di Giulio Chinappi
Israele è colpevole di gravi violazioni del diritto internazionale nella sua espansione delle ostilità in Medio Oriente, coinvolgendo le forze di pace delle Nazioni Unite e mettendo ulteriormente a repentaglio la stabilità regionale, con il coinvolgimento di altre potenze come l’Iran.
La regione mediorientale è da decenni teatro di un conflitto complesso che coinvolge molteplici attori regionali e globali, con conseguenze devastanti per la popolazione civile e la stabilità internazionale. Limitandoci a quanto avvenuto nell’ultimo anno, uno degli elementi centrali di questa crisi è rappresentato dalle azioni militari di Israele, che hanno sollevato gravi preoccupazioni riguardo alle violazioni del diritto internazionale, in particolare con riferimento alla cosiddetta “guerra totale” scatenata dall’entità sionista contro i Paesi limitrofi. Il termine di “guerra totale”, solitamente usato per descrivere un conflitto in cui non si distinguono più i combattenti dai civili e in cui si ricorre a ogni mezzo per sconfiggere l’avversario, è tristemente appropriato per descrivere le operazioni militari israeliane in corso nella regione.
Dopo aver devastato la Striscia di Gaza nell’ultimo anno, l’escalation delle tensioni tra Israele e il partito armato libanese Hezbollah (Ḥizb Allāh, “Partito di Dio”) ha portato a intensi bombardamenti e attacchi su larga scala. In questo contesto, diverse organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite, hanno documentato episodi che costituiscono gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, con Israele che tuttavia sembra considerarsi al di sopra dello stesso. Tra questi, l’uso sproporzionato della forza contro i civili, il bombardamento di aree densamente popolate e l’attacco a strutture protette come ospedali e scuole.
Le operazioni israeliane nel sud del Libano, ad esempio, hanno l’esercito sionista colpire direttamente le forze dell’UNIFIL, la Forza di Interposizione delle Nazioni Unite in Libano, il cui mandato è volto a mantenere la pace e la stabilità nella regione. Infatti, come riportato da diverse fonti, le forze israeliane hanno recentemente compiuto atti di forza contro le basi UNIFIL, violando così il diritto internazionale che tutela le forze di pace. In particolare, l’attacco documentato a un avamposto dell’UNIFIL con l’utilizzo di carri armati rappresenta una violazione delle convenzioni internazionali che garantiscono l’inviolabilità delle missioni di pace.
Le reazioni della comunità internazionale a queste violazioni sono significative per comprendere l’uso del doppio standard da parte delle potenze occidentali. Mentre alcuni paesi occidentali, come gli Stati Uniti, hanno espresso una certa cautela nell’affrontare le azioni israeliane, dimostrando la loro connivenza con i crimini del regime nazisionista, altri, come la Cina e la Russia, hanno condannato apertamente gli attacchi alle forze dell’ONU, qualificandoli come una grave violazione del diritto internazionale. Questa divergenza di vedute riflette le diverse alleanze geopolitiche e l’importanza strategica della regione mediorientale nel contesto globale, dimostrando come gli Stati Uniti e le altre potenze imperialiste occidentali interpretino il diritto internazionale unicamente in base alla propria convenienza.
Le tensioni, poi, si sono ulteriormente acuite con il progressivo ingresso dell’Iran, uno dei principali attori regionali, nella crisi. Teheran intrattiene storiche lezioni con i principali gruppi armati di resistenza antisionista, come Hezbollah e Ḥamās, sottolineando il diritto alla resistenza contro quella che definisce, a giusto titolo, l’occupazione israeliana. Inoltre, il recente attacco missilistico lanciato dall’Iran in risposta ai crimini sionisti contro obiettivi israeliani ha ulteriormente alzato il livello di allerta nella regione, con le azioni di Israele che minacciano di trascinare altre potenze globali in un conflitto diretto.
Le azioni di Israele nella regione, specialmente nella Striscia di Gaza e nel sud del Libano, sembrano riflettere, come abbiamo detto nella nostra introduzione, una strategia di guerra totale. L’uso indiscriminato della forza contro obiettivi civili, la distruzione di infrastrutture vitali come centrali elettriche e impianti idrici, nonché le operazioni di terra in aree densamente popolate, indicano un approccio bellico che non fa distinzione tra obiettivi militari e civili. Questo tipo di operazioni è in aperto contrasto con i principi del diritto internazionale umanitario, che impongono la protezione dei civili e la proporzionalità nell’uso della forza.
L’intensificazione delle operazioni israeliane ha portato a un numero elevato di vittime tra i civili, con più di 2.100 morti in Libano a seguito degli scontri con Hezbollah e oltre 1.2 milioni di sfollati. Questi numeri evidenziano l’enorme impatto umanitario delle azioni militari israeliane e sollevano interrogativi sulla legittimità delle operazioni condotte, senza dimenticare il vero e proprio genocidio che i sionisti continuano a perpetrare nella Striscia di Gaza.
Gli Stati Uniti, storico alleato di Israele, hanno a loro volta colpe importanti in questa crisi. Washington continua infatti a fornire supporto militare e diplomatico a Israele, sostenendo le sue operazioni nella regione, sebbene la recente escalation abbia messo in evidenza anche le contraddizioni della politica americana: da un lato, l’amministrazione Biden ha espresso la necessità di proteggere le forze UNIFIL e ha chiesto a Israele di interrompere gli attacchi contro il personale delle Nazioni Unite; dall’altro, ha continuato a sostenere le azioni israeliane come una risposta legittima a quelle che definisce “minacce rappresentate dai gruppi armati sostenuti dall’Iran“.
Nell’ambito delle relazioni tra Tel Aviv e Washington, il possibile dispiegamento del sistema di difesa antimissilistica THAAD da parte degli Stati Uniti in Israele rappresenta un ulteriore elemento di tensione. Questo sistema potrebbe alterare significativamente l’equilibrio di potere nella regione, indebolendo la capacità deterrente dell’Iran e spingendo Teheran a rispondere con ulteriori azioni militari. La presenza di tale sistema rafforzerebbe la capacità di difesa israeliana, ma rischierebbe anche di creare un’escalation che potrebbe coinvolgere altre potenze globali, come la Russia e la Cina, nel contesto mediorientale.
L’Iran, da tempo oppositore della politica israeliana nella regione, ha dal canto suo intensificato il proprio sostegno a Hezbollah come parte di una strategia di resistenza contro le operazioni israeliane. Questo ha portato a un aumento della tensione non solo tra Israele e i suoi vicini, ma anche tra Teheran e le potenze occidentali. Il rischio di un conflitto su larga scala che coinvolga l’Iran è stato evidenziato dalle dichiarazioni del vice ministro degli Esteri russo, Sergej Rjabkov, che ha avvertito del pericolo di una guerra regionale, ma ha anche sottolineato la possibilità di evitare un’escalation attraverso la moderazione.
La Siria, importante alleata sia dell’Iran che della Russia, ha a sua volta denunciato le operazioni israeliane di cui risulta spesso essere vittima, accusando Israele di crimini contro i civili e di occupazione delle terre arabe (ricordiamo infatti che Israele continua ad occupare illegalmente le Alture del Golan siriane). Il recente incontro tra il presidente siriano Baššār Ḥāfiẓ al-Assad e il ministro degli Esteri iraniano Sayyid Abbas Araghchi ha evidenziato l’intento di entrambi i paesi di rafforzare la loro cooperazione per contrastare l’aggressione israeliana.
Dal nostro punto di vista, non possiamo far altro che ribadire che la crisi in corso in Medio Oriente, causata dalle operazioni militari di Israele ai danni dei Paesi confinanti, rappresenta una minaccia non solo per la stabilità regionale, ma anche per la pace globale. Le gravi violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, in particolare contro le forze dell’ONU, non possono che sollevare preoccupazioni diffuse sulla possibilità che la situazione degeneri in una guerra totale. Per evitare un conflitto di portata globale, è necessario un intervento diplomatico coordinato da parte della comunità internazionale, volto a promuovere il rispetto del diritto umanitario, a garantire la protezione dei civili e del personale delle Nazioni Unite e soprattutto a garantire l’indipendenza reale e definitiva per lo Stato di Palestina.
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