di Giulio Chinappi
Negli ultimi mesi, Vanuatu è stato al centro di eventi politici significativi che hanno scosso il panorama interno del Paese e le dinamiche geopolitiche del Pacifico, tra crisi di governo e la sfida tra Stati Uniti e Cina per l’influenza nella regione.
Negli ultimi mesi, il piccolo arcipelago di Vanuatu è stato al centro di una serie di eventi politici significativi che non solo hanno scosso il panorama interno del Paese, ma hanno anche avuto ripercussioni sulle dinamiche geopolitiche della regione del Pacifico. Tali eventi includono la crisi politica interna, le implicazioni della rivalità tra Stati Uniti e Cina e le questioni climatiche che affliggono l’arcipelago e la macroregione delle isole del Pacifico in generale.
Tornando indietro nel tempo, le elezioni del 2022 avevano permesso al filo-occidentale Ishmael Kalsakau di diventare primo minsitro. Tuttavia, il suo goveno ha avuto vita breve, visto che il parlamento ha presentato una mozione di sfiducia dopo solamente dieci mesi. L’opposizione, guidata dall’ex primo ministro Bob Loughman, ha infatti criticato Kalsakau per aver firmato un patto di sicurezza con l’Australia, considerato da molti come un allontanamento dalla posizione neutrale del Paese e potenzialmente pericoloso per l’assistenza allo sviluppo fornita dalla Cina, il principale creditore esterno di Vanuatu.
La mozione di sfiducia ha ottenuto 26 voti favorevoli contro 23 contrari, ma il presidente del parlamento ha inizialmente dichiarato che non aveva raggiunto la maggioranza assoluta di 27 voti necessari per rimuovere il primo ministro. Tuttavia, la Corte Suprema ha stabilito che, poiché un seggio era vacante, la maggioranza assoluta richiesta era di 26 voti. Questa decisione ha aperto la strada all’elezione di un nuovo primo ministro, con Sato Kilman, già quattro volte primo ministro, che è stato scelto per presiedere il governo.
Tuttavia, dopo solamente un mese, anche Kilman è stato rimosso dall’incarico con un voto di sfiducia, venendo sostituito da Charlot Salwai (in foto), già capo del governo tra il 2016 ed il 2020.
Come anticipato, Vanuatu si trova in una posizione strategica cruciale nel Pacifico, una regione che è diventata il teatro di una crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina. La firma del patto di sicurezza con l’Australia da parte del governo di Kalsakau è stata vista come un avvicinamento agli interessi occidentali, provocando la reazione della Cina, che dal canto suo ha inviato esperti di polizia a Vanuatu durante la crisi politica.
La Cina, attraverso la banca EXIM, è il principale creditore di Vanuatu, e ha investito significativamente nello sviluppo delle infrastrutture del Paese. Allo stesso tempo, la crescente presenza della Cina nella regione è vista con preoccupazione dagli Stati Uniti e dai loro alleati, in particolare l’Australia, che temono che possa portare alla creazione di basi militari cinesi nelle isole del Pacifico. Il caso delle Isole Salomone, che hanno firmato un partenariato strategico globale e un patto di sicurezza con la Cina, ha rafforzato i timori di Washington e Canberra, che stanno progressivamente perdendo la loro influenza sugli Stati arcipelagici del Pacifico.
Nell’ambito di questa situazione, Sato Kilman, nel corso del suo breve mandato, ha promesso di rivedere un patto di sicurezza con l’Australia dopo che il parlamento ha destituito il suo predecessore a causa dell’accordo non ancora ratificato. “Il mio punto di vista sarebbe quello di rivedere l’accordo con entrambe le parti, gli australiani e il governo di Vanuatu, e vedere se ci sono punti critici e affrontarli“, aveva dichiarato Kilman prima di essere sostituito da Salwai, che tuttavia sembra condividere il punto di vista del suo predecessore sulla questione.
Parallelamente alle vicende politiche, Vanuatu ha guadagnato l’attenzione internazionale per il suo impegno nella lotta contro i cambiamenti climatici. Prima di entrare in crisi a causa dell’accordo con l’Asutralia, il governo di Kalsakau ha ottenuto un successo significativo portando la questione del cambiamento climatico davanti alla Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, chiedendo di definire le obbligazioni degli Stati nella lotta contro il cambiamento climatico.
La vittoria di Vanuatu e degli altri otto piccoli Stati insulari che hanno sostenuto la mozione davanti al Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare (Antigua & Barbuda, Niue, Palau, St. Kitts e Nevis, St. Lucia, St. Vicent e Grenadine, Tuvalu) ha stabilito che tutti i 169 Paesi firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare devono fare di più per proteggere gli oceani dai cambiamenti climatici. Questa sentenza ha rappresentato un trionfo legale per gli stati insulari, che stanno combattendo per la loro sopravvivenza di fronte all’innalzamento del livello del mare, all’aumento delle temperature oceaniche e all’acidificazione degli oceani causata dalle emissioni di gas serra.
Infine, un altro evento di grande rilevanza è stato il primo referendum nella storia di Vanuatu, tenutosi per votare su una serie di leggi di riforma politica. Il referendum, organizzato dal Task Force sulla Revisione Costituzionale, ha dato ai cittadini l’opportunità di esprimere la propria opinione su riforme volte a ridurre l’instabilità politica e migliorare l’integrità del parlamento e dei suoi membri. Le riforme proposte includono la regolamentazione dei partiti politici, emendamenti alla costituzione e modifiche alle leggi esistenti per rafforzare la rappresentanza e la trasparenza.
Le recenti vicende politiche di Vanuatu evidenziano dunque la complessità delle dinamiche interne ed esterne che influenzano questo piccolo ma strategicamente importante paese del Pacifico. La rivalità tra Stati Uniti e Cina, le sfide del cambiamento climatico e la necessità di riforme politiche sono temi interconnessi che continueranno a modellare il futuro di Vanuatu. In questo contesto, il nuovo primo ministro Charlot Salwai avrà il compito difficile di navigare tra queste pressioni contrastanti per garantire la stabilità e lo sviluppo del Paese.
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