Dall’Argentina peronista al neoliberismo estremo di Milei – Un secolo di trasformazioni politiche

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di Alessandro Nistri

Il 19 novembre 2023 Javier Milei vince – a sorpresa- le elezioni presidenziali in Argentina con il 55,65% delle preferenze, sconfiggendo al ballottaggio il peronista Sergio Massa. Da quel momento il presidente argentino ha fatto molto spesso parlare di sé, non solo per le sue idee politiche radicali, ma anche per i suoi atteggiamenti controversi e fuori dai canoni politici tradizionali. Ma come si è passati da una politica peronista, estremamente interventista e con un ruolo centrale dello stato, ad uno sfrenato liberismo – definito dai media ultraliberismo?

  1. Dal peronismo al liberalismo

Qui diventa imprescindibile fare un passo indietro, ripercorrendo brevemente la recente storia politica argentina. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Argentina stava vivendo un momento di grande espansione economica, dovuta principalmente alle relazioni commerciali con i paesi coinvolti nel conflitto, gettando di fatto le basi necessarie per l’affermazione del programma politico di Juan Domingo Perón – da cui peronismo. Tale ideologia si fondava su tre principi cardine: indipendenza economica e politica dalle potenze straniere, aumento dei salari per i lavoratori e giustizia sociale. La realizzazione di questi ideali, però, ha comportato anche un crescente accentramento del potere nell’unica figura di Perón, ed un progressivo autoritarismo nei confronti dei media e delle opposizioni politiche.

Nei decenni successivi, il movimento peronista si è frammentato in diverse correnti, dando origine a una divisione tra fazioni più conservatrici e altre di orientamento progressista. Nel 2003, Néstor Kirchner si distacca dal partito tradizionale e vince le elezioni presidenziali, inaugurando l’era del kirchnerismo. Questa variante del peronismo si distingue per una forte impronta anti-liberale, un’attenzione prioritaria ai diritti umani e una politica sociale ed economica estremamente interventista.

Durante la presidenza di Kirchner, il governo attua una serie di nazionalizzazioni e introduce misure economiche mirate a redistribuire la ricchezza, favorendo una significativa crescita dell’economia nazionale. L’aumento dei salari e il miglioramento delle condizioni di vita consolidano un ampio e duraturo consenso attorno alla sua figura. Tuttavia, con il passare degli anni, il modello kirchnerista entra in crisi: l’economia rallenta, la disoccupazione cresce e la povertà torna ad aumentare, alimentando un diffuso malcontento popolare.

Infine, la cattiva gestione della pandemia segna un punto di svolta negativo per il governo, accentuando la percezione di inefficienza e contribuendo a un drastico calo del consenso. Le restrizioni prolungate, la crisi economica aggravata e la mancanza di risposte efficaci alle nuove difficoltà del Paese minano definitivamente la credibilità del kirchnerismo e del peronismo più in generale, aprendo la strada a una nuova fase di instabilità politica in Argentina.

All’interno di questo complesso quadro politico e sociale arrivano le ultime elezioni del novembre 2023, in cui si sono sfidati Sergio Massa, candidato dell’alleanza peronista Uniòn por la patria, e Javier Milei, leader della coalizione di destra, conservatrice e ultraliberale, La Libertad Avanza.

Durante la campagna elettorale, il partito peronista UxP ha portato avanti una massiccia strategia di demonizzazione nei confronti di Javier Milei. Il candidato liberale è stato descritto come una minaccia per la democrazia, un estremista dai tratti autoritari e un pericolo per la stabilità del paese. La campagna di UxP ha puntato su una retorica del terrore, cercando di convincere l’elettorato che un’eventuale presidenza di Milei avrebbe condotto l’Argentina verso un periodo di instabilità e caos. Spot elettorali, dichiarazioni pubbliche e interventi mediatici di esponenti peronisti hanno enfatizzato il carattere anti-establishment di Milei, presentandolo come un politico imprevedibile e pericoloso per le istituzioni democratiche.

Tuttavia, questa strategia si è rivelata controproducente. Da un lato, la retorica allarmista non ha trovato piena credibilità in un contesto in cui il peronismo stesso ha perso la fiducia di una larga parte della popolazione, a causa della crisi economica e sociale in cui versa il paese. Dall’altro, il tentativo di delegittimare Milei ha finito per rafforzare la sua immagine di outsider, alimentando la percezione che fosse l’unico vero sfidante di un sistema corrotto e fallimentare. Invece di scoraggiare gli elettori, la campagna negativa di UxP ha indirettamente contribuito ad aumentare il consenso nei confronti del candidato libertario, spingendo molti cittadini, delusi dal peronismo, a votare per Milei nonostante le sue posizioni radicali.

1.2 Il linguaggio e la campagna elettorale

Dal canto suo, Javier Milei ha costruito la sua campagna elettorale su una narrazione fortemente in contrasto con il peronismo, presentandosi come l’unica alternativa possibile al sistema politico che, secondo lui, ha portato l’Argentina al disastro economico e sociale. Mentre il peronismo ha storicamente incarnato un modello di interventismo statale, con una forte spesa pubblica, sussidi e un ampio ruolo dello Stato nell’economia, Milei ha proposto una rottura netta con questa tradizione, adottando una retorica iperliberista che si è tradotta in proposte radicali come la privatizzazione delle aziende pubbliche, la riduzione drastica della spesa pubblica, la chiusura di ministeri considerati inutili e persino l’abolizione della Banca Centrale.

Uno degli elementi chiave della sua campagna è stato il linguaggio diretto e provocatorio, spesso condito da insulti contro l’élite politica, termine con cui ha di fatto definito ogni politico al di fuori della sua coalizione. L’attuale presidente argentino ha sfruttato la sua immagine di outsider e il suo carattere sopra le righe per differenziarsi dai candidati tradizionali, adottando comportamenti e dichiarazioni fuori dal comune, come urlare negli eventi pubblici, brandire una motosega come simbolo dei tagli alla spesa pubblica e attaccare apertamente giornalisti e istituzioni. Questo atteggiamento ha rafforzato la sua connessione con una parte dell’elettorato fortemente sfiduciata dalla politica tradizionale.

Un altro pilastro della sua strategia comunicativa è stata la forte presenza sui social media. Milei ha saputo sfruttare piattaforme come TikTok e X per raggiungere soprattutto un pubblico giovane, stanco delle promesse non mantenute delle classi dirigenti. I suoi sostenitori più accaniti, chiamati ironicamente mileístas, hanno creato una vera e propria fanbase digitale, diffondendo i suoi messaggi e attaccando chiunque lo criticasse. La sua strategia comunicativa ha combinato elementi di marketing politico populista con tecniche di engagement tipiche delle campagne di figure come Donald Trump e Jair Bolsonaro, puntando su messaggi semplici, emozionali e spesso polarizzanti.

Milei ha saputo intercettare il desiderio di cambiamento di un paese devastato da anni di crisi economica, inflazione fuori controllo e aumento della povertà. Più che un voto di adesione alle sue idee estreme, la sua vittoria è stata il risultato di un voto di protesta contro il peronismo, percepito da molti come il principale responsabile del declino argentino. Il crollo di credibilità della classe politica tradizionale, unito alla disperazione economica, ha spinto molti elettori a scegliere l’opzione più radicale disponibile, nella speranza di un cambiamento drastico. Milei ha saputo trasformare questa rabbia in consenso, presentandosi come l’unico in grado di “far saltare il sistema”, un messaggio che, in una situazione di grave difficoltà economica e sociale, è risultato estremamente efficace.

1.3 Come si concretizza l’ideologia ultraliberale nella società

L’ideologia di Javier Milei si fonda su un libertarismo radicale, con l’obiettivo di ridurre drasticamente l’intervento dello Stato nell’economia e favorire un libero mercato senza vincoli. Fin dalla campagna elettorale, ha promesso una svolta economica netta rispetto al passato, puntando su privatizzazioni, deregolamentazione e un forte ridimensionamento della spesa pubblica per combattere l’inflazione e attrarre investimenti esteri.

Dall’inizio del suo mandato, Milei ha avviato un’imponente campagna di austerità, attuando tagli senza precedenti alla spesa pubblica. I ministeri sono stati dimezzati, la Banca Centrale è stata abolita, e si è proceduto con una drastica riduzione dei sussidi statali, incluse le pensioni. Migliaia di dipendenti pubblici sono stati licenziati e sono state varate misure per liberalizzare il mercato e incentivare l’ingresso di capitali stranieri.

Queste politiche hanno portato ad un calo significativo del tasso di inflazione, che, pur rimanendo in crescita, si è abbassato molto rispetto al passato. Tuttavia, i costi sociali di queste riforme sono stati enormi: il ceto medio e i pensionati sono stati i più colpiti, vedendo il loro potere d’acquisto crollare a causa del continuo deprezzamento del peso e dell’aumento del costo della vita. Di conseguenza, il tasso di povertà ha raggiunto il 53%, segnalando una profonda crisi sociale che sta mettendo alla prova la tenuta del tessuto economico e politico argentino.

1.4 L’Argentina in Rivolta: Il Malcontento Crescente Contro le Politiche di Milei

Javier Milei è entrato in carica con un ampio consenso, alimentato non solo dalla sua retorica da outsider ma anche dal sostegno internazionale ricevuto da figure come Donald Trump e dalle destre ideologicamente affini, come l’attuale governo italiano. Fin dalla campagna elettorale, aveva messo le mani avanti dicendo che, prima che la situazione in Argentina migliorasse, sarebbero passati tempi più duri, giustificando così lo stringente programma di austerity e le riforme radicali. Tuttavia, a un anno e mezzo dal suo insediamento, il malcontento è cresciuto soprattutto tra il ceto medio, che aveva inizialmente costituito una parte significativa del suo elettorato e che, in questo momento, si è ritrovato colpito in prima persona dalle politiche ultraliberali del presidente.

Le attuali proteste in Argentina sono un chiaro segnale di questa disillusione collettiva. Studenti, lavoratori, pensionati e sindacati stanno riempiendo le piazze per esprimere il loro dissenso, denunciando non solo il peggioramento delle condizioni di vita, ma anche la mancanza di prospettive concrete per il futuro. Il presidente, che aveva costruito la sua immagine sulla rottura con il passato e sulla promessa di un’Argentina più libera ed economicamente forte, si trova ora a dover affrontare la dura realtà di un Paese sempre più impoverito e diviso, con un sostegno popolare che si sta erodendo rapidamente.

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