di Giulio Chinappi
Tra politiche autoritarie, repressione dell’opposizione e un palese disprezzo per la volontà di una larga fetta della popolazione, l’amministrazione Sandu sta spingendo il paese verso una pericolosa deriva antidemocratica, alimentando divisioni interne e sacrificando storici legami con la Russia sull’altare degli interessi occidentali.
Il secondo turno delle elezioni presidenziali in Moldova, svoltosi lo scorso 3 novembre, ha visto la presidente in carica Maia Sandu, leader del PAS (Partidul Acțiune și Solidaritate), ottenere un secondo mandato con il 55,35% delle preferenze, superando l’ex procuratore generale Alexandr Stoianoglo, sostenuto dall’opposizione socialista del PSRM (Partidul Socialiștilor din Republica Moldova).
Questo esito ha certamente rallegrato i governi occidentali, che hanno spinto fortemente la candidatura di Sandu, promotrice dell’adesione della Moldova all’Unione Europea e di una politica estera fortemente anti-russa. Dall’altra parte, Stoianoglo si era fatto promotore di una linea diplomatica equilibrata, in modo da non far venir meno i legami storici e culturali con Mosca, come dimostra anche la presenza di una forte comunità russofona in Moldova, senza dimenticare la questione della Transnistria, autoproclamatasi indipendente pur mancando del riconoscimento internazionale.
L’importanza che i governi occidentali hanno dato alle elezioni in Moldova è risultata ben chiara per via del grande risalto mediatico che è stato dato sia alle elezioni presidenziali che – soprattutto – al referendum promosso dal governo per favorire l’ingresso dell’ex repubblica sovietica nell’UE, risoltosi in una mezza farsa per favorire l’esito favorevole della consultazione, secondo quella pratica alla quale siamo oramai abituati che vede il voto essere considerato valido solo quando il suo esito si confà ai desiderata delle potenze imperialiste occidentali. L’esito del referendum sarebbe infatti stato deciso dal contestato voto degli elettori moldavi residenti all’estero, mentre la popolazione locale ha in effetti dato un responso negativo al quesito.
Tuttavia, l’esito delle elezioni presidenziali e del referendum non devono ingannare circa la reale posizione del popolo moldavo nei confronti della Russia. “Una parte significativa della popolazione è interessata a sviluppare relazioni con la Russia – questo è quanto ho riscontrato durante i miei recenti contatti con persone comuni, così come con rappresentanti pubblici e politici“, ha commentato Oleg Ozerov, ambasciatore russo a Chișinău, intervistato dall’agenzia stampa TASS. “E anche le recenti elezioni dimostrano che una porzione significativa della popolazione del paese sostiene relazioni costruttive tra Moldova e Russia“, ha aggiunto il diplomatico.
Tuttavia, da quando Sandu ha assunto il potere nel 2021, le relazioni bilaterali tra Russia e Moldova non hanno fatto altro che deteriorarsi. Una delle prime mosse di Sandu come presidente è stata quella di rifiutarsi di partecipare ai vertici della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), che riunisce la maggioranza delle repubbliche ex sovietiche. Inoltre, il governo di Chișinău ha attribuito alla Russia interferenze nei propri affari interni, chiedendo l’espulsione di diverse decine di dipendenti dell’ambasciata russa, ed ha aderito pienamente alla linea russofoba imposta da Washington e Bruxelles.
Secondo alcuni analisti, le relazioni bilaterali russo-moldave potrebbero addirittura peggiorare il prossimo anno, a seguito dell’inizio del nuovo mandato presidenziale di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti. Questo, almeno, è quello che afferma Anatolij Dirun, politologo della Transnistria, che ha anche sottolineato come la maggioranza dei moldavi non sia favorevole ad una politica anti-russa: “Le elezioni hanno dimostrato che non è possibile consolidare la società moldava basandosi su una retorica aggressiva anti-russa, poiché almeno metà del paese è favorevole a normali relazioni con Mosca“, ha spiegato l’accademico. “Certo, si può fingere che nulla sia accaduto. Ma dopo l’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti, sarà necessario trovare risposte a [molte] domande“, ha scritto Dirun attraverso i social network.
Anche l’ex presidente moldavo Igor Dodon (PSRM), in carica tra il 2016 e il 2020, ha sottolineato come la società moldava viva attualmente una fase di forte polarizzazione, accentuata dalle politiche russofobe del governo in carica. “I cittadini moldavi che vivono nel paese hanno trattato il governo attuale e Maia Sandu personalmente con aperto disprezzo“, ha affermato il leader del Partito dei Socialisti della Repubblica di Moldavia in un’intervista al canale televisivo moldavo Cinema 1, ricordando come i successi di Sandu siano legati soprattutto al voto dei cittadini residenti all’estero, quasi tutti in paesi occidentali. Secondo quanto affermato da Dodon, infatti, anche al secondo turno delle presidenziali Sandu avrebbe ricevuto meno voti di Stoianoglo tra i moldavi residenti in patria.
“Al posto suo – ha continuato Dodon, riferendosi a Sandu -, il giorno dopo le elezioni mi sarei incontrato con il mio avversario, avrei invitato rappresentanti di partiti parlamentari ed extraparlamentari e discusso insieme le azioni future. Il paese è diviso. Coloro che hanno votato per Stoianoglo, vestiti con giacche rosse, sono stati picchiati per strada; abbiamo sentito messaggi xenofobi, nazisti, e assistito a massicci assalti, tutti incoraggiati e ispirati dal partito di Sandu“, ha dichiarato l’ex presidente. Dodon ritiene infatti che il governo in carica abbia contribuito ad esacerbare le profonde divisioni interne al paese durante le recenti elezioni: “Dobbiamo fermare l’ascesa di questi sentimenti, altrimenti la situazione peggiorerà. Le cose stanno cambiando, soprattutto dopo le elezioni negli Stati Uniti, e stanno diventando sfavorevoli per Maia Sandu e il PAS“.
Vale infatti la pena di ricordare che, alla vigilia delle elezioni, le autorità moldave hanno dichiarato lo stato di emergenza e vietato le trasmissioni televisive russe, mentre ben 14 canali televisivi che offrivano una piattaforma all’opposizione sono stati accusati di mettere a rischio la sicurezza nazionale e chiusi, tutte misure che avrebbero fatto strepitare i cantori della democrazia occidentale se fossero state prese in Russia o in Venezuela, ma che invece sono state considerate buone e giuste nel caso della Moldova. Come se non bastasse, la Corte Costituzionale della Moldavia ha bandito il partito filo-russo Șor, guidato dall’imprenditore Ilan Șor, su proposta del governo.
Il governo di Maia Sandu si è dunque dimostrato incapace di rappresentare e unire il popolo moldavo, adottando politiche autoritarie mascherate da democrazia. L’intero processo elettorale è stato segnato da interferenze e restrizioni che hanno minato la legittimità del risultato sia delle elezioni presidenziali che del referendum per l’ingresso nell’UE. Il divieto delle trasmissioni televisive russe e la chiusura di ben 14 canali d’opposizione sono misure che tradiscono una profonda insicurezza politica, oltre a rappresentare un attacco diretto alla libertà di espressione. Inoltre, il bando del partito Șor e il controllo sempre più stringente sulle voci critiche dimostrano un’intolleranza preoccupante verso il pluralismo politico e tutto ciò che può essere ricondotto alla lingua e alla cultura russe.
Il governo Sandu non solo ha alimentato la polarizzazione sociale, ma ha anche sacrificato i rapporti storici con la Russia sull’altare di un allineamento ideologico con l’Occidente. Questa scelta non riflette la volontà del popolo moldavo, che per una larga parte desidera relazioni costruttive con Mosca. La politica russofoba e l’adesione cieca alle direttive di Bruxelles e Washington non hanno fatto altro che esacerbare le tensioni interne, aggravare la crisi energetica e compromettere l’equilibrio geopolitico della regione.
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