di Giulio Chinappi
Intervento di Giulio Chinappi alla Seconda Conferenza Internazionale “Terrorism: State and Non-State Sponsored Versions”
FONTE ARTICOLO: https://giuliochinappi.wordpress.com/2025/01/29/il-doppio-standard-occidentale-sul-terrorismo/
Signore e Signori,
vorrei ringraziare gli organizzatori per avermi invitato a questo evento, durante il quale affronterò un argomento complesso e delicato: il doppio standard occidentale sul terrorismo. Questa è una questione che non solo mette in discussione la nostra coscienza collettiva, ma che, se analizzata con chiarezza, rivela profonde contraddizioni nella narrativa globale e nelle politiche adottate dalle nazioni occidentali.
Quando parliamo di terrorismo, ci riferiamo a una delle minacce più gravi alla sicurezza internazionale, alla stabilità degli Stati e alla vita di milioni di persone. Tuttavia, la percezione e la risposta al terrorismo sembrano variare significativamente a seconda dell’origine, della religione o dell’ideologia dei responsabili. Questa discrepanza non è accidentale; è il risultato di decenni di scelte politiche, economiche e mediatiche che hanno plasmato una narrativa selettiva e, in molti casi, profondamente ipocrita.
Un primo esempio di questa ipocrisia risiede nella definizione stessa di terrorismo. Mentre gruppi non occidentali, spesso associati al mondo islamico, vengono etichettati come terroristi, movimenti armati di origine occidentale – come i gruppi suprematisti bianchi o le milizie di estrema destra – vengono talvolta descritti con termini più indulgenti: “ribelli,” “milizie” o persino “combattenti per la libertà.” Questa asimmetria semantica non è innocente. Essa modella l’opinione pubblica, orienta le politiche di sicurezza e legittima interventi militari selettivi.
Un secondo aspetto da considerare è la copertura mediatica. Gli attacchi compiuti da individui o gruppi di origine islamica ricevono un’attenzione mediatica sproporzionata, spesso accompagnata da narrazioni che generalizzano e stigmatizzano intere comunità religiose. Al contrario, gli attacchi compiuti da gruppi suprematisti bianchi o nazionalisti, sebbene altrettanto gravi, vengono spesso minimizzati o relegati a notizie locali. Questa disparità non solo alimenta stereotipi, ma impedisce una comprensione equilibrata e completa della reale minaccia terroristica.
Le conseguenze di questo doppio standard non si limitano alla sfera mediatica. Esse si riflettono anche nelle politiche estere e nelle relazioni internazionali. Si prenda, ad esempio, il Medio Oriente. L’Occidente ha spesso utilizzato il pretesto della “lotta al terrorismo” per giustificare interventi militari in questa regione. Questi interventi, lungi dal combattere il terrorismo, hanno destabilizzato interi paesi e causato un numero incalcolabile di vittime civili. Iraq, Afghanistan, Siria: la storia recente è piena di interventi che, invece di risolvere il problema, lo hanno amplificato, creando terreno fertile per l’emergere e la proliferazione di nuovi gruppi terroristici.
Un esempio particolarmente emblematico è la Siria, dove l’Occidente ha spesso tollerato o persino sostenuto gruppi estremisti come Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), un’organizzazione legata ad al-Qaeda, che oggi è diventata il governo de facto della Siria con il tacito consenso delle potenze occidentali. Gli sviluppi recenti in Siria sottolineano ulteriormente questo doppio standard. Abū Muḥammad al-Jawlānī, nato Aḥmad Ḥusayn al-Shar‘a, è emerso come leader de facto della Siria dopo la caduta del governo di Bashar Hafez al-Assad l’8 dicembre. Considerato per lungo tempo un terrorista dalla maggior parte del mondo occidentale e dalla comunità internazionale, al-Jawlānī è improvvisamente descritto come il “liberatore” della Siria dal regime oppressivo di Assad, una narrativa fortemente propagandata da una parte dei media occidentali negli ultimi giorni.
Al-Jawlānī guida l’HTS, un’organizzazione ancora designata come terroristica dalle Nazioni Unite e da diversi governi, tra cui quelli di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Argentina, Indonesia, Turchia e Russia, oltre che dall’Unione Europea. Nonostante sia elencato tra i terroristi più ricercati al mondo, con una taglia di 10 milioni di dollari offerta dal governo statunitense, la trasformazione di al-Jawlānī in una figura più “accettabile” è sorprendente.
HTS è emersa nel 2017 da una coalizione di fazioni, principalmente il Fronte al-Nusra, un gruppo jihadista precedentemente affiliato ad al-Qaeda. Mentre HTS si è formalmente distanziata da al-Qaeda, molti esperti, inclusi funzionari statunitensi, considerano questa separazione come una manovra superficiale, con legami duraturi tra i due gruppi.
Sotto la guida di al-Jawlānī, HTS ha commesso numerosi atti terroristici in tutta la Siria, spesso colpendo civili. Tra questi, il rapimento di 300 civili curdi nell’aprile 2015 e il massacro di 20 abitanti drusi nella provincia di Idlib nel giugno dello stesso anno.
Le radici ideologiche di al-Jawlānī sono profondamente intrecciate con quelle di Ayman al-Ẓawāhirī, il terrorista egiziano che ha succeduto Osama bin Laden come leader di al-Qaeda. Nell’aprile 2013, al-Jawlānī ha giurato fedeltà ad al-Ẓawāhirī, rafforzando il suo allineamento con l’agenda di al-Qaeda.
Al suo passato si aggiunge l’associazione storica con Abū Bakr al-Baghdādī, l’ex leader dell’ISIS. Tra il 2011 e il 2013, i due hanno collaborato fino a quando l’ISIS ha interrotto i legami con al-Qaeda. Al-Jawlānī ha respinto questa scissione, mantenendo la lealtà ad al-Qaeda. Il suo passato include anche l’imprigionamento da parte delle forze statunitensi in Iraq dal 2006 al 2011, un periodo che probabilmente ha plasmato le sue strategie e alleanze successive.
Nonostante questo background, al-Jawlānī si è recentemente reinventato. Adottando un abbigliamento militare in stile occidentale e accorciandosi la barba, ha cercato di proiettare un’immagine più moderata. La sua retorica si è spostata dall’avvocare un rigoroso governo della Sharia al promuovere l’unità nazionale, promettendo protezione per le minoranze come cristiani e drusi. Gli analisti considerano ampiamente questa trasformazione come un tentativo calcolato di ottenere il sostegno occidentale e alleggerire le sanzioni sulla Siria.
Questo caso esemplifica il doppio standard occidentale: mentre alcuni gruppi terroristici sono condannati senza mezzi termini, altri vengono tollerati o persino sostenuti quando ciò è in linea con interessi strategici.
La priorità data alla caduta di Assad, a causa delle sue alleanze con Russia, Iran e del suo sostegno alla Palestina, illustra come gli obiettivi geopolitici a breve termine spesso prevalgano sulle preoccupazioni per le conseguenze a lungo termine.
Un altro caso riguarda l’Ucraina, dove alcune formazioni paramilitari legate a ideologie di estrema destra sono state integrate nelle forze armate nazionali e celebrate come eroi nelle narrative occidentali, nonostante il loro coinvolgimento in atti che, in altri contesti, sarebbero classificati come terrorismo.
Non dobbiamo inoltre dimenticare il terrorismo sionista praticato da Israele contro i palestinesi, spesso ignorato o giustificato. Operazioni militari che prendono di mira i civili, la distruzione di case e infrastrutture e politiche di occupazione e apartheid vengono raramente descritte con i termini appropriati. Questo silenzio complice rappresenta l’apice del doppio standard che caratterizza la narrativa occidentale.
Nel frattempo, i movimenti violenti che operano in contesti favorevoli agli interessi occidentali vengono spesso ignorati o persino sostenuti. Si pensi ai gruppi paramilitari in America Latina o alle milizie in Africa, spesso finanziati e armati dalle potenze occidentali per proteggere interessi economici e geopolitici.
Questa duplicità è una delle maggiori contraddizioni dell’Occidente: da un lato, si proclama campione della democrazia e dei diritti umani; dall’altro, chiude un occhio – o entrambi – verso la violenza che serve i propri interessi.
Il doppio standard si estende anche alle politiche interne dei paesi occidentali. Negli ultimi anni, in risposta alla minaccia terroristica, sono state introdotte leggi che limitano drasticamente le libertà civili in nome della sicurezza nazionale. Tuttavia, queste leggi vengono applicate in modo sproporzionato, colpendo principalmente le minoranze etniche e religiose, favorendo la discriminazione e la marginalizzazione. Ciò aggrava il problema, creando nuove divisioni sociali e terreno fertile per la radicalizzazione.
A nostro avviso, è essenziale adottare un approccio più onesto e coerente nella definizione e nel contrasto del terrorismo. Ciò significa riconoscere che la violenza non conosce confini ideologici o geografici e che tutte le forme di terrorismo devono essere condannate e combattute con uguale determinazione.
In secondo luogo, i media e le istituzioni devono assumersi la responsabilità di fornire una narrazione equilibrata e non stereotipata. Ciò comporta una rappresentazione più accurata delle cause profonde del terrorismo, che spesso risiedono in ingiustizie sociali, politiche ed economiche. Solo affrontando queste radici potremo sperare di costruire una società più sicura e giusta.
Infine, è cruciale rivedere le politiche estere e di sicurezza dei paesi occidentali, abbandonando approcci unilaterali e interventisti in favore di soluzioni multilaterali e cooperative. La lotta al terrorismo non può essere utilizzata come strumento per giustificare guerre o perseguire interessi economici. Essa deve essere guidata da principi di giustizia, equità e rispetto per i diritti umani.
In conclusione, il doppio standard occidentale sul terrorismo non è solo una questione di incoerenza politica o mediatica. Minaccia la stessa credibilità dei valori che l’Occidente afferma di difendere: libertà, democrazia e diritti umani. Solo attraverso un cambiamento radicale di prospettiva e azione potremo sperare di superare queste contraddizioni e costruire un mondo davvero più sicuro e giusto per tutti.
The Western Double Standard on Terrorism
Ladies and Gentlemen,
I would like to thank the organizers for inviting me to this event, where I will address a complex and sensitive topic: the Western double standard on terrorism. This is an issue that not only questions our collective conscience but, when analyzed with clarity, reveals profound contradictions in the global narrative and the policies adopted by Western nations.
When we talk about terrorism, we refer to one of the gravest threats to international security, state stability, and the lives of millions of people. However, the perception and response to terrorism seem to vary significantly depending on the origin, religion, or ideology of the perpetrators. This discrepancy is not accidental; it results from decades of political, economic, and media choices that have shaped a selective and, in many cases, deeply hypocritical narrative.
A first example of this hypocrisy lies in the very definition of terrorism. While non-Western groups, often associated with the Islamic world, are labeled as terrorists, armed movements originating in Western contexts—such as white supremacist groups or far-right militias—are sometimes described with more lenient terms: “rebels,” “militias,” or even “freedom fighters.” This semantic asymmetry is not innocent. It shapes public opinion, directs security policies, and legitimizes selective military interventions.
A second aspect to consider is media coverage. Attacks carried out by individuals or groups of Islamic origin receive disproportionate media attention, often accompanied by narratives that generalize and stigmatize entire religious communities. Conversely, attacks by white supremacist or nationalist groups, although equally severe, are often downplayed or relegated to local news stories. This disparity not only fuels stereotypes but also prevents a balanced and comprehensive understanding of the actual terrorist threat.
The consequences of this double standard are not limited to the media sphere. They are also reflected in foreign policies and international relations. Take, for example, the Middle East. The West has often used the pretext of “fighting terrorism” to justify military interventions in this region. These interventions, far from combating terrorism, have destabilized entire countries and caused an incalculable number of civilian casualties. Iraq, Afghanistan, Syria: recent history is filled with interventions that, instead of solving the problem, have amplified it, creating fertile ground for the emergence and proliferation of new terrorist groups.
A particularly emblematic example is Syria, where the West has often tolerated or even supported extremist groups such as Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), an organization linked to al-Qaeda, which today has become the de facto government of Syria with the tacit consent of Western powers. The recent developments in Syria underscore this double standard even further. Abū Muḥammad al-Jawlānī, born Aḥmad Ḥusayn al-Shar‘a, has emerged as the de facto leader of Syria following the fall of Bashar Hafez al-Assad’s government on December 8. Long regarded as a terrorist by much of the Western world and the international community, al-Jawlānī has suddenly been portrayed as the “liberator” of Syria from Assad’s oppressive regime—a narrative heavily propagated by parts of the Western media in recent days.
Al-Jawlānī leads HTS, an organization still designated as a terrorist entity by the United Nations and several governments, including those of the United States, United Kingdom, Canada, Australia, New Zealand, Japan, Argentina, Indonesia, Turkey, and Russia, as well as the European Union. Despite being listed as one of the world’s most wanted terrorists, with a $10 million U.S. government bounty on his head, al-Jawlānī’s transformation into a more “acceptable” figure is striking. HTS emerged in 2017 from a coalition of factions, primarily the al-Nusra Front, a jihadist group formerly affiliated with al-Qaeda. While HTS formally distanced itself from al-Qaeda, many experts, including U.S. officials, view this separation as a superficial maneuver, with enduring ties between the two groups.
Under al-Jawlānī’s leadership, HTS has committed numerous terrorist acts across Syria, often targeting civilians. These include the April 2015 abduction of 300 Kurdish civilians and the June 2015 massacre of 20 Druze villagers in Idlib province. Al-Jawlānī’s ideological roots are deeply intertwined with those of Ayman al-Ẓawāhirī, the Egyptian terrorist who succeeded Osama bin Laden as al-Qaeda’s leader. In April 2013, al-Jawlānī pledged allegiance to al-Ẓawāhirī, reinforcing his alignment with al-Qaeda’s agenda.
Adding to his complex profile is his historical association with Abū Bakr al-Baghdādī, the former leader of ISIS. Between 2011 and 2013, the two collaborated until ISIS severed ties with al-Qaeda. Al-Jawlānī rejected this schism, maintaining loyalty to al-Qaeda. His past also includes imprisonment by U.S. forces in Iraq from 2006 to 2011, a period that likely shaped his later strategies and alliances.
Despite this background, al-Jawlānī has recently rebranded himself. Adopting Western-style military attire and trimming his beard, he has sought to project a more moderate image. His rhetoric has shifted from advocating strict Sharia governance to calling for national unity, promising protection for minorities such as Christians and Druze. Analysts widely view this transformation as a calculated attempt to gain Western support and ease sanctions on Syria.
This case epitomizes the Western double standard: while some terrorist groups are condemned unequivocally, others are tolerated or even supported when it aligns with strategic interests. The prioritization of Assad’s downfall—due to his alliances with Russia, Iran, and his support for Palestine—illustrates how short-term geopolitical goals often override concerns about long-term consequences.
Another case concerns Ukraine, where some paramilitary formations linked to far-right ideologies have been integrated into the national armed forces and celebrated as heroes in Western narratives, despite their involvement in acts that, in other contexts, would be classified as terrorism.
We must also not forget the Zionist terrorism practiced by Israel against Palestinians, often ignored or justified. Military operations targeting civilians, the destruction of homes and infrastructure, and policies of occupation and apartheid are rarely described with the terms they deserve. This complicit silence epitomizes the double standard that characterizes the Western narrative.
Meanwhile, violent movements operating in contexts favorable to Western interests are often ignored or even supported. Consider paramilitary groups in Latin America or militias in Africa, often funded and armed by Western powers to protect economic and geopolitical interests. This duplicity is one of the West’s greatest contradictions: on the one hand, it proclaims itself the champion of democracy and human rights; on the other, it turns a blind eye—or both eyes—toward violence that serves its interests.
The double standard also extends to the domestic policies of Western countries. In recent years, in response to the terrorist threat, laws have been introduced that drastically limit civil liberties in the name of national security. However, these laws are applied disproportionately, primarily targeting ethnic and religious minorities, fostering discrimination and marginalization. This exacerbates the problem, creating new social divisions and fertile ground for radicalization.
In our view, it is essential to adopt a more honest and consistent approach to defining and combating terrorism. This means recognizing that violence knows no ideological or geographical boundaries and that all forms of terrorism must be condemned and fought with equal determination.
Secondly, the media and institutions must take responsibility for providing a balanced and non-stereotypical narrative. This entails a more accurate representation of the root causes of terrorism, which often lie in social, political, and economic injustices. Only by addressing these roots can we hope to build a safer and fairer society.
Finally, it is crucial to rethink the foreign and security policies of Western countries, abandoning unilateral and interventionist approaches in favor of multilateral and cooperative solutions. The fight against terrorism cannot be used as a tool to justify wars or pursue economic interests. It must be guided by principles of justice, equity, and respect for human rights.
In conclusion, the Western double standard on terrorism is not just a matter of political or media inconsistency. It undermines the very credibility of the values the West claims to defend: freedom, democracy, and human rights. Only through a radical shift in perspective and action can we hope to overcome these contradictions and build a truly safer and fairer world for everyone.
Il CeSE-M sui social