di Giulio Chinappi
La guerra d’invasione dell’entità sionista ai danni della Palestina prosegue ininterrotta dal 1948, al contrario di quello che vogliono far credere i media occidentali, che si ricordano del conflitto solo quando le vittime sono israeliane.
Secondo la propaganda mediatica occidentale, da sempre in grande maggioranza filosionista, il 7 ottobre gli improvvisi attacchi di Ḥamās (Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, ovvero Movimento Islamico di Resistenza) avrebbero aperto un nuovo conflitto tra Israele e Palestina. Nulla di più falso, visto che la guerra condotta dall’entità sionista contro quello che resta dello Stato palestinese prosegue ininterrotta dal 1948, ovvero dalla fondazione stessa di Israele, che da allora non ha fatto altro che continuare ad allargare i propri confini e ad occupare nuovi territori, in barba a tutti gli accordi internazionali.
Secondo le Nazioni Unite, infatti, il conflitto israelo-palestinese ha avuto inizio nel 1948 e da allora non ha mai fatto registrare vere e proprie interruzioni, sebbene vi sia stata certamente un’alternaza tra periodi di relativa tregua e nuove escalation della crisi. Di conseguenza, far credere che Ḥamās abbia improvvisamente lanciato un attacco contro l’entità sionista rappresenta una vera e propria bufala, visto che il popolo palestinese continua a subire le angherie della potenza occupante senza soluzione di continuità, anche quando i media fanno finta di non accorgersene.
Se prendiamo in considerazione i dati ufficiali delle Nazioni Unite, a metà agosto il numero di palestinesi uccisi dalle truppe israeliane nel solo anno 2023 aveva già superato quota 200, facendo segnare un record dal 2005. La repressione imposta dal governo di ultradestra guidata da Benjamin Netanyahu, infatti, ha ulteriormente stretto la morsa attorno ai territori palestinesi, rendendo la reazione di Ḥamās tutt’altro che sorprendente. Di fronte ai dati delle vittime palestinesi, qualsiasi analista serio sarebbe stato in grado di prevedere una reazione, visto che a dare il via all’escalation non è stato il Movimento Islamico, ma la stessa entità sionista che ora recita il ruolo della vittima.
“La mancanza di progressi verso un orizzonte politico che affronti le questioni fondamentali che guidano il conflitto ha lasciato un vuoto pericoloso e instabile, riempito da estremisti da entrambe le parti”, aveva dichiarato al Consiglio di Sicurezza Tor Wennesland, inviato diplomatico delle Nazioni Unite in Medio Oriente, lo scorso mese di agosto. Lo stesso Wennesland aveva aggiunto che la continua espansione degli insediamenti illegali israeliani, la demolizione di case palestinesi da parte di Israele, le operazioni delle forze israeliane nelle aree occupate della Cisgiordania sotto il controllo amministrativo palestinese e gli attacchi dei coloni israeliani ai villaggi palestinesi erano da individuare come le cause principali dell’escalation.
Allo stesso tempo, i palestinesi hanno guardato con orrore al processo di normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e diversi Paesi arabi che in passato avevano risolutamente sostenuto la loro causa. La possibilità di uno storico accordo diplomatico tra Israele e Arabia Saudita, in particolare, anziché portare stabilità nella regione, come avevano previsto molti osservatori occidentali, sia per ingenuità che per malafede, ha invece dato un motivo in più ad Ḥamās per mettere in pratica questa operazione che ha di fatto congelato ogni tipo di possibile accordo tra Tel Aviv e Riyadh.
Far passare il tutto come un’improvviso colpo di testa della dirigenza di Ḥamās, dunque, non è altro che becera propaganda filosionista, volta ad ignorare i crimini che Israele ha commesso e continua a commettere quotidianamente dalla sua fondazione ad oggi. Bisogna infatti ricordare che l’entità sionista presenta tutte le caratteristiche di un regime di apartheid, come hanno denunciato numerosi rapporti, una “brutale dittatura”, come l’ha giustamente definita il professor Alessandro Orsini, facendo andare in preda ad attacchi di tarantolismo i sionisti di casa nostra. “Il problema della guerra in Palestina si risolve con il ritiro immediato e senza condizioni di Israele da tutti i territori occupati”, ha giustamente scritto Orsini attraverso i social network.
La realtà è che, ancora una volta, le scelte dei governi non sono affatto in sintonia con il sentire dei popoli. In tutto il mondo si stanno infatti svolgendo grandi manifestazioni di sostegno alla causa palestinese, mentre i governi occidentali continuano a dare il proprio appoggio incondizionato al regime sionista. Persino in molte città degli Stati Uniti, come a New York, le bandiere palestinesi sono state sventolate nelle strade chiedendo la fine del massacro che Israele porta avanti sin dalla sua fondazione contro quel popolo, mentre i mass media filosionisti si stracciano le vesti sono per le vittime israeliane, regalando come al solito una visione della realtà rovesciata, e inculcando nel pubblico l’amore per il carnefice e l’odio per la vittima.
Il CeSE-M sui social