Come India e Cina stanno trasformando il mondo in senso multipolare

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di Andrea Garbo

Introduzione

Quando tra il 1405 e il 1433 l’ammiraglio e diplomatico cinese Zheng He intraprese i suoi viaggi verso il Sud-Est asiatico, inaugurò un periodo di grande splendore e segnò uno degli apici dell’influenza cinese sopra questi territori. La sua flotta, che al primo viaggio contava più di 300 navi, era un modo per mostrare al mondo il potere e la ricchezza della dinastia Ming. Un’importante tappa del suo viaggio fu l’India, lo scambio di ambascerie tra l’emissario cinese e le sue controparti indiane rappresentarono un picco degli importanti e proficui rapporti commerciali e culturali tra le due civiltà. Oggi India e Cina, dopo un periodo di declino, sono tornate a dominare la scena internazionale. I due paesi, che insieme rappresentano all’incirca il 36% della popolazione mondiale, sono destinati a svolgere un ruolo sempre più importante.


Il seguente articolo fa parte del focus Cina 2024: l’anno del Drago

Zheng He e la sua flotta fecero tappa in molti importanti porti nel Sud-Est asiatico per poi far rotta verso l’India, il Golfo Persico e la costa orientale dell’Africa. Questi viaggi segnarono l’apice della apertura cinese verso il mondo asiatico, presto infatti seguì un lungo periodo di chiusura verso il mondo esterno. Oggi la Cina ha deciso di riaffacciarsi sul mondo. L’imponente progetto delle Vie Della Seta ripercorre le tappe toccate da Zheng He 600 anni addietro, questa volta però invece di porcellane e seta, il Regno di Mezzo offre opportunità più sostanziose. Nuove infrastrutture sono state e stanno venendo finanziate in giro per tutto il Sud-Est asiatico e l’Oceano Indiano. Questi investimenti non sono certo regali, ma segni tangibili di un ritorno della potenza globale cinese.

Sull’oceano nominato in suo onore si affaccia l’altra potenza in ascesa, l’India. Dopo l’indipendenza dall’Impero Britannico nel 1947, il giovane Stato ha cercato di ritagliarsi un ruolo di riguardo sul piano internazionale. Dopo aver guidato durante la “guerra fredda” il campo non-allineato, chiaro segnale della sua indipendenza strategica, l’India prosegue nella sua ascesa. In una mossa analoga a quella della controparte cinese, il Governo indiano ha attuato un’iniziativa, denominata la “Collana di Perle”, atta ad allargare e fortificare i rapporti commerciali indiani con i suoi vicini e a espandere e consolidare la sua posizione strategica.

I rapporti fra i due giganti asiatici sono complessi: dalle cime dell’Himalaya alle isole tropicali dell’arcipelago delle Nicobare, gli interessi delle due potenze si intrecciano per tutto il continente. Allo stesso tempo le opportunità che un partenariato tra i due Paesi può creare sono molte. Un’intesa sino-indiana andrebbe oltre alle opportunità commerciali: potrebbe cambiare le sorti del mondo dando vita a un nuovo ordine multipolare.

2. Rapporti commerciali Sino-Indiani

Negli ultimi decenni, dopo l’apertura cinese al mercato globale gli scambi commerciali tra India e Cina sono gradualmente aumentati. Seppur a beneficio di entrambi, la crescita negli scambi non è avvenuta in maniera equilibrata ed oggi l’India deve fare i conti con un enorme disavanzo commerciale a favore della Cina. Il trend nei prossimi anni rischia di aggravare il deficit commerciale; la Repubblica Popolare ha infatti incoraggiato un nuovo sforzo collettivo atto ad aumentare l’export cinese e a mobilitare “Nuove Forze Produttive”.

2.1 Il ruolo delle politiche commercialisullo sviluppo economico

Il divario economico tra i due Paesi asiatici risale agli anni 80. La Cina sotto Deng Xiaoping, con il progetto “Open Door”, aveva infatti iniziato ad adottare nuove politiche favorevoli all’export che potessero mobilitare l’immensa forza lavoro cinese (Wei and Miaojie, 2012). L’India adottò invece una posizione contraria, orientandosi invece verso un’economia controllata concentrata sulla produzione e il consumo interni. Solo negli anni 90 l’economia indiana iniziò ad aprirsi (Wei and Miaojie, 2012). Questo ritardo nell’apertura al mercato globale può essere individuata come una delle cause dell’attuale maggiore presenza cinese sui mercati globali. In aggiunta, se per la Repubblica Popolare la transizione al mercato libero fu netta, per l’India il passaggio fu meno chiaro, con cambi di marcia e periodi di chiusura alternati a periodi di apertura. L’instabilità e l’incertezza che derivarono da una politica commerciale ambigua non favorirono investimenti esteri a lungo termine.

Alle diverse politiche macroeconomiche dei due Paesi, si aggiunge poi il successo delle Zone Economiche Speciali (ZES) cinesi e dai mediocri risultati delle equivalenti indiane. Le prime ZES cinesi di Shenzhen, Zhuhai, e Shantou nel Guangdong e Xiamen nel Fujia, inaugurate nel 1980 e scelte per la loro posizione strategica vicina a Hong Kong e Macao, dimostrarono il successo di questa iniziativa e furono poi seguite da numerose iniziative analoghe in altre città costiere. Le principali caratteristiche delle ZES sono l’esenzione dal pagamento di dazi doganali e una tassa sul reddito ad aliquota minore. Il periodo di liberalizzazione attorno agli anni 2000 vide la creazione delle Zone Franche di Esportazione (ZFE) a complementare le ZES. Sebbene l’India avesse iniziato ad istituire Zone Economiche Speciali prima della Cina, lo sviluppo di nuove zone arranca dietro a quello cinese per numero e velocità. La prima ZFE indiana fu istituita nel 1965 a Kandla nel Gujarat e tra gli anni 70 e 80 fu seguita dalla creazione di altre 5 zone. Tuttavia, a causa dei numerosi controlli e regolamentazioni, le iniziative indiane hanno ottenuto solo in parte l’effetto desiderato. Dal 2000, le Zone Economiche Speciali (ZES) in India hanno visto un significativo ampliamento e riforma. L’approvazione della legge SEZ nel 2005 ha stimolato la crescita di queste aree, con l’obiettivo di attrarre investimenti esteri, promuovere le esportazioni, e creare occupazione.

Sotto ogni parametro economico è innegabile il successo delle politiche economiche cinesi e il sostanziale fallimento di quelle indiane. Se osserviamo ad esempio i dati sull’export a livello globale, notiamo come la Cina eclissi l’India. Il dato sull’export trascende il mero interesse economico e può infatti diventare un importante asset strategico. Sotto questo aspetto, l’evidente disparità tra i due Paesi dà un grosso vantaggio alla Cina. Anche a livello di benessere interno, il prodotto interno lordo (seppur un indicatore assai limitato) ci mostra come le diverse politiche economiche applicate dai due Paesi li abbiano portati da una sostanziale parità economica a un ingente disparità.

2.2. Il bilancio commerciale Sino-Indiano

Ad oggi, una delle più grandi cause di attrito tra India e Cina è il pesante disequilibrio nella bilancia commerciale dei due Paesi, nettamente spostata a favore della Cina. La rapida espansione del commercio bilaterale tra India e Cina dall’inizio di questo secolo ha portato la Cina ad emergere nel 2008 come il principale partner commerciale di beni dell’India, una posizione che mantiene tutt’oggi (Ambasciata Indiana a Beijing, 2024). Solo tra il 2015 e il 2022, il commercio bilaterale India-Cina è cresciuto del 90,14%. Nel 2022, il commercio complessivo ha raggiunto i 136,26 miliardi di dollari, superando per la seconda volta consecutiva la soglia dei 100 miliardi di dollari. Il disavanzo commerciale è stato di 101,28 miliardi di dollari, le importazioni indiane dalla Cina sono aumentate del 118,77% raggiungendo i 118,77 miliardi di dollari, mentre le esportazioni indiane verso la Cina sono diminuite del 37,59% su base annua, scendendo a 17,49 miliardi di dollari (dati dalla Banca Mondiale).

Il disavanzo commerciale indiano è principalmente dovuto alla differenza dei prodotti esportati. Se per la Cina, buona parte degli export sono prodotti ad alto valore aggiunto, come macchinari, apparecchiature per le telecomunicazioni, prodotti chimici o fertilizzanti,per l’India l’export rimane trainato dall’esportazione di prodotti grezzi quali ferro, cotone, rame, alluminio, diamanti e altre gemme.

I dazi doganali cinesi rispecchiano una chiara politica commerciale protezionista, atta a difendere la produzione interna di prodotti agricoli mantenendo alti i dazi doganali su questi prodotti. Per la maggior parte dei prodotti agricoli vige infatti un sistema tariffario a quote dove viene applicato un dazio doganale ridotto per una quantità limitata di un prodotto importato, mentre le importazioni che superano questa quantità sono soggette a tariffe più alte. Per esempio le tariffe sul grano o sul riso, una volta superate le quote prefissate, passano dall’1% per attestarsi al 65%. Le materie prime come ferro e rame sono invece importate esentasse. Il sistema daziario cinese dà una chiara spiegazione della distribuzione dell’export indiano verso la Repubblica Popolare, esportando principalmente i prodotti soggetti a tassazioni agevolate.

In un’ottica di cooperazione tra i due giganti asiatici, un aggiustamento del disavanzo commerciale è quantomeno auspicabile. Entrando nel campo della geoeconomia, intesa come: “utilizzo dell’economia per difendere e promuovere l’interesse nazionale, produrre risultati favorevoli nel campo geopolitico e influenzare le decisioni economiche di altri Paesi per renderle conformi agli obiettivi geopolitici del Paese” (Blackwill e Harris, 2016), la Cina ha senz’altro giocato bene le sue carte e le sagge politiche economiche cinesi hanno reso la Cina un gigante senza paragoni nel campo della produzione industriale a basso costo. Tuttavia, il dominio di questo settore è percepito da altri Paesi come una minaccia. Per quanto la produzione e l’esportazione di prodotti a basso costo dell’industria cinese favoriscano sia i lavoratori cinesi che i consumatori indiani, dando a quest’ultimi la possibilità di ottenere prodotti meno cari e in maggior quantità, la presente disparità economica tra i due Paesi asiatici è percepita dall’India come una debolezza strategica da correggere.

Sia India che Cina devono però confrontarsi con l’altra grande potenza economica mondiale, gli Stati Uniti. Il controllo dell’economia mondiale è stata ed è ancora oggi uno dei più grandi asset degli Stati Uniti. Grazie alla loro preponderanza, gli USA sono per decenni riusciti a imporre la loro agenda a livello globale. Gli anni 90, con la caduta dell’Unione Sovietica e l’egemonia incontestata degli USA hanno visto l’imporsi dell’ordine nordamericano. I rapporti commerciali sono spesso stati utilizzati come un efficace strumento di soft-power per controllare gli Stati alleati. Oggi la Cina in molti casi sta attuando politiche simili, attraverso l’espansione economica sta assumendo un ruolo importante in molti Paesi in via di sviluppo. I progetti finanziati dall’Iniziativa delle Vie della Seta, contribuiscono a promuovere la crescita attraverso la creazione di nuove infrastrutture. La rete di rapporti creata dalla Cina nell’ultimo decennio è assai ragguardevole e permette alla Repubblica Popolare di esercitare crescente soft-power su molti Paesi. Queste politiche economiche tuttavia non possono funzionare con l’India e rischiano anzi di avere un effetto opposto, rischiando di allontanare i due Paesi che altrimenti avrebbero molti punti di incontro. Una prima ragione della difficoltà di questa strategia è la grandezza della Repubblica Indiana e la sua autonomia strategica. Se per Paesi più piccoli, con meno margine di manovra e di difesa, le pressioni commerciali possono influenzare e indirizzare la politica estera e interna, per un Paese della taglia dell’India questo tentativo verrebbe preso come minaccia e respinto prima che possa portare ad un risultato degno di nota. E’ in vista di questo ragionamento che la Cina e l’India dovrebbero trovare un compromesso e cercare di stabilizzare i loro rapporti commerciali, riequilibrando la bilancia.

In vista di una collaborazione sino-indiana più ampia, la Cina potrebbe concedere qualcosa in campo commerciale. Questo sacrificio verrebbe ampiamente ricompensato dal rafforzamento dei rapporti con l’India. Aggiungiamo inoltre i recenti problemi interni al mercato cinese. Nell’ultimo anno la Cina è stato soggetta a fenomeni deflattivi causati dalla debole domanda del mercato interno cinese. L’iniziativa delle “Nuove Forze Produttive” rischia di aggravare il problema atavico del basso potere d’acquisto dei lavoratori. Una trasformazione dell’economia, dove ad oggi i consumi interni valgono solo il 53% del suo PIL, percentuale bassissima se paragonata al 81% degli Stati Uniti o al 70% dell’India (dati della Banca Mondiale), gioverebbe nel lungo termine alla stabilità del Paese. Trasformare dunque l’economia cinese da strettamente produttiva a un’economia di consumo potrebbe diventare un’opportunità per rafforzare i legami con l’India. Per esempio, aprire il mercato cinese agli export indiani e diminuire i sussidi ad industrie fortemente orientate all’export potrebbero rafforzare i consumi interni e giovare ai rapporti tra i due Paesi. D’altronde, aprirsi a un compromesso con l’India non porrebbe, almeno nel breve periodo, un serio pericolo per l’economia cinese visto che i livelli di crescita economica annuale indiani sono sempre stati più bassi di quelli cinesi per le ragioni indicate nel paragrafo precedente. Passare a un’economia di consumo porterebbe la Cina a una fase più matura, trasformazione tra l’altro necessaria visto il futuro invecchiamento della popolazione cinese.

Allargando il discorso da geoeconomico a geopolitico, il tema verte sul carattere che la potenza cinese vuole assumere, se cooperativo o egemonico, in sostanza se l’ordine che la Cina immagina sia unipolare o multipolare. Nel caso in cui la Repubblica Popolare creda nella seconda e più auspicabile ipotesi, non dovrebbe avere troppi problemi a modificare le sue politiche pubbliche affinché esse siano più accomodanti verso i suoi potenziali alleati, come l’India.

3 Cooperazione Internazionale

3.1 I BRICS e il nuovo sistema finanziario

I BRICS sono nati come un concetto economico all’inizio degli anni 2000, quando l’economista Jim O’Neill, coniò l’acronimo “BRIC” per riferirsi a Brasile, Russia, India e Cina, quattro grandi economie emergenti destinate a diventare leader globali. Nel 2009, i leader di questi Paesi si incontrarono per la prima volta a livello di vertice, dando vita a un forum politico con l’obiettivo di promuovere la cooperazione economica e politica. Nel 2010, il Sudafrica si unì al gruppo, trasformando BRIC in BRICS. Nel corso degli anni, i BRICS sono diventati una piattaforma importante per affrontare le sfide globali e promuovere la riforma delle istituzioni internazionali, sviluppando iniziative come la New Development Bank (NDB) per sostenere progetti infrastrutturali nei Paesi membri e nelle economie emergenti.

Nel 2023, i BRICS hanno annunciato una significativa espansione, accogliendo cinque nuovi membri: Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. Questa espansione riflette l’intento del gruppo di aumentare la propria influenza globale e di includere economie strategicamente rilevanti e ricche di risorse. L’allargamento mira a rafforzare la cooperazione economica e politica tra i Paesi del Sud globale, promuovendo un ordine mondiale più multipolare che riduca la dipendenza dalle istituzioni occidentali e favorisca lo sviluppo delle economie emergenti (Firdaus  et al.).

Nel 2022, a seguito dello scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, gli Stati Uniti congelarono tutti gli asset russi conservati in dollari per un valore complessivo di circa 300 miliardi di dollari, attirando l’attenzione di molti Paesi. Non è la prima volta che gli Stati Uniti utilizzano il predominio del dollaro come arma di ritorsione contro i loro nemici. E’ infatti in dollari che viene condotta la gran parte degli scambi commerciali a livello internazionale. Ad oggi, per esempio, se due imprese una cinese e una indiana dovessero commerciare, è probabile che la transazione avverrebbe in dollari (USD), invece che in rupie (INR) o yuan (CNY). L’imposizione di sanzioni da parte degli americani e dei loro alleati è resa efficace dal controllo di SWIFT, la piattaforma su cui vengono virtualmente condotti tutte le transazioni digitali (Lewis, 2024). Paesi come l’Iran o la Corea del Nord sono ad esempio esclusi da questa piattaforma e perciò non gli è possibile condurre transazioni in dollari, un pesante ostacolo al commercio internazionale.

E’ proprio la de-dollarizzazione uno degli argomenti che maggiormente accomuna i Paesi BRICS+. A questo proposito è stata teorizzata la creazione di una nuova valuta che permetta di condurre transazioni internazionali senza passare attraverso la conversione in dollari. Oltre a garantire l’indipendenza strategica dei paesi BRICS dagli USA, la nuova valuta sarebbe un passo verso una maggiore integrazione economica di questi Paesi e garantirebbe la creazione di un sistema finanziario multipolare, non più controllato da una sola potenza.

Alcuni passi concreti sono già stati intrapresi in questa direzione. Dopo la sostanziale esclusione della Russia dal sistema SWIFT (Martin, 2024), i commerci con la Cina hanno subito alcuni importanti cambiamenti. Dal 2022, la quota di pagamenti condotti in yuan nelle esportazioni russe è cresciuta di 86 volte, raggiungendo il 34,5%. Allo stesso tempo, la quota dello yuan nelle importazioni russe è cresciuta di oltre 8 volte, arrivando al 36,4%. Questi dati servono come un importante precedente e indicano che una strada alternativa al dollaro è più che possibile.

Riguardo alla creazione di un sistema di pagamenti internazionali c’è un’enorme opportunità di cooperazione tra India e Cina, e in generale tra tutti i Paesi BRICS. Il superamento del sistema SWIFT sarebbe un colpo fatale all’ordine globale nordamericano e porterebbe alla creazione di un sistema decentralizzato. Inoltre la creazione di un sistema alternativo garantirebbe la fine, o senz’altro almeno un grave indebolimento, dell’efficacia delle sanzioni commerciali; se ad oggi, grazie al monopolio sul dollaro e il sistema SWIFT gli Stati Uniti possono imporre unilateralmente sanzioni a Paesi a loro ostili, ciò non sarebbe più possible se esistesse un sistema decentralizzato. La creazione di un sistema di pagamenti alternativo al dollaro è a mio parere l’iniziativa più immediata che possa essere intrapresa in un contesto di cooperazione tra India e Cina per il superamento dell’egemonia americana, già in declino, e il raggiungimento di un nuovo ordine multipolare.

3.2 Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai

L’organizzazioneper la Cooperazione di Shanghai (OCS), fondata nel 2001 da Cina, Russia, Kazakhstan, Tajikistan, Uzbekistan e Kirghizistan, si propone di seguire il cosiddetto “Spirito di Shanghai” per creare un ambiente di mutua fiducia, benefici, di uguaglianza, di consultazione, di rispetto per le diverse culture e di prosperità condivisa. In pratica l’organizzazione è un forum per la risoluzione di conflitti territoriali e si fa promotore della sicurezza e della stabilità regionale. Nel 2015 India e Pakistan si unirono all’organizzazione.

Le azioni intraprese dalla OCS si concentrano nel settore dell’anti-terrorismo, traffico di droga, ogranizzazioni criminali transnazionali e della sicurezza dei confini. Per esempio, tra il 2013 e il 2017 la OCS è riuscita a fermare 600 attività criminali e arrestare 2000 terroristi (Xiaoxing, 2021).

La OCS potrebbe diventare un’utile piattaforma per la risoluzione delle contese territoriali indo-pakistane e soprattutto per quelle sino-indiane. Il predecessore della OCS, i “cinque di Shanghai”, nasceva infatti proprio con l’obiettivo di stabilizzare la regione centro asiatica a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Vista quindi la credibilità della piattaforma in questo ambito, potrebbe essere un’ottima opportunità per tagliare quella che altrimenti rimane una pericolosa miccia nei rapporti tra India e Cina.

3.3 Mutui rapporti con la Federazione Russa

I due giganti asiatici trovano nella Federazione Russa un alleato comune. Se i rapporti tra Russia e Cina non sono sempre stati tra i più cordiali, ormai da diversi anni seguono un trend di costante rafforzamento. Alla fine del summit di Febbraio 2022, Mosca e Beijing dichiaravano la loro amicizia come “senza limiti”. Seppur a rapporti di forza invertiti rispetto ai tempi della guerra fredda, Russia e Cina si ritrovano nello stesso schieramento dell’attuale contesa globale. La convergenza di interessi passa dalla inimicizia verso gli Stati Uniti, dalla volontà di costruire un sistema internazionale non monopolizzato da un’unica potenza e dai proficui scambi commerciali tra i due Paesi.

I moderni rapporti sino-russi risalgono alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e ai rapporti della Repubblica Popolare Cinese con l’Unione Sovietica. La vittoria del Partito Comunista Cinese nella guerra civile cinese nel 1949, facilitata anche dalla cessione della Manciuria, occupata dai sovietici nel 1945 al seguito del conflitto con l’ormai collassato Impero nipponico, portò alla creazione della Repubblica Popolare Cinese. Nel 1950 fu firmato il Trattato di amicizia, alleanza e mutua assistenza sino-sovietico, che consolidò ulteriormente ‘tra i due Paesi. Le relazioni cominciarono a deteriorarsi dopo la morte di Stalin nel 1953 e l’ascesa di Nikita Krusciov. La destalinizzazione e le politiche di Krusciov furono viste con sospetto da Mao, che credeva che l’Unione Sovietica stesse abbandonando il vero marxismo-leninismo. Nel 1960, l’Unione Sovietica ritirò i suoi esperti tecnici dalla Cina, segnando l’inizio della frattura ufficiale. Il conflitto ideologico, noto come la scissione sino-sovietica, culminò in scontri di confine nel 1969. Le relazioni rimasero tese fino alla morte di Mao nel 1976 e all’inizio delle riforme di Deng Xiaoping. Con l’ascesa di Michail Gorbačëv e la politica di distensione, le relazioni sino-sovietiche cominciarono a migliorare. Il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 pose fine a decenni di rivalità e tensioni, lasciando la Cina come uno dei principali eredi della tradizione comunista.

Dopo il crollo’, le relazioni tra Russia e Cina attraversarono una trasformazione significativa, passando da una rivalità storica a una partnership strategica. Negli anni ’90, entrambi i Paesi si concentrarono sul consolidamento interno, ma già alla fine del decennio iniziarono a sviluppare una cooperazione più stretta. Questo processo culminò nel 2001 con la firma del Trattato di buon vicinato e cooperazione amichevole, che segnò ‘di una nuova era nelle relazioni bilaterali. Nei due decenni successivi, la cooperazione economica e militare si intensificò, con la Russia che divenne un importante fornitore di energia per la Cina e le due nazioni che aumentarono la loro collaborazione in ambito militare e nelle organizzazioni internazionali come l’ONU e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (CSO).

A seguito del conflitto in Ucraina e della chiusura quasi totale degli scambi commerciali con i Paesi del blocco americano, la Russia ha visto la sua economia spostarsi verso Est. Elvira Nabiullina, la presidente della Banca Centrale russa, ha dichiarato che la quota delle transazioni tra la Russia e i Paesi membri dei BRICS condotte in valute nazionali è triplicata, raggiungendo l’85%. Nabiullina ha inoltre riportato un significativo aumento nella quota di commercio estero occupata dai BRICS, circa il 40%; nel 2022 era al 26% e nel 2021 circa al 20% (Abbasova, 2024). E’ chiaro come questi dati siano influenzati dalle sanzioni nordamericane che limitano pesantemente l’accesso russo al sistema SWIFT e di conseguenza la possibilità di condurre transazioni in dollari. Tuttavia è possibile notare un pre-trend che ci permette di interpretare le sanzioni statunitensi non come causa unica dell’aumento delle transazioni intra-BRICS, e invece come catalizzatore di un processo già in atto.

Passando ai rapporti tra Federazione Russa e India, troviamo un rapporto di cooperazione costante nel tempo. Dopo l’indipendenza dell’India nel 1947, i rapporti tra India e Russia (allora Unione Sovietica) si svilupparono rapidamente in un contesto di Guerra Fredda, con l’India che adottò una politica di non allineamento ma mantenendo legami stretti con Mosca. Negli anni ‘50 e ‘60, l’URSS divenne un importante partner economico e militare per l’India, fornendo armi e assistenza tecnica. Il culmine di questa collaborazione fu raggiunto nel 1971 con la firma del Trattato di Pace, Amicizia e Cooperazione Indo-Sovietico, che giocò un ruolo cruciale durante la guerra tra India e Pakistan del 1971. Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, i rapporti tra India e la nuova Federazione Russa rimasero solidi, sebbene l’inizio degli anni ‘90 fosse caratterizzato da una riduzione degli scambi e della cooperazione. Negli anni 2000, i rapporti si rinvigorirono grazie a una crescente cooperazione strategica, economica e tecnologica. La Russia continuò a essere un fornitore chiave di armi e tecnologia militare per l’India, e i due Paesi collaborarono in vari ambiti, tra cui l’energia nucleare e l’esplorazione spaziale.

Con lo scoppio del conflitto in Ucraina e l’imposizione delle sanzioni occidentali, l’India è rimasta uno dei pochi Paesi “amici” degli Stati Uniti a commerciare con la Russia. La continuazione dei rapporti è stata particolarmente vantaggiosa riguardo le importazioni di petrolio e gas naturale; l’India infatti, grazie alla carenza di domanda per le risorse russe, è riuscita ad assicurarsele a un prezzo scontato rispetto a quello del mercato internazionale. Questa disposizione ha garantito un cospicuo risparmio al Governo indiano, il quale controlla il 70% delle raffinerie del Paese. Gli import di petrolio vengono principalmente pagati in dirham (AED), dollari (USD) e rupie (INR). Alla fine del 2023 il governo russo ha chiesto all’India di pagare parte dei suoi import in yuan, un segnale del rafforzamento dei rapporti russo-cinesi e un chiaro tentativo di velocizzare la de-dollarizzazione. Tuttavia, è difficile che l’India accetti una simile richiesta visti i tentativi da lei promossi per internazionalizzare la propria valuta.

Ma le importazioni indiane non si limitano alle risorse naturali. Sin dai tempi della “guerra fredda”, l’Unione Sovietica e in seguito la Russia hanno fornito una buona parte degli armamenti attualmente in dotazione all’India. Negli ultimi 20 anni la Russia ha fornito il 65% delle importazioni militari indiane per un valore totale di 60 miliardi di dollari (Kaushik, 2024). Questo rapporto ha creato una dipendenza strategica indiana rispetto all’industria militare russa; per esempio, il mantenimento e le forniture di munizioni dipendono totalmente da importazioni russe. Questa dipendenza strategica implica da parte indiana la necessità di mantenere costanti rapporti amichevoli con la Federazione Russa. Questo rapporto, senz’altro proficuo per la Russia, è tuttavia particolarmente indigesto agli strateghi indiani che lo vedono come un ostacolo al raggiungimento dello status di superpotenza.

Negli ultimi anni, diversi passi sono stati intrapresi per diminuire questa dipendenza. Nuovi investimenti nell’industria militare indiana, assieme a nuove commissioni per armamenti occidentali, vanno in questa direzione (Kaushik, 2024). Tuttavia, il superamento della dipendenza dalla Russia non sarà una missione facile; i nuovi armamenti, spesso con nuovi standard e sistemi operativi, sono difficili da integrare con i sistemi russi, a volte addirittura di fattura sovietica. In sostanza le relazioni indo-russe sono amichevoli, tuttavia l’eccessiva dipendenza dell’India sul fronte delle forniture militari potrebbe evolversi in una debolezza.

4 La geografia dei rapporti Sino – Indiani

4.1 Il problema del confine

Il controllo del confine sino-indiano dell’’Himalaya è stato e continua a essere una fonte di costante attrito tra i due giganti asiatici. Paradossalmente, la disputa parte proprio dall’estrema difficoltà tecnica nel controllare un tale territorio; ciò non ha tuttavia scoraggiato i due Paesi dal provarci, o almeno dall’impedire che l’avversario dominasse la contesa. India e Cina, ufficialmente confinanti, sono de facto separate da un ostacolo tanto debilitante quanto un oceano. Non stupisce infatti che virtualmente la totalità dei commerci tra i due Paesi sia condotta per via marittima.
  La storia del confine tra India e Cina ha radici risalenti all’epoca coloniale britannica. Nel 1914, durante la Conferenza di Simla, fu tracciata la Linea McMahon, che delineava il confine tra l’India britannica e il Tibet. Tuttavia, la Cina non riconobbe mai questa linea, considerandola illegittima. Dopo l’indipendenza dell’India nel 1947, il nuovo Governo indiano ereditò la politica territoriale britannica, inclusa la Linea McMahon, che divenne il confine settentrionale. Nel 1950, la Cina stabilì il controllo sul Tibet, suscitando preoccupazioni in India riguardo alla presenza militare cinese nella regione. Nel 1951, l’India estese il suo controllo amministrativo su Tawang, un’importante area culturale tibetana, interpretando il silenzio della Cina come un’accettazione della Linea McMahon. Tuttavia, le tensioni aumentarono negli anni ‘’0, con entrambi i Paesi che intrapresero sforzi per costruire infrastrutture lungo il confine. Nel 1954, India e Cina firmarono un accordo che enunciava i “Cinque Principi della Coesistenza Pacifica”, ma non affrontò direttamente le questioni di confine.

Negli ultimi anni, si sono verificate occasionali schermaglie nella zona di confine demilitarizzata (Hongzhou e Mingjiang, 2013). Questi attriti non hanno tuttavia impedito ad India e Cina di rafforzare i loro rapporti, sia politici che commerciali. La risoluzione della disputa non è cosa facile; i territori interessati sono collocati in una zona strategica ed entrambi i Paesi non vogliono rinunciare ad alcuna parte nelle zone reclamate.

Allargando la visuale al resto dell’altopiano tibetano, la più grande riserva idrica sul pianeta e da cui dipende quasi la metà della popolazione mondiale, capiamo come il suo controllo sia un enorme vantaggio strategico per la Cina. La costruzione da parte cinese di dighe sparse sulla maggior parte dei fiumi himalayani, ha reso il controllo di questa risorsa ancora più saldo. Se a questo aggiungiamo che, a causa del cambiamento climatico, nel 2050 le acque dei ghiacciai diminuiranno dei due terzi, capiamo come il controllo di una risorsa così strategica come l’acqua sia una pedina fondamentale sulla scacchiere geopolitico. La crescita della popolazione nel sud e sud-est asiatico, assieme all’aumento dell’urbanizzazione in Cina sono entrambi fattori di pressione sulle faglie idriche già sotto stress; entrambi i fenomeni infatti rischiano di coincidere proprio con il declino delle acque causato dal cambiamento climatico.

Tuttavia, la costruzione di dighe lungo questi corsi d’acqua offre anche numerosi vantaggi. Primo fra tutti, la produzione di energia pulita che poi può essere venduta ai Paesi confinanti, come ad esempio accade con un accordo tra Cina e Thailandia. Inoltre la costruzione di dighe permette un controllo più accurato e sicuro dei flussi d’acqua. In sostanza, la costruzione di dighe e in generale il controllo delle fonti d’acqua dolce garantisce alla Cina una posizione dominante sopra i Paesi confinanti, quali India, Bangladesh, Thailandia o Vietnam. Alla Cina è affidato l’importante incarico di gestire le risorse idriche per un’importantissima fetta della popolazione mondiale.

Il confine terrestre dei due giganti asiatici è un fonte di tensione. Una risoluzione per stabilire un confine chiaro e superare quello attuale, determinato 200 anni fa da una potenza coloniale, sarebbe auspicabile e contribuirebbe a stabilizzare i rapporti sino-indiani. Assieme al confine un accordo riguardo alla gestione delle acque dell’Himalaya sarebbe un passo nella giusta direzione per stabilire un rapporto di mutua-fiducia.

4.2 Le isole Nicobare e lo Stretto di Malacca

Passando dal confine terrestre sino-indiano, ci spostiamo verso una frontiera più calda, l’Oceano Indiano. E’ attraverso di esso che passano la maggior parte delle importazioni e esportazioni cinesi. Il controllo di queste rotte è cruciale per il commercio di beni come il petrolio arabico o i prodotti manifatturieri destinati ai ricchi mercati europei. Su queste rotte esistono dei punti di pressione imposti dalla geografia, uno dei più important dei quali è lo stretto di Malacca. Ogni anno, circa 120.000 navi attraversano l’Oceano Indiano, di queste 70.000 fanno rotta per lo stretto di Malacca e il controllo di questo punto nodale nel commercio mondiale garantisce un enorme vantaggio strategico.

Di fronte allo stretto di Malacca sono collocate le isole Nicobare. L’arcipelago è controllato dall’India e, seppur conti per un irrisorio 0,2% del suo territorio terrestre, contribuisce per un terzo della zona economica esclusiva marittima indiana. La catena di isole, con la sua configurazione Nord-Sud, forma una barriera naturale di fronte allo stretto. Formata da 572 isole, la catena si estende per più di 800 km, dista meno di 300 km dal Myanmar e 200 km dall’isola di Sumatra (Indonesia).

Negli ultimi anni, l’India ha cominciato a militarizzare le isole; la costruzione di nuove basi, marittime e aeree, e il collocamento di sonde sono-riceventi, sono solo alcuni dei progetti intrapresi da Nuova Delhi. Se a ciò aggiungiamo i piani di ammodernamento della marina militare indiana con il piano decennale, che secondo programma dovrebbe finire nel 2030, la situazione si complica. La militarizzazione delle isole Nicobare è una chiara azione ostile; essa garantisce il controllo dello stretto di Malacca e con esso della importante rotta commerciale che vi passa attraverso. Il riarmo navale indiano rimane tuttavia un imperativo strategico dell’India. Consideriamo per esempio che le esportazioni agricole indiane sono per la gran parte effettuate via mare: 70% in valore e 90% in volume. L’India deve quindi dare nuova importanza alla sua marina che tuttavia viene spesso relegata in secondo piano a favore dell’esercito terrestre e dell’aereonautica, queste ultime ritenute più importanti in visione anti-pakistana.

La Cina però non si sta facendo trovare impreparata. Oltre all’espansione delle basi navali, per ora solo a scopo commerciale, il Paese del dragone sta investendo ingenti somme per sviluppare il corridoio pakistano. La creazione di infrastrutture portuali e stradali si colloca in una posizione strategica. Con l’acquisizione del porto commerciale di Gwadar, situato nel Balochistan pakistano, la Cina ha ottenuto un’importante base giusto accanto ad un altro punto focale del commercio mondiale, lo stretto di Hormuz. Accoppiato allo sviluppo del porto c’è la creazione di una rete autostradale che, attraversando tutto il Pakistan, si ricongiunge alla Cina. Questa importante infrastruttura permetterà alla Cina di bypassare lo stretto di Malacca e di diversificare le sue rotte commerciali. Questo progetto non è tuttavia senza limitazioni. Il trasporto di merci via mare rimane ancora di gran lunga più economico di qualsiasi altro mezzo. Inoltre, alcuni dei territori attraverso cui questo nuovo corridoio si sviluppa sono particolarmente instabili politicamente, primo tra tutti proprio il Balochistan da cui il corridoio parte. La regione è negli ultimi anni attraversata da un’ondata separatista che ha pesantemente destabilizzato la regione. Se a ciò aggiungiamo la generale destabilizzazione e ondata di violenze che sta attraversando il Pakistan, capiamo come questo corridoio sia particolarmente inaffidabile.

In sostanza, la geografia non favorisce i rapporti tra India e Cina. Entrambe hanno carte da giocare per ostacolare l’avversario. Considerando le circostanze, sarebbe perciò auspicabile la distensione del maggior numero di punti di tensione. Un memorandum sulla gestione delle acque himalayane per esempio garantirebbe stabilità non solo tra India e Cina ma a tutto il Sud-Est asiatico che da quelle acque dipende. Passando alle Isole Nicobare, mantenere la zona demilitarizzata garantirebbe stabilità al commercio mondiale; lo stretto di Malacca non è infatti vitale solo per la Cina ma per la maggior parte dei Paesi asiatici. Mantenere la zona poco militarizzata sarebbe un ottimo passo nel migliorare i rapporti sino-indiani.

5 I diamanti e la seta

A lato della politica interna, India e Cina durante gli anni 10 hanno intrapreso iniziative parallele per lo sviluppo e la cooperazione internazionale (Giuliani, 2023). Decisamente più famose sono le Vie della Seta cinesi, un progetto esteso che prevede la costruzione di infrastrutture, come porti, autostrade o ferrovie, in numerosi Paesi, prevalentemente asiatici e africani. In modo analogo, l’India sta portando avanti iniziative per lo sviluppo di infrastrutture. Anche se non altrettanto coerenti e strutturate, le iniziative indiane hanno l’analogo obiettivo di aumentare l’influenza indiana nel teatro dell’Indo-Pacifico. Un esempio di una di queste iniziative è il corridoio India-Asia Occidentale-Europa. L’iniziativa prevede lo sviluppo di infrastrutture portuali e terrestri per facilitare il commercio partendo dall’India, attraversando il Medio Oriente per arrivare al mercato europeo.

5.1 Le vie della seta cinesi

La maggior parte delle iniziative estere cinesi è racchiusa in un unico e coeso piano di sviluppo e cooperazione internazionale. Il progetto, soprannominato “Belt and Road initiative” da Xi Jinping nel 2013, si sviluppa su due filoni: uno terrestre, che ripercorrendo le antiche vie carovaniere  attraversa l’Asia Centrale per arrivare in Russia e infine in Europa, l’altra rotta è invece marittima e passa invece per il Sud-Est asiatico, attraversa l’Oceano Indiano per poi diramarsi verso Africa e Medio Oriente (Yiping, 2016). Il progetto delle Vie della Seta, come è conosciuto in  italiano, è associato al finanziamento di porti, strade, aeroporti, ferrovie ma anche di nuove centrali elettriche, miniere e network telecomunicativi.

Dal suo lancio, il progetto ha coinvolto oltre 140 Paesi, con investimenti stimati superiori ai 1.000 miliardi di dollari. Ad esempio, nel 2021, il commercio tra la Cina e i Paesi coinvolti nella BRI ha superato i 1.700 miliardi di dollari, a dimostrazione dell’importanza economica di questa iniziativa. La Cina ha investito pesantemente in progetti infrastrutturali strategici come il porto di Gwadar in Pakistan, il gasdotto Cina-Myanmar e la ferrovia Addis Abeba-Gibuti in Africa. Inoltre, secondo un rapporto del 2020 della Banca Mondiale, la BRI potrebbe far crescere il commercio globale fino al 6,2%, contribuendo a una significativa riduzione dei costi commerciali. Dal 2019 però il volume del capitale convogliato verso questi progetti è diminuito, ad aumentare è stata la qualità dei progetti con un focus su investimenti strategici più mirato.

Il progetto nel suo insieme rappresenta un chiaro tentativo di creare le infrastrutture logistiche necessarie ma non sufficienti al superamento dell’egemonia nordamericana. Il controllo dei mari, per cui transita il 90% del commercio mondiale (International Chamber of Shipping), rimane ancora fermamente sotto il controllo degli Stati Uniti e dei suoi alleati. La Cina negli ultimi anni ha senz’altro fatto passi da gigante in questo campo. Ad oggi, la sua marina può infatti contare il più alto numero di vascelli militari al mondo. Seppure la marina nordamericana rimanga superiore a quella cinese, la Repubblica Popolare può usufruire del considerevole lusso di potersi concentrare sui mari a lei adiacenti, come il Mar Cinese meridionale e il Mar Giallo, e con visione più allargata, sul teatro dell’Indo-Pacifico.

Investimenti chiave sono anche stati fatti per assicurarsi risorse strategiche alla transizione ecologica.

5.2 La collana di diamanti

In risposta all’ascesa commerciale, politica e militare cinese, l’India si è attivata su numerosi fronti. Una prima iniziativa intrapresa è il corridoio “India-Medio Oriente-Europa” dal lato commerciale, un’iniziativa che in modo analogo alle Vie della Seta cinesi vuole connettere l’India ai mercati europei. Una seconda azione, dal punto di vista strettamente politico-militare è l’adesione al QUAD, acronimo per quadrilateral security dialogue, una partnership militare con Stati Uniti, Giappone e Australia. E’ su questi due cardini, economico e politico-militare, che la risposta indiana si sviluppa.

Il progetto del Corridoio India – Medio Oriente – Europa, sviluppato al seguito del G20 tenutosi a Nuova Delhi, ha come obiettivo la connessione delle manifatture indiane al mercato europeo (Rizzi, 2024). Come già il nome ci suggerisce ironicamente, questo progetto è ancora in uno stato embrionale, più vicino a un’idea che a un progetto effettivo. Il piano, fortemente voluto dall’Amministrazione americana, consiste nella creazione di infrastrutture che facilitino il trasporto di merci partendo dall’India e passando per Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Israele per poi arrivare nel Mediterraneo e in Europa. Il progetto dovrebbe essere co-finanziato dai vari Paesi partecipanti, e proprio in questo ambito il ruolo delle monarchie del Golfo diventa centrale viste le senz’altro più abbondanti risorse di cui queste possono disporre. Un pesante inconveniente per la riuscita del piano è stato apportato dallo scoppio del conflitto tra Israele e i palestinesi. Il perdurare del conflitto in Israele e della generale instabilità regionale sono pesanti ostacoli da rimuovere per la buona riuscita del progetto.

Passando alla politica estera e militare, l’India ha cercato di assicurarsi alleati in funzione difensiva. Attivo dal 2017, il QUAD, raggruppa Paesi intimoriti dall’ascesa cinese. Lontano dall’essere una vera e propria alleanza militare, il QUAD è meglio descritto come una piattaforma comune a Paesi confinanti con la Repubblica Popolare. Il QUAD si predispone ad obiettivi vaghi come il mantenimento della libertà di navigazione nell’Indo-Pacifico e il sostegno allo sviluppo economico della regione. E’ da sottolineare che l’adesione indiana al QUAD non significa una piena adesione al campo occidentale, ma è il risultato di un allineamento di interessi su base regionale; sia India che Stati Uniti hanno come obiettivo il rallentare l’ascesa cinese nel teatro dell’Indo-Pacifico. In altri contesti tuttavia gli interessi divergono, pensiamo ad esempio al dossier Russia. Dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, l’India non ha mai smesso di comprare gas naturale dalla Russia, azione fortemente criticata dai Paesi occidentali. In generale il QUAD rimane, almeno per ora, un progetto vago e inconcludente, e resta più che altro un forum per i leader dei Paesi interessati attraverso cui confrontarsi.

A queste due e più importanti iniziative indiane si accompagnano numerosi progetti minori. Anche solo questo breve riassunto dei piani strategici indiani fa risaltare un approccio  estremamente diverso da quello cinese. Se la Cina è riuscita ad incapsulare tutte le sue iniziative in un unico piano coeso, lo stesso non è riuscito all’India che invece pecca nell’avere numerose iniziative di scala minore, nella maggior parte dei casi controrisposte a iniziative cinesi. E’ sul campo della cooperazione internazionale che risalta in modo particolarmente evidente l’asimmetria di potere tra i due Paesi.

Conclusioni

I rapporti tra elefante e dragone sono complicati; tra i numerosi punti di tensione e le nuove opportunità commerciali ciò che emerge è la fondamentale asimmetria della relazione sino-indiana. L’importante sviluppo economico negli ultimi anni, molto più consistente per la Cina che per l’India, ha accentuato lo sbilanciamento tra i due Paesi. Gli export indiani, principalmente risorse prime, non riescono a competere con le esportazioni cinesi, formate in gran parte da manifattura avanzata. A ciò si aggiungono vari contenziosi territoriali, concentrati principalmente sul confine terrestre himalayano. Entrambi hanno sviluppato progetti internazionali al fine di promuovere la cooperazione e supportare il loro export. Anche su questo fronte la Cina prevale, con un progetto, le Vie della Seta, estremamente più coeso e con un obiettivo più chiaro. L’India invece fatica a creare una visione coerente e globale della sua politica estera che rimane frammentata, così come i suoi numerosi progetti di cooperazione e sviluppo. In sostanza i rapporti tra India e Cina rimangono complessi, nell’intreccio politico-economico troviamo posizioni differenti, con avvicinamenti su dossier specifici, come la creazione di un sistema di transazioni internazionali decentralizzato e la partecipazione a formati geopolitici important come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, e di allontanamenti su altri, come l’incremento della presenza cinese nell’Oceano Indiano.

Bibliografia

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