La Cina combatterà fino alla fine per il nuovo ordine multipolare

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di Stefano Vernole (Vicepresidente Centro Studi Eurasia e Mediterraneo)

“La Cina non vuole combattere guerre commerciali e sui dazi, ma non si tirerà indietro quando scoppierà una guerra commerciale e tariffaria”.

“La Cina non vuole combattere guerre commerciali e sui dazi, ma non si tirerà indietro quando scoppierà una guerra commerciale e tariffaria”. Queste le prime dichiarazioni del portavoce del Ministero degli Esteri cinese Lin Jian durante una conferenza stampa di routine in risposta a una domanda sull’imposizione da parte degli Stati Uniti di tariffe del 125% sui prodotti cinesi importati.

Lin ha affermato che l’uso dei dazi come arma da parte degli Stati Uniti per esercitare pressioni e perseguire interessi egoistici ha violato gravemente i diritti e gli interessi legittimi di tutti i Paesi. Sottolineando che nessuno vince nelle guerre commerciali e tariffarie, Lin ha aggiunto che la Cina non resterà a guardare mentre vengono violati i diritti e gli interessi legittimi del popolo cinese e mentre le regole economiche e commerciali internazionali e il sistema commerciale multilaterale vengono indeboliti: “Se gli Stati Uniti insistono su una guerra tariffaria e commerciale, la Cina combatterà fino alla fine”, aggiungendo che gli Stati Uniti antepongono i propri interessi a quelli della comunità internazionale e sacrificano gli obiettivi naturali di altri Paesi per recuperare l’egemonia, il che inevitabilmente incontrerà una forte opposizione a livello globale.

Per chiarire la propria posizione di fronte alla strategia mercantilista ed unilateralista dell’Amministrazione Trump, lo scorso 9 aprile l’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato cinese ha pubblicato un Libro Bianco intitolato: “Posizione della Cina su alcune questioni riguardanti le relazioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti”.

Dall’inizio delle tensioni commerciali nel 2018, gli Stati Uniti hanno imposto dazi sulle esportazioni cinesi per un valore di oltre 500 miliardi di dollari e hanno costantemente implementato politiche volte a contenere e reprimere la Cina. Di recente, gli U.S.A. hanno imposto dazi aggiuntivi su larga scala sui prodotti cinesi, tra cui tariffe aggiuntive che adducevano come pretesto la questione del fentanyl, “dazi reciproci” e un aumento del 50% su quelli esistenti.

Queste misure, che rivelano la natura isolazionista e coercitiva della condotta degli Stati Uniti, sono in contrasto con i principi dell’economia di mercato e del multilateralismo e avranno gravi ripercussioni sulle relazioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti, afferma il Libro bianco. Secondo il documento, in risposta alle mosse degli Stati Uniti, la Cina ha adottato forti contromisure per difendere i propri interessi nazionali e si è impegnata a risolvere le controversie attraverso il dialogo e la consultazione, con diversi cicli di consultazioni con la parte statunitense per stabilizzare le relazioni economiche e commerciali bilaterali.

La parte cinese ha sempre sostenuto che le relazioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti sono reciprocamente vantaggiose e mutualmente benefiche. Essendo due Paesi importanti in diverse fasi di sviluppo e con sistemi economici distinti, è naturale che Cina e Stati Uniti abbiano divergenze e attriti nella loro cooperazione economica e commerciale. È fondamentale rispettare i reciproci interessi fondamentali e le principali preoccupazioni, trovare soluzioni adeguate e risolvere i problemi attraverso il dialogo e la consultazione, secondo il documento [1].

Per capire la fermezza della Cina di fronte alla guerra commerciale di Trump, bisogna ricordare che dal 2010 al 2023 il salario medio urbano in Cina è quasi triplicato, passando da 36.539 a 120.698 yuan. Questo continuo aumento dei salari è il motore dello sviluppo, non delle esportazioni, che sono passate dal 30% al 20% del PIL (contro ad esempio il 47% della Germania e il 44% della Corea del Sud). La Cina si colloca al 159° posto su 195 Paesi al mondo per quanto riguarda l’importanza delle esportazioni rispetto al suo PIL, il 19,74% per l’esattezza, rispetto a una media mondiale del 29,27%. Se le esportazioni rappresentano circa il 20% del PIL cinese, il 65% di tale quantità è prodotto da aziende nazionali. Di questo totale, solo il 20% è destinato al mercato statunitense; le esportazioni delle aziende cinesi verso gli USA rappresentano quindi lo 0,2 x 0,2 x 0,65 = 2,5% del PIL cinese.

La Cina sarà ancora più resistente ai dazi di Trump man mano che esporta sempre più nei Paesi emergenti: questo è il vero motivo per cui gli Stati Uniti cercano da anni di disaccoppiare le due economie e costringere le nazioni del Sud globale ad effettuare una scelta tra Pechino e Washington.

Se osserviamo anche solo le stime della Banca Mondiale, né il NAFTA né l’adesione della Cina al WTO hanno avuto praticamente alcun impatto sulla quota di occupazione del settore manifatturiero negli Stati Uniti che ha semplicemente continuato la stessa tendenza al ribasso in atto fin dall’inizio degli anni ‘50. Se il problema è che gli Stati Uniti stanno perdendo il loro vantaggio competitivo nel settore manifatturiero avanzato e nelle industrie emergenti (come in effetti sta accadendo), allora l’ultima cosa che dovrebbero fare è adottare l’attuale politica di tariffe autarchiche. Nessun Paese attualmente all’avanguardia nel settore manifatturiero avanzato – né Cina, né Germania, né Corea del Sud – ha raggiunto questo obiettivo attraverso i dazi. Ciò è stato possibile grazie a investimenti pazienti e costanti nell’istruzione, nelle infrastrutture, a un massiccio sostegno pubblico alla ricerca e sviluppo, a una politica industriale a lungo termine e altro ancora.

Invece di “farsi prendere dal panico”, come insinuato da Trump, la Repubblica Popolare Cinese ha risposto con calma e fermezza, utilizzando un suo fondo sovrano garantito dalla Banca centrale di Pechino per sostenere i corsi azionari e l’economia, evitando un crollo borsistico come successo invece in Occidente.

La Cina è riuscita a ridurre la sua dipendenza dal mercato statunitense: le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite dal 19,2% nel 2018 al 14,7% nel 2024, a beneficio dell’ASEAN e dei Paesi della B.R.I. (rispettivamente il 16,4% e il 47,8% esportato dalla Cina). L’85% delle società esportatrici cinesi effettua vendite anche sul mercato interno, pari al 75% del loro fatturato. L’aumento delle tariffe doganali rappresenta quindi un ulteriore incentivo a scommettere sulla crescente domanda interna. Esso rappresenta anche un’opportunità strategica per la Cina, poiché giustifica il suo nuovo modello di sviluppo basato sull’autonomia tecnologica, come dimostrano i successi già ottenuti nell’Intelligenza Artificiale o nei robot umanoidi.

Tutto ciò fa apparire la Cina come una grande potenza responsabile, al contrario degli Stati Uniti, la cui politica aggressiva sconvolge l’economia mondiale. La Repubblica Popolare Cinese si colloca come alternativa alla strategia dell’incertezza di Trump e si propone come faro della stabilità economica mondiale, un luogo sicuro dove poter investire e creare innovazione.

Da questo punto di vista, Pechino non solo sta stringendo maggiormente i legami con le economie vicine ma compie un appello a quello che resta dell’Europa in nome del multipolarismo e della governance globale su un piano di parità.

Mentre Washington annuncia un forte aumento delle spese militari che verranno innalzate ad un tetto record di 1.000 miliardi di dollari, Pechino risponde spronando ad utilizzare ancora di più lo yuan digitale nel commercio con i 10 Paesi dell’ASEAN e 6 nazioni del Medio Oriente: un forte incentivo ad accelerare la dedollarizzazione negli scambi internazionali.

NOTE AL TESTO

[1] The State Council Information Office of the People’s Republic of China, China’s Position on Some Issues Concerning China-US Economic and Trade Relations, Xinhua agency, Pechino, 9 aprile 2025.

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