in Africa occidentale sta perdendo un ulteriore pezzo, forse il più importante. E questa volta non attraverso un colpo di Stato militare, sia pure appoggiato dalla popolazione, ma per via costituzionale, nel rispetto di quella “democrazia” tanto cara al mondo occidentale, per la cui affermazione non si lesinano guerre e bombe su civili inermi.

Nel caso del Senegal il distacco è sancito dalla volontà popolare, attraverso il più democratico degli esercizi politici, le elezioni.

Chi avrà il coraggio di paventare interventi o ritorsioni, come avvenuto per gli altri Paesi che rifiutano l’appartenenza al vecchio mondo neo coloniale e liberale?

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