Bermuda: Edward David Burt confermato Premier

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di Giulio Chinappi

Dopo Turks e Caicos, analizziamo la situazione politica e le recenti elezioni in un altro arcipelago dei Caraibi sotto il controllo britannico, le Bermuda.

Dopo il nostro articolo dedicato alla situazione politica di Turks e Caicos, quest’oggi vogliamo dedicarci ad un altro arcipelago caraibico sotto il controllo della Corona britannica, le Bermuda, dove, lo scorso 18 febbraio, hanno avuto luogo le elezioni generali. Come nel caso di Turks e Caicos, anche le isole Bermuda, note per le acque cristalline, le spiagge dorate e il fascino esotico, hanno dovuto coniugare una lunga eredità coloniale con dinamiche politiche moderne e sfide economiche sempre più complesse.

Edward David Burt

Quello delle Bermuda è un territorio britannico d’oltremare che vanta una lunga storia, risalente all’epoca coloniale, in cui il Regno Unito ha esercitato il suo controllo politico e amministrativo. Ad oggi, infatti, le Bermuda rappresentano il più vecchio e il più popoloso dei territori d’oltremare britannici. Nonostante la sua dimensione ridotta, l’isola principale, da cui prende il nome l’intero arcipelago, ha sempre avuto un ruolo strategico nei Caraibi, grazie alla sua posizione geografica e alla sua economia basata sul turismo, i servizi finanziari e, più recentemente, il settore assicurativo.

Venendo alle questioni politiche recenti, dal 2017, il panorama politico bermudiano ha visto il predominio del Progressive Labour Party (PLP), che ha portato al potere Edward David Burt, attuale Premier. In quell’occasione, il PLP riuscì a strappare il governo alla One Bermuda Alliance (OBA), segnando una svolta nel sistema politico dell’isola. L’elezione del 2020 ha consolidato ulteriormente il potere del PLP, in grado di incrementare la propria maggioranza, conquistando 30 dei 36 seggi della House of Assembly. Tuttavia, nonostante il predominio del PLP, negli anni successivi si sono affacciate nuove istanze critiche e richieste di rinnovamento, che hanno preannunciato una competizione più serrata nelle elezioni del 2025.

A tal proposito, è bene precisare che il sistema elettorale di Bermuda si basa sul modello del “first-past-the-post” di tipo inglese, in cui i 36 membri della House of Assembly sono eletti da circoscrizioni uninominali. Ogni circoscrizione elegge il proprio rappresentante, e il partito o la coalizione che riesce a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi – in questo caso almeno 19 su 36 – forma il governo. Tale sistema, se da un lato garantisce una rappresentanza diretta del territorio, dall’altro ha il potenziale di creare squilibri nel rapporto tra voto popolare e seggi assegnati, come spesso accade nei sistemi maggioritari.

La campagna elettorale si è fortemente concentrata su temi economici e sociali. Il PLP, partito di centro-sinistra che abbraccia ideali di social democrazia e anti-colonialismo, ha puntato sulla necessità di ridurre il costo della vita, riformare il sistema sanitario e migliorare l’istruzione. Il Premier Edward David Burt ha sottolineato come il governo abbia operato per garantire maggiore equità e supporto alle fasce più deboli della popolazione, evidenziando le politiche mirate a contenere le spese quotidiane e ad alleviare le difficoltà economiche dei cittadini.

Per quanto riguarda l’opposizione, la One Bermuda Alliance, partito di centro-destra che si ispira al liberal conservatorismo, ha criticato la gestione economica del PLP, sostenendo che il governo attuale non fosse in grado di affrontare adeguatamente le problematiche legate al costo della vita e alle disuguaglianze sociali. L’OBA ha cercato di proporsi come alternativa credibile, promettendo una gestione più efficace e orientata al libero mercato, capace di stimolare l’economia locale e di creare nuove opportunità di sviluppo per l’isola.

Nonostante gli sforzi dell’opposizione, guidata da Jarion Richardson, leader dell’OBA, il Progressive Labour Party ha ottenuto 12.300 voti, pari al 49,64% del totale, riuscendo a conquistare 25 seggi, e mantenendo dunque la maggioranza per la terza tornata elettorale consecutiva. Nonostante un decremento di 5 seggi rispetto al mandato precedente, questo risultato non mette dunque a repentaglio la posizione di Burt come capo del governo locale per un terzo mandato consecutivo. Dal canto suo, l’OBA ha raccolto 9.133 voti, pari al 36,86%, aumentando il proprio numero di seggi da 6 a 11, giudicato come un segnale incoraggiante da parte dell’opposizione.

Alle elezioni erano presenti anche altri partiti, che tuttavia non sono riusciti ad entrare nella House of Assembly. Tra questi, il Free Democratic Movement ha ottenuto il 3,83% dei voti complessivi, classificandosi al terzo posto, mentre l’Emperial Group non è andato oltre lo 0,47% delle preferenze. In molti collegi erano presenti anche candidati indipendenti, che non sono comunque riusciti a rompere il duopolio composto da PLP e OBA.

Nel complesso, dunque, questi risultati hanno confermato la vittoria del PLP, ma hanno anche evidenziato un indebolimento della sua posizione dominante. Il calo dei voti e la riduzione dei seggi suggeriscono una crescente insoddisfazione di parte degli elettori e un appetito per alternative politiche che possano garantire un rinnovamento nella gestione delle questioni economiche e sociali, ma allo stesso tempo l’elettorato non vede nelle politiche liberiste dell’OBA la soluzione che vorrebbe.

Nel corso della notte elettorale e subito dopo l’annuncio dei risultati, il Premier Edward David Burt ha voluto rassicurare l’elettorato, ribadendo l’impegno del suo governo a proseguire sulla strada delle riforme. Durante un discorso tenutosi davanti alla sede del PLP, Burt ha evidenziato le misure già adottate per contrastare il costo elevato della vita, migliorare il sistema sanitario e riformare il settore educativo. “I bermudiani hanno scelto il progresso e l’equità”, ha dichiarato il Premier, sottolineando che il governo continuerà a lavorare per sostenere le famiglie della classe medio-bassa e per portare avanti una politica di inclusione sociale.

Dall’altra parte, Jarion Richardson, leader della One Bermuda Alliance, ha accolto con spirito combattivo i risultati elettorali, promettendo di rimanere una forza politica attiva e critica. “Il nostro impegno non si ferma qui”, ha affermato Richardson, esortando i membri e i sostenitori dell’OBA a non demordere e a lavorare per rafforzare la presenza del partito in Parlamento.

Per quanto riguarda il nuovo mandato di Burt, uno dei temi più delicati riguarda il sistema sanitario. Bermuda, pur vantando infrastrutture moderne e personale qualificato, deve fare i conti con le sfide poste da un settore che spesso risulta troppo costoso per la maggioranza della popolazione. In questo contesto, il governo Burt ha promesso riforme strutturali volte a rendere il sistema sanitario più accessibile, riducendo i costi e migliorando l’efficienza dei servizi. Tuttavia, le critiche dell’OBA sottolineano come tali riforme debbano essere accelerate e ampliate, per rispondere in maniera più adeguata alle esigenze di un elettorato in evoluzione.

In seconda battuta, troviamo invece la questione dell’istruzione. Con l’obiettivo di preparare le nuove generazioni a un mondo in rapida trasformazione, il governo ha annunciato piani per rinnovare le strutture scolastiche e aggiornare i programmi formativi. L’investimento nell’educazione è visto come una chiave fondamentale per garantire un futuro migliore e per ridurre le disparità sociali, ma richiede un impegno costante e risorse che, in un contesto di budget limitati, rappresentano una sfida notevole.

In conclusione, come territorio britannico d’oltremare, Bermuda mantiene legami storici e istituzionali con il Regno Unito. Questa relazione, se da un lato garantisce una certa stabilità e un supporto in termini di governance, dall’altro solleva domande su quanto il sistema politico locale possa evolversi in maniera autonoma. In particolare, il dibattito su questioni come l’equità sociale, la distribuzione delle risorse e il diritto all’autodeterminazione riflette una tensione permanente tra il passato coloniale e il presente, che certamente garantisce una maggiore autonomia, ma non (ancora?) la totale indipendenza.

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