IL RUOLO DELL’UNIONE AFRICANA ALL’INTERNO DEL G20: TRA VECCHIE E NUOVE SFIDE

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di Gabriella Agyei

Il 9 settembre 2023 il presidente dell’India Narendra Modi, ha annunciato la promozione dell’Unione Africana (UA) a membro permanente del G20 convocando ufficialmente il presidente delle Isole Comoros Azali Assoumani (attualmente alla presidenza dell’Unione Africana) a prendere posto al tavolo dei leader. Il G20 è il foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo e fino ad allora l’UA era considerata come “un’organizzazione internazionale invitata”, mentre ora diventa il secondo blocco regionale, ottenendo lo stesso status dell’Unione Europea. La sua promozione conferma l’intenzione dei leader del Continente di ritagliarsi un ruolo importante all’interno dello scenario geopolitico mondiale e prendersi un posto al tavolo dei potenti, rafforzando le richieste e i bisogni delle economie in via di sviluppo.

Ma quali cambiamenti potrebbe portare la promozione di tale organizzazione all’interno dello scenario geopolitico internazionale?

Storia, missione e struttura

Nel maggio 1963, trentadue capi di Stati africani si riunirono ad Addis Abeba in Etiopia per firmare la Carta che creava la prima istituzione continentale africana post-indipendenza, l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA). L’OUA rappresentava la concretizzazione della visione panafricana di un’Africa unita, libera, decolonizzata e in controllo del proprio destino. Tale visione e missione vennero solennizzate nella Carta dell’OUA in cui i padri fondatori riconoscevano che la libertà, l’uguaglianza, la giustizia e la dignità erano essenziali obiettivi per il raggiungimento delle legittime aspirazioni dei popoli africani. La Carta sanciva, inoltre, la necessità di promuovere la fratellanza e la solidarietà tra le diverse eredità culturali, etniche e nazionali del continente, incoraggiando quindi la cooperazione tra gli Stati africani in un’unità più ampia che trascendesse le aspirazioni etniche e differenze nazionali. Il cuore del processo era incentrato sull’idea di ubuntu (socialismo africano), promotrice di unità e riconoscimento del patrimonio culturale comune all’Africa. Essendosi sviluppata nel pieno della decolonizzazione, l’atto costitutivo dell’OUA rimarcava il principio di non-ingerenza e di inviolabilità territoriale, limitando quindi il potere di intervento a livello regionale nella risoluzione dei conflitti.

Con l’emergere del dibattito sulla necessità di strumenti per far fronte alle nuove sfide globali degli anni ’90, nel 1999 venne firmata la Dichiarazione di Sirte, che sanciva l’evoluzione dell’OUA, rinominata Unione Africana (UA). La nuova organizzazione, lanciata ufficialmente il 9 luglio del 2002 a Durban in Sudafrica, nacque dall’unanime consenso sul bisogno di ricalibrare le priorità dell’istituzione e spostarle dalla lotta per la decolonizzazione a un piano di crescita e sviluppo dell’economia del continente attraverso l’integrazione e la cooperazione, sostenendo attivamente gli Stati africani nel contesto dell’economia globale. Ad oggi l’UA riunisce i 55 Stati del continente e, mossa dalla missione di rappresentare l’Africa come potenza dinamica nell’arena globale, opera per difenderne gli interessi davanti alla comunità internazionale.

Gli organi principali attraverso cui opera l’UA sono l’Assemblea (organo supremo che comprende i leader degli Stati membri), il Consiglio Esecutivo (attività di supporto all’Assemblea), la Commissione (che svolge funzione di segretariato), il Parlamento Panafricano (con il compito di assicurare la piena partecipazione dei popoli africani allo sviluppo e all’integrazione economica del continente) e il Comitato Economico, Sociale e Culturale (organo consultivo composto da organizzazioni della società civile).

Nel 2013 venne firmata dagli Stati membri dell’Organizzazione la cosiddetta “Agenda 2063: The Africa We Want”, un documento ufficiale il cui contenuto porta avanti una traiettoria di crescita nell’arco temporale di cinquant’anni e incorpora strategie in grado di stimolare la crescita economica e lo sviluppo del Continente. La stesura e firma di questo documento rappresentava la speranza di raggiungere un vero e proprio Rinascimento africano. Tra gli obiettivi dell’Agenda:

  • L’aumento della pace e la riduzione dei conflitti;
  • Una rinnovata crescita economica e un costante progresso sociale;
  • La necessità di uno sviluppo in cui le persone sono al centro;
  • L’uguaglianza di genere e l’emancipazione dei giovani;
  • L’adattamento a nuovi contesti globali portati dalla globalizzazione e dalla rivoluzione informatica;
  • Una maggiore unità tale da rendere l’Africa una potenza globale non più da sottovalutare e capace di raccogliere consensi attorno ai propri obiettivi;
  • La spinta alla crescita verso nuove opportunità emergenti di sviluppo e l’investimento in settori come l’agribusiness, le infrastrutture, la salute, l’istruzione e le materie prime di cui l’Africa è ricca.

Iniziative e limiti dell’Unione Africana

Nonostante nel quadro di sviluppo socioeconomico del continente portato avanti dall’Agenda 2063 ci sia il raggiungimento di un’Africa stabile e sicura in cui i conflitti vengono prevenuti e la pace attivamente promossa, la situazione che si dispiega ad oggi è ben lontana da quella auspicata. Il ruolo dell’Unione Africana nel mantenimento della pace è sottoposto a diverse difficoltà, tra le quali la mancanza di un agency forte in grado di intervenire attivamente in momenti di instabilità nelle regioni. Nobili intenzioni a parte, a dieci anni dall’implementazione dell’Agenda il contesto economico, politico e sociale in gran parte degli Stati africani rimane instabile. Uno sguardo alla regione del Sahel rende evidente le difficoltà dell’Organizzazione nell’intervento e nella prevenzione di conflitti.

L’Unione Africana detiene un limitato livello di influenza nelle decisioni politiche dei diversi Stati del continente e nel Sahel in particolare. La situazione di instabilità nella regione è caratterizzata da un aumento della desertificazione a causa del cambiamento climatico, aumento di criminalità transfrontaliera, incremento di attacchi terroristici e la conseguente presenza elevata di sfollati costretti a vivere in campi di rifugio. Il legame tra terrorismo, traffico di droga e criminalità transfrontaliera conferisce capacità di rigenerazione ai gruppi terroristici e criminali armati, e nonostante l’intenzione dell’Unione Africana di tenere fede alla sua missione primaria di promozione di pace, sicurezza e sviluppo nel Continente, i gruppi terroristici approfittano della debolezza endemica delle istituzioni nazionali e sovranazionali, dimostrando abilità di facile rigenerazione. L’Unione Africana utilizza le missioni di pace come strumento per intervenire nelle situazioni di instabilità, adoperando strategie basate su tre obiettivi: governance, sicurezza e sviluppo, molto spesso collaborando con organizzazioni internazionali quali l’ONU. Una di queste missioni era l’African Union Mission for Mali and Sahel, lanciata nel 2014 in risposta alla situazione di incertezza scatenata dal colpo di Stato militare in Mali.

Con la recente ondata di autocratizzazione che da tre anni a questa parte porta i militari al potere in diversi paesi del Continente, l’Unione Africana ha avuto difficoltà a prendere decisioni forti a scopo di intervento. Gli ultimi colpi di Stato, in particolare, avvenuti in Niger lo scorso 26 luglio e in Gabon il 30 agosto, oltre ad aver aumentato l’apprensione delle democrazie occidentali, hanno portato anche alla preoccupazione della Comunità Economica dell’Africa Occidentale (ECOWAS). Mentre quest’ultima, però, si è attivata minacciando l’intervento militare nell’eventualità che la giunta del Niger non ripristinasse le istituzioni democratiche liberando il presidente eletto Mohammed Bazoum, l’Unione Africana ha mantenuto un ruolo marginale. Oltre ad averne sospeso l’adesione, infatti, si è limitata a rilasciare un comunicato nel quale condannava l’azione portata avanti dai militari, con un modus operandi usato anche in seguito ai precedenti colpi di Stato nel Continente (l’unico Stato a non essere stato espulso in seguito alla presa di potere dei militari è il Ciad, che rimane un cruciale alleato nella lotta al terrorismo)

Sempre l’Organizzazione panafricana ha lanciato iniziative di sviluppo dell’agricoltura e delle infrastrutture, collaborando con i diversi governi della regione per migliorare gli accessi all’istruzione e alla salute. Tali iniziative vengono portate avanti con l’intenzione di intervenire direttamente sulle problematiche strutturali della regione, tra cui la mancanza o scarsità di infrastrutture, il basso livello di istruzione e gli effetti del cambiamento climatico su agricoltura e allevamento. Queste azioni seppur siano critiche e necessarie per affrontare i problemi socioeconomici che attanagliano il Sahel e che contribuiscono alla creazione di un ambiente che permette il proliferarsi di sentimenti antisistema e favoreggiamenti al terrorismo, non riescono a produrre effetti concreti a causa dell’inabilità dell’UA di agire come organizzazione stabile e forte.

La sfida principale al peacekeeping panafricano è rappresentata dalla mancanza di sufficienti risorse economiche. Il principale strumento finanziario utilizzato dall’Unione è il “Fondo per la Pace”, capace però di coprire solo il 25% delle operazioni di pace dell’UA, questo a causa dell’inattendibilità degli Stati membri, dei quali solo il 40% paga i suoi contributi all’Organizzazione. Questa mancanza di fondi li costringe ad essere legati ad organizzazioni esterne per il restante 75% e paralizza gran parte delle iniziative, costringendo l’Unione africana a dipendere dai suoi principali finanziatori: ONU, Unione Europea e Cina (la quale si è offerta di costruire la sede centrale dell’AU ad Addis Abeba, in Etiopia). L’Unione Europea, in particolare, con l’istituzione del Fondo per la Pace nel 2021, ha la possibilità di saltare la mediazione dell’Unione Africana nel lanciare iniziative, minandone ancora di più l’autonomia e l’efficacia delle operazioni militari già attive.

Un ulteriore sfida alle capacità decisionali dell’Organizzazione panafricana sta nel ruolo ricoperto dalle RECs, ossia le Comunità Economiche Regionali, organizzazioni politico-economiche che raggruppano i Paesi del continente in otto subregioni. Stabilire l’esatta suddivisione delle competenze delle organizzazioni regionali e l’autorità dell’Unione africana, soprattutto per questioni di pace e sicurezza, si rivela complicato, specialmente a causa del principio di sussidiarietà sancito dal Protocollo che istituisce il Consiglio di Sicurezza e di Pace, il quale (nonostante assegni responsabilità primaria all’UA) garantisce un rilevante livello di autonomia alle RECs.

La promozione a membro permanente del G20: nuove opportunità

Il Gruppo dei Venti (G20) è da tempo riconosciuto come il foro chiave per la governance economica globale, che riunisce 20 delle economie più avanzate e rappresenta il 75% del PIL mondiale. Nato inizialmente con lo scopo di offrire una piattaforma informale nella quale discutere di cooperazione economica internazionale, il G20 si è trasformato in un foro in cui vengono elaborate politiche pubbliche che affrontino le sfide economiche contemporanee. L’Unione Africana, rimasta a lungo senza un posto al tavolo delle decisioni, ha assunto nel corso degli anni un ruolo passivo di fronte alle discussioni che riguardano il futuro economico del Continente, limitandosi a ricevere le decisioni prese. Proprio per questo la sua recente promozione a membro permanente del G20 fa sorgere domande sul futuro dell’Organizzazione: cosa implica tale promozione? In quale misura saranno impattate le dinamiche interne e geopolitiche mondiali nel prossimo futuro?

L’inclusione nel G20 di un continente con una popolazione giovane di 1,3 miliardi di abitanti, che si prevede raddoppierà entro il 2050 e rappresenterà un quarto della popolazione mondiale, segnala la sua crescente importanza. Da anni i leader dei 55 Stati membri dell’Unione Africana si battono per ottenere ruoli più significativi all’interno delle organizzazioni internazionali che hanno storicamente rappresentato il nuovo ordine mondiale post Seconda Guerra Mondiale e la nuova ondata di attenzione politica ed economica verso l’Africa le ha dato la possibilità di reclamare un posto al tavolo dei potenti.

L’inclusione dell’UA rappresenta per il G20 l’opportunità di avere all’interno del proprio gruppo un continente del Sud globale che presenta la più larga area di commercio libero al mondo, ciò dà un significativo boost al numero di economie rappresentate nel Foro. Il Gruppo degli oramai 21 rappresenta 100 Stati, dei quali 19 sono indipendenti e 82 sono all’interno dei due blocchi regionali: l’Unione Europea e la neo-accolta Unione Africana. Consapevoli di detenere il 60% delle risorse rinnovabili mondiali e oltre il 30% dei minerali cruciali per l’adozione di tecnologie sostenibili, i leader africani da anni denunciano la frustrazione nel vedere le proprie risorse estratte da entità esterne che ne raccolgono i benefici altrove e per questo chiedono maggiori programmi di industrializzazione all’interno dell’Africa stessa, con l’obiettivo di massimizzare il profitto interno. Con l’ottenimento dello status di membro permanente l’UA ha modo di presentare le sue richieste ai diretti interessati e interagire con le potenze mondiali occidentali in quanto membro dotato dello stesso spessore e della stessa rilevanza.

Per diventare un contribuente attivo all’interno dei processi di decision-making del G20 su argomenti di natura economica o di governance globale è importante che l’Unione Africana si assicuri di presentare un fronte coeso e di portare al tavolo un’unica voce: quella dell’Africa intera. Avere una politica estera omogenea può rappresentare una grande sfida per l’UA che, al contrario dell’Unione Europea, rappresenta un continente vasto e variegato culturalmente, politicamente e soprattutto economicamente. Trovare una posizione comune tra una potenza economica quale la Nigeria e uno degli Stati più poveri al mondo, il Burundi, richiede forte spirito di collaborazione e la presenza di una leadership stabile. Questa stabilità però manca a causa del meccanismo di rotazione annuale della presidenza, che impedisce all’Unione Africana di avere la stabilità necessaria per trasmettere fiducia alla comunità internazionale. Considerando l’enormità della richiesta di un ruolo attivo, l’UA deve lavorare per trovare strategie che le permettano di sfruttare al meglio l’opportunità presentata e valutare le sue capacità, sia a livello di Commissione e di Stati membri che a livello di rappresentanza all’interno del G20, questo in modo da assumersi pienamente la nuova e pesante responsabilità che l’adesione al Foro porta con sé. Oltre agli organi dell’UA, occorre sfruttare efficacemente anche il ruolo della Comunità economica per l’Africa delle Nazioni Unite, della Banca africana di sviluppo e delle organizzazioni di ricerca politica.

Nonostante sembri una grande sfida quella di conciliare le visioni e le opinioni di un continente di 55 Stati, i leader africani hanno già dimostrato di essere pronti a portare avanti azioni collettive. L’architettura globale del finanziamento dello sviluppo e della sanità ha, storicamente, escluso la voce dell’Africa da decisioni importanti. I Paesi del G20, durante la pandemia di Covid-19, hanno acquistato gran parte dei vaccini disponibili, i leader africani, però, presentando fronte comune e denunciando l’accumulo dei vaccini da parte delle nazioni occidentali, hanno collaborato intensivamente per procurarsi collettivamente una notevole quantità di rifornimenti per il continente. Ciò dimostra che all’occorrenza, l’Unione Africana in quanto membro permanente del G20 può e deve portare una voce unica al tavolo del Foro. D’ora in poi l’UA deve dimostrare impegno attivo per presentarsi con la stessa autorevolezza delle potenze occidentali, sia nelle decisioni di salute globale che impattano direttamente il suo sviluppo, ma anche nelle decisioni economiche.

La riduzione del debito, infatti, è un importante obiettivo che dovrebbe essere perseguito da parte dell’UA ora che si trova allo stesso tavolo dei suoi creditori. Con 23 Stati africani sommersi dai debiti e a rischio di default, l’Organizzazione panafricana ha la possibilità di presentare le proprie richieste all’interno di uno spazio che la pone allo stesso livello delle potenze occidentali. Ciò significa che ottiene uno strumento in più per raggiungere un compromesso che porti alla riduzione o eliminazione dei debiti contratti dai diversi Paesi.

L’impatto complessivo della promozione dell’UA a membro permanente del G20 è potenzialmente positivo, riflette infatti un approccio più inclusivo ed equilibrato alla governance globale, dando voce al continente africano e alla sua vasta gamma di nazioni e sfide sulla scena internazionale. Il G20, tradizionalmente dominato dalle nazioni economicamente più avanzate del mondo e da tempo accusato di servire solamente agli interessi del Nord globale, con la presenza dell’UA incentiva un aumento della collaborazione tra Stari a livello internazionale nell’affrontare sfide globali quali il cambiamento climatico, la povertà, i conflitti e il terrorismo. L’Organizzazione panafricana, che si trova ad affrontare queste questioni dal momento della sua fondazione, diventando membro attivo del Gruppo dei Venti potrà contribuire a discussioni e strategie più complete per affrontare le sfide condivise, affinché questo avvenga in maniera efficiente però, dovrò impegnarsi per portare avanti un fronte coeso che rappresenti gli interessi dell’Africa intera.

Gabriella Agyei è una studentessa di Scienze Politiche presso l’università di Bologna. In qualità di collaboratrice del CeSE-M Centro Studi Eurasia E Mediterraneo si occupa di Africa Sub-sahariana.

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