di Dario Tagliamacco
L’Italia arriva da almeno due anni di crollo industriale, quest’anno le imprese subiranno un rincaro del 19,2% tra costi di gas ed elettricità. Quindi, nel 2025 l’aumento dei costi energetici sarà del 210,5% per il gas e 186,8% per l’elettricità, pertanto i costi per le aziende saranno triplicati poiché il gas russo economico è stato sostituito dal GLN statunitense più caro. Praticamente un massacro economico imposto dall’Unione Europea, sostenuto Stati Uniti con la complicità di una classe politica che non fa gli interessi dei cittadini.
L’economia europea è sempre più in crisi, la sparizione del sistema industriale procede velocemente a causa di fattori differenti.
Negli ultimi decenni le economie dei Paesi europei hanno subito una perdita importante del peso manifatturiero a favore di un’espansione del settore dei servizi. Esiste da decenni un filone di studi che si occupa della deindustrializzazione del continente europeo, è un’area multidisciplinare nella quale convergono materie come l’economia, la storia, l’antropologia e la sociologia.
La decisione da parte dell’azienda automobilistica tedesca Audi di chiudere lo stabilimento di Bruxelles nel febbraio di quest’anno rappresenta un fatto storico che racconta la tendenza attuale dell’economia europea, ovvero la deindustrializzazione. Tale decisione ha lasciato 4000 dipendenti nella più totale incertezza dato che non è ancora stato trovato un acquirente che possa rilevare lo stabilimento.
La chiusura di questo importante centro industriale non è un caso isolato nel settore automobilistico europeo colpito duramente dalla concorrenza dei modelli di produzione cinese (e dall’insipienza dei dirigenti del settore, n.d.r.). Dall’inizio del 2024 si sono susseguiti annunci di licenziamenti, ridimensionamenti produttivi e chiusure di fabbriche da parte di Stellantis in Italia, Michelin in Francia e Volkswagen in Germania, quest’ultima per la prima volta nella sua storia ha previsto di chiudere i cancelli di tre impianti di produzione in terra tedesca.
Da quando l’economia tedesca è entrata in recessione, a partire dell’inizio del 2023, si è diffusa una profonda sfiducia per il futuro delle aziende tedesche. I politici si illudono che la nazione sia solamente in recessione tecnica ma l’economia della Germania sta totalmente cambiando rotta e questo dovrebbe far preoccupare tutta l’Europa. Le sanzioni alla Russia, la mancanza di lavoratori e l’elevata burocrazia hanno spinto molte aziende a lasciare il Paese per andare in America e in Asia, le imprese che restano all’interno dei confini germanici lo fanno solamente a patto che sia il Governo a ripagarle.
Gooch Gálvez, segretario generale dellEuropean Round Table for Industry (ERT), una delle principali lobby industriali europee, ha affermato che le recenti chiusure degli stabilimenti siderurgici e automobilistici tedeschi dimostrano che i dirigenti del settore trovano l’Europa sempre meno attraente come luogo dove fare investimenti, definendo questo processo deeuropeizzazione dell’economia globale.
Le politiche attuali dell’Unione Europea e dei suoi singoli Stati, basate sull’austerità e la transizione energetica non hanno speranze di far ripartire l’economia del continente. Come sosteneva l’economista Nicholas Kaldor, senza manifattura e industria non ci può essere crescita economica e produttività, tutto ciò conduce ad un impoverimento progressivo che distrugge tutto il resto, compresi Stato sociale e perfino l’ambiente.
Lo sviluppo del settore secondario è necessario per la crescita economica e la produttività è legata al volume della produzione. Nel Vecchio continente la produzione industriale vive una costante diminuzione da più di 20 anni ormai, sottoposta a una normazione imposta dall’Unione Europea che ha avuto il proprio apice nella transizione energetica, applicata unicamente nel continente europeo.
I risultati sono ben evidenti, Paesi come Germania, Francia e Italia hanno vissuto un’importante diminuzione della produzione industriale, perfino nazioni come la Polonia, che erano viste come futuri poli industriali europei, hanno registrato una diminuzione della crescita industriale. La transizione verso un’economia di servizi, il calo del potere di acquisto, l’aumento dei costi dell’energia a causa delle sanzioni alla Russia, la concorrenza di Cina e Stati Uniti pesano molto sulla deindustrializzazione europea. Secondo i dati elaborati dall’Istituto sindacale europeo, tra il 2019 e il 2023 sono scomparsi 853.000 posti di lavoro nell’industria.
Quando un impianto di produzione chiude, gli effetti sono di portata vasta, le conseguenze vanno oltre i licenziamenti dei lavoratori, le catene di approvvigionamento sono interrotte e le aziende locali che dipendono dall’attività dello stabilimento subiscono delle perdite. Un tempo le comunità potevano prosperare attorno ai poli industriali, oggi invece devono fare i conti con la disoccupazione dilagante. In risposta alla chiusura degli impianti, sempre più aziende hanno scelto la via della delocalizzazione verso Paesi extra europei dove i costi operativi sono inferiori, le spese energetiche sono ridotte e l’accesso a una manodopera qualificata a costi più bassi di quelli del Vecchio continente è facilitato.
Il sabotaggio dei gasdotti North Stream avvenuto nel 2022 ha privato gli Stati europei del gas russo, soprattutto la Germania che era il principale acquirente, questo ha dato un’ulteriore spinta verso la deindustrializzazione dell’Europa. Gli Stati Uniti hanno sicuramente beneficiato di tale evento che ha privato l’Unione Europea del suo collegamento economico con la Russia. Si preannunciano tempi molto complicati per i popoli europei governati da una classe politica che attribuisce le colpe della deindustrializzazione a politiche ingiuste che metterebbero le imprese europee in posizione di svantaggio rispetto agli Stati Uniti e la Cina. I problemi però sono molto più difficili da risolvere e senza il gas a basso costo proveniente dalla Russia l’industria europea è destinata a un declino inesorabile.
Questo grande cambiamento sta avvenendo nell’inconsapevolezza totale della maggioranza della popolazione che non sa cosa potrà succedere nell’immediato futuro. Tutto ciò accade anche perché l’opinione pubblica è influenzata dai messaggi della politica che continua a negare l’esistenza del problema. La situazione del sistema industriale tedesco ha delle conseguenze drammatiche per nazioni come l’Italia dove il settore manifatturiero dipende dalle commesse della Germania.
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