a cura di Matteo Pistilli
Dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il Centro Studi Eurasia e Mediterraneo ha chiesto a tre generali dell’esercito italiano la loro opinione sul futuro delle relazione internazionali dopo il risultato delle elezioni presidenziali statunitensi.
FRANCESCO COSIMATO
Generale di Brigata in congedo e presidente del Centro Studi Sinergie
Il dibattito sul futuro delle relazioni internazionali dopo l’elezione di Trump è in pieno svolgimento con uno spettro che inizia dal cambiamento epocale e finisce con la totale coincidenza con l’attuale sistemazione. Che visione geopolitica porta Trump? E che conseguenze avrà secondo Lei?
Trump non è il risultato di una carriera nell’apparato, anzi, dovrebbe essere un nemico giurato delle lobby di potere, il cosiddetto “deep state”, quindi è presumibile che abbandoni i totem dei liberal americani (gender, woke e bellicismo). In questo quadro si dovrebbe muovere in maniera pragmatica e strettamente correlata alle condizioni socio-economiche interne, il suo rapporto con il “common people” è la base della sua politica. In ogni caso, in politica estera, non potrà esimersi dal cercare di raffreddare le numerose tensioni geopolitiche che gli lascia l’amministrazione precedente. Si spera vivamente che, come dichiarato in campagna elettorale, riesca almeno a congelare il conflitto in Ucraina. Sicuramente più difficile appare la via per una ripresa dei negoziati per i cosiddetti “Accordi di Abramo” in Medio Oriente, Netanyahu ostenta sicurezza, ma Trump, almeno nella prima fase del suo mandato, può costringerlo ad una tregua. Ancora più ardua è la partita dell’Indo Pacifico, in cui è prevedibile che Trump sia costretto a pericolosi equilibrismi tra il ruolo della Cina e i rapporti con Taiwan. Il problema più arduo è cercare di distanziare Cina e Russia, al momento strettamente cooperanti.
Nello specifico vorremmo soffermarci sugli attuali quadranti di crisi. Come influenzerà la guerra in Ucraina questa elezione?
Atteso che la situazione in Ucraina è particolarmente compromessa da un punto di vista politico, economico e, soprattutto, militare, è probabile che Trump cerchi almeno di congelare la situazione. La strada per la soluzione politico diplomatica del conflitto è particolarmente ardua e la chiusura occidentale ai negoziati alla quale abbiamo assistito sinora non è stata un buon viatico per chiedere conferenze di pace. La posizione della Russia si rafforza soprattutto a livello militare.
La debolezza militare e politica degli Stati europei rende illusorio pensare che gli americani possano pretendere una maggiore coinvolgimento della vecchia Europa in Ucraina, le discussioni sul 2% del PIL per la Difesa nella UE ed in Italia sono abbastanza surreali, a chi vuol fare il condottiero senza Esercito è ben probabile che il neo-Presidente USA dia una buona sveglia.
Che conseguenze avrà nella guerra in Palestina, Libano e Vicino Oriente?
Avevamo sperato che la guerra in Medio Oriente non durasse così tanto e non fosse così cruenta, si può facilmente prevedere un incremento di pressioni USA su Israele per arrivare almeno ad una tregua. Certo la situazione di tensione è grave, ma io ritengo che questa crisi sia strettamente dipendente da quella ucraina, talché è ipotizzabile che, se i russi ottenessero qualcosa in Ucraina, potrebbero ridurre a più miti consigli gli iraniani, almeno a livello strettamente militare.
Come misura di prospettiva si può ipotizzare una ripresa delle negoziazioni sui cosiddetti “Accordi di Abramo”, ma si tratta di ricucire un tessuto lacerato dagli avvenimenti che hanno fatto seguito all’attacco del 7 ottobre 2024, oltretutto, l’ingresso dell’Arabia Saudita nei BRICS potrebbe introdurre nelle negoziazioni una nuova criticità in relazione al modo in cui i BRICS declineranno il loro profilo.
Che effetti avrà sulla situazione di Taiwan?
Quella di Taiwan è una partita molto difficile per tutti, ma in particolare per gli Stati Uniti. Da un punto di vista militare, l’isola è difficilmente difendibile e richiede una superiorità aeronavale che non è semplice conseguire, mentre l’aspetto terrestre assume caratteristiche secondarie. In ogni caso si tratterebbe, anche per la Cina, di un’operazione molto difficile, sanguinosa, e dalle imprevedibili conseguenze sulla stabilità dell’Indo – Pacifico.
Non vedo per Trump molte alternative alle azioni già in essere, cioè un insieme di azioni di deterrenza militare attraverso esercitazioni congiunte con i principali attori del teatro Indo – Pacifico (es. Corea del Sud e Giappone) ed un insieme di contropartite sul piano economico nelle relazioni sino-americane.
AL momento, l’Indo – Pacifico è forse l’area di crisi meno presente sui media, ma più problematica.
Infine, una necessaria domanda sulle conseguenze nel nostro Paese. Trump alla presidenza (con la sua squadra del quale fa la parte del leone Musk) avrà ripercussioni sulle politiche della nostra difesa, sul nostro ruolo (e quello della UE) nel continente?
Le conseguenze sono importanti, articolate e, dal punto di vista strettamente militare, precise. La cosiddetta “legge Di Paola”, quella che aveva immaginato nel 2014 delle Forze Armate puramente impegnate nel “Peace keeping” è superata, “full stop”, come dicono gli americani. Gli avventurismi verso la Cina, sotto il profilo economico, non saranno più possibili, torneremo ad operare nell’ambito di quella che il Ministro Crosetto ha chiamato “la nostra famiglia”. Potremo, forse, chiedere qualche grado di libertà in più nel Mediterraneo Occidentale. La revisione dello strumento militare non si potrà fare se non “a debito”, pena la caduta di ogni e qualsiasi governo.
La posizione della UE è più complicata, la sua debolezza in termini militari e di volontà politica, così come la nostra, non potrà essere sanata nel breve termine, questo, al netto della bellicosità dei Paesi Baltici, della Polonia e della Romania, condanna le nazioni europee ad un ruolo secondario in casa loro. Temo che le posizioni eccessivamente ideologiche dei nostri leader dovranno evolvere verso posizioni meno ultimative e più ragionevoli. Gli elettorati che privilegiano i partiti conservatori potrebbero ricordare ai nostri leader che l’energia russa è più a buon mercato e che la guerra con la Russia è perduta.
Intervista a cura di Matteo Pistilli.
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