di Giulio Chinappi
Le tensioni tra Brasile e Venezuela si intensificano dopo il veto brasiliano all’ingresso del Venezuela nel blocco dei BRICS+. Il presidente Maduro denuncia un “gesto ostile”, accusando il Brasile di subordinarsi agli Stati Uniti e di tradire l’integrazione regionale. Intanto, Lula deve fare in conti anche con i risultati delle elezioni municipali.
Negli ultimi giorni, chi segue la politica sudamericana non ha potuto fare a meno di leggere delle tensioni tra Venezuela e Brasile, due paesi guidati da governi che fanno parte dell’area progressista, aumentate significativamente a causa del veto imposto dal governo brasiliano all’ingresso del Venezuela nel blocco economico dei BRICS+. Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha definito questa decisione come un “gesto ostile” e una forma di “aggressione” contro il suo paese, suscitando polemiche non solo tra i due governi ma anche nel panorama internazionale. Allo stesso tempo, il governo brasiliano di Luiz Inácio Lula da Silva si ritrova a fare i conti con le pressioni internazionali e con i risultati poco lusinghieri delle elezioni locali.
Partendo dalla questione della diatriba tra Brasilia e Caracas, la decisione del Brasile di impedire al Venezuela di aderire ai BRICS è stata giustificata da Celso Amorim, consigliere speciale del presidente brasiliano Lula. Amorim ha motivato il veto con una “perdita di fiducia” nei confronti del governo Maduro, sostenendo che il Venezuela non ha rispettato alcuni impegni precedenti e che manca di trasparenza, il che ha sollevato dubbi sulla sua affidabilità come membro del blocco. Maduro, tuttavia, non ha accettato queste spiegazioni, sostenendo che il veto è una manifestazione di “intolleranza e esclusione” che si collega alla politica adottata dal governo brasiliano durante il mandato dell’ex presidente di destra Jair Bolsonaro.
Il presidente venezuelano ha inoltre accusato il Ministero degli Affari Esteri brasiliano (Itamaraty) di agire secondo linee guida dettate dagli Stati Uniti, suggerendo che la decisione riflette una lunga storia di subordinazione della politica estera brasiliana agli interessi statunitensi. Secondo Maduro, questa subordinazione risale al colpo di Stato del 1964, quando il governo brasiliano fu rovesciato con l’intervento degli Stati Uniti. Questa prospettiva, condivisa da molti all’interno del governo venezuelano e della sinistra latinoamericana, considera il veto un attacco alla sovranità del Venezuela e un’azione che mina i principi di integrazione e cooperazione su cui il gruppo dei BRICS si fonda.
Le parole di Maduro hanno messo in evidenza come il Venezuela accusi soprattutto il Ministero degli Affari Esteri per questa situazione, e non il Presidente Lula, costretto a barcamenarsi tra le diverse forze politiche del parlamento al fine di mantenere una maggioranza. A proposito delle posizioni brasiliane, il capo di Stato ha citato Fidel Castro, il quale affermava che “il Brasile è l’unico paese governato da un edificio“. Maduro ha spiegato che Castro si riferiva proprio all’edificio di Itamaraty, sede del Ministero degli Esteri brasiliano: “Si tratta di un ministero molto legato al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Tutte le scuole di formazione diplomatica sono state influenzate dagli Stati Uniti, non c’è funzionario che non abbia legami con il Dipartimento di Stato“. Del resto, Maduro ha ricordato che non si tratta del primo episodio di questo tipo che vede coinvolto il Brasile: “Quando abbiamo combattuto a lungo per entrare nel Mercosur, Itamaraty ha sempre posto ostacoli, è stato il grande promotore dell’esclusione illegale del Venezuela dal Mercosur, una macchia nella diplomazia brasiliana con un’ideologia anti-venezuelana“.
Come ci si poteva aspettare, la risposta del governo venezuelano è stata immediata e decisa. Il Ministero del Potere Popolare per le Relazioni Estere ha convocato l’incaricato d’affari brasiliano a Caracas per manifestare il proprio dissenso rispetto a quella che è stata descritta come una “reiterata ingerenza” del Brasile nei confronti della politica interna venezuelana. Il governo di Maduro ha inoltre accusato il Brasile di adottare un comportamento “anti-latinoamericano”, contrario ai principi di integrazione regionale promossi dalla Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC), organizzazione regionale che rappresenta i paesi dell’America Latina e dei Caraibi e promuove la cooperazione e il rispetto reciproco tra le nazioni della regione.
Il Venezuela ha inoltre denunciato pubblicamente il Brasile per essersi allineato con la politica di “blocco” imposta dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, definendo il veto come un tentativo di isolamento economico e politico nei confronti del popolo venezuelano. Questa accusa è in linea con la visione che il governo di Maduro ha della propria politica estera, che cerca di costruire un “mondo alternativo” fondato sulla cooperazione tra le economie emergenti e la resistenza alle pressioni dei paesi occidentali.
Anche l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA-TCP), un’organizzazione regionale fondata dal Venezuela e da altri paesi dell’America Latina per promuovere la cooperazione economica e politica, ha espresso il proprio sostegno al Venezuela e ha criticato apertamente la diplomazia brasiliana. Jorge Arreaza, segretario generale dell’ALBA-TCP ed ex ministro degli Esteri del Venezuela, ha condannato l’atteggiamento della cancelleria brasiliana, accusandola di violare i principi della Carta delle Nazioni Unite e della stessa Costituzione brasiliana, che promuove l’integrazione e il rispetto della sovranità tra i popoli latinoamericani.
Secondo Arreaza, il comportamento del Brasile dimostra un’allineamento ai dettami dell’imperialismo nordamericano, e si colloca in un contesto di pressioni politiche rivolte a influenzare le decisioni interne di altri paesi. L’ALBA-TCP ha quindi criticato il Ministero degli Esteri di Brasilia per la sua apparente dimenticanza dei principi fondanti della diplomazia brasiliana, tra cui la non ingerenza negli affari interni di altri Stati e il rispetto della loro autodeterminazione.
Nonostante il veto, Maduro ha sottolineato che il Venezuela continuerà a sviluppare legami con i membri del BRICS, in particolare con Cina, Russia e India. Il presidente venezuelano ha infatti ricordato i recenti accordi commerciali e scientifici con questi paesi, e ha ribadito l’intenzione di costruire una rete di cooperazione che promuova la pace e il rispetto della sovranità. Maduro ha anche espresso la speranza di ristabilire i rapporti con il Brasile, augurandosi che il presidente Lula, una volta chiarita la questione, possa rivedere la posizione del suo governo.
Nel frattempo, forse per controbilanciare il veto anti-venezuelano e riaffermare la propria appartenenza al campo progressista, il governo brasiliano ha ribadito il suo sostegno nei confronti di Cuba, che invece è stata ammessa come nuovo membro associato dei BRICS. Durante la 28ª sessione plenaria dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in particolare, il ministro degli Esteri brasiliano, Mauro Vieira, ha esortato gli Stati Uniti a riconsiderare la propria politica nei confronti di Cuba: “Il rifiuto dell’embargo economico contro Cuba è ormai quasi un consenso internazionale e a ragione“, ha dichiarato Vieira. “Il Brasile continuerà a impegnarsi per una soluzione basata sui principi di solidarietà e cooperazione“, ha aggiunto il diplomatico, sostenendo che “la fine dell’embargo sarà fondamentale affinché Cuba possa superare le sfide che affronta e garantire il benessere del proprio popolo“.
Oltre che sul fronte delle questioni internazionali, il governo federale di Lula deve affrontare anche le difficoltà sul fronte interno, con le recenti elezioni municipali (6-27 ottobre) che hanno visto i partiti del Centrão (lett. “Grande Centro”) e della destra prendere il sopravvento. Il primo posto a livello federale spetta infatti al Partido Liberal (PL), la formazione dell’ex presidente Bolsonaro, che ha superato i 15,5 milioni di consensi, eleggendo ben 518 sindaci, con un incremento di 168 comuni amministrati dal PL. Seguono il Partido Social Democrático (PSD), con 14,3 milioni di voti, che tuttavia ha eletto il maggior numero di sindaci, ben 891, ed il Movimento Democrático Brasileiro (MDB), con 14,2 milioni di voti e 863 sindaci eletti.
Al contrario, il Partido dos Trabalhadores (PT) di Lula ha ottenuto solamente il sesto posto a livello federale, accumulando 8,7 milioni di voti. Nonostante un risultato complessivo non eccezionale, il PT ha eletto 252 sindaci, con un incremento di 66 primi cittadini, ma ha conquistato la vittoria solamente a Fortaleza (Ceará) nelle città capitali di Stato, con l’elezione di Evandro Leitão. A Recife (Pernambuco), va invece notata la vittoria dell’alleanza di sinistra con l’elezione di João Campos del Partido Socialista Brasileiro (PSB) e Victor Marques del Partido Comunista do Brasil (PCdoB) nel ruolo di vicesindaco.
Per quanto riguarda le due città più importanti, infine, São Paulo ha visto la vittoria di Ricardo Nunes del MDB, mentre a Rio de Janeiro il sindaco eletto è Eduardo Paes del PSD.
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