Ruanda: Paul Kagame rieletto presidente nel bel mezzo delle tensioni con il Congo-K

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di Giulio Chinappi

Il presidente Paul Kagame è stato rieletto per un quarto mandato nelle elezioni generali in Ruanda, ottenendo una vittoria schiacciante che si spiega con i successi ottenuti negli ultimi trent’anni. Tuttavia, permangono alcune criticità interne e le tensioni con Kinshasa.

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Il 15 luglio 2024 si sono svolte le elezioni generali in Ruanda per eleggere il presidente e i membri della Camera dei Deputati. In un contesto di critiche per l’esclusione di candidati dell’opposizione di rilievo, il presidente uscente Paul Kagame è stato rieletto per un quarto mandato con una vittoria schiacciante.

Paul Kagame, 66 anni, è il leader del Ruanda da trent’anni, inizialmente come vicepresidente de facto e braccio destro di Pasteur Bizimungu dopo aver guidato le forze ribelli del Fronte Patriottico Ruandese (Front Patriotique Rwandais, FPR) che hanno messo fine al genocidio del 1994, e poi come capo di Stato. Kagame è diventato presidente ufficialmente nel 2000, e da allora ha vinto con margini schiaccianti in quattro elezioni consecutive. La sua leadership è certamente stata oggetto di critiche per il suo stile “autocratico” e la repressione della libertà di espressione e della competizione politica, almeno secondo quanto affermano l’opposizione interna e i media occidentali, ma invero continua a godere di un ampio sostegno popolare grazie ai progressi economici e alla stabilità che ha portato al Paese.

Secondo i dati ufficiali, infatti, Kagame ha vinto le elezioni con il 99,18% dei voti validi e un’affluenza alle urne pari al 98,20%, superando persino il suo risultato del 2017, quando aveva ricevuto il 98,7% delle preferenze. Questi dati possono sembrare assurdi ai nostri lettori, ma non lo sono se si considera il contesto specifico del Ruanda. “Se non capite come un leader possa vincere con una maggioranza schiacciante con più del 99% dei voti, allora non capite il Ruanda“, ha scritto l’analista politico Sanny Rwego Ntayombya in un articolo pubblicato da Al Jazeera“Una volta, il reddito annuo pro capite era di soli 130 dollari, oggi è quasi di 1.000 dollari. L’aspettativa di vita è aumentata da un minimo di 40 anni a 67 anni. Attualmente, l’83% dei ruandesi sa leggere e scrivere, il 91% delle donne partorisce nei centri sanitari e il 77% delle case ha accesso all’elettricità. I bambini ricevono un’istruzione primaria e secondaria gratuita nelle scuole governative e gli agricoltori possono accedere a fertilizzanti sovvenzionati“, ha spiegato il giornalista.

Oltre a Kagame, i principali candidati erano Frank Habineza del Partito Verde Democratico del Ruanda (Parti Vert Démocratique du Rwanda, PVDR) e Philippe Mpayimana, un ex giornalista e insegnante, che ha concorso come indipendente. Habineza ha ricevuto solo lo 0,5% dei voti, mentre Mpayimana lo 0,32%.

Per quanto riguarda le elezioni legislative, la coalizione di governo guidata dal FPR di Kagame ha ricevuto il 68,83% dei voti, eleggendo 37 deputati sugli 80 seggi a disposizione. Al secondo posto troviamo il Partito Liberale (Parti Libéral, PL), con l’8,66% delle preferenze e cinque rappresentanti eletti, gli stessi del Partito Social Democratico (Parti Social Démocrate, PSD). Eleggono due deputati ciascuno, invece, il già citato PVDR, il Partito Democratico Ideale (Parti Démocratique Idéal, PDI) ed il Partito Sociale Imberakuri (Parti Social Imberakuri, PS-Imberakuri).

Naturalmente, la vittoria schiacciante del presidente in carica e del suo partito non significa che nel Paese non siano presenti criticità che Kagame dovrà affrontare nel prossimo mandato, al fine di continuare a perseguire “una visione di un Ruanda sviluppato con infrastrutture di livello mondiale, alti standard di vita e un sistema di welfare che si prende cura dei più vulnerabili“, come promosso dall’attuale presidente e dalle forze che lo sostengono. Sebbene il Ruanda abbia registrato una forte crescita economica sotto la leadership di Kagame, con un tasso di crescita del PIL del 7% annuo negli ultimi due decenni, permangono sfide significative, tra cui la povertà nelle aree rurali e la disoccupazione giovanile. Circa il 49% della popolazione vive con meno di 2,15 dollari al giorno e la pandemia di COVID-19 non ha certamente aiutato le fasce più vulnerabili.

Le elezioni si sono inoltre svolte in un clima di tensioni crescenti con la vicina Repubblica Democratica del Congo (Congo-Kinshasa), con la quale esistono molti contenziosi sin dai tempi della colonizzazione belga. Il Ruanda è stato da tempo accusato di sostenere il gruppo ribelle M23 (Mouvement du 23 mars), che sta combattendo contro le forze congolesi nell’est della RDC. Ma, se in passato queste affermazioni provenivano esclusivamente da Kinshasa, un recente rapporto delle Nazioni Unite ha accusato il Ruanda di essere il “leader de facto” del M23, con migliaia di soldati ruandesi coinvolti direttamente nei combattimenti.

Il conflitto nell’est della RDC è strettamente legato al genocidio ruandese del 1994, durante il quale i membri dell’etnia Hutu hanno ucciso circa 800.000 Tutsi. Dopo il genocidio, le forze Hutu si sono rifugiate nella RDC, da dove hanno lanciato incursioni contro il Ruanda. Questo ha portato alle due guerre del Congo, con il Ruanda e l’Uganda (e, secondo alcuni, anche il Burundi) coinvolti direttamente nei conflitti. Dal canto suo, il gruppo ribelle M23, composto principalmente da Tutsi congolesi, sostiene di combattere per i diritti dei Tutsi in RDC, ma è stato accusato di numerose atrocità contro i civili. Le tensioni etniche nella regione continuano a alimentare il conflitto, al quale partecipano anche altri gruppi armati.

Alla luce di quanto analizzato, possiamo affermare che il Ruanda, sotto la guida di Kagame, ha fatto notevoli progressi dal genocidio del 1994, ragione per la quale sia il presidente che il suo partito mantengono una forte popolarità in tutto il Paese, ma allo stesso tempo permangono forti criticità sia in materia di politica interna che estera. Con una popolazione giovane e dinamica, il futuro del Ruanda dipenderà dalla capacità del governo di rispondere alle esigenze dei suoi cittadini e di promuovere la pace nella regione.

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