di Rachid Achachi
Fin dall’inizio del regno di Re Mohammed VI, il Marocco ha compreso la necessità di creare e consolidare grandi blocchi economici e, in ultima analisi, geopolitici. Questa logica è anche alla base dell’approccio diplomatico della mano tesa adottato dal Regno nei confronti dei vicini algerini.
FONTE ARTICOLO: https://fr.le360.ma/monde/geopolitique-royale-vers-une-pax-marocana_XL3CYM3GFJBYTJP725O7CPIHXY/
Nel 1993, Samuel Huntington pubblicò il suo famoso articolo “Lo scontro delle civiltà?” che suscitò grandi polemiche tra le varie intelligenze del mondo occidentale. Tanto più che, all’epoca, il paradigma era quello dell’egemonia incontrastata degli Stati Uniti e di una presunta “fine della storia”.
Tre anni dopo, il suo percorso intellettuale culminò in un saggio omonimo, anche se privo del punto interrogativo.
Nel 2024, bisogna dire che non aveva del tutto torto, anche se la realtà ha invalidato alcune delle sue ipotesi. Ma va detto che, da qualche anno a questa parte, il leitmotiv principale delle grandi potenze mondiali non è più ideologico, ma di civiltà: l’Occidente sottolinea la necessità di difendere la civiltà occidentale e i suoi valori dalle minacce, spesso fittizie, della Russia, dell’islamismo o della Cina; la Russia sostiene di essere il “mondo russo”, una civiltà a sé stante; in India, Narendra Modi ha addirittura ribattezzato il suo Paese, trovando un nuovo nome nella sua antichità e chiamandolo “Bharat”, facendo, poi, dell’induismo la matrice principale del Paese; Israele propone, in modo sempre più disinvolto, un devastante messianismo biblico; quanto alla Turchia, infine, sta lavorando attivamente per creare un’area economica panturca basata su un comune denominatore etnico e distribuita nell’immensa fascia eurasiatica nota come Grande Turan.
In Marocco, invece, alcuni nazionalisti dell’ultima ora vorrebbero confinare il Regno nei suoi confini politici attraverso un deleterio sciovinismo che, se dovesse realizzarsi (e non c’è pericolo che ciò accada), ci farebbe sprofondare in un isolamento distruttivo, sia dal resto del continente africano sia da quel Sud globale che, oggi, rappresenta quasi la metà del PIL mondiale.
I grandi blocchi di civiltà sopra citati sono pensati in termini di grandi aree che spesso superano i confini politici del Paese che li ha creati. Questi “grossraum”, per usare l’espressione di Carl Schmitt, sono resi possibili da comuni denominatori culturali e civili che – quando c’è la volontà politica – danno vita a dinamiche di convergenza che, nel rispetto della sovranità di ciascuno Stato di questa grande area, trasformano i confini non in barriere ma in ponti economici, culturali e umani.
E nel mondo di domani, più che in quello di oggi, conteranno solo i grandi blocchi.
Così, la Cina sta cercando di consolidare l’immenso spazio eurasiatico attraverso la sua nuova Via della Seta, progetto che mira anche a eludere l’egemonia americana sugli oceani.
Grazie alla sua sfaccettata diplomazia, l’India sta cercando di sviluppare un progetto rivale a quello elaborato cinese contro gli Stati Uniti, attraverso una rotta commerciale che andrebbe dall’India al Mediterraneo, passando per gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e Israele.
E la Turchia sta cercando, attraverso accordi di libero scambio, di creare un blocco economico turcofono unito da una comune identità culturale.
E il Marocco? In Marocco, non appena si parla di un blocco o di un progetto maghrebino che condivida lo stesso background antropologico e culturale si viene accusati di “khawatismo” o addirittura di tradimento. Tuttavia, fin dall’inizio del regno di Re Mohammed VI (e ancor prima di alcune grandi potenze) il Marocco ha compreso la necessità di creare e consolidare grandi blocchi economici e, in ultima analisi, geopolitici.
Per esempio:
- la Reintegrazione nell’Unione Africana nel 2017;
- La richiesta di adesione all’ECOWAS nello stesso anno;
- L’enorme progetto di gasdotto Nigeria-Marocco lanciato nel 2018;
- La firma nel 2021 di un accordo con la Cina sul piano di attuazione congiunta della “Belt and Road Initiative”, più comunemente nota come “Nuove vie della seta”;
- Infine, il progetto reale annunciato per il 2023, che mira a dare a 4 Paesi senza sbocco sul mare del Sahel l’accesso all’Oceano Atlantico attraverso le infrastrutture stradali e portuali del Marocco.
Ma ancora più vicino a noi, possiamo citare l’approccio diplomatico adottato dal Marocco nei confronti del vicino algerino. In altre parole, la politica di aiuto – i cui risultati dipendono unicamente dalla capacità del governo algerino di superare il rifiuto e la paranoia nei confronti del Marocco – e la distinzione fatta in tutti i discorsi del re Mohammed VI tra lo Stato e il popolo algerino, che viene sempre definito come un popolo fraterno.
“A lungo termine, l’antagonismo finirà per svanire, a vantaggio dei denominatori comuni più immutabili: la geografia e la cultura. Perché finora non abbiamo mai visto un Paese muoversi”.
Allo stesso modo, è importante ricordare che nonostante la sistematica ostilità mostrata da Algeri nei confronti del Marocco, il Re non ha mai escluso l’Algeria dall’accesso all’Atlantico in un quadro di cooperazione, come dimostra anche il discorso pronunciato ieri da Sua Maestà il Re pronunciato in occasione della commemorazione della Marcia Verde:
“Gli altri, nel loro desiderio di accedere all’Atlantico, sfruttano la questione del Sahara. A loro diciamo semplicemente che non ci opponiamo. Anzi, come tutti sanno, il Marocco è stato l’artefice di un’iniziativa internazionale per facilitare l’accesso all’Oceano Atlantico agli Stati del Sahel. Concepita in uno spirito di collaborazione, partenariato e progresso condiviso, questa iniziativa è destinata a beneficiare tutti i Paesi della regione.
Questo approccio può essere compreso soltanto se si adotta una visione a lungo termine, poiché i paradigmi politici e le ideologie cambiano, ma le costanti geografiche e storiche rimangono sempre le stesse. La prova sta nel fatto che la Germania e la Francia si sono fatte guerra più volte nella loro storia, spesso nei modi più atroci e distruttivi, con milioni di morti da entrambe le parti; eppure oggi fanno parte della stessa unione economica, l’Unione Europea, e della stessa alleanza militare, la NATO.
Russia e Cina, che si sono scontrate militarmente dal XVII secolo fino all’ultimo conflitto del 1969, sono diventate oggi il nucleo duro del Sud globale e dei BRICS.
Lo stesso vale per il Marocco, i cui antagonismi sono principalmente il prodotto di ex colonizzatori e di alcune caste emergenti che, quando i loro Paesi hanno ottenuto l’indipendenza, sono riusciti a prendere il potere e a basare la loro legittimità sull’odio verso i vicini.
A lungo termine, tutto questo è effimero e finirà per svanire, a favore di quei denominatori comuni che sono più immutabili: la geografia e la cultura, perché finora non abbiamo mai visto un Paese muoversi.
La temporalità della monarchia non è quella dell’individuo, che spesso ha fretta di portare a termine le cose nel corso della sua vita, né quella del sistema democratico, condannato a una relativa cecità a causa della ciclicità delle elezioni.
La sua temporalità è quella del lunghissimo termine. E spetta agli intellettuali e alla società civile inserirsi in questa prospettiva, riflettendo in modo costruttivo, ma con uno spirito critico che non dobbiamo mai perdere, proponendo piste di riflessione e proposte plurali e anche critiche, capaci di alimentare il dibattito e la riflessione.
A tal fine, ricordiamo un passaggio del discorso pronunciato da Sua Maestà il Re Mohammed VI il 13 ottobre 2017: “Chiediamo inoltre a tutti di dare prova di obiettività, chiamando le cose con il loro nome, senza compiacenze o abbellimenti, e proponendo soluzioni innovative e audaci, anche se ciò significa allontanarsi dai metodi convenzionali applicati finora, o addirittura provocare un vero e proprio terremoto politico”.
Il dibattito pubblico di oggi, tanto in Parlamento quanto nei media e nella società civile, riflette questo invito reale a una maggiore audacia, innovazione e pensiero critico? O ci stiamo avviando verso un modello di standardizzazione del discorso e di esclusione di qualsiasi lettura alternativa, spesso con il pretesto del patriottismo? Lascio a ciascuno di voi il compito di rispondere a queste domande al meglio delle vostre conoscenze e convinzioni.
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