di Alberto Scopetta
Nel 2021, l’Unione Europea rilancia la propria politica estera con la proclamazione dell’ambizioso progetto “Global Gateway”. Il piano prevede un massiccio investimento di 300 miliardi di euro destinati a promuovere iniziative sostenibili in tutto il mondo nel periodo 2021-2027. Sebbene il piano europeo si proponga di avere un impatto globale, la metà dei fondi stanziati sono stati specificamente destinati a progetti per il continente africano, il quale figura come maggiore beneficiario del progetto.
La strategia dell’ “EU-Africa Global Gateway Investment Package”
Con il “EU-Africa Global Gateway Investment Package”, i due continenti intendono rafforzare i propri legami commerciali ed economici. Queste ambizioni sono state ribadite nella dichiarazione congiunta rilasciata alla fine del 6° Vertice Unione europea-Unione africana, dove entrambe le parti hanno espresso il loro impegno a “lavorare gradualmente verso l’integrazione progressiva e reciprocamente vantaggiosa dei nostri rispettivi mercati continentali”. Inoltre, la progettazione del pacchetto di investimenti è in linea con gli obiettivi generali dell'”Agenda 2063 per l’Africa” (il corrispettivo africano del Green Deal europeo), favorendo quindi la ricerca di uno sviluppo sostenibile alla stregua di quello europeo.
Sono cinque i principali pilastri dell’agenda del Global Gateway africano:
- Accelerare la transizione verde, con particolare riguardo alla produzione di energia sostenibile, tutela della biodiversità, sviluppo di sistemi agroalimentari e di modelli di resilienza ai cambiamenti climatici. Tra i più ambiziosi obiettivi prefissati, entro il 2030 si presuppone che il contente africano possa produrre 40 gigawatt dalla produzione di idrogeno verde;
- Accelerare la transizione digitale, finanziando progetti di cavi in fibra ottica sottomarini e terrestri, infrastrutture cloud per l’archiviazione e protezione dei dati e supportando la costruzione di quadri regolamentari in materia di sicurezza e protezione dati;
- Accelerare la crescita sostenibile e la creazione di posti di lavoro dignitosi, attraverso investimenti per l’integrazione economica regionale e continentale, la crescita e la creazione di posti di lavoro dignitosi. In particolare, molti progetti sono incentrati sullo sviluppo di infrastrutture per il trasporto all’interno del continente, al fine di stimolare l’integrazione economica regionale e di assicurare delle catene del valore sostenibili per il trasporto e commercio delle materie prime;
- Rafforzare i sistemi sanitari, nelle infrastrutture e nella ricerca, al fine di poter fornire al continente la capacità autonoma di produzione e di sviluppo delle competenze in materia di salute pubblica e sicurezza sanitaria;
- Migliorare l’istruzione e la formazione, in un continente dove la popolazione giovanile è elevata ma allo stesso tempo scarsamente istruita. L’UE si propone di fornire strumenti per l’istruzione e la formazione universalmente accessibili, in modo tale da poter favorire uno sviluppo eterogeneo del mercato del lavoro.
Tuttavia, la maggior parte dei contributi europei si concentrano sulla finalizzazione della transizione energetica e digitale del continente africano. La prima garantirebbe lo sfruttamento del potenziale energetico rinnovabile, il quale alimenterebbe e diversificherebbe il commercio energetico tra Africa ed Europa, in particolare nella zona mediterranea; la seconda potrebbe rilanciare l’UE come leader tecnologico in Africa, dato che la competizione globale per le risorse africane si è concentrata finora nel controllo delle materie prime, delle risorse energetiche e nella costruzione di infrastrutture.
Accelerare la transizione verde africana in funzione di quella europea
L’ “Iniziativa Africa-UE per l’Energia Verde” risulterebbe cruciale per sostenere la transizione energetica in Africa, contribuendo a finanziare progetti di energia rinnovabile e infrastrutture energetiche sostenibili. Inoltre, l’impegno europeo si dispiega nelle sfide sociali ed ambientali legate all’accesso all’energia, alla sicurezza energetica e alla riduzione delle emissioni di gas serra nel continente.
Tuttavia, l’UE sembrerebbe applicare due distinti approcci al finanziamento delle infrastrutture energetiche africane, influenzata dalle possibili implicazioni a lungo termine sulle relazioni energetiche. Infatti, nell’Africa sub-sahariana vi è un orientamento verso il finanziamento di progetti mirati alla costruzione di infrastrutture per le energie rinnovabili (come quelle solari, idroelettriche e geotermiche) promuovendo l’autonomia energetica regionale. Per quanto riguarda il Nordafrica, invece, i principali progetti finanziati mirano a garantire un ritorno energetico in territorio europeo, con l’obiettivo di una fusione dei mercati energetici delle due regioni. Questa iniziativa è volta a creare un sistema integrato di produzione, trasmissione e scambio di energia tra i due continenti, promuovendo maggiore efficienza nell’uso delle risorse energetiche, migliore integrazione delle energie rinnovabili e maggiore stabilità dei mercati energetici.
Un primo esempio può essere il coinvolgimento tedesco nel finanziamento europeo per la produzione di idrogeno in Marocco. Il progetto consiste nella costruzione di una centrale di riferimento per l’idrogeno Power-to-X (P2X), promuovendo il Marocco come futuro alleato nel panorama delle energie rinnovabili. Al fine di velocizzare il processo di costruzione dell’impianto, il governo teutonico ha finanziato la costruzione di una centrale energetica rinnovabile da 100 MW che alimenti l’impianto di produzione di idrogeno verde.
Il “Progetto ELMED” è uno dei più importanti progetti volti alla consolidazione del commercio energetico tra Europa e Nord Africa. Questo progetto consiste nella costruzione di un elettrodotto che collega la Tunisia all’Italia, divenendo la prima interconnessione continua di energia tra due continenti al mondo. L’elettrodotto sarà capace di gestire i flussi bidirezionali tra i due continenti con una portata di 600 MW, facilitando il commercio di energia elettrica nell’area del Mediterraneo. Questo “ponte energetico” tra Italia e Tunisia intensifica ulteriormente le forti relazioni energetiche tra Unione Europea e paesi del Maghreb, le quali finora sono ancora limitate all’importazione di gas algerino. Nella prospettiva di rendere sostenibile l’approvvigionamento energetico (e quindi eliminare il gas come fonte energetica), l’UE ha compreso che l’integrazione del mercato energetico tra Europa e Nord Africa deve passare per la produzione diversificata di fonti rinnovabili, al fine di poter mantenere stabili le relazioni nel processo di transizione energetica.
IL “Progetto GREGY” figura proprio come secondo progetto di interconnessione energetica, collegando le reti elettriche greche ed egiziane. L’infrastruttura non solo consentirà di trasferire energia rinnovabile dall’ Egitto alla Grecia, ma consentirà all’Egitto di poter portare avanti la propria transizione energetica senza rischiare di compromettere le relazioni energetiche con i paesi europei. Infatti, con una capacità di trasferimento annuale di 3.000 MW, l’elettrodotto entro il 2035 sostituirebbe fino a 26 TWh di elettricità da combustibili fossili, equivalenti a 4,5 miliardi di metri cubi di gas. Ciò porterebbe alla creazione di un secondo hub energetico in Grecia, il quale ridistribuirebbe l’elettricità importata nel sudest europeo. Allo stesso modo, l’Egitto potrebbe così diventare un partner più competitivo nel mercato energetico del Mediterraneo, principalmente in mano all’Algeria.
Il ruolo dell’UE nella transizione digitale africana
Nel documento del 2020 redatto dalla Commissione Europea “Towards a comprehensive Strategy with Africa” viene esplicitato l’interesse europeo nella transizione digitale dell’Africa, con particolare attenzione alla creazione di un quadro normativo in materia di protezione dei dati e dei consumatori, mercato e servizi finanziari digitali, cybercrime ed e-governance.
Investire nella crescita digitale del continente consentirebbe all’Africa di poter sviluppare una varietà di nuovi servizi capaci di stimolare ulteriormente la crescita economica (si stima che “un aumento del 10% della copertura digitale potrebbe portare a un aumento di oltre l’1% del PIL africano”). Di conseguenza, le aziende IT europee potrebbero essere interessate ad investire nel mercato digitale africano.
Un primo passo verso la cooperazione digitale tra Unione Europea ed Unione Africana è stato raggiunto con la creazione del forum “Digital for Development Hub” (D4D). L’obiettivo di D4D consiste nel coordinare i progetti di innovazione e digitalizzazione tra Africa ed Europa, facilitando i dialoghi tra diversi stakeholders.
Similmente al D4D lo “European Union-African Union Digital Economy Task Force” (EU-AU DETF) si impegna nell’elaborare e realizzare iniziative per la digitalizzazione africana, coinvolgendo privati, istituti finanziari, donatori ed organizzazioni internazionali. L’economia digitale in Africa, sebbene sia ancora acerba, ha dimostrato le proprie potenzialità: nel 2016 ha rappresentato quasi il 7% del PIL africano (153 miliardi di dollari) nonostante solamente 250 milioni di persone avevano accesso ad internet. Ad oggi, con la cifra che ha superato 640 milioni, il settore ha dimostrato di poter diventare l’ennesima chiave per lo sviluppo del continente.
Sebbene l’accesso ad internet sia più che raddoppiato in meno di dieci anni, oltre la metà della popolazione africana non dispone dei mezzi per poter accedere nel web. La questione principale ruota torno alla carenza di infrastrutture per poter rendere ampiamente connettiva la rete informatica.
L’UE ha quindi trovato una prima soluzione nello sviluppo di fibre ottiche capaci di allacciare le reti africane al resto del globo. Ad oggi tre progetti portano avanti la realizzazione di una rete comune euro-africana:
- L’allargamento di “EllaLink”, fibra ottica che collega il Brasile all’Europa, passando per le sponde nordoccidentali africane (Senegal, Mauritania e Marocco);
- “Africa-1” (Figura 1), una rete di cavi sottomarini che si estende per 10000 km, dalla Francia fino a Sudafrica e Pakistan, costeggiando le sponde settentrionali ed orientali dell’Africa e intercettando praticamente tutti i Paesi costieri;
- “Medusa” (Figura 2), altro sistema di cavi sottomarini lungo oltre 8000 km che collega cinque paesi dell’UE nel Mediterraneo (Cipro, Francia, Italia, Portogallo e Spagna) con quattro paesi del Nordafrica (Algeria, Egitto, Marocco e Tunisia).
Similmente a quanto abbiamo visto nella transizione verde, anche nella transizione digitale i progetti europei risentono della vicinanza geografica con i Paesi dell’Africa mediterranea, i quali svolgono un ruolo centrale nelle tre reti di cavi sottomarini. Se sommiamo le reti internet a quelle elettriche e del gas, la regione del Nordafrica si rivelerebbe funzionalmente essenziale al futuro sviluppo energetico e digitale dell’Unione Europea.
Figura 1: la rete di cavi di Africa-1
Figura 2: la rete di cavi di Medusa
I principali ostacoli nel pieno raggiungimento degli obiettivi del Global Gateway
1. La repentina decarbonizzazione europea
Sebbene l’UE abbia concentrato gran parte delle risorse del Global Gateway africano nella transizione energetica, le politiche energetiche europee per il raggiungimento della neutralità carbonica continuano a minacciare il mercato del gas africano. Il gas rimane una risorsa fondamentale nell’export di molti Paesi africani e costituisce la prima risorsa energetica di facile reperibilità alternativa ai prodotti petroliferi, superando il primo step nel passaggio alle energie rinnovabili. D’altra parte, in Europa si sta cominciando a parlare di ridurre le forniture di gas nei prossimi decenni, con il rischio di impattare pesantemente nel mercato globale e conseguentemente nelle economie dei principali exporter africani.
Alcune recenti normative europee sono state dei campanelli d’allarme per i principali partner commerciali africani. Con il “Meccanismo di Adeguamento del Confine sul Carbonio” (CBAM), l’UE si è avvalsa di uno strumento per tassare i beni importati in base a quanto carbonio è stato emesso durante la produzione. Sebbene l’iniziativa europea cerca di promuovere l’acquisto di beni da produzioni industriali più pulite, il CBAM sta pesantemente gravando sui commerci con l’industria africana, la quale si avvale ancora delle tradizionali fonti energetiche.
In una intervista ad Ellen Davies, autrice presso l’ “African Climate Foundation”, emerge l’incongruenza della strategia europea nel finanziare progetti per la produzione di gas in Africa e, allo stesso tempo, la volontà di disincentivare l’importazione di beni altamente inquinanti:
“(I Paesi africani) Avranno investito molto nello sviluppo di nuove risorse e saranno poi penalizzati dall’Europa attraverso il CBAM per l’uso del gas naturale. Perché anche se saranno poi in grado di utilizzare le risorse a livello nazionale, il commercio tra Paesi sarà influenzato da restrizioni che impongono dazi aggiuntivi sulla produzione intensiva di carbonio“.
2. Aree di crisi: Sahel e Corno d’Africa
L’attuale crisi geopolitica del Sahel e del Corno d’Africa minaccia il compimento di numerosi progetti finanziati dall’UE. La serie di colpi di Stato nell’Africa Occidentale iniziata nel 2020 e gli attuali attacchi delle milizie Houthi contro le navi commerciali lungo le coste del Golfo di Aden hanno rimesso in luce la fragilità politica del continente africano. L’intera regione del Sahel rimane infatti uno snodo cruciale nelle relazioni economiche e commerciali tra l’Africa subsahariana, l’Africa mediterranea e, di conseguenza, l’Europa.
Le giunte militari in Mali, Burkina Faso, Niger e Chad si sono da subito contrapposte alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), impattando negativamente nel processo di integrazione economica regionale. Proprio perché questa regione si trova nel mezzo del continente, ciò influenza il processo di integrazione economica africana nel suo complesso, con conseguenze anche sui rapporti commerciali con l’UE.
3. La crescente influenza cinese e russa in Africa
L’Unione Europea non è la sola potenza interessata al raggiungimento di partnership strategiche con l’Africa: Cina e Russia si confermano altri due grandi attori sulla scena geopolitica del continente, i quali pongono importanti sfide nella competizione per le risorse africane.
La Cina, con la progettazione della nuova Via della Seta, ha finanziato notevoli progetti (in quasi tutti i Paesi africani) finalizzati alla costruzione di infrastrutture che potessero facilitare il commercio intercontinentale. La potenza asiatica di fatto si contrappone all’UE nelle politiche di sviluppo dei Paesi africani, riallacciandosi alle promesse della Conferenza di Bandung del 1955, dove venne da subito chiarita la posizione di non interferenza politica in Africa, contrariamente a quanto fatto dalle potenze europee nel corso dei secoli precedenti.
Per quanto riguarda la Russia, la sua presenza non si è basata sulla pianificazione di progetti finanziari per lo sviluppo del continente, quanto piuttosto al supporto militare nelle zone di conflitto. Già nel corso della seconda guerra civile in Libia la Russia ha dimostrato le proprie capacità diplomatiche: da una parte, ha sostenuto politicamente e militarmente il governo del maresciallo Khalifa Haftar, a capo dell’Esercito Nazionale Libico (LNA); dall’altra, ha esercitato un ruolo di mediatore insieme alla Turchia nel corso del conflitto, partecipando attivamente nelle trattative di pace tra le diverse fazioni libiche.
Con la fioritura dei regimi militari in Sahel, la Russia ha approfittato dei risentimenti antioccidentali promossi dai leader africani, stringendo accordi militari e inviando alcuni contingenti. Infatti, fino al 2023 era ben nota la presenza del gruppo di mercenari russo “Wagner” in Mali, Libia, Repubblica Centrafricana e Sudan. Tuttavia, con la morte del leader Yevgeny Prigozhin, sembrerebbe che il regime di Putin abbia preso le redini del comando, trasformando il gruppo paramilitare nel “Corpo Africano”, con l’obiettivo di assistere i Paesi del Sahel nella lotta ai gruppi jihadisti.
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