di Giulio Chinappi
Le elezioni legislative in Giordania hanno segnato una vittoria storica per il Fronte Islamico d’Azione, legato ai Fratelli Musulmani. Il successo è avvenuto in un contesto di crescente tensione regionale, aggravata dal genocidio del popolo palestinese nella Striscia di Gaza.
Le elezioni legislative tenutesi in Giordania lo scorso 10 settembre hanno segnato un importante passo verso un possibile cambiamento politico e sociale nel Paese, con una netta vittoria del Fronte Islamico d’Azione (Jabhat al-‘Amal al-Islami), il braccio politico dei Fratelli Musulmani in Giordania.
Come fatto notare da numerosi analisti, questo risultato è stato fortemente influenzato dal contesto regionale, in particolare dal genocidio in corso portato avanti da Israele nella Striscia di Gaza. La vittoria del Fronte Islamico, che ha ottenuto almeno 31 seggi sui 138 disponibili nella Camera dei Rappresentanti, raggiungendo il 56,24% delle preferenze su scala nazionale, è stata infatti interpretata da molti come un segnale di insoddisfazione crescente verso le politiche del governo giordano e il suo rapporto con Israele, soprattutto a fronte delle atrocità commesse nei confronti dei palestinesi.
Le elezioni di quest’anno sono state le prime tenute dopo le riforme costituzionali del 2022, che hanno introdotto nuove leggi sui partiti politici e sul sistema elettorale. Tali riforme miravano a modernizzare il sistema politico giordano, riducendo l’influenza delle alleanze tribali e dando maggiore spazio ai partiti politici organizzati. Una delle novità più significative è stata l’introduzione di un sistema di rappresentanza proporzionale a lista chiusa, che ha permesso ai partiti politici di competere per 41 dei 138 seggi in Parlamento.
Nonostante questi sforzi di riforma, l’interesse degli elettori è rimasto relativamente basso, con un’affluenza alle urne del 32%. Questo è stato in parte attribuito all’intenso clima politico creato dall’assalto israeliano a Gaza, che ha visto migliaia di morti tra i civili palestinesi, e ha fortemente polarizzato l’opinione pubblica giordana. La Giordania, Paese con una popolazione composta per oltre la metà da cittadini di origine palestinese, ha vissuto intense manifestazioni di protesta contro le violenze israeliane, e il malcontento verso il governo giordano, visto come troppo compiacente nei confronti di Israele, è cresciuto notevolmente.
Il Fronte Islamico d’Azione ha capitalizzato su questo malcontento, presentandosi come il principale difensore dei diritti dei palestinesi e critico dell’accordo di pace tra Giordania e Israele firmato nel 1994. La piattaforma politica del Fronte ha sottolineato la necessità di rescindere questo trattato, visto come un tradimento della causa palestinese, e ha richiesto una maggiore solidarietà con i movimenti di resistenza palestinesi, incluso Ḥamās (Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya), ideologicamente vicino ai Fratelli Musulmani.
Il successo del Fronte Islamico alle elezioni ha permesso al partito di triplicare la propria rappresentanza parlamentare rispetto alle elezioni precedenti, quando il partito aveva ottenuto solo 10 seggi. Questo risultato è stato interpretato da molti come un “referendum popolare” sulla politica estera della Giordania, in particolare riguardo alla gestione del conflitto israelo-palestinese. La retorica del Fronte Islamico, che ha promesso di difendere Gaza, Gerusalemme e i diritti dei palestinesi, ha fortemente risuonato con un elettorato stanco delle politiche conservatrici del governo giordano.
Il segretario generale del Fronte Islamico d’Azione, Wael al-Saqqa, ha dichiarato che il risultato elettorale “riflette la volontà del popolo giordano” e ha sottolineato come la causa palestinese sia al centro dell’agenda del partito. Al-Saqqa ha inoltre ribadito l’impegno del suo partito a sostenere i palestinesi, sia attraverso aiuti finanziari sia attraverso il sostegno morale e politico, promettendo che il partito avrebbe lavorato per mobilitare il supporto internazionale per la causa palestinese.
Oltre alla questione morale e di solidarietà con i palestinesi, il conflitto in corso tra Israele e Gaza ha avuto un impatto diretto sulla Giordania, sia dal punto di vista politico che economico. Il Paese, che dipende fortemente dal turismo (che rappresenta circa il 14% del PIL nazionale), ha visto una drastica riduzione del flusso turistico a causa delle tensioni regionali. Inoltre, l’aumento del debito pubblico, che ha raggiunto quasi i 50 miliardi di dollari, e il tasso di disoccupazione del 21%, hanno aggravato la situazione economica interna, creando un clima di instabilità e disaffezione verso il governo.
Come accennato, la politica del governo giordano verso Israele è stata a lungo una questione delicata. Da un lato, la Giordania ha mantenuto rapporti diplomatici con Israele, firmando il già citato trattato di pace nel 1994 che ha posto fine ufficialmente alle ostilità tra i due Paesi. Dall’altro, la popolazione giordana, in particolare i cittadini di origine palestinese, ha sempre manifestato una forte opposizione a questo accordo, vedendo in Israele un aggressore che continua a commettere crimini contro il popolo palestinese.
Negli ultimi mesi, con l’escalation delle violenze a Gaza, il governo giordano ha dovuto affrontare una crescente pressione interna per prendere una posizione più dura contro Israele. Il ministro degli esteri giordano, Ayman Safadi, ha dichiarato che qualsiasi tentativo di Israele di spingere i palestinesi a rifugiarsi in Giordania sarebbe considerato un “atto di guerra“. Tuttavia, queste dichiarazioni non sono state sufficienti a placare il malcontento popolare, alimentato dalla percezione che il governo giordano non stia facendo abbastanza per fermare l’aggressione israeliana.
Secondo gli analisti, la vittoria del Fronte Islamico d’Azione potrebbe dunque rappresentare una svolta significativa nella politica giordana, sia nelle questioni interne che nelle relazioni con Tel Aviv. Sebbene il partito non abbia ottenuto la maggioranza in parlamento, il suo successo ha dimostrato che una parte significativa dell’elettorato giordano desidera un cambiamento radicale nella politica estera del Paese, in particolare riguardo ai rapporti con Israele. Dopo la pubblicazione dei risultati, il Fronte ha nuovamente promesso di continuare a lottare per i diritti dei palestinesi e di esercitare pressioni sul governo per rivedere l’accordo di pace con Israele.
Tuttavia, resta da vedere come il governo giordano, guidato dal re Abdullah II, risponderà a queste pressioni. La Giordania resta infatti fortemente dipendente dagli aiuti internazionali, in particolare dagli Stati Uniti, che considerano la monarchia hashemita come un importante alleato nella regione. Un cambiamento radicale nella politica estera giordana potrebbe mettere a rischio questi aiuti, creando ulteriori sfide per un Paese già afflitto da una grave crisi economica.
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