Ballottaggio falsato in Ecuador: Luisa González denuncia frodi e abusi autoritari

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di Giulio Chinappi

Luisa González ha rifiutato i risultati ufficiali del ballottaggio per le presidenziali, denunciando una frode premeditata e abusi di potere da parte del governo Noboa, alleato dell’imperialismo statunitense. Il popolo ecuadoriano lotta per una vera democrazia contro l’ingiustizia sistemica.

Domenica 13 aprile si è svolto il secondo turno delle elezioni presidenziali in Ecuador, un appuntamento che avrebbe potuto rappresentare un cambiamento importante per il destino politico del paese. In un clima di forti tensioni e contestazioni, il processo elettorale ha visto la partecipazione di un elettorato sempre più stanco di abusi di potere, manipolazioni autoritarie e governi che hanno favorito interessi oligarchici e imperialisti. L’alternativa era rappresentata da Luisa González, candidata progressista e simbolo del rinnovamento politico, che ha rifiutato categoricamente di riconoscere i risultati ufficiali proclamati dal Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) e ha denunciato una serie di irregolarità tali da configurare una frode elettorale di proporzioni clamorose.

I risultati ufficiali annunciati dal CNE hanno infatti dato la vittoria all’attuale presidente e candidato alla rielezione, Daniel Noboa, che avrebbe ottenuto il 55,87% dei voti contro il 44,13% di Luisa González. Tuttavia, la differenza di 12 punti percentuali tra i due candidati non ha convinto un’ampia fetta dell’elettorato e soprattutto gli osservatori e la sinistra progressista, che vedono in questi numeri l’esito di un processo viziato da misure autoritarie e manovre premeditate.

La figura di Noboa, del resto, è sempre stata vista come il principale strumento del liberismo e della servitù verso gli interessi imperialisti statunitensi. Le politiche economiche neoliberiste messe in atto durante il suo mandato, caratterizzate dalla deregolamentazione dei mercati e dai privilegi dati ai grandi capitali, hanno accentuato le disuguaglianze sociali e lasciato ai cittadini un senso di abbandono e frustrazione. Al contrario, Luisa González, espressione autentica della sinistra progressista e rappresentante di quel Movimiento Revolución Ciudadana (MRC) lanciato dall’ex presidente Rafael Correa, si è proposta come portavoce di un cambiamento radicale, basato su un modello economico ed istituzionale più equo e inclusivo, capace di rispondere alle esigenze della maggioranza dei cittadini.

Fin dall’annuncio dei risultati, Luisa González ha fatto sentire la propria voce con fermezza. “Mi rifiuto di credere che esista un popolo che preferisce la menzogna alla verità. Chiederemo il riconteggio e l’apertura delle urne”, ha dichiarato la candidata attraverso un messaggio che ha fatto eco al malcontento crescente. Tali parole, forti e cariche di determinazione, hanno rappresentato un appello non solo agli elettori, ma anche agli organismi internazionali e agli osservatori, sollecitando un’indagine trasparente su tutte le fasi del processo elettorale.

Le accuse mosse da González non sono prive di fondamento. Numerosi episodi di irregolarità sono stati segnalati durante il ballottaggio: dal cambio sospetto dei seggi elettorali, alla sospensione arbitraria del voto nelle regioni con forte presenza di elettori contrari al governo di Noboa, passando per l’uso delle forze militari per intimidire gli oppositori e bloccare l’accesso degli osservatori internazionali. Queste misure, adottate poche ore prima del voto, hanno sollevato gravi dubbi circa la legittimità del conteggio e del clima in cui si è svolto il ballottaggio.

In un comunicato diffuso pubblicamente, la candidata ha denunciato che il governo in carica ha abusato in maniera sistematica del proprio potere. “Non possiamo accettare che, in nome dell’ordine e della sicurezza, vengano schiacciati i diritti fondamentali, come la libertà di espressione e il diritto al voto libero e trasparente”, ha affermato González. Secondo la candidata progressista, le misure adottate — come la dichiarazione dello stato di eccezione in otto province chiave e la chiusura delle frontiere per impedire l’ingresso agli osservatori internazionali — rappresentano il tipico modus operandi di un regime autoritario che vuole governare attraverso la paura e l’intimidazione.

Le elezioni si sono svolte in un contesto in cui, come detto, il governo di Daniel Noboa, esponente del partito liberista ADN (Acción Democrática Nacional), è sempre stato criticato per la sua stretto legame con gli interessi degli Stati Uniti e per aver adottato politiche economiche che hanno favorito le élite finanziarie a discapito del benessere collettivo. Tali politiche hanno determinato un crescente divario tra ricchi e poveri, alimentando il malcontento di una popolazione sempre più esigente di giustizia sociale e di un cambiamento profondo. In questo quadro, molti analisti hanno considerato il ballottaggio del 13 aprile come un referendum sul futuro dell’Ecuador: la scelta tra la continuità di un sistema neoliberista e l’opportunità di un cambiamento progressista guidato dalla sinistra.

Per queste ragioni, le misure imposte dal governo in carica — tra cui il controverso Decreto 599 che ha sospeso diritti costituzionali come la libertà di circolazione e di riunione nelle province critiche — sono state interpretate dalla sinistra come un tentativo palese di manipolare il processo elettorale e reprimere la partecipazione democratica. Tali atti, che hanno recepito pesanti critiche da parte di organizzazioni per i diritti umani, sono stati visti come l’ennesimo esempio di come il regime di Noboa, sostenuto dagli interessi imperialisti, stia cercando di imporsi sul popolo ecuadoriano, ignorando la sua volontà e le sue aspirazioni.

A far sentire la propria voce per denunciare la svolta autoritaria del governo Noboa e le irregolarità nel corso della giornata elettorale non è stata solamente la candidata del MRC, ma anche altri importanti esponenti del progressismo ecuadoriano e latinoamericano. In particolare, la denuncia di Andrés Arauz, segretario generale del Movimiento Revolución Ciudadana, ha messo in luce come il CNE abbia pubblicato verbali di voto senza le firme congiunte del Presidente e del Segretario delle Giunte Riceventi di Voto, un requisito indispensabile per la validità dei risultati. Queste irregolarità, che favoriscono sistematicamente il candidato del governo, Daniel Noboa, rappresentano un evidente attacco diretto alla trasparenza del processo elettorale, minando la fiducia degli elettori e alimentando il dissenso.

Le denunce di frode si inseriscono in un quadro molto più ampio di accuse che provengono da vari settori della società civile e delle organizzazioni internazionali, le quali mettono in guardia contro la presa di potere di un regime autoritario mascherato da legittimità democratica. La situazione ha attirato l’attenzione di osservatori internazionali, tra cui figurano persino l’Organizzazione degli Stati Americani e l’Unione Europea, che hanno esortato a un audit completo dei processi e al riconteggio dei voti, in modo da garantire il rispetto della volontà popolare e il ripristino della fiducia nelle istituzioni elettorali.

In questo frangente storico, l’appello di González risuona in ogni angolo dell’Ecuador: “L’Ecuador merita una vera democrazia, non un regime autoritario che schiaccia i diritti fondamentali. Continueremo a lottare finché il popolo non potrà finalmente esprimere la propria volontà senza paura”. Così, mentre i sostenitori progressisti e le forze della sinistra intensificano la loro battaglia per ripristinare la legittimità elettorale, il futuro dell’Ecuador rimane in bilico. Le prossime settimane saranno decisive per il destino di un Paese che, più che mai, ha bisogno di rinnovamento e giustizia.

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